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La pena di morte
La pena di morte ha
radici molto antiche; infatti, si hanno prove della sua applicazione fin da
popoli come Babilonesi, Egizi, Greci e Romani. Essa è poi tuttora applicata in
numerosi Stati avanzati, come ad esempio gli USA.
Ecco una breve storia della pena di morte in relazione ai principali periodi
storici o popoli:
Presso le comunità
preistoriche la pena di morte era sicuramente comminata abbondantemente, ma non
sono rimaste testimonianze di codici penali scritti. Infatti, le leggi erano
tramandate oralmente, ed erano applicate in modo generalmente abbastanza
soggettivo e arbitrario da parte dei capi o di altri incaricati.
La pena capitale era applicata principalmente per crimini come omicidio e
furto, e probabilmente anche per delitti di lesa maestà e sacrilegi.
I Babilonesi erano un popolo mesopotamico; al momento della massima espansione, sotto il dominio di Hammurabi (1792-l750 a.C.), occupavano l'intera Mesopotamia, la pianura nella quale scorrono i fiumi Tigri ed Eufrate, nell'attuale Iraq. La civiltà babilonese iniziò nel XIX sec. a.C. e finì nel VI sec. a.C., quando Babilonia diventò provincia dell'Impero persiano per mano di Ciro.
Presso i Babilonesi
la pena di morte era ancora largamente utilizzata, ma ci fu una novità molto
importante: la sa del primo codice scritto, il Codice di hammurabi In questo codice la pena capitale è
largamente prevista, per crimini come furto, omicidio e mancanze commesse
nell'esecuzione del proprio lavoro (es.: Posto che un costruttore a un uomo
abbia edificato una casa, ma la sua opera non abbia fatto salda e la casa che
edificò sia crollata ed abbia ucciso il padrone della casa, questo costruttore
sarà ucciso). Non è un codice equo, in quanto la gravità della colpa e
della pena comminata dipende dalla classe sociale a cui appartengono il
colpevole e la vittima: lo schiavo ha minor valore del nobile ed è soggetto a
pene più dure per i medesimi reati.
Esso è pur sempre però una grande conquista, perchè elimina arbitrarietà e
soggettività dai giudizi, essendoci leggi scritte. Il suo limite è quello di
essere troppo particolareggiato: infatti non prende in considerazione un campo
di delitti simili, ma li elenca in modo molto preciso.
Impresso su una
stele di diorite alta più di due metri, il Codice di Hammurabi fu scoperto da
un'equipe di archeologi francesi a Susa, in Iraq, nel 1902. La pietra,
spezzatasi in tre parti, è ora ricomposta e conservata al museo del Louvre a
Parigi.
L'origine divina della legge scritta è sottolineata da un bassorilievo nel
quale Hammurabi è ritratto mentre riceve il codice dal dio del sole, Shamash,
che a Babilonia era simbolo di giustizia. Il codice è redatto su colonne
orizzontali di scrittura cuneiforme: sedici colonne da un lato della stele e
ventotto dall'altro. Articolato in 28 paragrafi, inizia con la disciplina del
processo, cui seguono le leggi sul
diritto di proprietà, sui prestiti, sui depositi, sulle obbligazioni, sulla
proprietà domestica, sul diritto di famiglia. Nella parte che disciplina i
danni alla persona sono previste sanzioni per i danni causati dall'errore dei
medici durante gli interventi operatori, e per i danni causati da negligenza
negli scambi commerciali; nel codice sono inoltre fissate le tariffe per varie
forme di servizi commerciali ed economici. Termina con la celebrazione delle
grandi opere di pace compiute da Hammurabi che è stato chiamato dagli dei 'a
distruggere le forze del male e a far prevalere la giustizia sulla terra'.
Il codice di Hammurabi, che non contiene norme sulla religione e in cui,
similarmente al principio semitico dell''occhio per occhio, dente per
dente', il diritto penale è basato sulla legge del taglione, offriva
protezione alle classi più deboli della società babilonesi (donne, bambini).
Per l'epoca in cui fu emanato, esso è indice di una civiltà molto progredita.
Gli Egizi erano una popolazione dell'Africa settentrionale, che occupò l'attuale Egitto; la civiltà egizia iniziò nel IV millennio a.C. e finì nel IV sec. a.C., in seguito alla conquista dell'Egitto da parte di Alessandro Magno e l'annessione all'Impero persiano.
Presso gli Egizi,
la pena capitale era applicata per coloro che infrangevano Maat, la Regola
universale rigorosamente osservata in Egitto. Questa legge comprende crimini
come omicidio, furto, sacrilegio, attentato contro il Faraone (visto come un
garante della Regola), spionaggio, infrazioni fiscali; oppure per i medici che,
non utilizzando terapie tradizionali, non riuscivano a salvare la vita dei
pazienti. Non esisteva arbitrarietà, e le sentenze erano uguali per tutti,
ricchi e poveri, nobili e umili; o almeno in teoria così avrebbe dovuto essere.
La pena di morte era applicata tramite la decapitazione, il sacrificio, o
l'annegamento nel Nilo all'interno di un sacco chiuso.
La civiltà greca ebbe inizio nel XV-XIV sec. a.C. con l'occupazione della Grecia da parte degli Eoli e dei Dori, per finire nel I sec. a.C., in seguito all'annessione all'Impero romano.
La tragedia greca,
nelle sue espressione più antiche, ha più volte rispecchiato l'idea della
giustizia come obbligo di vendetta spettante soprattutto ai li della
vittima. Così, nelle Coefore di Eschilo, inutilmente Oreste cerca di
sottrarsi a questo pesante dovere, dal momento che l'oracolo di Apollo gli ha
predetto infinitti dolori e malattia qualora non vendichi l'assassinio di
Agamennone.
Nella polis greca la permanenza della pena di morte ha subito ripensamenti e
attenuazioni, specie nelle vicende politiche e costituzionali di Atene,
registrando il graduale superamento del concetto di punizione come vendetta,
anche se a lungo le esecuzioni erano state lasciate all'iniziativa dei familiari
della vittima.
In alcune opere di Platone vengono considerate da un lato l'utilità delle pene
per l'emendazione del colpevole e per la prevenzione di ulteriori mali,
dall'altro l'eccezionalità della pena di morte da comminare in casi gravissimi
(sacrilegio, omicidio di parenti, crimini contro lo Stato) e nei confronti
degli incorreggibili, rifacendosi alla legge del taglione. Ecco cosa dice
Platone nelle sue Leggi:
'se uno è riconosciuto colpevole di siffatto omicidio, avendo ucciso qualcuna delle suddette persone, i servi dei giudici e i magistrati lo uccideranno e lo getteranno nudo in un trivio prestabilito, fuori della città; tutti i magistrati portino una pietra in nome di tutto lo Stato scagliandola sul capo del cadavere, poi lo portino ai confini dello Stato e lo gettino al di là insepolto; questa è la legge'.
I Romani erano un popolo originario dell'Italia centrale e che al momento della massima espansione occupò quasi tutta l'Europa, l'Africa settentrionale e l'Asia minore. La civiltà romana ebbe inizio nell'VIII sec. a.C. con la fondazione di Roma, per finire nel V sec. d.C., in seguito alle invasioni barbariche.
In età romana,
almeno nei primi secoli, l'autorità pubblica interveniva solo per punire i
delitti che in qualche modo avessero violato l'ordine generale e che venivano
perciò considerati di pubblico tradimento. E in questi casi interveniva in modo
molto duro, spesso con la pena capitale. Per i delitti privati si applicava
invece la legge del taglione, che spesso portava all'uccisione del colpevole.
Tuttavia non solo il tradimento della patria, l'intelligenza con il nemico
della patria o la rivolta contro l'autorità erano considerati reati gravissimi,
ma anche lo spostare un cippo che delimitava il confine di un campo, il rubare
il bestiame o il raccolto altrui, l'uccidere, lo stuprare, il violare una
promessa, il dare falsa testimonianza, il rubare di notte, l'incendiare una
casa o le messi, il rubare al padrone, l'ingannare un cliente.
