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I PROCESSI CHE PORTARONO ALL'UNITA' D'ITALIA

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I PROCESSI CHE PORTARONO ALL'UNITA' D'ITALIA


CONTENUTO GENERALE:


Dopo il congresso di Vienna si assistette nei vari paesi ai tentativi di restaurare gli assetti politici e sociali precedenti alla rivoluzione francese. Tale processo passò sotto il nome di Restaurazione e portò a forti conflitti interni a ciascun paese, non ultimo l'Italia, causati soprattutto dalle modalità di attuazione della restaurazione, cioè con metodi repressivi e violenti. Le varie rivolte si susseguirono in tutta Europa in ondate periodiche (1821-21/1830-31/1848/59-61). In Italia emersero poi vari personaggi che si distinsero per le loro idee liberali e per il loro operato che consentì di arrivare all'unificazione d'Italia il 18 Febbraio 1861.






CONTENUTO PARTICOLARE:


Dopo il congresso di Vienna, apertosi dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia il 13 ottobre 1813, si assistette nei vari paesi ai tentativi di restaurare gli assetti politici e sociali precedenti alla rivoluzione francese. La Restaurazione non avvenne dappertutto secondo le stesse modalità, a causa della presenza la presenza soprattutto dei nuovi ceti borghesi che si erano affermati nel campo amministrativo e delle riforme economiche. La stessa classe dirigente della Restaurazione era composta da correnti politiche di diverso orientamento c'erano:

a) gli aristocratici conservatori che rifiutavano tutte le riforme dei periodo napoleonico;

b)    i moderati che ritenevano possibile una conciliazione tra le aspirazioni al ritorno al passato e le nuove esigenze di riforme soprattutto nel campo amministrativo ed economico.

Nel campo religioso, si assistette a una valorizzazione della fede, come elemento stabilizzatore della società. Esaltazione della fede, della tradizione religiosa e dei sentimenti, popolari furono propri della cultura romantica, diffusa in tutta Europa.

Gli anni della Restaurazione, oltre a vedere i tentativi dell'aristocrazia di ripristinare il vecchio assetto prerivoluzionario, videro anche la diffusione dì un nuovo pensiero politico, di ispirazione liberale, che permeò tutti i movimenti tendenti ad associare la lotta per la libertà con quella delle autonomie e indipendenze nazionali.

Il principale sostegno delle forze fautrici della Restaurazione fu l'Austria, la cui politica era diretta dal principe di Metternich, il quale se era contrario al programma degli ultramonarchici che volevano tornare al periodo prerivoluzionario, tuttavia era ostile a tutte le aspirazioni nazionali dei popoli, sottomessi direttamente o indirettamente alla Corona austriaca.

Fu ciò che infatti avvenne dove, come negli stati italiani, tele processo ebbe in carattere oppressivo e illiberale. Tornarono al potere i vecchi sovrani, circondati da aristocratici e clericali reazionari. L'Austria si era assicurata un vasto dominio, che comprendeva i territori della Lombardia e dell'ex repubblica Veneta; inoltre essa esercitava un controllo, attraverso combinazioni di parentele, sul ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, su quello di Modena e sul granducato di Toscana, dove però la Restaurazione ebbe un carattere, moderato e tollerante. Nonostante la sospettosa politica dei Metternich, il Lombardo‑Veneto conobbe sotto l'Austria un'amministrazione ordinata ed efficiente. Nelle province lombarde si sviluppò un movimento culturale patriottico‑liberale, che ebbe tra i suoi maggiori esponenti Silvio Pellico e Federico Confalonieri. Il periodico il "Conciliatore", organo di questo gruppo di intellettuali, divenne sostenitore delle idee dei Romanticismo.

Atmosfera pesante, chiusa, decisamente reazionaria contrassegnò il ritorno al potere dei re di Sardegna, Vittorio Emanuele I. Nonostante i moniti di Cesare Balbo, sostenitore di una linea liberalmoderata, il re instaurò una politica retriva, che privilegiava gli interessi dell'aristocrazia. Era, pertanto, inevitabile che si formassero correnti di opposizione clandestina, che riflettevano gli interessi più aperti e nuovi di quei nobili e borghesi che si erano 'compromessi' con il regime napoleonico.

Pesante atmosfera di reazione anche nello stato Pontificio, nonostante i tentativi dei segretario di stato Consalvi di ammodernare l'amministrazione e la gestione degli affari pubblici. Gli scontenti erano molti, il che spiega la diffusione della carboneria nei territori dello stato.

