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I COLORI DELLA LUCE
Lo spettro visibile, ovvero l'arco delle radiazioni elettromagnetiche cui l'occhio umano è sensibile, cioè che sono percepibili dall'occhio umano, è formato da luci monocromatiche comprese tra le lunghezze d'onda di 380 e 760 nanometri (un nanometro corrisponde ad un milionesimo di millimetro).
Il primo a dimostrare che un raggio di luce bianca, come quella del Sole, è composto da tante radiazioni di colore diverso, è stato, nel 1666, Isaac Newton. Egli scoprì che, quando un ristretto fascio di luce, proveniente dalla fessura di una finestra chiusa, è fatto incidere su un prisma triangolare di vetro, da questo fuoriescono, con inclinazioni differenti, tanti fascetti di vari colori, nell'ordine: rosso, arancio, giallo, verde, blu e violetto, cioè i colori dell'iride. Facendo ripassare, poi, tutti i fascetti colorati attraverso un secondo prisma uguale al primo, ma capovolto, Newton riuscì anche a ripristinare il fascio di luce bianca, offrendo così la controprova che la luce bianca può essere considerata come una mescolanza di tante radiazioni monocromatiche.
Successivamente, alcuni ricercatori, sviluppando le osservazioni di Newton, giunsero a stabilire che sono sufficienti tre radiazioni monocromatiche per ottenere sia la luce bianca, che tutte le altre luci colorate.
Fu il fisico e fisiologo tedesco Hermann Helmholtz che, nel XIX secolo, perfezionò tale teoria. Questa teoria, la tricromatica, parte dal fatto che, volendo riottenere la luce bianca dopo la scomposizione con il prisma, non è necessario rimiscelare tre radiazioni tratte da zone dello spettro abbastanza distanti tra loro; inoltre, dosando le intensità delle tre radiazioni, si possono ricavare le sensazioni visive di tutti gli altri colori dello spettro.
Ci sono più possibilità con le quali si ottengono questi risultati, perciò non è possibile stabilire quali sono le lunghezze d'onda genuinamente fondamentali o primarie. Comunque sia, i migliori risultati si ottengono con tre bande di colori: un rosso vivo, verde e blu, tendente al violetto; sono tratte dalle regioni estreme e da quella intermedia delle lunghezze d'onda dello spettro visibile ai nostri occhi. Oggi, infatti, si considerano convenzionalmente come colori primari il rosso, il verde ed il blu.
SINTESI DEI COLORI
Esistono due tipi di mescolanze cromatiche: la prima è l'addizione di luci colorate (sintesi additiva); la seconda è la combinazione di materie coloranti (sintesi sottrattiva).
La Sintesi Additiva
Se sopra uno schermo bianco proiettiamo le tre luci dei colori primari, nei punti in cui queste s'intersecheranno, avremo dei colori secondari, derivanti dall'incrocio di alcune luci, e, dove le tre luci s'incrociano, avremo una luce che all'occhio apparirà bianca, come quella del Sole.
Questa operazione è detta sintesi additiva, perché, partendo dall'assenza di luce, giunge per una progressiva somma di luci a produrre la sensazione di bianco.
Le tre luci colorate usate (rosso, verde e blu) si chiamano primarie, mentre le altre, derivate dai miscelamenti, si chiamano secondarie o derivate. Variando l'intensità dell'una o dell'altra delle tre luci, avremo altri colori secondari più o meno saturi. Con questo metodo, ci sono vari modi per ottenere la luce bianca.
Tutte le radiazioni luminose, che, miscelate assieme, producono luce bianca, sono chiamate coppie di colori complementari: il giallo è complementare del blu, il ciano del rosso, il magenta del verde e viceversa.
La Sintesi Sottrattiva
Questo è il genere di procedimento che viene usato nel mescolare assieme sostanze coloranti o nel sovrapporre fra loro vetri o fogli di cellophan colorati. Non c'è somma di due o più radiazioni luminose, ma c'è sottrazione.