I modi che ricorrevano per le pene, a quanto risulta dalle Leggi delle XII
tavole (V sec. a.C.), erano veramente feroci. I Romani facevano ricorso alla
decapitazione, alla fustigazione a morte, all'impiccagione, al taglio di arti,
all'annegamento, al fuoco; le vestali colpevoli di infedeltà erano seppellite
vive, perché non era permesso versare il loro sangue, il loro seduttore era
bastonato fino alla morte; i nemici pubblici, i servi che avessero derubato il
padrone, i colpevoli di falsa testimonianza venivano lanciati dalla rupe
Tarpeia; agli schiavi, o comunque a coloro che non godevano della cittadinanza
romana, era riservata la crocefissione, supplizio particolarmente lungo e
doloroso.
Non mancano però esempi anche di altri metodi: il re Tullo Ostilio, per
esempio, fece squartare Mettio Fufetio per aver violato i patti stipulati con
Roma, legandolo a due carri poi lanciati in opposte direzioni.
Ma non si deve credere che con il passare del tempo i costumi romani si siano
ammorbiditi; ancora nel 71 a.C. più di 6.000 uomini che avevano seguito Spartaco
nella sua rivolta contro Roma furono crocefissi lungo le strade consolari e nei
primi secoli dell'era volgare i cristiani, ritenuti colpevoli di sovvertire
l'ordine pubblico, erano dati in pasto alle belve negli anfiteatri.
Il Medioevo in
Europa è caratterizzato da una grande confusione e sovrapposizione di poteri,
perchè il sistema feudale era tale per cui al potere dello Stato, che si
identificava con il re o l'imperatore, si affiancava il potere dei feudatari, a
cui il re delegava il compito di amministrare la giustizia, e poi il potere dei
magistrati cittadini. Erano molti quindi coloro che potevano comminare pene,
anche quella capitale, che veniva applicata per crimini come omicidio, furto,
sacrilegio e tradimento, a volte sulla base di leggi, spesso in modo arbitrario
dal potente di turno. Venivano utilizzati la decapitazione, l'impiccagione,
l'annegamento e la tortura fino alla morte.
Ci fu un lungo periodo della storia europea in cui torture ed esecuzioni
capitali furono particolarmente frequenti e riservate a reati che noi oggi
considereremmo di opinione. La commistione tra potere politico e potere
religioso ha portato per secoli alla condanna di chi si discostava dalle
posizioni della Chiesa, sia sul piano dogmatico che su quello politico e
scientifico, senza contare le innumerevoli donne accusate di essersi date al
demonio e bruciate come streghe.
Col passare dei secoli, la pena capitale rimase in vigore in quasi tutti i
Paesi, e vennero introdotti sempre nuovi strumenti di morte. Per esempio nella
Francia dell'Ancienne Regime essa era eseguita con raffinati supplizi
differenziati a seconda del rango sociale del condannato o del tipo di reato
commesso: l'impiccagione era riservata ai contadini, la decapitazione ai
nobili, la ruota ai delitti più atroci, il rogo ai delitti contro la religione,
lo squartamento ai delitti contro lo Stato. Con la Rivoluzione, su proposta di
Guillotin, furono abolite le differenze di condanna con l'introduzione della ghigliottina.
La pena di morte comunque
restò nella maggior parte degli ordinamenti giuridici fino alla fine del XVIII
secolo, quando cominciarono ad essere numerosi e importanti gli sforzi per
combatterla e favorirne l'abolizione.
La più famosa denuncia dell'ingiustizia della pena di morte si deve al giurista
italiano Cesare Beccaria, che nell'opera Dei Delitti E Delle Pene
(1764), sostenendone l'inefficacia come mezzo di prevenzione del crimine e sottolineando la
possibilità dell'errore giudiziario, ne propose l'abolizione; l'opera di
Beccaria ottenne grande attenzione anche fuori dall'Italia e influenzò in
maniera decisiva i movimenti di riforma del diritto penale. Uno dei primi
esempi di abolizione totale della pena di morte si deve a Pietro Leopoldo di
Toscana, che la eliminò dal Granducato di Toscana nel 1786. A partire dal XIX
secolo, in numerosi Stati, prima in alcuni occidentali, poi via via in molti
altri, la pena di morte venne abolita e sostituita da altre punizioni come il
carcere a vita.
Durante questo secolo però essa ha continuato ad essere utilizzata da alcuni
governi dittatoriali per sbarazzarsi di chi li contrastava, per motivi di
ideologia o di colore della pelle, come in Sudafrica durante l'apartheid, in
Russia ai tempi di Lenin e Stalin, in Europa ai tempi del nazismo.
Purtroppo in molti Stati rimane tuttora in vigore, e la popolazione, nella maggior parte dei casi, non è per niente contraria all'applicazione di questa estrema pena. Il fatto preoccupante è che in numerosi Paesi, soprattutto in quelli a regime dittatoriale, la pena capitale è ancora applicata con una certa arbitrarietà da parte dei potenti, sebbene ci siano leggi scritte già da tantissimi secoli.
Durante il regime nazista, in Germania e nei paesi occupati ci fu un picco delle condanne a morte e delle esecuzioni, oltre alle morti ottenute mediante il sistema concentrazionale.
Anno |
Condanne |
Esecuzioni |
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Dalla 'notte
dei cristalli' (9 novembre 1938) si erano incrementate nel Reich
hitleriano le persecuzioni antiebraiche; e il tentativo di instaurare un
'nuovo ordine europeo' prima e durante la seconda guerra mondiale
estese le esecuzioni di pari passo con la pianificazione dello sterminio e del
genocidio.
Adolf Hitler, il Führer, aveva l'idea di creare una razza pura, la razza
ariana, priva di ogni 'contaminazione esterna'; per questo motivo
ordinò l'internamento nei campi di concentramento di ebrei, neri, zingari,
omosessuali, che venivano uccisi sistematicamente dalle SS, le guardie scelte
naziste, per mezzo dei metodi più crudeli e spietati. I campi di concentramento
erano veri e propri campi di tortura: i detenuti vivevano in condizioni
igieniche incredibili, ammassati in camere senza servizi igienici; erano
costretti ad alzarsi prestissimo la mattina, con una fettina di pane con un
sottilissimo strato di margarina e poco altro come colazione, ed a lavorare
praticamente senza soluzione di continuità fino alla sera. Non c'era modo di
fuggire o ribellarsi: il campo era cinto da muri con reti elettrizzate, chi
disobbediva veniva immediatamente fucilato; spesso si veniva fucilati solo
perché una SS aveva voglia di farlo.
Nel corso dei secoli, l'uomo si è servito di molti metodi per uccidere i condannati a morte; in questa sezione verranno trattati quelli più diffusi. Ne esistono anche altri poco diffusi o ormai del tutto inutilizzati. Non è affatto vero, come affermano i sostenitori della pena capitale, che i metodi odierni utilizzati nei paesi più avanzati siano indolori; possono anzi essere considerati forme di tortura, come provano le testimonianze riportate.
Tempo di
sopravvivenza: 10 minuti
La sedia elettrica fu introdotta negli USA nel 1888, in ragione della sua
pretesa di maggiore umanità rispetto all'impiccagione, utilizzata in
precedenza. La procedura con cui il condannato viene ucciso è la seguente: dopo
che il detenuto è stato legato alla sedia, vengono fissati elettrodi di rame
inumiditi alla testa e ad una gamba (che sono state rasate per assicurare una
buona aderenza). Potenti scariche elettriche, applicate a brevi intervalli,
causano la morte per arresto cardiaco e paralisi respiratoria: un elettricista,
agli ordini del boia, immette la corrente per la durata di due minuti e diciotto
secondi variando il voltaggio da 500 a 2000 volt, altrimenti il condannato
brucerebbe. Il procedimento procura effetti visibili devastanti: il prigioniero
a volte balza in avanti trattenuto dai lacci, orina, defeca o vomita sangue,
gli organi interni sono ustionati, si sente odore di carne bruciata.
Benché lo stato di incoscienza dovrebbe subentrare dopo la prima scarica, in
alcuni casi questo non accade: a volte il condannato è solo reso incosciente
dalla prima scarica, ma gli organi interni continuano a funzionare, tanto da
rendere necessarie ulteriori scariche.