Il regno delle due Sicilie conobbe invece un periodo meno oppressivo e soffocante di quello presente negli altri stati controllati dall'Austria. Il ministro Luigi de' Medici è famoso per la sua politica dell'amalgama, che mirava a fondere in un unico ceto politico il personale politico e burocratico dei periodo murattiano con il personale borbonico. Sotto il suo governo fu creato il regno delle due Sicilie; con questa decisione veniva abolita l'autonomia siciliana, sancita dalla costituzione dei 1812. Nonostante le aperture politiche dei Medici, fu impossibile colmare il distacco che si era prodotto fra i Borboni e le classi degli intellettuali napoletani, che ricordavano la soppressione della repubblica Partenopea dei 1799 e le aspettative per una maggiore libertà e per le riforme degli anni murattiani.

Durante il 1820 l'insofferenza verso i regimi della Restaurazione, specialmente di quelli che avevano carattere reazionario e poliziesco, si manifestò anche nella diffusione delle società segrete, che variamente si ispiravano al giacobinismo, alle dottrine comunisteggianti di Babeuf e di Filippo Buonarroti, alle ideologie liberaldemocratiche. Di queste sette le più importanti in Italia furono la massoneria e la carboneria. Ma ci furono anche sette segrete costituite da cattolici e da rappresentanti dei clero, che si caratterizzavano per l'assoluta fedeltà alla Chiesa e al papa e per la preoccupazione che avevano di combattere, con i 'buoni libri' e con un'azione svolta all'interno delle classi più elevate, le idee dell'illuminismo.

I moti rivoluzionari che scoppiarono in Italia ebbero come punto d'origine il Sud.

Nel regno delle due Sicilie il moto rivoluzionario fu av­viato da un gruppo di carbonari. Al moto aderì il generale Guglielmo Pepe. Il re Ferdinando I dovette promettere la costituzione. La rivolta si estese anche in Sicilia dove assunse l'aspetto di una rivendicazione a carattere sociale e indipendentista. Il governo napoletano inviò nell'isola il generale Pietro Colletta, che im­pose con la forza ai Siciliani la volontà unitaria dei governo. Il Metternich, preoccupato dagli effetti che le rivolte nel regno delle due Sicilie avrebbero potuto avere sugli italiani, convocò una conferenza delle grandi potenze a Troppau.

Russia, Austria e Prussia proclamarono il diritto della Santa alleanza a intervenire negli stati che fossero apparsi 'vittime' della rivoluzione. Fu proprio il re di Napoli Ferdinando I a invocare l'intervento austriaco e i rivoltosi furono sconfitti.

Anche nel Piemonte sabaudo si ebbero moti insurrezionali, guidati dai carbonari. L'esercito austriaco e quello rimasto fedele al re sconfissero nell'aprile 1821 i ribelli.

Incominciò da questo momento la storia di una vasta emigrazione politica. Repressione e reazione vi furono anche negli altri stati italiani, appoggiate sempre dall'Austria e particolarmente dure si rivelarono quelle dei Napoletano. Nel Lombardo‑Veneto molti rivoltosi furono relegati nella fortezza dello Spíeiberg a scontare la loro pena.

Il prevalere negli stati italiani di tendenze reazionarie e di metodi polizieschi non riuscì a impedire nelle classi colte lo sviluppo di un pensiero politico e di una cultura liberali.

Nel Lombardo‑Veneto si affermò la scuola riformista di Giandomenico Romagnosi, da cui sarebbe uscito il maggiore esponente dei pensiero liberale federativo, Carlo Cattaneo.

Nel 1830 l'ondata di insurrezioni partita da quella parigina del 30, di Carlo X che si oppose al re Luigi XVIII, ebbe forti ripercussioni anche in Italia.

L'epicentro questa volta fu il ducato di Modena, il capo della rivolta lo sfortunato Ciro Menotti, che aveva confidato nell'appoggio dei duca Francesco IV, e delle armate francesi, appoggio che venne a mancare con l'intervento delle truppe austriache l'insurrezione fu stroncata e Menotti condannato a morte.

Dopo il fallimento dei moti dei 1830‑31, incominciò a diffondersi in Italia negli ambienti patriottici la convinzione che con i metodi della carboneria non si sarebbe mai riusciti a sbarazzarsi dei regimi assoluti e della cappa di piombo della Santa alleanza.