La parola sintesi non è esatta per definire i procedimenti sottrattivi, poiché quella che i pigmenti o i filtri colorati operano sulla luce incidente è un'analisi, cioè una separazione delle diverse radiazioni con assorbimento di alcune.
Anche se ci muoviamo in un variegato mondo di colori, ciò non vuol dire che le cose siano dotate di colore proprio; significa solo che gli oggetti riflettono una parte della luce da cui sono colpiti e le radiazioni riflesse producono in noi la percezione di determinati colori.
Nella sintesi additiva si parte dall'assenza di luce, ovvero dal nero, per avere la somma di tutte le radiazioni cromatiche del bianco; invece, nella sintesi sottrattiva si parte dalla luce, cioè dal bianco, e, per sottrazioni, si giunge all'assenza di radiazioni visibili, cioè al nero.
Il giallo, il magenta ed il ciano sono colori primari; il rosso, il verde ed il blu sono, invece, colori secondari. I colori primari della sintesi sottrattiva sono uguali ai secondari di quella additiva e viceversa; inoltre, le coppie dei colori complementari sono uguali in entrambe le sintesi. Il risultato ottenuto miscelando una coppia di luci complementari è ben diverso da quello ottenuto miscelando una coppia complementare di sostanze colorate: nel primo caso si ha il bianco, nel secondo un grigio - nero.
Il Cerchio Cromatico
Nel cerchio cromatico sono disposti i tre colori primari ed i colori derivati, perciò si ha una circolarità continua formata dalla successione di giallo, rosso, magenta, blu, ciano e verde, dal quale si passa di nuovo al giallo. In questo modo, ogni colore primario è affiancato da due colori secondari che ha contribuito a creare; inoltre, ogni colore è diametralmente contrapposto al proprio complementare.
Mescolare in proporzioni uguali un primario ed un secondario che siano adiacenti nel disco, otteniamo un colore terziario; ne possiamo realizzare sei di queste mescolanze, perciò avremo sei colori terziari. Ogni settore compreso fra un colore primario ed uno secondario è occupato da un colore derivante dalla loro mescolanza. Anche i colori terziari sono diametralmente opposti.
Oltre ai terziari, esistono anche i colori quaternari (mescolanza in parti uguali di un primario con un terziario) e quelli quinari (mescolanza in parti uguali di un secondario con un terziario). Variando, però, i rapporti di proporzioni nelle mescolanze, si ottengono moltissime tonalità di colore; infatti, così facendo si possono riprodurre, partendo da pochi colori iniziali, l'infinita gamma di sfumature cromatiche esistente in natura.
Le componenti caratteristiche del colore
Ogni colore può essere classificato con esattezza e rapportato ad altri, mediante un sistema di coordinate composto da tinta, chiarezza e saturazione.
La tinta, detta tonalità, è la qualità percettiva per cui ciascuna sensazione cromatica viene espressa mediante i nomi delle tinte corrispondenti ai colori puri dello spettro. Si passa, però, da una tinta all'altra di queste sfumature intermedie, determinate da minimi cambiamenti di lunghezza d'onda, ne risulta che sull'insieme dello spettro l'occhio riesce a distinguere, in effetti, circa 200 tinte diverse. Per rappresentare l'ordine di successione delle tinte si utilizza il cerchio cromatico suddiviso in un numero più o meno grande di settori.
La chiarezza, luminosità o tono, si riferisce al grado di chiaro o di scuro presente in ogni colore. Per valutare la chiarezza di una tinta, la si confronta con i valori chiaroscurali presenti in una scala di grigi che comprende almeno dieci o dodici passaggi intermedi fra i due estremi, il bianco ed il nero. Questa scala di chiama scala chiaroscurale acromatica ed è usata per classificare il valore di luminosità dei colori puri ed il grado di chiarezza delle loro relative gradazioni. La gamma cromatica, invece, è una scala costituita da gradazioni percettivamente equidistanti capaci di visualizzare il regolare passaggio di un colore verso il bianco o verso il nero, ovvero i suoi cambiamenti di tono.