Tempo di
sopravvivenza: 8-l0 minuti
Questo metodo di
esecuzione fu introdotto negli USA negli anni '20, ispirato dall'uso di gas
venefici durante la prima guerra mondiale e dal largo impiego del forno come
metodo di suicidio.
Il prigioniero viene fissato ad una sedia in una camera stagna. Uno stetoscopio
fissato al suo torace viene collegato a cuffie che si trovano nella stanza
adiacente, dove stanno i testimoni, in maniera tale che un medico possa
controllare il progredire dell'esecuzione; nella camera stagna viene quindi
liberato gas cianuro che uccide il condannato. La morte avviene per asfissia:
il cianuro inibisce l'azione degli enzimi respiratori che trasferiscono
l'ossigeno dal sangue alle cellule del corpo. Lo stato di incoscienza può
subentrare rapidamente, ma l'esecuzione durerà più a lungo se il prigioniero
tenta di prolungare la propria vita trattenendo il fiato o respirando
lentamente. Così come avviene con gli altri metodi di esecuzione, gli organi
vitali possono continuare a funzionare per un breve periodo, a prescindere dal
fatto che il prigioniero sia cosciente o meno.
Tempo di
sopravvivenza: 6-l5 minuti
Introdotta in Oklahoma e Texas nel 1977; la prima esecuzione fu in Texas nel
dicembre 1982. Comporta un'iniezione endovenosa continuata di una dose letale
di un barbiturico ad azione rapida (pentothal) in combinazione con un agente
chimico paralizzante. La procedura assomiglia a quella utilizzata per effettuare
un'anestesia totale. In Texas viene usata una combinazione di tre sostanze: un
barbiturico che rende il prigioniero incosciente, una sostanza che rilassa i
muscoli e paralizza il diaframma in modo da bloccare il movimento dei polmoni e
un'altra che provoca l'arresto cardiaco.
C'è chi dice che questo sia il metodo di esecuzione più umano, invece possono
esserci anche gravi complicazioni: l'uso prolungato di droghe per via
endovenosa da parte del prigioniero può comportare la necessità di andare alla ricerca
di una vena più profonda per via chirurgica; se il prigioniero si agita, il
veleno può penetrare in un'arteria o in una parte di tessuto muscolare e
provocare dolore; se le componenti non sono ben dosate o si combinano tra loro
in anticipo sul tempo previsto, la miscela si può inspessire, ostruire le vene
e rallentare il processo; se il barbiturico anestetico non agisce rapidamente
il prigioniero può essere cosciente mentre soffoca o mentre i suoi polmoni si
paralizzano.
Tempo di sopravvivenza:
25 minuti
Consiste in una panchina sulla quale viene fatto sedere il condannato che si
appoggia ad un palo intorno al quale passa un cerchio di ferro che lo stringe
alla gola; una manovella a vite stringe sempre più il cerchio finché
sopravviene la morte per strangolamento, mentre un cuneo di ferro provoca la
rottura delle vertebre cerebrali.
Usata in Sna fino a pochi decenni fa.
Tempo di
sopravvivenza: 8-l3 minuti
Nell'impiccagione la perdita di coscienza è quasi immediata; la morte avviene
rapidamente per asfissia, ad opera di un cappio posto attorno al collo e
fissato ad un sostegno per l'altro capo. Il peso del corpo, abbandonato nel
vuoto o inclinato in avanti, grava sul cappio, ne determina la chiusura e la
conseguente azione comprimente sulle vie respiratorie.
L'impiccagione lascia vari segni, sia interni che esterni: il condannato
diventa cianotico, la lingua sporge in fuori, i bulbi oculari escono dalle
orbite, vi è un solco alla cute del collo; ci sono inoltre lesioni vertebrali e
fratture interne.
Tempo
di sopravvivenza: incerto
La sentenza viene eseguita da un plotone composto da un numero di fucilieri che
varia da sei a diciotto; non tutte le armi sono cariche. Dopo che il condannato
(o i condannati) ha ricevuto la prima scarica all'ordine dell'ufficiale che
comanda il plotone, quest'ultimo gli si avvicina e gli spara alla tempia o alla
nuca: è il colpo di grazia.
Ecco il parere di padre Joseph Vernet, ex cappellano delle esecuzioni in
Francia:
'La coscienza, nonostante il colpo di grazia, resta ancora a lungo; questo metodo è tra i più barbari. Infatti l'esecuzione si compie la mattina all'alba, in un fortino militare, lontano dagli occhi di tutti'.
Tempo
di sopravvivenza: 1-2 minuti
Macchina per decapitazione, così chiamata dal nome del fisico francese
Joseph-Ignace de Guillotin, che ne propose l'adozione nel 1789: siccome la
decapitazione era considerata il metodo di esecuzione meno doloroso e più
umano, Guillotin suggerì la costruzione di una macchina apposita.
Essa consiste di due travi parallele issate verticalmente, incavate al centro e
unite in alto da una traversa, e di una lama obliqua, legata con una fune alla
traversa. Il condannato pone il collo in una struttura tipo gogna dalla quale
passerà la lama obliqua; liberata la fune, la lama scivola lungo le due travi e
cade sul collo del prigioniero, tagliandogli di netto la testa, che cade nel
cesto posto davanti alla ghigliottina.
Essa fu impiegata soprattutto durante la rivoluzione francese.
La pena di morte è
l'attuazione del principio etico-giuridico in base al quale lo Stato può
decidere legittimamente di togliere la vita ad una persona. Ma di fronte agli
elenchi di alcolizzati, malati di mente, emarginati di ogni tipo mandati a
morte si ha l'impressione di essere davanti ad un potere che disinfesta, un
'potere giardiniere', che si incarica di estirpare le erbacce. Ad
essere giustiziati non sono soltanto gli omicidi, ma anche i responsabili di
reati economici, talvolta molto lievi.
Spesso i processi non sono equi e regolari. In Iran negli anni scorsi sono
stati celebrati processi della durata di pochi minuti, davanti ad un giudice
non indipendente (un'autorità politico-religiosa), e si sono conclusi con una
sentenza di morte, inappellabile, eseguita quasi immediatamente. Negli USA, in
un sistema giudiziario assai evoluto, un errore commesso da un avvocato
d'ufficio inesperto (come, ad esempio, un leggero ritardo nella presentazione
di elementi a discarico) può comportare la fine di ogni speranza per
l'imputato.
Si viene giudicati
in base alla Shari'a, la legge sacra; nel mese sacro del Ramadan viene
osservata una tradizionale moratoria delle esecuzioni. La pena di morte viene
comminata per reati sessuali, di droga, sabotaggio, corruzione, stregoneria,
masticazione di qat, produzione/distribuzione/assunzione di alcol. Le
esecuzioni hanno normalmente luogo al termine di processi iniqui, nell'ambito
dei quali mancano le più elementari garanzie. Gli imputati possono non essere
rappresentati da avvocati difensori e le confessioni, anche se ottenute
mediante tortura, sono accettate come prove valide dalle corti e possono
addirittura costituire l'unica prova a fondamento della condanna a morte. I
metodi usati sono la decapitazione con una spada affilata per gli uomini e il
plotone di esecuzione per le donne; le donne sposate riconosciute colpevoli di
adulterio possono anche essere lapidate.
Le esecuzioni hanno luogo nei principali centri del Regno, di solito in
occasione delle preghiere del venerdì pomeriggio, in una piazza davani al
palazzo del governatore provinciale; un medico è presente ed ha il compito di
certificare il decesso del condannato. Il metodo della decapitazione è
particolarmente violento sia per la vittima che per coloro che vi assistono: la
morte inflitta con questo sistema viene comunemente ritenuta veloce e pietosa,
in realtà in diversi casi sono stati necessari più colpi prima che la vittima
venisse dichiarata morta dopo essere stata sottoposta ad una sofferenza
indicibile.
La Cina è il paese
dove si contano il maggior numero di condannati a morte, anche se mancano
statistiche ufficiali in materia. Tra i circa 65 reati vi sono l'omicidio, il
traffico di droga, alcuni reati economici, politici, d'opinione, il commercio
di pornografia, l'uccisione di alcuni animali sacri.
