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NUOVA BOMBA A GERUSALEMME
Dopo l'esultanza dei sostenitori di Sharon
è tornata la paura. I due forti boati di un'autobomba esplosa nel cuore
di Gerusalemme, fortunatamente senza provocare vittime, insieme con le prime
schermaglie verbali tra il neo-premier e l'Autorità palestinese, sono
serviti a sottolineare come l'elezione di Sharon, grazie a poco più di
un terzo dell'elettorato, potrebbe gettare la regione nel caos più
totale. Gli ottimisti continuano a sbandierare l'idea di uno Sharon
trasformato. I pessimisti, forse più realisti, si rendono conto che il
leader della destra non sarà mai capace di offrire agli arabi il minimo
necessario per firmare la pace. Le esplosioni sono avvenute nel tardo
pomeriggio ai margini del quartiere di Mea Shearim, sulla cosiddetta linea
verde che divide la parte araba dalla parte ebraica di Gerusalemme Est da
quella occidentale.
Da giorni la polizia è in allarme ed è possibile che i terroristi
che hanno abbandonato la vettura parcheggiandola tra altre due di fronte ad una
yeshiva, un seminario rabbinico, si fossero spaventati. Il luogo non è
di quelli classici per i terroristi arabi che hanno, finora, evitato di colpire
i religiosi. Una donna anziana è rimasta leggermente ferita, qualche
passante è stato sfiorato dalle schegge. I cinquanta studenti della
scuola stavano per uscire quando la vettura ha preso fuoco ed è poi
esplosa. Decine di ebrei ortodossi, nei loro abiti neri, hanno ballato nella
strada per lo scampato pericolo, poi hanno scandito: «Morte agli arabi». Una sconosciuta
organizzazione, 'Forze della resistenza popolare palestinese', ha
rivendicato l'attentato «diretto contro l'arroganza sionista di Sharon». In
serata altra rivendicazione, da Beirut, da parte del Fronte dell'esercito
popolare. La polizia resta in stato di allarme perché ci sono fatti, come la
presunta vettura carica di esplosivo in uscita dalla città di Nablus e
ora in Israele, che fanno presagire a nuovi possibili attentati
Sharon ha invitato i suoi concittadini a «restare uniti» e ha minacciato che
«non ci saranno negoziati se non ci sarà una cessazione totale della
violenza». Poche ore prima il neo-premier, tramite i suoi portavoce, aveva
lanciato un'altra bomba, scontata certamente, ma ugualmente pericolosa. «Vi
furono offerte del precedente governo ma tutto ciò che fu detto,
verbalmente o come idee, non impegna Israele o qualsiasi altro governo», ha
spiegato Zalman Shoval, un ex ambasciatore a Washington. Arafat aveva chiesto
la ripresa dei negoziati dal punto in cui furono sospesi. Sharon fa sapere che
Camp David e Taba, le offerte di Barak, il piano di Clinton, sono cose del
passato. Tutto da gettare nel cestino delle storie incompiute. «A queste
condizioni è difficile pensare che una trattativa con Sharon possa
portare a un'intesa», ha commentato Nabil Aburdeneh, un portavoce di Arafat, e
il presidente egiziano Mubarak ha lanciato un ammonimento: «Non cercare di
spostare indietro il processo di pace». A Tel Aviv, nel quartiere generale
laburista è in corso un altro scontro. Anzi, due. Il primo per la
successione di Barak, il secondo tra chi vuole partecipare a un governo di
unità nazionale e chi, invece, respinge a priori l'ipotesi. Shimon Peres
afferma che non vuole la guida del partito ma è propenso ad ascoltare le
idee di Sharon e se fossero anche minimamente compatibili con quelle laburiste
andare al governo. Altri vorrebbero restare all'opposizione e altri ancora non
escludono un'adesione ma soltanto se i leader di due partiti dell'estrema
destra, alleati e sostenitori di Sharon, fossero esclusi. Un esponente del
Likud - ieri sera sono cominciate le trattative con gli altri partiti - ha
ricordato che Sharon ha sempre l'opzione di formare una coalizione di destra
garantita da 64 dei 120 deputati della knesset.
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