La saturazione, o purezza, è la misura dell'intensità cromatica di una tinta. Quest'intensità è massima quando i colori esprimono tutta la loro forza e vivacità; è minima quando appaiono così smorzati da riuscire a malapena a diversificarsi da un grigio di uguale chiarezza. Perciò, il grado di saturazione di un colore è definito in termini di maggiore o minore distanza del colore dalla scala dei grigi. Il nostro occhio non può distinguere più di 10 passaggi nella successione fra un colore puro ed un grigio di uguale chiarezza. Ci sono vari modelli cromatici.
La sfera di Runge
Per visualizzare in una sola ura solida tutte le coordinate di un colore, il pittore tedesco Philipp Otto Runge progettò nel 1810 un modello cromatico a forma di globo, suddiviso in mediani e paralleli. Nella fascia mediana (l'equatore), sono distribuiti i colori del cerchio a dodici tinte. In quelle polari, invece, sono disposti il nero a sud ed il bianco a nord. I gradi di longitudine (le fasce fra l'equatore ed i poli) rafurano i passaggi dei vari colori verso il bianco ed il nero. Sulla superficie della calotta sferica settentrionale appaiono le gradazioni cromatiche chiare, derivanti dalla mescolanza di ogni tinta con il bianco; sulla superficie dell'altra calotta, invece, appaiono le gradazioni scure, dovute alla mescolanza delle tinte con il nero. Dentro la sfera, tra i due poli, c'è l'asse cromatico dei grigi. Al centro di questo asse c'è un grigio medio, ottenuto dal mescolando il bianco con il nero oppure due colori che nella sfera siano diametralmente opposti, ovvero complementari fra loro. Ogni colore subisce una progressiva perdita del proprio grado di saturazione man mano che si procede verso il grigio centrale.
Sezionando, infine, la sfera con un piano passante per i poli, si ha la rappresentazione dei rapporti intercorrenti fra i valori chiaroscurali ed i diversi gradi di saturazione delle tinte.
L'albero di Munsel
Tra il 1905 ed il 1915, il pittore statunitense Albert H. Munsell elaborò un sistema di classificazione dei colori che, per il suo particolare aspetto, è stato denominato albero del colore.
E' composto da un asse verticale articolato in 11 sezioni: lo 0, in basso, corrisponde al nero; mentre il 10, in alto, è il bianco. Le sezioni intermedie da 1 a 9 determinano la scala acromatica dei grigi. Questo è l'asse dei valori della chiarezza (asse dei neutri).Attorno a ciascuna delle sezioni è disposto un anello suddiviso in cerchi concentrici. Lungo il bordo esterno di questi anelli trovano posto, in tanti settori radiali, cento tinte riconducibili, a dieci a dieci, a cinque tonalità principali (giallo, rosso, verde, blu, porpora), e cinque intermedie (giallo - rosso, verde - giallo, blu - verde, porpora - blu, rosso - porpora). Il cerchio più esterno di ogni anello comprende le tinte maggiormente sature, che vanno desaturandosi quanto più i cerchi sono vicini all'asse dei neutri. Per ciascuno dei nove valori di grigio è possibile costruire degli anelli del genere, con diametri diversi; ciò per il diverso grado di saturazione che si ottiene, per una data tinta, a quel determinato livello di chiarezza. Ogni sezione passante per una tinta costituisce una tavola cromatica sulla quale si susseguono dei campioni di colore disposti in modo che la loro chiarezza cresca dal basso verso l'alto, mentre la loro saturazione aumenta procedendo da sinistra verso destra. Queste tavole sono universalmente utilizzate in numerosi settori industriali e scientifici.