Vengono spesso organizzate manifestazioni di massa per la lettura della sentenza
di morte, e l'esecuzione viene compiuta subito dopo: i condannati vengono
mostrati al pubblico con la testa reclinata, le mani legate dietro la schiena
ed un sectiunello con il nome e l'indicazione dei crimini commessi legato al
collo. ½ è una violazione dei diritti fondamentali: molti trascorrono il
periodo che va dalla condanna a morte all'esecuzione ammanettati e coi ferri
alle caviglie; inoltre vengono quasi sempre espiantati gli organi del
condannato, ma senza chiedere il consenso alla famiglia.
Tutte e 15 le
repubbliche ex-sovietiche mantengono la pena capitale nei loro ordinamenti,
sebbene l'applicazione vari: il numero dei reati capitali è stato ridotto in
Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia, Ucraina; l'Estonia
la mantiene solo per reati commessi in tempo di guerra; nell'ottobre 1994 la
pena di morte è stata abolita per le donne in Azerbaijan; in Ucraina tutte le
informazioni relative sono coperte dal segreto di Stato.
In queste repubbliche la necessità di agire contro l'aumento della criminalità
comune è la ragione principale addotta per il mantenimento della pena capitale.
Dopo la rivoluzione
khomeinista del 1979, in Iran è iniziato un processo di adeguamento religioso
delle leggi, comportante, tra l'altro, l'istituzione di tribunali islamici
rivoluzionari e l'assunzione di misure arbitrarie, più volte denunciate a
livello internazionale: la legge religiosa (la Shari'a) è ora diventata la
legge dello Stato.
La combinazione di scarsità di giudici qualificati e mancanza di una chiara
struttura legale ha portato ad un sistema giuridico per lo più arbitrario, con
sentenze del tutto disparate e con scarse o nulle possibilità di correggere i
molti errori che inevitabilmente risultano. Nei processi politici la persona
riconosciuta colpevole non ha nessuno diritto di appello contro la condanna, e
i condannati a morte non possono chiedere né la grazia né la commutazione della
pena.
In Italia, tutti gli stati preunitari ad eccezione della Toscana prevedevano la pena di morte, che nel 1889 fu tuttavia abolita dall'ordinamento del Regno d'Italia con il codice Zanardelli. Reintrodotta dal fascismo per i più gravi delitti politici nel 1926, e per quelli comuni nel 1930, fu definitivamente sostituita con un decreto legislativo dell'agosto 1944, dopo la caduta del fascismo, dall'ergastolo. La Costituzione italiana, ribadendone all'articolo 27 il divieto e riaffermando il principio secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ha lasciato in vigore la pena di morte solo per i casi previsti dalle leggi militari di guerra; anche questi casi sono però definitivamente caduti nel 1994.
Vi è una nutrita serie di reati per i quali è prevista la pena capitale, soprattutto legati al traffico di droga: per essi la condanna a morte è applicata in maniera obbligatoria, senza alcuna discrezionalità da parte dei tribunali. In particolare, l'impiccagione è certa (a meno di un assai improbabile provvedimento di clemenza del presidente) se si viene trovati in possesso di più di 15 grammi di eroina, 30 grammi di morfina o cocaina o 500 grammi di cannabis.
Il 29 giugno 1998 a
Lussemburgo i 15 ministri degli Esteri dei Paesi dell'Unione Europea si sono
schierati compatti per l'abolizione universale della pena capitale, per una
battaglia che diventa un elemento intrinseco della politica UE in materia di
diritti umani; l'UE infatti pone tra le condizioni per l'adesione la non
applicazione della pena di morte. Questa crociata è sostenuta inoltre da un
forte movimento di opinione pubblica.
Durante la riunione dei ministri dell'UE, si è ricordato un dato importante:
l'84% delle esecuzioni mondiali avviene in quattro paesi; nel 1997, in Cina
sono state eseguite 1644 condanne a morte, in Iran 143, in Arabia Saudita (dove
viene praticata la decapitazione) 122, negli USA 74. E tutto ciò senza riuscire
a debellare la criminalità, come si pregevano i sostenitori della pena
capitale. Inoltre, in alcuni Paesi (fra cui gli USA) vengono giustiziati anche
minori, mentre in Cina i soldati dei plotoni di esecuzione puntano solo contro
certe parti del corpo dei condannati per preservarne altre che vengono
destinate agli espianti e quindi al commercio d'organi.
L'Italia è in prima linea in questa battaglia, infatti fu l'Italia che a Ginevra presentò la mozione contro la pena di morte alla commissione per i diritti umani dell'ONU.
Pur essendo uno degli stati più evoluti del mondo e avendo un teoricamente efficiente sistema legislativo, negli USA ci sono molte discriminazioni verso alcuni gruppi di persone.
MALATI DI MENTE
Molte persone affette da ritardi o malattie mentali sono attualmente ospitate
nei bracci della morte. Amnesty International ha documentato i casi di oltre 50
detenuti affetti da gravi problemi mentali giustiziati a partire dal 1982, in
contrasto con la risoluzione 1989/64 del Consiglio Economico e Sociale dell'ONU
nella quale si raccomanda l'eliminazione della pena capitale per coloro che
sono affetti malattie mentali o che hanno capacità mentali estremamente
limitate.
In diversi stati la soglia di capacità mentale fissata al di sotto della quale
non si può giustiziare una persona è estremamente bassa, e solo nove stati
proibiscono l'inflizione di una condanna a morte quando l'imputato è
mentalmente ritardato. La soglia di ritardo mentale è un QI di 70.
Johnny Frank Garrett: nel febbraio 1992 fu giustiziato per
lo stupro e l'omicidio di un'anziana suora nel 1981, quando aveva solo 17 anni.
Psicotico cronico, aveva subito danni al cervello e da bambino aveva subito
violenze fisiche e sessuali (la giuria non fu messa al corrente di quest'ultima
circostanza). Molti ordini di suore e il Papa chiesero la grazia, che non fu
concessa.
Nollie Martin: giustiziato in Florida nel maggio 1992,
aveva QI 59. Soffriva inoltre delle conseguenze di gravi ferite alla testa
riportate quand'era bambino, e anch'egli aveva subito violenze fisiche e
sessuali. Fu condannato a morte nel 1978 per l'omicidio di una donna bianca;
Martin trascorse oltre 13 anni nel braccio della morte rotolandosi sul
pavimento della cella. Aveva continuo bisogno di cure mediche a causa delle
allucinazioni di cui soffriva; sbatteva la testa e i pugni contro la parete
della cella e tentava di mutilarsi, a quanto pare a causa del rimorso per il
crimine commesso.
NERI
Più del 40% dei condannati a morte negli USA sono neri, sebbene essi
costituiscano soltanto il 12% della popolazione totale. Circa l'80% dei
condannati a morte sono riconosciuti colpevoli di omicidi di bianchi,
nonostante neri e bianchi siano vittime di omicidi in misura simile. Solo nel
1986 la Corte Suprema stabilì che i procuratori non potevano escludere
potenziali giurati solamente in base alla razza (caso Batson vs.
Kentucky).
Combinazione
razziale |
(a) |
(b) |
(c)=(b)/(a) |
Florida |
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Nero uccide bianco |
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Bianco uccide bianco |
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Nero uccide nero |
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Bianco uccide nero |
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Georgia |
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Nero uccide bianco |
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Bianco uccide bianco |
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Nero uccide nero |
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Bianco uccide nero |
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Texas |
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Nero uccide bianco |
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Bianco uccide bianco |
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Nero uccide nero |
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Bianco uccide nero |
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Ohio |
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Nero uccide bianco |
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Bianco uccide bianco |
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Nero uccide nero |
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Bianco uccide nero |
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Inoltre, negli USA
e in pochi altri stati (negli ultimi anni Nigeria, Pakistan, Iran, Iraq,
Rwanda, Bangladesh, Barbados, Arabia Saudita) può essere condannato a morte e
giustiziato anche chi era minorenne al momento del reato. In alcuni processi,
la giovane età non è neppure introdotta nel dibattimento in quanto circostanza
attenuante. Otto condannati minorenni su nove sono neri o ispanici; la
maggioranza proviene da ambienti estremamente degradati e aveva subito violenze
sessuali e fisiche da bambini, aveva un basso QI, soffriva di malattie mentali
o aveva subito danni al cervello.
