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La città moderna si sviluppò con il nome di Valle di Pompei (nella piana allora paludosa e malsana, infestata dai briganti e abbandonata alle rovine) presso l'antica città distrutta dal Vesuvio, attorno al santuario fondato l'8 maggio 1876 dal servo di Dio avvocato Bartolo Longo, per custodire la venerata immagine della Madonna del Rosario.
Fondata dagli Osci in una posizione di notevole importanza strategica e commerciale presso la foce del Sarno, Pompei subì ben presto l'influsso delle colonie elleniche disseminate lungo la costa e, probabilmente, cadde sotto il dominio di Cuma, alla quale la tolsero gli Etruschi, che però a loro volta, verosimilmente, la persero dopo la sconfitta del 474 a.C. Verso la fine del V sec. a.C. fu infine occupata dai Sanniti. Attraversò quindi un lungo periodo di grande prosperità, grazie allo sviluppo dell'agricoltura, del commercio e dell'artigianato; dal punto di vista artistico e culturale fu, via via nel tempo, sempre più aperta agli influssi dell'ellenismo. Partecipò attivamente alla guerra sociale, durante la quale fu assediata da Silla e ottenne anch'essa la cittadinanza romana al termine del conflitto, ma nell'80 fu costretta ad accogliere una colonia di veterani guidata da Publio Cornelio Silla (Colonia Veneria Cornelia Pompeianorum). Il processo di romanizzazione, svoltosi fino ad allora in misura limitata, divenne assai più rapido e vasto, senza peraltro distruggere del tutto i caratteri italici della città, la cui popolazione indigena, dopo i contrasti iniziali, visse in buona armonia accanto ai coloni romani. Il 5 febbraio, del 63 d.C. Pompei, che contava allora 20.000 ab. circa, fu devastata da un terremoto e non era ancora stata completamente ricostruita quando, il 24 agosto del 79, fu improvvisamente distrutta da un'eruzione del Vesuvio, che la seppellì sotto uno spesso strato di ceneri e di lapilli. Al momento della catastrofe nella quale perirono assai più dei 2.000 ab. i cui resti sono venuti alla luce durante gli scavi, Pompei presentava i caratteri di una città intensamente commerciale, la cui florida economia si basava sia sulla produzione agricola (grano, olio, vino), sia su quella industriale, sia sugli attivi traffici marittimi.
La città dissepolta di Pompei costituisce uno dei centri archeologici più famosi e suggestivi dell'antichità, offrendo un'eccezionale documentazione della vita di un centro romano in piena fioritura al momento della catastrofe e rimasto immutato attraverso i secoli sotto la coltre di ceneri e lapilli della più famosa tra le eruzioni del Vesuvio, quella del 79 d.C.
La città sorgeva infatti su un terrazzamento lavico di età remota, prospiciente la piana del Sarno, sul cui estuario è stato identificato lo scalo marittimo della zona. È probabile però che il porto e il litorale fossero anticamente più vicini alla città. I tre giorni del cataclisma fecero depositare su Pompei materiali eruttivi per uno spessore di 4 m circa, in cui appaiono riconoscibili uno strato inferiore di lapilli e uno superiore di cenere mista ad acqua, che provocò i crolli delle coperture e la parziale colmata degli interni. Nuove sedimentazioni occultarono per secoli la città sepolta fino alla primavera del 1748, quando, sotto il regno di Carlo di Borbone, l'ingegnere Alcubierre, venuto a conoscenza dei numerosi trovamenti che si facevano nella zona, diede inizio agli scavi, che rivelarono solo nel 1763 la vera identità del luogo. L'esplorazione archeologica, continuata ininterrottamente per duecento anni, costituisce, per mutamenti di finalità e di metodi, una delle più complesse imprese di disseppellimento e di restauro che siano mai state attuate. Infatti dopo i primi scavi disordinati, rivolti unicamente al reperimento di opere d'arte e non curanti del valore storico e documentario di oggetti apparentemente insignificanti (che andarono così irrimediabilmente perduti), iniziarono, soprattutto per merito di Giuseppe Fiorelli, le ricerche sistematiche, condotte con sempre maggiore rigore scientifico, in modo da permettere un'opera di ricostruzione e di restauro il più possibile fedele all'originale. Come esempio si può citare l'esatta riproduzione dei giardini, ottenuta mediante il calco dell'impronta lasciata dalle radici e dai tronchi delle piante nello strato di ceneri (così fu possibile stabilire, per es., che la palestra era circondata da alti platani).