Anche in questo modello le tre coordinate del colore costituiscono altrettante variabili in grado di agire sia separatamente sia simultaneamente. Intervenendo sulla variabile chiarezza, ovvero aggiungendo del bianco o del nero alla tinta, questa viene fatta traslare lungo l'asse verticale. Agendo sulla variabile tonalità si ha uno spostamento rotatorio sul cerchio delle tonalità. Facendo leva, infine, sulla variabile saturazione, ovvero mescolando una tinta pura con un grigio di uguale intensità chiaroscurale, vi è una perdita di vivacità ed il movimento conseguente è una traslazione radiale.
La particolare disposizione dei colori nel sistema di Munsell rende possibile l'identificazione di ogni tinta per mezzo di una semplice combinazione di lettere e numeri. Ad esempio, il verde con la sigla 4G 2/6 è il verde di tipo 4 (fra i dieci tipi previsti per ogni tinta), ha chiarezza 2 e saturazione 6.
Il doppio cono di Ostwald
Anche il sistema di classificazione dei colori ideato attorno al 1915 dal chimico tedesco Wilhelm Ostwald appartiene alla categoria dei modelli tridimensionali. E' un solido formato da due coni contrapposti ed aventi pertanto la base in comune. Tale base assume la funzione di cerchio cromatico ed in essa trovano posto, sulla corona circolare più esterna, 24 colori saturi: i tre primari, i tre secondari, tre tonalità intermedie fra l'uno e l'altro. Ad ogni colore del cerchio corrisponde, in posizione diametralmente opposta, il suo complementare. Lungo l'asse del solido scorre la scala dei grigi suddivisa in otto parti, con il bianco nell'estremità superiore ed il nero in quella inferiore. L'asse è lungo come l'apotema dei coni, perciò qualsiasi sezione effettuata con piani passanti per l'asse stesso, dà luogo a dei rombi. Esaminando uno di questi rombi, si nota che è composto dall'accostamento di due triangoli equilateri, nei vertici dei quali c'è un colore saturo, il bianco ed il nero. Nel modello di Ostwald le tinte sono espresse mediante una cifra e due lettere: la cifra corrisponde al numero del colore del cerchio cromatico (dall'1 al 24); la prima lettera indica la percentuale di bianco e la seconda la percentuale di nero.
I modelli consentono di classificare in modo adeguato le migliaia di colori prodotti dall'industria. Essi costituiscono un utile banco di prova circa le proprie capacità percettive ed un invito ad inoltrarsi consapevolmente nel variegato e complesso mondo dei colori.
I SETTE CONTRASTI DI COLORI
Il termine contrasto è importante per capire che l'effetto di un colore è sempre da ritenersi relativo, ovvero dipendente dal contesto. Preso da solo, un colore non può essere definito squillante, freddo o chiaro assoluto, ma solo se e quando è accostato ad una tinta più spenta, più calda o più scura. E' dal contrasto fra due o più colori che la qualità della loro apparenza può risultare intensificata od indebolita.
Un pittore e studioso del colore, lo svizzero Johannes Itten, sviluppando le ricerche di Goethe, Bezold, Chevreul e Hoelzel, ha dettagliatamente descritto le caratteristiche dei diversi contrasti riconducendoli ai seguenti sette:
contrasto di colori puri
contrasto di chiaro e scuro
contrasto di freddo e caldo
contrasto dei complementari
contrasto di simultaneità
contrasto di qualità
contrasto di quantità.
Il contrasto di colori puri
E' il contrasto più semplice ed è determinato dall'accostamento di almeno tre colori che siano altamente saturi e distanti tra loro nel cerchio cromatico. Quanto più i colori sono puri, quanto più sono cromaticamente diversi, tanto è più forte il contrasto.
