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Il problema profughi in Italia
Fra i tanti avvenimenti che hanno contraddistinto la storia
dell'uomo, alcuni dei più ricorrenti e drammatici vanno riferiti agli
esodi forzati che hanno avuto per protagonisti milioni e milioni di individui,
costretti a lasciare i loro rispettivi Paesi d'origine per motivi politici,
etnici e religiosi. E l'eccessivo afflusso di profughi provenienti dalle
realtà più disastrate del continente europeo ha creato non pochi
problemi anche in Italia, per via della sostanziale inadeguatezza delle
strutture destinate ad accogliere i nuovi arrivati. Pertanto, dopo aver cercato
scampo dalle rovine e dalle catastrofi della guerra , molti profughi restano in
una condizione assolutamente precaria, per molti versi simile a quella degli
immigrati clandestini e comunque destinata ad un futuro ricco di incognite.
Tanto per rimanere in un'epoca storica relativamente recente, si potrebbe
ricordare, ad esempio, che furono più di due milioni gli Ebrei fuggiti
dalla Germania a causa delle persecuzioni naziste. Così come sono stati
oltre un milione i Palestinesi costretti a rifugiarsi nei campi profughi dei
Paesi arabi dopo che, nel 1948, la Palestina si trasformò nel nuovo
Stato d'Israele, destinato ad accogliere gruppi etnici di religione ebraica provenienti
dai più disparati angoli del globo.
Nel contesto di quelle che potrebbero essere definite come vere e proprie
'migrazioni di massa', non vi è dubbio, però, che un
ruolo di primo piano sia sempre stato svolto dalle guerre, le quali, oltre a
provocare enormi lutti e distruzioni, hanno puntualmente causato, come
immediata conseguenza, irrefrenabili sodi di gruppi umani. Così, se la
prima guerra mondiale si limitò a provocare 'appena' sei
milioni di profughi, la seconda diede luogo, per via diretta o indiretta, alla
migrazione di ben sessanta milioni di persone, quasi tutte costrette a
trasferirsi al di fuori dei propri Stati sotto la spinta di motivi indipendenti
dalla loro volontà. Purtroppo, ancora oggi, a cinquanta anni di distanza
dall'ultimo conflitto mondiale, l'Europa è costretta a confrontarsi con
l'emergenza profughi, per effetto degli sconvolgenti avvenimenti che hanno
interessato, in particolare, tutto l'Est Europeo e buona parte Penisola
Balcanica.
Tutto ebbe inizio qualche anno fa, successivamente alla caduta dei regimi
socialisti nell'Europa Orientale e la conseguente apertura delle frontiere per
l'emigrazione, cominciò a spingere centinaia di migliaia di persone a
riversarsi in massa nei ricchi ed opulenti Stati dell'Occidente, alla ricerca
di un po' di benessere dopo la fame, le privazioni e le delusioni patite sotto
il totalitarismo comunista. Poi, si è aggiunto il dramma dell'Albania,
dove il locale regime dispotico e dittatoriale ha costretto innumerevoli
profughi ad abbandonare repentinamente il Paese, cercando scampo soprattutto a
bordo di navi obsolete ed insicure, molte delle quali affondate durante le
traversate perché sovraccariche di passeggeri. Il dramma degli Albanesi
è ancora oggi, purtroppo, ma triste realtà e le tragedie si ripetono.
Infine, è esplosa la tragedia della ex Jugoslavia, dove il genocidio
perpetrato ai danni di intere popolazioni ha indotto migliaia di poveri
innocenti a cercare rifugio all'estero, quale unica possibilità di
salvezza contro gli orrori e le minacce vissuti in patria.
L'insieme devastante di questi eventi ha quindi riprodotto ed amplificato il
dramma dei profughi, riproponendo uno sconcertante problema di cui l'Italia,
rispetto ad altri Stati del continente, ha indubbiamente risentito in maniera
più approfondita. La collocazione geografica del nostro Paese, infatti,
ha enormemente agevolato l'indiscriminato afflusso di profughi provenienti
dall'estero; mentre i profughi dell'Europa dell'Est e della Jugoslavia hanno
varcato le frontiere italiane passando soprattutto attraverso le regioni
nordorientali, quelli dell'Albania non hanno potuto far altro che superare lo
stretto braccio di mare dell'Adriatico per ritrovarsi sulle nostre coste
soprattutto quelle pugliesi, alla ricerca, come tutti gli altri profughi di
pace, lavoro e tranquillità.