In Indiana e Vermont il limite d'età per il quale è prevista la pena di morte è
10 anni.
Charles Rumbaugh: il primo criminale minorenne giustiziato
negli USA dal 1964 (11 settembre 1985). Fu condannato a morte nel 1980 per un
omicidio commesso nel corso di una rapina effettuata all'età di 17 anni.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 non ammette la pena di morte, sebbene essa non sia esplicitamente menzionata. L'art. 3 dice:
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Da allora la comunità internazionale in diverse occasioni esprimerà l'intenzione di fare dell'abolizione della pena di morte un obiettivo primario nel campo della tutela dei diritti umani.
L'ONU sul tema della pena di morte ha adottato questo documento, frutto del suo Consiglio economico e sociale (ECOSOC), che, nella riunione primaverile del 1984, ha elaborato una serie di principi per salvaguardare coloro che rischiano di essere condannati a morte.
Nei paesi che non hanno abolito la pena di morte, essa può essere comminata solo per i crimini più gravi - ad esclusione dei reati non intenzionalmente commessi - che portano conseguenze letali o estremamente gravi.
La pena capitale può essere comminata solo per reati per i quali era prevista tale condanna al momento del fatto; se, dopo aver commesso il reato, nuove disposizioni di legge prevedono pene più leggere, il colpevole deve beneficiare di esse.
Persone minori di 18 anni al momento del reato non possono essere condannate a morte; sono anche esclusi le donne incinte, le puerpere e i malati di mente.
La pena capitale può essere comminata solo quando la colpevolezza di un imputato è basata su prove chiare e convincenti che non lasciano spazio a ricostruzioni diverse dei fatti.
La pena capitale può essere eseguita solo dopo che la sentenza sia passata in giudicato dal tribunale competente nel corso di un procedimento legale, nel quale sia possibile far ricorso alle salvaguardie previste per un equo processo, così come sancito dall'art. 14 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, compreso il diritto ad una adeguata assistenza legale ad ogni grado del dibattimento.
Ogni condannato a morte deve godere del diritto di appello presso il tribunale di più alto grado, e iniziative devono essere intraprese per assicurare che tali appelli siano presentati alle autorità competenti.
Ogni condannato a morte deve godere del diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena; la grazia o la commutazione della pena possono essere concesse in tutti i casi di condanna capitale.
La sentenza non può essere eseguita se sono in corso processi d'appello o richieste di grazia o commutazione della pena.
Nel caso la sentenza venga infine eseguita, debbono essere inflitte al condannato le minori sofferenze possibili.
Le Convenzioni
di Ginevra del 1949 riguardano, per il tempo di guerra, il trattamento
dei prigionieri e la difesa dei civili. I seguenti sono articoli sono estratti
dalla III Convenzione.
Art. 100:
I prigionieri di
guerra e le rispettive parti tutelari siano informati, al più presto, dei reati
passibili di pena capitale in base alle leggi della parte al potere.
Successivamente, non divengano passibili di pena capitale altri reati, senza
che ciò sia stato concordato con l'autorità dalla cui giurisdizione dipendono i
prigionieri di guerra.
Non si decreti sentenza capitale a carico di un prigioniero di guerra qualora
il tribunale non abbia considerato attentamente, in conformità all'art. 87,
secondo paragrafo, che, non essendo l'imputato cittadino della parte al potere,
non è vincolato da alcun obbligo di fedeltà e si trova alla sua mercé per
circostanze indipendenti dalla propria volontà.
Art. 101:
La sentenza capitale a carico di un prigioniero di guerra non divenga esecutiva prima della scadenza di un periodo di almeno sei mesi, con decorrenza dalla data in cui alla parte tutelare sia pervenuta relativa comunicazione dettagliata, come prevista dall'art. 107. []
Art. 107:
Il verdetto o sentenza, pronunciati a carico del prigioniero di guerra, siano immediatamenti trasmessi alla potenza tutelare, in forma di comunicazione concisa, specificante anche se il prigioniero di guerra ha il diritto di ricorso in appello, al fine di invalidare la sentenza o di ottenere la riapertura del processo. Copia della comunicazione sia partimenti inoltrata alla parte che rappresenta il prigioniero. Sia anche inviata all'imputato, prigioniero di guerra, in una lingua di sua conoscenza, se la sentenza non è stata pronunciata in sua presenza. La parte che detiene il potere provveda a comunicare immediatamente alla potenza tutelare la decisione del prigioniero di guerra di impugnare il proprio diritto di appello o rinunciarvi. Inoltre, se un prigioniero di guerra viene, in sede definitiva, dichiarato colpevole o venga nei suoi confronti emessa, in prima istanza, sentenza capitale, la parte che detiene il potere provveda, al più presto, ad inoltrare alla potenza tutelare una comunicazione dettagliata nei seguenti termini:
tenore preciso della dichiarazione di colpevolezza della sentenza;
verbale succinto dell'istruttoria e del processo con particolare rilievo conferito all'arringa dell'accusa e della difesa;
informazione sul luogo dove verrà eseguita la sentenza.
Queste comunicazioni verranno inoltrate alla potenza tutelare, all'indirizzo fornito alla parte che detiene il potere.
AUSTRIA
Articolo 85
La pena capitale è abolita.
BELGIO
Articolo 18
La pena di morte contro i civili è abolita e non può essere reintrodotta.
FINLANDIA
Sezione 6, com. 6
Nessuno dovrà essere condannato a morte, torturato o trattato in maniera
degradante.
ITALIA
Articolo 27, comm. 3 e 4
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla riducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
GERMANIA
Articolo 102
La pena capitale è abolita.
LUSSEMBURGO
Articolo 18
La pena di morte per motivi politici e per i civili e la marchiatura a ferro
sono abolite.
OLANDA
Articolo 114
La pena capitale non può essere imposta.
PORTOGALLO
Articolo 24
La vita umana è inviolabile.
La pena di morte non è applicabile in alcun caso.
SPAGNA
Articolo 10, com. 2
Le norme relative ai diritti umani e alle libertà che sono riconosciute dalla
Costituzione devono essere interpretate in conformità con la Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo
e dei trattati internazionali e degli accordi su questo argomento ratificati
dalla Sna.
SA
modulo 2, articolo 4
Non ci saranno esecuzioni capitali.
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 non ammette la pena di morte, sebbene essa non sia esplicitamente menzionata. L'art. 3 dice:
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Da allora la comunità internazionale in diverse occasioni esprimerà l'intenzione di fare dell'abolizione della pena di morte un obiettivo primario nel campo della tutela dei diritti umani.
Nel Patto
internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23
marzo 1976, si approfondisce il concetto di rispetto del diritto alla vita
affermato nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Ecco cosa dice l'art. 6:
Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve essere protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita.
Nei paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i diritti più gravi, in conformità alle leggi vigenti al momento in cui il delitto fu commesso e purché ciò non sia in contrasto né con le disposizioni del previsto Patto né con la Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio. Tale pena può essere eseguita soltanto in virtù di una sentenza definitiva, resa da un tribunale competente.
Quando la privazione della vita costituisce delitto di genocidio, resta inteso che nessuna disposizione di questo articolo autorizza uno Stato parte del presente Patto a derogare in alcun modo a qualsiasi obbligo assunto in base alle norme della Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio.
Ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena. L'amnistia, la grazia o la commutazione della pena di morte possono essere accordate in tutti i casi.
Una sentenza capitale non può essere pronunciata per delitti comessi da minori di 18 anni e non può essere eseguita nei confronti di donne incinte.
Nessuna disposizione di questo articolo può essere invocata per ritardare o impedire l'abolizione della pena di morte ad opera di uno Stato parte del presente Patto.
Sebbene l'articolo non indichi quali siano i delitti 'più gravi', è chiaro che la norma tende a limitare il campo di attuazione della pena di morte.
La Convenzione interamericana dei diritti dell'uomo, sottoscritta nel 1969 ed entrata in vigore nel 1978, ha definito i reati politici non punibili con la pena di morte. Ecco cosa dice l'art. 4:
Ognuno ha diritto al rispetto della vita. Tale diritto sia tutelato per legge e, in linea di principio, dal momento del concepimento. Nessuno sia arbitrariamente privato della vita.