Applicazioni del contrasto dei colori puri si hanno nei prodotti delle arti popolari di tutti i tempi, andando dai ricami ed i costumi variopinti, ai vetri ed alle ceramiche policrome. Fra i pittori moderni, Kandinsky, Mondrian, Matisse, Mirò, Picasso e Van Gogh, si sono frequentemente serviti, a volte in maniera addirittura esclusiva, della prorompente violenza cromatica di questo genere di contrasto.
Il contrasto di chiaro scuro
Gradazioni chiaroscurali diverse suggeriscono la profondità degli oggetti e la distanza fra le cose, dando così origine ad effetti volumetrici e spaziali. contrasti di chiaro e scuro acromatici sono prodotti sia dalla diretta contrapposizione fra il bianco ed il nero, sia dall'accostamento di grigi più o meno chiari.
Il contrasto di freddo e caldo
Siamo portati ad associare i colori che ricordano l'acqua e la vegetazione a sensazioni di refrigerio; mentre consideriamo riscaldanti le gamme cromatiche evocanti il calore del sole e delle fiamme. Fra tutti i colori dello spettro, soltanto il rosso - arancio (rosso saturo) ed il blu - verde (ossido di manganese) meritano la definizione, rispettivamente, di tinta calda e di tinta fredda in assoluto. Tutti gli altri colori assumono un valore di caldo o di freddo in ragione del loro rapporto con altre tinte.
I contrasti cromatici del tipo freddo - caldo hanno la capacità di tradursi in contrasti di vicino - lontano, ovvero di determinare effetti spaziali: nella maggior parte delle situazioni, i colori freddi sembrerebbero retrocedere e contrarsi ed i colori caldi emergere ed espandersi; perciò la lontananza può essere suggerita utilizzando colori freddi e la vicinanza utilizzando colori caldi.
Il contrasto dei complementari
I complementari hanno la proprietà di dar luogo ad una contrapposizione per cui ciascun colore della coppia rende più vivido l'altro, incrementandone la luminosità. Ancora prima del fiorire delle teorie scientifiche sulla visione dei colori, i pittori erano già consapevoli dell'intensificazione cromatica indotta dai complementari.
A questo effetto di mutuo rinforzo, è da aggiungere quello del contrasto consecutivo che si ha quando, fissando prolungatamente una sagoma colorata e poi spostando lo sguardo sopra una superficie bianca, l'occhio riproduce la stessa sagoma, ma con il colore complementare.
L'accostamento di due colori complementari determina un contrasto di grande intensità; mentre la loro diretta mescolanza annulla le rispettive cromaticità nel grigio, essendo presenti in tale mescolanza tutti e tre i colori primari della sintesi sottrattiva.
Il contrasto di simultaneità
E' un'immediata derivazione del fenomeno per cui un colore evoca il suo complementare.
L'osservazione prolungata di un dato colore porta ad un aumento della sensibilità dell'apparato visivo per il colore complementare. Se il complementare è assente, il nostro occhio lo produce da sé e questo <<fantasma>> cromatico determina un'illusione modifica delle tinte realmente osservate.
Il contrasto di qualità
Per qualità cromatica s'intende il grado di purezza, ovvero di saturazione di un colore. Il contrasto di qualità verte quindi sulla contrapposizione tra colori intensi, luminosi ed altri che, invece, risultano desaturati per mezzo di mescolanze ottenute miscelando le tinte pure con il bianco, con il nero, con il grigio o con i complementari delle tinte stesse.
