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Introduzione alle Scienze nel 500
Benché a lungo considerato un periodo di confusione e di scarso rilievo per il progresso della scienza, negli ultimi decenni il Cinquecento è stato oggetto di studi che hanno contribuito a comprendere i complessi rapporti tra innovazione e tradizione presenti nelle teorie e nelle pratiche scientifiche. La scienza cinquecentesca diviene più comprensibile se si abbandona il punto di vista che ne ha a lungo distorto i contorni, ovvero l'idea che essa sia da interpretare come una lenta preparazione alla rivoluzione scientifica del secolo successivo. Per comprendere il complesso mondo delle idee e delle attività scientifiche del XVI secolo occorre collocare medici, filosofi, artisti e artigiani - la qualifica di scienziato è raramente utilizzabile prima della metà del XVII secolo - nel loro contesto intellettuale e sociale. A tal fine, è opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale: in primo luogo è necessario considerare che i confini tra scienza, filosofia e religione ancora per tutto il Cinquecento sono estremamente labili.
Ciò emerge soprattutto dall'opera di Paracelso e dei suoi seguaci, ma anche dalle opere di astronomi matematici, come Peucer e Brahe, nonché di Kepler.
Passi tratti dai testi sacri fungono da supporto alle teorie scientifiche non meno dei dati osservativi; fenomeni naturali apparentemente estranei al normale corso della natura sono spesso interpretati come segni della volontà di Dio, concepito come il creatore, ma anche come il reggitore dell'universo; astronomia, astrologia e profezia sono ancora strettamente connesse e, soprattutto per i filosofi neoplatonici, la natura è una manifestazione del divino e in essa operano entità spirituali subordinate al creatore.
L'ossequio per gli antichi e l'indagine empirica della natura
Nella scienza del Cinquecento convivono due motivi che solo apparentemente sono in contraddizione: l'ossequio - spesso venerazione - per gli antichi e un'attitudine di tipo empirico nell'indagine dei fenomeni naturali. La riscoperta di opere filosofiche e scientifiche dell'antichità, prima ignote o solo parzialmente note, contribuisce alla definizione di nuovi quadri teorici nello studio della natura e rafforza l'idea, già presente in epoche precedenti, che in età antichissime siano state note - e poi siano andate perdute - conoscenze profondissime sulla struttura dell'universo, sulla natura e sull'uomo. Questa concezione è presente non solo nel corpo di scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, ma finanche nelle opere di Copernico. L'indagine empirica, anche laddove ottiene i risultati più significativi (ad esempio in botanica e in anatomia), è raramente disgiunta dallo studio dei classici: naturalisti come Mattioli, Gesner e Vesalio, il padre della moderna anatomia, studiano le piante, gli animali e il corpo umano con lo scopo di verificare le conoscenze contenute nei classici (Aristotele, Dioscoride e Galeno). Sebbene nel Cinquecento tramonti l'idea che lo studio della natura sia essenzialmente lo studio delle opere di filosofia naturale di Aristotele, il commento dei testi aristotelici (e delle dottrine in essi contenute) costituisce ancora il punto di partenza degli studi universitari di filosofia e di ogni opera di filosofia naturale.
Le nuove concezioni della natura
Nel corso del Cinquecento, anche se lentamente, mutano le concezioni della natura. Alla visione della natura basata sui concetti aristotelici di forma, materia, privazione, atto e potenza, subentrano concezioni di carattere stoico, neoplatonico, ermetico, aventi tutte in comune l'idea di una natura animata, vivente, le cui parti si attraggono e si respingono, dotate di antipatie e simpatie e di virtù occulte. Un'anima del mondo, subordinata a Dio, regge l'universo e governa i moti dei corpi celesti, mentre lo spirito (materia finissima e attiva) permea tutti i corpi naturali ed è all'origine della vita. Il sapientemago è colui che conosce le segrete virtù nascoste nelle piante, nelle pietre, nelle parti degli animali, le sa estrarre e ne conosce l'impiego. Analogamente, l'astrologo è colui che conosce i moti dei corpi celesti e le loro influenze sulla Terra. Tra macrocosmo (l'universo) e microcosmo (l'uomo) - non più radicalmente separati, come voleva la filosofia aristotelica si individuano complesse corrispondenze che sono alla base della nuova medicina di Paracelso e dei paracelsiani.
La principale serie di corrispondenze (che troviamo in Ficino e Agrippa) è quella tra le parti del corpo e gli astri: al cuore corrisponde il Sole, alla testa la Luna, al fegato Mercurio, ai polmoni Giove e così via, ma non meno importante è la corrispondenza tra minerali (e metalli) e organi del corpo umano.
I rapporti tra scienza teorica e pratica
Insieme al mutamento dell'immagine della natura si determina una trasformazione nel modo di concepire la scienza e i rapporti tra scienza (teorica) e pratica. Se per secoli la scienza era stata solo una conoscenza di carattere teorico e le arti pratiche erano relegate a un rango inferiore, prive di valore conoscitivo, nel Cinquecento la tecnica acquista nuova dignità. Grazie soprattutto all'opera di ingegneri e architetti, si verifica una fusione tra matematica e tecnica con un duplice risultato: sul versante delle tecniche si comincia a disporre di un più ricco bagaglio di conoscenze, soprattutto matematiche, mentre la scienza riceve benefici dai problemi tecnici, come avviene con la balistica (Tartaglia) e con la scienza dei metalli (Biringuccio e Agricola). Uno dei mutamenti più profondi nel rapporto tra teoria e pratica si verifica in medicina: la dissezione dei cadaveri, a partire da Vesalio, acquista un ruolo centrale sia nella formazione del medico, sia nelle ricerche di anatomia; il chirurgo, le cui competenze si definiscono spesso nel corso dell'attività pratica al seguito degli eserciti, acquista - come dimostra Paré - un ruolo sempre più importante in rapporto al medico.
I luoghi di formazione e di trasmissione delle conoscenze
Un importante mutamento che ha luogo nella scienza del Cinquecento è anche quello dei luoghi di formazione e di trasmissione delle conoscenze. Alle università, luoghi tradizionalmente privilegiati della filosofia e della scienza, si affiancano le corti che - prima in Italia e poi nell'Europa centrale e settentrionale - divengono veri e propri centri di produzione culturale. Oltre ad artisti e letterati, le corti ospitano filosofi e ingegneri, alchimisti e cartografi, astronomi e medici, a cui la corte si presenta come il luogo privilegiato per sviluppare ricerche originali e per trasmettere nuove idee, avversate o guardate con sospetto nelle università, di solito restie ad abbandonare i curricula tradizionali. Tuttavia, anche all'interno delle stesse università qualcosa sembra cambiare: nascono gli orti botanici (nelle facoltà di medicina) e i teatri anatomici cominciano ad assumere un ruolo sempre più importante nella formazione del medico. Inoltre, fonderie, miniere e laboratori alchemici cominciano a essere riconosciuti come luoghi nei quali si producono conoscenze, non solo oggetti. Del tutto assenti dai curricula universitari, chimica e mineralogia nascono proprio grazie alle ricerche condotte in luoghi tradizionalmente considerati estranei alla scienza.
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