Chi si fece interprete di questo nuovo stato d'animo fu Giuseppe Mazzini, il quale ritenne che solo una fede nutrita di spirito religioso, capace di coinvolgere la gioventù urbana, avrebbe potuto trasformare l'obiettivo dell'unità nazionale in qualcosa di più forte delle baionette austriache e della paura dei principi. La storia, secondo Mazzini, aveva camminato attraverso un processo dialettico che la divideva in due fasi:

a) una fase di antitesi nella quale vi fu un a forte opposizione al sistema feudale su cui aveva trionfato l'individualismo borghese della rivoluzione francese.

b)    Ora, invece, veniva la fase di sintesi ovvero alla proclamazione dell'Umanità, che avrebbe superato l'individualismo e aperto un'altra epoca storica.

Egli, politicamente, non era per un governo democratico, infatti era convinto che l'Italia avesse bisogno di qualcuno che la governasse in un potere centralizzato, ma non secondo i metodi dell'assolutismo monarchico austriaco. Disprezzava poi le ideologie socialistiche tendenti a individuare nel proletariato la forza rivoluzionaria.

Nel 1831 Mazzini fondò a Marsiglia la 'Giovine Italia', che avrebbe dovuto preparare l'insurrezione popolare contro lo straniero e i regimi assoluti, così come avevano fatto i patrioti snoli, che avevano preso le armi contro Napoleone.

Vanamente Mazzini sperò di associare Carlo Alberto alla lotta per l'unità, la libertà e l'indipendenza. Tutti i moti organizzati dalla 'Giovine Italia' fallirono; il più drammatico fu quello legato ai nomi dei fratelli Bandiera, che sbarcarono nel 1844 in Calabria sperando di sollevare il popolo contro i Borboni.

Tuttavia, questi fallimenti, ben lungi dall'attenuare il sentimento nazionale, l'incrementavano specialmente negli strati della borghesia più colta e progredita. Non bisogna perdere di vista che la fortuna delle correnti nazionali e patriottiche andò di pari passo con il maturare di nuove esigenze economiche, specialmente nelle zone settentrionali. Oramai si comprendeva sempre più chiaramente che la frammentazione dell'Italia in tanti staterelli era di ostacolo ai commerci e allo sviluppo dei paese. Si spiega così che, insieme con la diffusione delle ideologie patriottiche, ci fosse anche quella delle idee dei grandi maestri dei liberismo, da Smith a Bentham a Say.

Ora, per superare la frammentazione politica dell'Italia, occorreva che il sentimento nazionale si traducesse in un fatto politico non solo 'possibile', ma accettabile da quei ceti borghesi e aristocratici che avrebbero voluto una unificazione politica ed economica, ma senza insurrezioni popolari mazziniane. L'ideologia neoguelfa di Vincenzo Gioberti sembrò rispondere a questa esigenza, con la proposta di un accordo tra i principi italiani per una confederazione di stati presieduta dal papa.

Secondo Gioberti sarebbe bastata la forza della religione per migliorare i rapporti con lo stesso nemico.

Questa tesi, ricca di riferimenti storici e di elementi di filosofia politica, fu sostenuta da Gioberti nell'opera Del Primato civile e morale degli Italiani (1843), opera che ebbe un'importanza fondamentale nella formazione della mentalità della classe dirigente moderata dei nostro Risorgimento.

Carlo Cattaneo invece si pose in netta opposizione con i precedenti. Egli affermava che il vero problema politico consistesse nel formare una vera coscienza unitaria nel popolo italiano prospettata ad un autogoverno e che le riforme dovessero avvenire in modo graduale per dare il tempo a tutti di adattarvisi.

L'anno 1848 fu per l'Europa tutta un anno molto difficile a causa delle rivolte che la pervasero e che non ebbero solo carattere politico ma anche sociale.

Dovunque fu protagonista la borghesia, per la prima volta nei moti fece la sua sa il proletariato.

Naturalmente anche l'Italia fu colpita da tali rivolte.

Il 12 gennaio insorse Palermo. Il moto si estese alla Campania, con epicentro nel Cilento. Ferdinando il fu costretto a concedere la costituzione. A Venezia fu cacciato il presidio austriaco e fu costituita una repubblica autonoma retta da Daniele Manin.

Famose le Cinque giornate di lotta dei Milanesi, che riuscirono a far ritirare le truppe austriache dei generale Radetzky.

Pio IX concesse una costituzione ai sudditi dello stato Pontificio.

Carlo Alberto dovette concedere al Piemonte lo statuto detto "Albertino" creato sull'impronta della costituzione francese.