Nei paesi nei quali la pena capitale non è stata abolita, quesa è comminabile solo per i reati più gravi, a seguito dell'emanazione di un verdetto definitivo, da parte di un tribunale competente, in conformità alla legge che regola questa forma di sanzione, promulgata prima della perpetuazione del reato. Il ricorso a questo tipo di punizione non si estende ai reati per i quali attualmente non viene applicata.
La pena capitale non sia ripristinata laddove è stata abolita.
In nessun caso sia irrogata la pena capitale per i reati politici o reati relativi.
La pena capitale non sia comminata ai minori di 18 anni o gli anziani sopra i 70 anni, al momento del reato, né lo sia alle donne incinte.
Il condannato a morte ha diritto a richiedere l'amnistia, la grazia o la commutazione della sentenza, che possono essere accordate in tutti i casi. Non si irroghi la pena capitale, quando si sia in attesa di conoscere la delibera dell'autorità competente in merito alla richiesta del condannato, di cui sopra.
Il comma 6 ricalca la risoluzione 2393/1968 dell'ONU, che così recita:
Una sentenza di morte non sarà eseguita sinché le procedure di appello o, eventualmente, di richiesta di grazia o sospensione siano terminate.
La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, firmata il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settempre 1953, affronta il tema pena di morte all'art.2:
Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena.
Come si vede, la
disposizione, pur affermando il principio di diritto alla vita, approva la pena
capitale.
Questo orientamento è stao modificato con la promulgazione nel 1983 e l'entrata
in vigore nel 1985 del VI Protocollo alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo. Esso è il primo documento internazionale che prevede
l'abolizione della pena di morte per i reati in tempo di pace. L'art. 1
sancisce:
La pena di morte sarà abolita. Nessuna persona sarà condannata a tale pena o subirà esecuzione.
I sostenitori della
pena di morte trovano ragioni diverse a sostegno della loro tesi, ragioni di
ordine etico, sociale, anche economico.
Essi partono dal presupposto che compito fondamentale dello Stato sia difendere
ad ogni costo i singoli individui e la comunità, che chi rispetta la legge ha
diritto ad una tutela maggiore rispetto a chi la disattende, che chi commette
reati deve are, che esistono colpe per cui nessuna pena, tranne la morte,
costituisca la giusta punizione.
Sarebbe quindi un'esigenza di giustizia a sostenere le loro ragioni.
In relazione alla pena di morte le teorie sulla funzione della pena si possono
ricondurre a due filoni fondamentali: quello della retribuzione e quello della
prevenzione. Per il primo la pena è un male che interviene come reazione morale
e giuridica al male che è stato commesso con il reato, alla cui gravità è
proporzionato, in modo da conurarsi come castigo morale e non come vendetta;
per il secondo lo Stato non restituisce male con male, ma si limita a difendere
la società dalla pericolosità degli autori dei reati, cercando attraverso la
pena di impedire che soggetti socialmente pericolosi commettano altri reati.
I sostenitori della pena di morte infatti assegnano ad essa una funzione
deterrente, in quanto sono convinti che la durezza della pena sia sufficiente
in molti casi ad evitare che il reato venga commesso: soltanto coloro che
agiscono in preda a violenta passione non badano alla pena prevista dalla
legge.
In modo particolare la pena di morte svolgerebbe una funzione preventiva nei
confronti di ondate di criminalità organizzata in grado di sconvolgere la vita
sociale di uno Stato (gangsterismo, mafia, terrorismo ecc.).
La pena di morte inoltre, soddisfacendo il risentimento delle vittime e dei
loro parenti, eliminerebbe la tentazione di vendette private ed il manifestarsi
di disordini sociali.
L'eliminazione definitiva di un delinquente eviterebbe poi il ripetersi di
altri reati da parte dello stesso che, pur condannato, potrebbe ritornare in
libertà per condoni o altri meccanismi previsti dalla legge; certamente sul
piano economico essa rappresenta un sistema di punizione molto meno gravoso di
una lunga detenzione e dell'ergastolo, e quindi vantaggioso per la comunità.
Il fatto che la pena di morte sia irreparabile e non si possa risarcire chi sia
stato condannato ingiustamente non sarebbe una ragione sufficiente per
sopprimerla: basterebbe applicarla solo nei casi in cui ci sia la matematica
certezza della colpevolezza dell'imputato; tanto più che esiste un'ulteriore
garanzia: il potere di ogni capo di stato di concedere la grazia in caso di
dubbio, commutandola in ergastolo o altra pena detentiva.
Coloro che si oppongono alla pena di morte lo fanno soprattutto per motivi morali. Al di là dell'atrocità insita in questo strumento (atrocità che non si esaurisce nel momento dell'esecuzione, ma consiste in anni di angoscia nell'attesa che essa venga eseguita), essi ritengono che nessun uomo né individualmente né come rappresentante della comunità abbia il diritto di togliere la vita ad un altro uomo, indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest'ultimo commesse.
Secondo gli
oppositori della pena di morte, questa contravviene al principio secondo cui la
pena non deve tendere alla vendetta o alla semplice punizione del colpevole, ma
alla sua rieducazione e al suo recupero sul piano umano e sociale: e quale
recupero sarà mai possibile nei confronti di un morto? In realtà il timore di
trascurare i dettagli ed i mezzi legali a cui il condannato ricorre dilatano
molto i tempi dei processi e ritardano il momento dell'esecuzione, per cui la
persona che viene soppressa a volte è molto cambiata rispetto a quella che ha
commesso il crimine, con il risultato di mandare a morte individui
sostanzialmente diversi da quelli a suo tempo condannati.
Ma non è solo sul piano dell'etica che gli oppositori della pena di morte si
muovono. Essi ribattono punto per punto le tesi dei sostenitori, affermando che
in realtà essa non svolge alcuna funzione deterrente in quanto è semplicistico
credere che un criminale consulti il codice per scegliere il crimine da
commettere, così come essa non rappresenta uno strumento efficace contro la
criminalità organizzata, che è stata sì a volte vinta, ma con altri mezzi, in
particolare colpendola nei suoi interessi economici.
Altri fenomeni che i sostenitori della pena di morte considerano evitabili solo
con il suo utilizzo, come le recidive o la tendenza alla vendetta privata,
vanno invece affronati, secondo gli oppositori, in termini di educazione
sociale, cioè aiutando e seguendo gli ex carcerati e facendo in generale una
capillare opera di educazione alla legalità.
A tutte queste considerazioni se ne aggiungono altre due ancora più
significative. Innanzi tutto la possibilità di errori giudiziari, cioè la
possibilità tutt'altro che remota di uccidere un innocente, giustifica da sola
l'abolizione della pena capitale. Infine la pena di morte si dimostra uno
strumento di discriminazione sociale, in quanto vengono giustiziati criminali
che appartengono soprattutto alle classi sociali più deboli ed ai gruppi più
marginali: membri delle minoranze razziali, individui con un basso livello di
scolarizzazione, soggetti con una vita familiare allo sbando, persone con
reddito molto basso, a volte oppositori politici.
In modo più dettagliato è possibile verificare la sua efficacia in alcuni casi
particolari:
L'argomento più
spesso usato a sostegno del mantenimento della pena di morte nelle repubbliche
ex-sovietiche è quello della necessità di non eliminare dall'ordinamento un
deterrente particolarmente efficace nei confronti di omicidi e di altri gravi
reati comuni. Eppure nessuno degli ormai numerosi studi condotti in materia ha
potuto dimostrare la maggiore efficacia deterrente della pena di morte rispetto
ad altre pene.
È del tutto errato ritenere che la maggiorparte di coloro che commettono
crimini gravi quali l'omicidio calcolino razionalmente le conseguenze delle
loro azioni. Gli omicidi sono spesso commessi in momenti di passioni, quando
forti emozioni prevalono sulla ragione. Sono a volte commessi sotto l'effetto
di droghe o alcol, o in momenti di panico quando il colpevole è scoperto
nell'atto di rubare. Alcuni soggetti colpevoli di omicidio hanno problemi di
grave instabilità psichiatrica o sono malati mentali. In nessuno di questi casi
è pensabile che il timore di essere condannati a morte possa operare come
deterrente efficace.