Nel 1960 erano stati riportati alla luce i tre quinti dell'area complessiva della città. L'impianto urbanistico, diverso a seconda delle zone, presenta un reticolato nel complesso alquanto irregolare, con insulae di forme varie e vie talora ad andamento curvilineo, in parte pavimentate, in parte in terra battuta, con profondi solchi per il passaggio dei carri e pietre per l'attraversamento da un marciapiede all'altro.
I caratteri salienti della città risalgono a epoca sannitica, allorché Pompei fu dotata di una poderosa fortificazione con porte e torri, per un perimetro di 3 km circa, databile a partire dal VIsec. a.C.; la cinta primitiva in seguito fu più volte restaurata e rafforzata; in età imperiale romana alcuni tratti ne furono abbattuti per lasciar posto ad abitazioni, mentre le porte venivano aperte e adattate al traffico (Porta Marina, porta Ercolano). Dopo il periodo più propriamente italico, il tessuto urbano di Pompei ricevette orientamenti e influssi dell'architettura ellenistica; il suo aspetto nel primo secolo dell'Impero appariva fastoso, ricco di singolare decoro dell'ornamentazione degli edifici pubblici e privati. Il reperimento di tale area urbana ci ha offerto del resto la più straordinaria documentazione sulle strutture e le tecniche usate nell'antichità; i materiali impiegati variano dalla lava tenera alla lava trachitica, insieme con il tufo proveniente dalle cave di Nocera; di largo uso era la calce mischiata alla pozzolana nella tecnica dell'opera a sacco e dell'opera reticolata; il marmo appare invece riservato a ninfei e fontane, o alla pavimentazione e ai rivestimenti delle dimore signorili. La divisione in quartieri, tramandata dall'età sannitica, è stata ricostruita attraverso le iscrizioni a noi pervenute; ugualmente ci è nota la costituzione di villaggi suburbani, dovuta ai traffici terrestri e marittimi; sono state messe in luce le tubazioni provenienti dal cosiddetto castello delle acque in cui confluiva la massa idrica derivata dall'acquedotto del Serino, nonché i pilastri elevatori e i bacini delle fontane, solitamente assai semplici, posti agli incroci delle vie.
Il principale luogo di convegno nella città era il Foro, situato nella zona occidentale, su un'area pianeggiante, che un tempo era stata sede del mercato; al momento della catastrofe presentava un aspetto grandioso, cinto da portici tutt'intorno per un perimetro di 142×38 m; su uno dei lati minori era il modulium o tempio di Giove e della Triade modulina; aveva un alto podio, colonne corinzie e ampio pronao; nella cella è stato rinvenuto un torso colossale del dio, danneggiato dal terremoto. Di fronte era la curia; sulla piazza si allineavano inoltre l'edificio degli edili, la basilica, per l'amministrazione della giustizia, il tempio di Apollo, il mercato coperto, il larario pubblico, il tempio di Vespasiano, l'edificio di Eumachia (officina per la lavorazione della lana che prendeva nome dalla proprietaria), e infine il Comitium, per le elezioni dei magistrati; due archi trionfali, ai lati del modulium, erano d'accesso alla piazza, ornata dalle statue in bronzo e in marmo degli imperatori e dei cittadini più illustri; tali sculture erano già in parte distrutte in seguito al terremoto dell'anno 63. La basilica, a pianta rettangolare (55×24 m) e divisa in tre navate, delle quali quella centrale, sopraelevata sulle laterali, consentiva l'illuminazione dall'alto attraverso una serie di finestre, è stata datata intorno alla metà del IIsec. a.C.; presenta sul fondo un interessante esemplare di tribunal su podio, oggi in parte ricostruito. Il tempio di Apollo risale invece a età sannitica, rifatto sulle fondamenta di una preesistente costruzione del VI -V sec. a.C., come appare attestato dal copioso materiale ritrovato nella stipe votiva e attribuibile ai Greci della vicina Cuma. Il larario pubblico, di recente edificazione al momento del disastro, presenta una caratteristica pianta absidata, e il tempio di Vespasiano, a esso adiacente, documenta le forme del culto imperiale in provincia.