In realtà, queste attese sono andate rapidamente deluse, dal momento che
l'Italia si è mostrata sostanzialmente impreparata ad accogliere
adeguatamente i nuovi arrivati, il cui afflusso massiccio ha creato non pochi
problemi agli organi responsabili dell'ordine pubblico e dell'assistenza ai
profughi stranieri. Né tanto meno si poteva sperare di risolvere la questione
con i semplici appelli alla solidarietà e alla lungimiranza, dal momento
che gli slanci di generosità delle famiglie italiane, che pure sono
tangibili e consistenti, sono forse serviti a tamponare le emergenze più
immediate, ma di certo non hanno potuto far fronte agli oneri derivanti da una
permanenza duratura dei profughi, la quale avrebbe potuto trovare un valido
supporto solamente nelle strutture e nelle risorse messe a disposizione dagli
organi statali.
Le carenze imputabili alle strutture di accoglienza sono apparse evidenti
soprattutto in merito alle condizioni dei rifugiati provenienti dalla ex
Jugoslavia, a favore dei quali era stata emanata una specifica direttiva
governativa, in virtù della quale lo Stato avrebbe dovuto accollarsi
tutte le spese di mantenimento per quegli sfollati che fossero risultati privi
di autonomi mezzi di sostentamento. A tale proposito, bisogna anzi ricordare
che le normative in questione sono state riconosciute all'unanimità come
alcune delle più decenti legislazioni in materia di accoglienza a
livello europeo, solo che i buoni propositi enunciati nelle disposizioni di
legge hanno trovato scarsa attuazione pratica nei fatti.
Basti pensare che le autorità statali sono riuscite a prendersi cura
solamente di poco più di duemila profughi, ospitati in caserme militari
con un costo di circa cinquantamila lire al giorno per ciascuno, naturalmente a
carico delle casse statali. In effetti, più che in accoglienza vera e
propria, questa soluzione si è trasformata in una sorta di
ghettizzazione, visto che i rifugiati, pur essendo dei civili a tutti gli
effetti, sono stati costretti a dimorare in ambienti militari ai quali si
può accedere solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione prefettizia e dopo
aver passato tutti i dovuti controlli agli ingressi sorvegliati dalle guardie.
Molto più fortunati possono ritenersi quei profughi la cui assistenza
era nelle mani di associazioni di volontariato e agli enti locali, i quali
hanno provveduto a dirottare i profughi presso famiglie italiane disposte ad
ospitarli, oppure in appositi centri di accoglienza.
Pure in questo secondo caso, i beneficiari delle strutture di accoglienza
assommano solamente a poche migliaia di persone, anche se, in effetti, si
tratta di una quantità che potrebbe facilmente aumentare, se solo le
autorità competenti si decidessero a stanziare i necessari finanziamenti,
per supportare l'operato dei volontari e degli organismi amministrativi locali.
Pertanto, non resta che auspicare il repentino superamento delle beghe
burocratiche che hanno eccessivamente ostacolato la cooperazione fra le
autorità governative e gli enti locali, così da poter attivare
nuovi e specifici progetti di accoglienza a favore di quei profughi che vivono
ancora abbandonati a se stessi.
Proprio questi ultimi, del resto, rappresentano la categoria di gran lunga
più numerosa, dal momento che, a fronte del limitato numero di rifugiati
ospitati nelle caserme o nei centri di accoglienza, sono decine di migliaia
quelli che vivono in condizioni precarie, costretti ad arrangiarsi da soli in
una vita fatta di emarginazione e di stenti, dove anche il barlume della
speranza si è ormai fortemente affievolito.
La loro situazione, peraltro, appare difficilmente migliorabile anche alla luce
dei continui arrivi di nuovi profughi, i quali, producendo un inevitabile
sovraffollamento, rendono vano ogni tentativo di controllare una situazione
già di per sé oltremodo precaria.
Inoltre, alla pari di ciò che accade per gli individui extracomunitari,
anche i profughi di guerra finiscono spesso per essere scambiati come
'parassiti' di una presunta società del benessere, in cui gli
istinti di solidarietà devono puntualmente fare i conti con diffusi
sentimenti di intolleranza e xenofobia, che sovente si traducono nella
richiesta di più solidi sbarramenti contro coloro che vengono a cercare
rifugio o aiuti nel nostro Paese.
Di conseguenza, dopo aver già patito il dramma del distacco dalla
propria terra e dai propri affetti, gran parte dei profughi deve rassegnarsi
anche alle discriminazioni subite nelle località di accoglienza, ed
è quanto meno assurdo, oltre che vergognoso, che debba essere questo,
per loro, il prezzo da are per sfuggire alle atrocità della guerra.
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