In un clima di grandi entusiasmi Carlo Alberto, chiamato dai Milanesi, dichiarò guerra all'Austria. Alla guerra concorsero forze regolari, inviate dai sovrani costituzionali italiani, cosicché si determinò uno schieramento militare 'federalista' contro l'Austria; ma i timori di Carlo Alberto circa la possibilità di mantenere il trono in caso di sconfitta, le sue perplessità verso il movimento nazionale, che andava ben oltre gli obiettivi dinastici, minarono lo sforzo bellico.

L'esercito piemontese, dopo aver vinto a Goito e costretto alla resa la fortezza di Peschiera, fu sconfitto a Custoza. Carlo Alberto si vide costretto all'armistizio di Salasco.

In Francia, l'opinione pubblica, atterrita dallo 'spettro dei comunismo', favorì la formazione di un forte concentramento di forze conservatrici, che di lì a poco preparò la strada all'avvento al potere di Luigi Bonaparte.

Negli stati asburgici, il contrasto tra le minoranze etniche consentì alla monarchia di reprimere la rivoluzione e di tornare ai vecchi ordinamenti.

Il fallimento politico‑militare della guerra federalista in Italia spinse il movimento nazionale a fare appello alle forze popolari. A Firenze e a Roma i democratici mazziniani rovesciarono i governi moderati e imposero il programma della Costituente italiana.

A Roma fu proclamata la fine dello stato Pontificio e l'instaurazione della repubblica.

Il Piemonte riprese la guerra contro l'Austria, ma il suo esercito fu sconfitto a Novara. Carlo Alberto abdicò in favore dei lio Vittorio Emanuele II. L'Austria ritornò negli stati che le avevano mosso guerra, restaurando i vecchi governi e i principi.

Incredibile fu la resistenza della repubblica Romana, sorretta da un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi. Alla difesa della repubblica partecipò anche Giuseppe Garibaldi, ma alla fine fu la resa, per l'intervento delle truppe mandate da Luigi Bonaparte, presidente della repubblica francese.

Anche la repubblica di Venezia, dopo una lunga ed estenuante resistenza, dovette conse­gnarsi agli Austriaci.

A capo delle idee rivoluzionario si pose all'ora Camillo Benso conte di Cavour presidente del consiglio sardo dal 1852. Il suo modello di governo era la monarchia costituzionale ispirata al principio del giusto mezzo. Egli era infatti convito che nessuna forza fosse in grado d arrestare il progresso economico-civile.

Firmò trattiti con le maggiori potenze europee assicurando alla borghesia un ruolo politico rilevante nella politica accanto alla nobiltà.

Il problema dell'unificazione e della indipendenza nazionale era per lui un passo obbligato, necessario nel processo di avanzamento economico e morale dei liberalismo europeo, che aveva oramai i suoi punti di riferimento a Parigi e a Londra.

Non a caso, come ministro dell'Agricoltura e poi delle Finanze nel governo d'Azeglio, Cavour si impegnò in una politica liberistica, firmando trattati di commercio con la Francia l'Inghilterra e il Belgio assicurando alla borghesia un ruolo politico rilevante nella politica accanto alla nobiltà.

Uno dei suoi capolavori politici fu la formazione dei connubio tra centro‑destra e centrosinistra, che gli permise di condurre ininterrottamente dal 1852 al 1859 un indirizzo di ammodernamento, progresso e democratizzazione dello stato.

Nella politica ecclesiastica, muovendosi sulla linea delle leggi Siccardi che avevano abolito la manomorta, il foro ecclesiastico e il diritto di asilo, impostò su princìpi liberali i rapporti tra stato e Chiesa.

In politica estera, la questione italiana fu spogliata da Cavour di ogni premessa a carattere rivoluzionario e impostata come interesse europeo a favorire, in chiave moderata, l'estromissione dell'Austria dai territori italiani.

Ecco che il 18 Gennaio 1859 firmò con Napoleone III accordi per una prossima guerra contro l'Austria. La 2° guerra d'indipendenza. Nei progetti di Cavour, che ebbero il consenso dell'imperatore, si sarebbe dovuti arrivare alla costituzione di un regno d'Italia, i cui confini avrebbero compreso il Piemonte, la valle dei Po, la Romagna e le legazioni pontificie.