Non meno interessante è l'assembramento degli edifici presso il cosiddetto Foro triangolare nella zona meridionale della città, ove sono stati identificati la caserma dei gladiatori, il teatro, l'odeon e la palestra. Quest'ultima, detta sannitica, per l'iscrizione osca che vi è stata rinvenuta, relativa al nome del fondatore, era circondata da un peristilio e custodiva una replica del Doriforo; fu più tardi sostituita da un'aerea porticata di maggiori dimensioni.
I teatri, assai prossimi e ugualmente orientati, furono costruiti a distanza di un secolo l'uno dall'altro; il teatro propriamente detto appartiene al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra punica; in seguito conobbe abbellimenti e ripetuti restauri fino alle ultime ricostruzioni posteriori al terremoto del 63. L'odeon, a esso congiunto attraverso l'area di un quadriportico coperto da un tetto a spioventi e riservato alle audizioni musicali, costituisce invece l'esempio di un edificio di carattere omogeneo, assai simile ai suoi modelli ellenistici. Non lontano dal teatro sorgono due templi, l'uno dedicato a Zeus Meilichios, come attesta un'iscrizione osca, e l'altro a Iside; quest'ultimo, databile al I sec. a.C., è di particolare interesse in quanto singolarmente conservato nelle strutture e negli arredi. Se il culto della dea Iside appare particolarmente fervido negli ultimi anni di Pompei, un'altra antichissima divinità italica risulta venerata dagli abitanti della città campana: si tratta della cosiddetta Venere fisica, sentita come espressione della potenza della natura; un santuario a lei elevato è stato scoperto nel settore sudoccidentale della città, in fase di grandioso ampliamento al momento dell'eruzione. Scarsi avanzi restano invece di un tempio greco arcaico dedicato a Ercole nella zona sudorientale dell'abitato; il tempio, le cui fondazioni risalgono al VI sec. a.C., fu distrutto e non più ricostruito in seguito al terremoto del 63.
Un'interessante documentazione di architettura termale è offerta dai grandiosi impianti delle Terme stabiane, dalle terme del Foro e dalle Terme centrali. Le Terme stabiane, considerate le più antiche e le più vaste, sorgevano nel quartiere del teatro; come tutti gli edifici di questo genere presentavano sulla strada un allineamento di tabernae; all'interno si articolavano invece, funzionalmente disposti, i settori dei bagni maschili e femminili, la palestra, la piscina, i portici, i rifornimenti idraulici, i servizi igienici e di riscaldamento. Né dovevano mancare le ornamentazioni, assai meglio conservate però nelle minori terme adiacenti al Foro, come sono visibili nella bella sala del tepidario decorata a stucco e pittura. Le Terme centrali, rimaste incompiute e riservate soltanto agli uomini, presentano l'innovazione delle grandi finestre vetrate che si affacciano sulla palestra, e rappresentano un più evoluto grado di funzionalità.
