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La rivoluzione industriale giunse tardi in Italia e gli stimoli offerti dalle nuove tecniche costruttive e i fermenti sociali derivanti dalla concentrazione urbana, assenti per molto tempo, non ebbero poi la stessa che nel resto d'Europa. Quanto all'evoluzione del gusto, non emerse un moto Arts and Craft capace di scuotere il mondo dell'artigianato.
In Italia, dove l'art noveau non visse un decennio fecondo, ci si limitò alla formazione di uno stile liberty episodico e decorativistico. Questo dovuto al fatto che nel mezzo secolo conclusosi con la grande guerra, l'Italia conta strutturalisti quali Alessandro Antonelli e Giuseppe Mengoni, architetti come Ernesto Basile, Giuseppe Sommaruga, Gaetano Moretti e Raimondo D'Aronco, ure nobili ma pallide se paragonate ai celebri ingegneri dell'800, da Telford a Eiffel, e a personalità di livello di Horta, Mackintosh, Gaudì, Olbrich e Loos.
La vicenda italiana fu ipotecata da un'affannosa quanto incostante volontà di rincorrere l'Europa: dall'ingegneria ottocentesca, alle esperienze art and craft e art noveau, alle esperienze razionalistiche. A tale situazione contribuì il distacco tra pensiero filosofico e storiografia artistica.
Ma principalmente contribuì a questo distacco di pensiero, la dipendenza dell'architettura italiana dagli stili classici che furono ripresi e, come vedremo in seguito, applicati dal regime fascista.
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