Il contrasto di quantità
Questo contrasto è basato sul reciproco rapporto quantitativo di due o più colori e consiste, quindi, nell'opposizione tra il molto ed il poco, tra il grande ed il piccolo. Infatti, le dimensioni delle superfici occupate dai colori costituiscono un importante fattore nel determinare effetti di equilibrio o di prevalenze fra le tinte. Il grado di luminosità delle tinte pure, rapportato ad una scala, dove il bianco, come intensità massima di luce, corrisponde a 10 ed il nero, come assenza di luce, corrisponde a zero, è il seguente:
giallo : arancio : rosso : viola : blu : verde =
9 : 8 : 6 : 3 : 4 : 6
Le coppie di colori cui fa riferimento Itten sono leggermente sfalsate, rispetto alle coppie di complementari, quali oggi vengono intese. In definitiva, alla scala numerica della luminosità corrisponde la seguente scala numerica delle quantità:
giallo : arancio : rosso : viola : blu : verde =
3 : 4 : 6 : 9 : 8 : 6
Il totale è di 36 parti di colore che, trasferite sul cerchio cromatico (pari a 360°), danno superfici di 30° per il giallo, 40° per l'arancio, 60° per il rosso, 90° per il viola, 80° per il blu e 60° per il verde. Dimensionati su queste estensioni, i colori riflettono la stessa quantità di luce, in quanto le loro differenze in termini di luminosità sono annullate dai rapporti di superficie. La scala numerica, la cui ideazione si deve a Goethe, consente di stabilire tutte le relazioni quantitative tra diversi colori. I rapporti quantitativi hanno, però, valore soltanto quando i colori vengono usati al loro massimo grado di luminosità: diminuendo questa, mutano anche le relative proporzioni. Questi rapporti vanno, inoltre, considerati sotto un punto di vista essenzialmente teorico ed orientativo nell'educazione alla sensibilità cromatica: infatti, quando le aree di colore da realizzare sono complesse ed articolate, è impossibile tradurne numericamente i rapporti quantitativi, per cui saranno soprattutto l'esperienza e le capacità percettive individuali a suggerire se è il caso di aumentare o diminuire la superficie di un colore rispetto a quella di un altro.
LE COMBINAZIONI ARMONICHE DEI COLORI
Esistono varie possibilità per contrapporre i colori in modo da accentuare le qualità cromatiche. Mentre, però, certi colori armonizzano tra loro, altri fanno "a pugni". Nell'affrontare questo problema, Johannes Itten, sulla base dell'impianto strutturale dei colori disposti nel cerchio diviso in dodici parti, ha elaborato una teoria cui spesso si fa riferimento in ambito didattico. Il cerchio cromatico di Itten, però, non è esatto, perché utilizza come colori primari sottrattivi il giallo, il rosso ed il blu, anziché il giallo, il magenta ed il ciano; perciò le coppie di complementari non sono rigorose. Nella teoria degli accordi cromatici, proposta da Itten, i seguenti procedimenti esemplificati sul cerchio dei colori puri sono applicabili anche sui cerchi dei colori desaturati, schiariti e scuriti.
Accordi a due
Sono determinati dall'accostamento di colori diametralmente opposti e, perciò, da coppie di complementari.
Accordi a tre
Se prendiamo in considerazione un triangolo equilatero imperniato al centro del cerchio, i colori ai vertici danno luogo ad un accordo cromatico e ciò vale per tutte le rotazioni del triangolo. Anche considerando un triangolo isoscele, si ottengono combinazioni armoniche.
Accordi a quattro
In questo caso, invece, la ura da considerare è un quadrato. I vertici indicano i colori da accostare e la rotazione della ura fornisce tutte le possibili alternative con tinte che risultano essere sempre complementari negli angoli opposti. Iscrivendo nel cerchio, invece, un rettangolo od un trapezio, si possono ricavare duplici accordi meno equilibrati.
Accordi a sei
In quest'ultimo caso, infine, nel cerchio cromatico è collocato un esagono regolare ruotante. Ad ogni sua singola rotazione corrispondono sei colori armonici fra loro.
Questo metodo è istruttivo ed interessante, ma in pittura non sempre è necessario né sperabile realizzare un equilibrio armonico. E', del resto, difficile, ammettere l'esistenza di criteri universalmente validi, adatti a stabilire se un certo accostamento di tinte è armonico o dissodante. I criteri di base suggeriti da Itten costituiscono un repertorio di possibilità da esaminare alla luce delle esigenze espressive.
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