Tra gli edifici pubblici di Pompei merita particolare attenzione per l'antica struttura, non mai modificata, il grandioso anfiteatro databile al I sec. a.C., nei primi anni della colonia romana; la mancanza dei sotterranei fa pensare che in un primo tempo l'arena fosse destinata unicamente a lotte tra gladiatori; solo in seguito furono probabilmente introdotte cacce con belve feroci. In età augustea presso l'anfiteatro fu allestita una seconda palestra, detta romana, con mura e un triplice portico all'interno e una grande piscina al centro.
Accanto all'edilizia pubblica una documentazione di straordinario interesse è data dal processo evolutivo dell'abitazione privata dal IV sec. a.C. al I sec. d.C., cioè dalla rozza casa sannitica alla domus di età imperiale. I caratteri fondamentali della casa pompeiana si riconoscono nella disposizione intorno a un atrio, ove era l'altare degli dei domestici, dotato del bacino dell'impluvio; il tablino costituiva l'ambiente principale ove si raccoglieva la vita della famiglia; a tergo di esso lo spazio era coltivato a orto o a giardino, cinto nelle abitazioni più sontuose da un peristilio; in quest'ultimo caso si moltiplicavano le sale tricliniari nonché vari quartieri riservati alle donne e agli ospiti (casa del Fauno, casa delle Nozze d'argento, casa del Labirinto, casa di Meleagro, casa dei Vetti, casa del Citarista). Solo nelle abitazioni piu modeste, o nelle zone delle case abitate dagli schiavi, venivano costruiti piani sopraelevati. Tra i numerosi esempi di ville rustiche o residenziali, sorte intorno all'abitato e favorite dal clima e dalla fecondità del terreno, un'interessante documentazione sulle strutture e la decorazione ci è offerta dalla cosiddetta villa dei Misteri e dalla villa di Diomede, che presenta una riconoscibile evoluzione architettonica dal periodo repubblicano a quello imperiale, nonché gli impianti relativi a una ricca azienda agricola, con stalle, magazzini di deposito e cantine.
La pittura pompeiana costituisce la più ricca decorazione parietale a noi pervenuta del mondo antico, databile dalla fine del II sec. a.C. al 79 d.C. La larga diffusione dei dipinti, la varietà dei soggetti, i diversi procedimenti tecnici e le evoluzioni stilistiche hanno indotto gli studiosi a classificare secondo diversi stili le opere rinvenute in duecento anni di esplorazioni archeologiche. Manca invece qualunque documentazione letteraria ed epigrafica, che induca a riconoscere e individuare qualche personalità tra quelle dei vari pittori che diedero vita, con maestranze campane, all'interessante serie decorativa. Accanto agli affreschi e alle opere a encausto erano di particolare interesse i quadri da cavalletto inseriti in appositi incavi della parete; decorazioni a narrazione continua sono state rinvenute nella villa dei Misteri, con il grande fregio a carattere religioso che corre sulle pareti di una sala, analogamente a quello della vicina villa di Boscoreale, con una scena che richiama il lontano splendore delle corti ellenistiche. Frequentemente i soggetti sono ispirati a divinità ed eroi del mito greco, con particolare predilezione per episodi del ciclo omerico; scene della vita quotidiana e della commedia sono riservate invece ad ambienti meno centrali o a pannelli minori. Nei ritratti a medaglione è notevole l'affermarsi della vena realistica (ritratto di Paquio Proculo e di sua moglie); scorci di paesaggi, forse ispirati al vero, con vedute di casali, ville, portici e marine, si affiancano a scene nilotiche di pura fantasia o di maniera; elementi esotici appaiono del resto anche nelle frequenti rappresentazioni di cacce. Selvaggina, frutta e suppellettili della mensa costituiscono i soggetti di numerose nature morte; frequenti sono le riproduzioni dei lari, dipinti in un'edicola o in una nicchia; né mancano esempi di pubblicità murale, richiesta da botteghe e officine.