Vi è un altro grave limite a cui va incontro l'argomento della deterrenza.
Anche chi progetta un crimine in maniera calcolata può scegliere di procedere,
nonostante la consapevolezza del rischio che corre, nel convincimento che non
sarà scoperto. La maggioranza dei criminologi sostiene da tempo che il modo
migliore per scoraggiare questo tipo di comportamento criminale non è quello di
accrescere la severità della punizione, ma di aumentare le probabilità di
scoprire il delitto e di condannare il colpevole.
Addirittura è possibile che la pena di morte abbia effetti contrari a quelli
voluti. Chi sa di rischiare la morte per il reato che sta commettendo può
essere, in certi casi, incoraggiato ad uccidere i testimoni del suo crimine o
chiunque altro possa identificarlo e farlo incriminare.
Infine, i dati sulla diffusione dei crimini negli Stati abolizionisti non
dimostrano affatto che l'abolizione della pena di morte ha provocato il loro
incremento. Nel 1988 il Comitato per la Prevenzione del Crimine delle Nazioni
Unite ha condotto uno studio relativo ai dati esistenti in ordine al rapporto
fra pena di morte e tasso degli omicidi, concludendo che:
Lo studio non ha potuto offrire sostegno scientifico alla tesi che le esecuzioni capitali producono effetti maggiori del carcere a vita ed è improbabile che una prova del genere possa essere presto disponibile. L'insieme dei dati, infatti, al momento non corrobora in alcun modo la tesi della deterrenza.
Sono oltre venti
gli stati (molti dei quali asiatici) che prevedono la pena di morte quale
strumento per combattere il traffico di droga; la metà di questi ha adottato
queste misure nel corso degli anni '80. Centinaia di persone riconosciute
colpevoli di reati di droga sono state da allora giustiziate. La ragione che ha
indotto al ricorso alla pena di morte risiede, com'è ovvio, nella sua presunta
efficacia quale deterrente nei confronti dei trafficanti. Tuttavia, nonostante
le numerose esecuzioni, non sono emerse prove di alcun genere che possano
attestare in modo convincente che un declino nel traffico di droga negli stati
interessati possa essere attribuito alla minaccia o all'applicazione della pena
capitale.
In Iran, le esecuzioni per reati aventi attinenza con la droga ebbero inizio
già prima della rivoluzione del 1979. Risulta che, in seguito, siano state
messe a morte oltre mille persone; eppure sembra che l'abuso e il commercio di
droghe continuino a costituire un problema assai grave, tutt'altro che risolto.
In Malaysia, dove a partire dal 1983 la pena di morte per reati di droga è
obbligatoria, le autorità hanno in più occasioni riconosciuto pubblicamente
l'inefficacia del ricorso alle esecuzioni capitali. L'ispettore generale di
Polizia ha dichiarato nel 1985 che la pena di morte non sembrava aver avuto
effetti di deterrenza nei confronti dei trafficanti; nel 1990, il vice ministro
degli Interni ha dichiarato che la pena di morte non era riuscita a ridurre il
traffico o il consumo di droga e che si rendeva pertanto necessario un diverso
approccio al problema. L'elenco dei fallimenti potrebbe continuare.
Alcuni organismi internazionali hanno discusso la questione. Risulta dagli atti
del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulle misure da adottare contro il
traffico di droga per via aerea e per mare che:
In base all'esperienza di diversi esperti, il fatto che come massima pena sia prevista la pena di morte, non comporta necessariamente che questa abbia particolari effetti deterrenti nei confronti del traffico di droga: in realtà in alcuni casi potrebbe complicare l'attività della pubblica accusa visto che i tribunali sono portati a richiedere standard di prova assai più elevati nell'ipotesi che sia prevista la pena di morte (in particolare se obbligatoria). Il deterrente più efficace rimane sicuramente la certezza di essere scoperti e arrestati.
Dal canto suo, la Conferenza internazionale sull'abuso e il traffico illecito di droga, tenutasi a Vienna nel 1987, ha adottato uno Schema multidisciplinare delle attività future per il controllo sull'abuso di droghe che comprende numerose misure di prevenzione e repressione.
La pena di morte
viene spesso invocata come strumento utile e necessario per arginare il
terrorismo. Attentati dinamitardi, rapimenti, uccisioni di pubblici ufficiali o
di esponenti politici, dirottamenti di aerei ed altre azioni di violenza a
sfondo politico spesso colpiscono non solo gli obiettivi prescelti, ma anche
persone innocenti che si trovano casualmente nel luogo dove avviene l'azione.
L'indignazione suscitata da simili fatti provoca comprensibilmente nell'opinione
pubblica la richiesta di punizioni esemplari e severe, pena di morte compresa.
Tuttavia, come hanno ripetutamente affermato diversi esperti di lotta al
terrorismo, le esecuzioni possono, anziché porre un freno, provocarne
l'inasprimento.
Il professor Ezzat A. Fattah, docente di criminologia all'Univeristà Simon
Fraser in Canada, ha osservato:
Coloro che realmente pensano che la reintroduzione della pena di morte porrà fine, oppure produrrà una diminuzione del numero degli atti terroristici, sono ingenui o illusi. Le punizioni consuete, compresa la pena di morte, non provocano alcun timore nei terroristi o negli autori di crimini politici, i quali sono motivati ideologicamente e votati al sacrificio per amore della loro causa []. Inoltre, le attività terroristiche sono pericolose e il terrorista affronta quotidianamente rischi letali e tende a non essere intimorito dalla prospettiva della morte immediata. Com'è pensabile allora che egli possa essere scoraggiato dal rischio di essere condannato alla pena capitale
Le autorità
britanniche che hanno governato la Palestina negli anni '40 hanno condannato
all'impiccagione numerosi appartenenti all'organizzazione illegale Zionist
Irgun, accusati di attentati dinamitardi e altre azioni violente. Menachem
Begin, ex leader dell'Irgun e successivamente Primo Ministro d'Israele, disse
una volta ad un ex governatore britannico che le esecuzioni avevano
'galvanizzato' così tanto il suo gruppo, che in seguito impiccò per
ritorsione numerosi soldati inglesi. Secondo Begin le impiccagioni diedero loro
le motivazioni di cui avevano bisogno e li resero più agguerriti e votati alla
causa.
Le esecuzioni portate a termine per crimini di natura politica hanno l'effetto
di pubblicizzare gli atti terroristici, suscitando l'interesse dell'opinione
pubblica e offrendo ai gruppi terroristici l'opportunità di rendere note le
proprie posizioni politiche; si rischia anche di creare dei 'martiri'
la cui memoria dev'essere onorata. Inoltre le esecuzioni vengono usate come
giustificazioni di ulteriori atti di violenza compiuti per ritorsione: i gruppi
armati possono sostenere la legittimità delle proprie azioni dicendo di volersi
servire anch'essi della stessa pena di morte che i governi sostengono di aver
diritto di applicare nei loro confronti.
Robert Badinter, ministro della Giustizia francese, disse nel 1985:
Nella storia non è mai successo che la minaccia della sentenza capitale abbia fermato il terrorismo o la violenza politica. Se esistono uomini o donne che non sono per nulla intimoriti dalla minaccia della pena capitale, sono proprio i terroristi, che spesso rischiano la propria vita in azione.
E Albert Pierrepoint, l'ultimo 'boia' inglese, disse, a proposito dell'esecuzione di due membri dell'IRA:
Il mattino dell'esecuzione cantavano tutti e due: 'Evviva i ribelli, evviva', cantavano senza paura andando verso il patibolo. La gente di fuori non si rende conto di queste cose. Io dico che non è un deterrente perché, quando si sono viste queste cose, ci si dice: 'Se non hanno paura di morire, come può essere un deterrente?'. A dire il vero, penso che su tante condanne a morte che ho eseguito non ho fermato neppure un assassino.
Tabella 1. Domanda: 'Lei crede che per crimini di eccezionale gravità ci debba essere la pena di morte?'
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Favorevoli |
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Contrari |
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Totale |
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Tabella 2. Domanda: 'Lei pensa che per qualcuno di questi delitti andrebbe prevista la pena di morte?'