Intanto Mazzini, diffidente verso la politica di Napoleone III, nel quale vedeva colui che aveva represso la repubblica Romana, e di Cavour, che accusava di volere 'piemontesizzare' la causa italiana, riprese a incentivare e organizzare moti insurrezionali in Lombardia. Il tentativo più importante di promuovere una sollevazione popolare fu attuato da Carlo Pisacane con lo sbarco nel Cilento, tentativo che fallì costando la vita allo stesso Pisacane. Il piano mazziniano di una contemporanea insurrezione a Genova, a Livorno e nel sud, si risolse in un insuccesso, provocando la crisi di tutto il movimento rivoluzionario posto in essere dal grande antagonista della politica di Cavour.

Scoppiata la guerra tra Austria e Piemonte nel 1859, la Francia si schierò a favore del suo alleato.

Questa volta le operazioni militari si risolsero con il successo dei Franco‑Piemontesi ma la loro avanzata non si spinse sino all'Adriatico, com'era nei patti; si fermò al Mincio per la decisione di Napoleone III di concludere la pace (armistizio di Villafranca e pace di Zurigo)con l'Austria nel timore che il conflitto si allargasse con l'intervento delle altre potenze europee.

Secondo i termini della pace non si sarebbe dovuti andare oltre l'annessione della Lombardia al regno di Sardegna, ma le insurrezioni e la costituzione di governi provvisori negli ex stati dell'Italia centrale portarono alla loro annessione al Piemonte, mentre il regno di Sardegna doveva cedere alla Francia Nizza e la Savoia.

Dopo Villafranca e i plebisciti dell'Italia centrale, Cavour, anche per evitare il rischio di vedere il movimento di unificazione nazionale condizionato dalla ripresa di iniziativa dei mazziniani, si mosse in direzione di un programma unitario, che assegnava alla monarchia un ruolo di espansione non più limitato territorialmente al centro‑nord, ma esteso a tutta la penisola e sotto l'egemonia della classe moderata subalpina.

Egli doveva fare i conti, da questo momento, con il Partito d'azione, di ispirazione democratico-mazziniana, contrario a ricorrere all'aiuto dello straniero per realizzare l'indipendenza nazionale.

Il capo di questo partito era Giuseppe Garibaldi, il quale prese l'iniziativa della famosa spedizione dei Mille in Sicilia, spedizione che condusse alla liberazione dei Mezzogiorno e alla liquidazione della monarchia borbonica.

Cavour, d'intesa con Napoleone III, spedì un esercito che, attraverso le Marche e l'Umbria, raggiunse l'esercito garibaldino, facendo rientrare l'impresa dei Mille nelle prospettive di una soluzione moderata monarchico‑sabauda, controllata dal governo di Torino, al di fuori dei pericolo di uno slittamento rivoluzionario.

Il 18 febbraio 1861 si riuniva a Torino il primo Parlamento dell'Italia unita, che il 17 marzo proclamava il regno d'Italia sotto la monarchia dei Savoia.





TESI SOSTENUTA:


Dopo il Congresso di Vienna, tenutosi subito dopo la sconfitta di Napoleone, i regni di tutta Europa tentarono di cancellare, attraverso la Restaurazione, tutte le idee nate durante la Rivoluzione Francese. Essi però non tennero conto del fatto che ormai tali idee erano radicate nella popolazione e non tennero neppure conto della classe che durante tale rivoluzione aveva acquisito sempre un maggior potere: la borghesia. In Italia come in tutti gli altri paesi europei vennero avanti le società segrete ( massoneria e carboneria, in Italia ) che si opponevano al governo del luogo sia con le loro idee sia con azioni violente. Emersero poi ure di grandi statisti come Mazzini, Gioberti ed infine Cavour che pur con modalità diverse e con posizioni ideologiche non del tutto simili resero possibile l'unità d'Italia. A questa unità si è tentato di giungere in un primo momento attraverso la pura forza opponendosi al potere, con azioni di guerra, nelle singole città contro i governi centrali ma che in un modo o nell'altro alla fine venivano sedate e spesso con ingenti perdite di vite umane. Solo in un secondo momento e in particolare grazie a Cavour che si giunse all'unità italiana. Egli infatti fece in modo che la questione italiana fosse spogliata di ogni premessa a carattere rivoluzionario e impostata come interesse europeo a favorire, in chiave moderata, l'estromissione dell'Austria dai territori italiani. Così ottenne l'appoggio della Francia grazie al quale poté scongere l'Austria e in un secondo momento, unite le sue truppe a quelle di Garibaldi ottenne anche la sconfitta dei Borboni. Così il 18 Febbraio 1861 l'Italia si unì sotto un unico regnante.






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