I grandi mosaici pompeiani, adibiti prevalentemente a ornamentazioni pavimentali, costituiscono un altro reperto di eccezionale interesse; dai più antichi, formati da accostamenti di ciottoli fluviali o marini, fino alle grandi composizioni urate di ispirazione ellenistica, Pompei ci ha restituito non solo una testimonianza inabile dell'evoluzione dell'arte musiva, ma esecuzioni tra le più significative e imponenti (casa del Fauno, mosaico della Battaglia di Alessandro; casa del Poeta tragico, casa del Labirinto). Tessere prevalentemente vitree appaiono usate nei non numerosi mosaici parietali, specie in fontane e ninfei.
Il complesso di opere statuarie rinvenuto negli scavi di Pompei, relativamente scarso rispetto a Ercolano, è costituito dalle opere d'arte superstiti al terremoto del 63. Oltre al torso di Giove del tempio modulino e la replica del Doriforo, già citati, vanno aggiunti una statuetta di Artemide di tipo arcaico, e Apollo e Diana saettanti. Più numerosi sono pervenuti i simulacri in bronzo argentato o dorato, spesso adibiti a portatori di lampada, come l'Apollo citaredo nella casa del Citarista, o il Fauno danzante, il Satiro con l'otre o il Sileno ebbro posti a ornamento di giardini e peristili; frammenti di are e rilievi votivi ci segnalano, accanto a una produzione più raffinata, un filone di arte popolaresca (rilievi della casa di Cecilio Giocondo).
Tra i ritratti pervenutici, soprattutto relativi al culto domestico degli antenati e al culto imperiale, sono la statua di Livia con attributi di Cerere, quella di Eumachia dedicata dai membri della corporazione dei fulloni, le erme in bronzo dell'attore Norbano Sorice e di Cecilio Giocondo.
Singolarmente copiosa risulta infine la suppellettile reperita nelle ininterrotte camne di scavo; dalla più preziosa alla più umile essa fornisce una documentazione amplissima degli usi di vita quotidiana. Ssa invece, diversamente da Ercolano, ogni traccia del mobilio in legno; tripodi e tavole in bronzo di squisita fattura si affiancano a mense marmoree, a lucerne dalle forme più varie, a grandi e piccoli bracieri, vasellame d'ogni tipo, pezzi unici di argenteria, servizi argentei da mensa (casa dell'Argenteria, casa del Menandro); notevoli sono i vetri lavorati a cammeo, i bicchieri vitrei sottilissimi e decorati, le bottiglie e le lastre da finestre per consentire l'illuminazione degli interni. Non mancano infine stucchi, terrecotte architettoniche, ori, avori, gemme, rinvenuti in gran copia.
Particolare interesse ha il complesso di iscrizioni dipinte o graffite sui muri, che, per il loro carattere occasionale ed estemporaneo (annunci di giochi gladiatori, proanda elettorale, pubblicità, ecc.), costituiscono un documento insolitamente vivo e pittoresco della vita quotidiana della città.
Nelle necropoli rinvenute ai margini dell'abitato sono stati identificati sepolcri sannitici a inumazione e, attraverso il tempo, mausolei grandiosi di età romana (tomba delle Ghirlande, sepolcro di Eumachia sulla via di Nocera, sepolcro di Mamia a porta Ercolano) con iscrizioni, rilievi, statue e busti, solitamente in tufo.
Una testimonianza della catastrofe, eccezionale sia dal punto di vista storico sia da quello umano per la sua immediatezza e drammaticità, è costituito dalla serie dei calchi, ottenuti eseguendo colate di gesso nelle cavità lasciate nello strato di ceneri dai corpi di uomini e di animali periti nel disastro, che costituiscono veri e propri ritratti delle vittime nel momento stesso della loro morte. Sono conservati nel locale Antiquarium. (Fra essi particolarmente famoso è quello del cane legato alla catena.)
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