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Sì |
No |
Totale |
Responsabili di
assassini con violenza sadica |
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Responsabili di stragi |
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Responsabili di
rapimento con assassinio |
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Terroristi assassini presi con le armi in pugno |
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Traditori in tempo di guerra |
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Tabella 3. Sintesi dell'atteggiamento verso la pena di morte.
Favorevoli in generale e almeno in un caso specifico |
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Contrari in generale ma favorevoli in almeno un caso specifico |
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Contrari in generale ed in tutti i casi specifici |
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Totale |
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Tabella 4. Ragioni addotte a giustificazione del proprio atteggiamento.
Favorevoli perché: |
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Solo la pena di morte può vendicare l'assassinio di un innocente |
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Solo la paura della morte può scoraggiare i possibili criminali |
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Mantenere dei criminali per tutta la vità è solo un peso per la società |
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Se un criminale viene rimesso in libertà può uccidere di nuovo |
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Contrari perché: |
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Non è la pena di morte che può fermare chi è deciso a compiere certi crimini |
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Non si può rischiare di condannare a morte un innocente |
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Per difendere la società è sufficiente l'ergastolo |
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Anche il peggior criminale può pentirsi e cambiare |
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L'uomo non deve mai, per nessuna ragione, uccidere un suo simile |
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Totale |
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Le religioni di tutto il mondo si sono pronunciate sul fenomeno della pena di morte, in modo spesso discordante. Vediamo qui la linea di pensiero delle principali religioni.
Fin dalle origini
il Cristianesimo, nello stesso messaggio delle Scritture, ha presentato
ambiguità circa la pena di morte. Sostanzialmente esclusa in Mt 5, 44
('amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano'),
in Lc 6, 35-37 ('non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e
non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato') e in Gv 8, 1-l1
(nell'episodio della donna adultera), tale pena riappare ammissibile
nell'epistola ai romani di Paolo in rapporto alla sottomissione all'autorità in
quanto emanata da Dio; ed analoga ambiguità può essere riscontrata nei testi
degli apologisti e dei padri della Chiesa, da Tertulliano (De Idolatria)
e Lattanzio (Divinae Instituziones), contrari alla pena capitale, ad
Agostino, orientato ad ammettere in determinate circostanze il 'diritto di
spada'.
Nel diritto biblico la pena di morte è comminata tra l'altro per l'omicidio
premeditato (Es 21, 12; Lv 24, 7), per il rapimento e la successiva vendita di
persona (Es 21, 16; Dt 24, 7), per il delitto di stregoneria (Es 22, 17), per
la violazione del riposo sabbatico (Es 35, 2), per i sacrifici umani (Lv 20,
2), per i maltrattamenti e le percosse ai genitori (ES 21, 15; Lv 20, 9), per
l'adulterio e l'incesto (Lv 20, 10-l2; Dt 22, 22), per l'idolatria (Dt 17, 2-5;
19, 17-l8).
Oggi, la Chiesa cattolica ha una posizione e un'idea ben precisa: combattere la pena di morte, in ogni caso. Il Papa ha più volte lanciato appelli per evitare esecuzioni imminenti: ne è un esempio il caso di Joseph O'Dell, condannato a morte nel 1997, che ha suscitato clamore e reazioni anche da parte dei governi dei paesi di tutto il mondo. Ma il Papa non ha potuto niente contro la macchina della morte americana.
Comunque, la pena di morte è in teoria vigente nello Stato della Città del Vaticano, limitatamente al caso di attentato contro la vita, l'integrità o la libertà personale del Papa o di attentato contro il capo di uno Stato estero, quando la legge di tale Stato prevede appunto questa pena (Legge Vaticana 7 giugno 1929, n. 11, art. 4). In Vaticano le ultime esecuzioni risalgono al pontificato di Pio IX (1846-78).
Queste le parole di Martin Lutero, l'iniziatore della 'Riforma', nei suoi Sermoni Sull'Esodo:
Vale per il giuramento quanto avviene per l'uccidere. Uccidere è, come sappiamo, severamente proibito dai dieci comandamenti. Se tuttavia ciò avviene per ordine della parola di Dio, ecco allora che è giusto e bene; poiché se un giudice fa decapitare o arrotare un assassino o omicida, egli agirà bene e giustamente non contravverrà al V comandamento di Dio, avendo Dio disposto e ordinato di punire i malvagi per la pace comune.
Nelle comunità
religiose ebraiche, quelle derivate dalla diaspora, non esiste una struttura
gerarchica che imponga scelte morali a tutti; le varie etnie hanno un loro rabbino
capo e l'autorità maggiore viene riconosciuta al rabbino di Gerusalemme (che
tuttavia rimane un primus inter pares), ma ogni rabbino gode di autonomia e
sono le sentenze rabbiniche ad essere punto di riferimento per la comunità.
Per gli Ebrei ortodossi ancora oggi vale la legge mosaica della 'vita per
vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede',
codificata nei 617 precetti del Deuteronomio e del Levitico, secondo la quale
la pena di morte è un legittimo strumento di punizione. Le colpe che essa
punisce sono l'omocidio, l'adulterio, l'incesto (inteso in senso molto ampio),
i rapporti omosessuali, la maledizione dei genitori, la bestemmia, l'idolatria,
la violazione del sabato, il divorzio (in questo caso solo la donna viene punita);
i metodi per eseguire la condanna a morte sono la lapidazione, il rogo, la
sospensione al legno, il colpo di spada, lo strangolamento e la
somministrazione di gocce di piombo incandescente in gola. In realtà oggi essa
risulta inapplicabile in toto o per alcuni reati e nella forma tradizionale
della lapidazione, in quanto a volte in contrasto con le leggi civili dei Paesi
in cui le comunità ebraiche si trovano; come nello Stato di Israele, che è uno
Stato laico in cui la legge civile è indipendente dai precetti religiosi,
sebbene la pena di morte sia in vigore e punisca il genocidio e i reati
militari.
Un Ebreo quindi non trova ragioni di rifiuto per la pena di morte nella propria
religione, ma eventualmente solo nella propria coscienza.
La pena di morte
nel diritto islamico e le sue applicazioni in campo penale e politico hanno
conosciuto lunghe e contraddittorie vicende a causa soprattutto della
sovrapposizione di società religiosa e società politica e della varietà dei
momenti storici.
Punto di riferimento basilare è il Corano, che sintetizza l'azione religiosa e
sociale del profeta Maometto. Nel Corano vanno ricondotti lo 'Urf (diritto
consuetudinario locale dei diversi gruppi etnico-culturali) e la Shari'a
(sistema delle norme giuridico-religiose fissate sul fondamento dei testi
coranici, della tradizione profetica autentica - Hadith -, del consenso
comunitario - Ijma' -, del ragionamento condotto analogamente alle regole
coraniche e della tradizione). Il Corano prevede la legge del taglione per gli
uccisi, la pena di morte per le adultere (da chiudere in casa senza nutrimento
o da lapidare) e per gli eretici (da crocigere o da amputare).
Ancora oggi si
segue la Shari'a come base delle leggi negli Stati islamici (come Yemen, Arabia
Saudita, Iran), legge molto dura che prevede la pena di morte in innumerevoli
casi e applicata con rigore. Le ineguaglianze fra musulmani e non musulmani
nell'applicazione e nella varietà delle pene si spiegano non con considerazioni
razziali, ma col criterio religioso che fonda la gerarchia delle persone
giuridiche sempre secondo la Shari'a. Il grado più alto di capacità giuridica
e, quindi, di responsabilità davanti alla legge è il musulmano maschio sano di
mente e sposato legalmente: la sua vita è protetta con precedenza dal sistema
penale. Vengono successivamente la donna musulmana libera e legalmente sposata,
lo schiavo musulmano maschio, la donna musulmana schiava e gli infedeli.
I giudici, a seconda della loro idea, possono scegliere se applicare le norme
della Shari'a o privilegiare pene quali prigione o multa; le popolazioni
rurali, invece, applicano per i reati sessuali che coinvolgono l'onore della
famiglia le arcaiche norme dell''Urf. Le autorità si mostrano più dure quando
si tratta di eliminare il vecchio diritto di vendetta che porta con sé inutili
versamenti di sangue.
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