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Perché parliamo di lavoro minorile?, Cosa si intende esattamente per lavoro minorile?, Alle radici del problema, Child labour e child work, ALT

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Perché parliamo di lavoro minorile?

L'idea che questo problema sia lontano da noi, perché riguarda solo i paesi del sud del mondo, è uno dei pregiudizi che ne condiziona una visione sbagliata. In effetti in questi paesi lo sfruttamento del lavoro minorile ha dimensioni macroscopiche: le statistiche ci dicono che riguarda un bambino su quattro.

Ma anche nei paesi occidentali dell'Europa dell'est i bambini sono sottoposti a gravi forme di sfruttamento:infatti il lavoro minorile cresce negli Stati Uniti e sta riendo anche in Europa

Ci si può chiedere come è possibile che i governi e le istituzioni non intervengano con leggi e norme adeguate a porre fine allo sfruttamento del lavoro dei minori. Il problema, però, non è l'assenza di norme giuridiche adeguate: Le norme giuridiche non sono sufficienti a tutelare i minori, che svolgono le loro attività nell'illegalità.

Cosa si intende esattamente per lavoro minorile?


La stessa definizione di lavoro minorile è problematica: la Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia definisce minore (o meglio 'fanciullo') i ragazzi di età compresa fra 0 e 18anni.
Ma per molti l'espressione 'lavoro minorile' va riferito al lavoro svolto dai ragazzi sotto i 15 anni, cioè da quei ragazzi che si trovano sotto la soglia dell'età minima lavorativa.



una distinzione che bisogna fare è fra i casi meno gravi - per esempio il lavoro per alcune ore, in settori che non pregiudicano la salute psico-fisica - e quelli più gravi, in cui il bambino lavora a tempo pieno, svolgendo attività nocive o dannose per il suo sviluppo fisico, sociale, psicologico e che gli impediscono di ricevere un'istruzione.



Lo sfruttamento dellfuomo sullfuomo è, comunque, sempre esistito. Istituzioni come la schiavitù e lfasservimento sono state presenti fin dallfantichità.

Alle radici del problema

Nel mondo ci sono circa due miliardi di bambini di età compresa da 0 a 18 anni. Nove su dieci, pari all'87%, vivono nei paesi in via di sviluppo. Di essi 250 milioni sono i bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano

Il fenomeno è strettamente legato ai grandi mutamenti socioeconomici: in Africa è aumentato nel corso del decennio scorso con la crisi economica che ha investito l'intero continente e che ha avuto come immediata conseguenza pesanti tagli alla spesa pubblica (istruzione, sanità). In molti paesi poi, a causa delle agitazioni politiche e i conflitti e la spaventosa diffusione dell'AIDS, si è registrata la tendenza a ricorrere ancor di più alla manodopera infantile.


Il lavoro minorile è una piaga mondiale che va combattuta su più fronti. Il punto di partenza resta però la disponibilità di dati precisi e affidabili sull'effettiva diffusione del problema, secondo parametri condivisi a livello internazionale. Questo sarà possibile solo in un gioco di squadra, solo cioè attraverso la stretta collaborazione tra governi, organizzazioni internazionali e ONG. In assenza di dati precisi non solo non potranno intraprendersi azioni sistematiche per eliminare definitivamente il lavoro minorile, ma non si potrà neanche intervenire con urgenza in difesa dei bambini (tanti) coinvolti in lavori rischiosi e pericolosi per la loro integrità fisica e psichica.

Quando si parla di lavoro minorile è necessario distinguere tra lavoro pesante e lavoro leggero, tra lavoro cosiddetto benefico e lavoro intollerabile, tra lavoro positivo e lavoro minorile coatto. Non si possono infatti mettere sullo stesso piano i bambini che lavorano poche ore al giorno in attività non pericolose per la salute e lo sviluppo con i piccoli schiavi delle fornaci a carbone dello stato brasiliano del Mato Grosso.

Per i primi infatti il lavoro può dare, a volte, i mezzi per frequentare la scuola: se venisse loro impedito di esercitarlo, senza offrire valide alternative, sarebbe un fattore di impoverimento economico molto forte. Per gli altri, per tutti quei bambini che svolgono attività a tempo pieno in età precoce, per numerose ore al giorno, vittime di indebite pressioni fisiche, sociali o psicologiche, mal ati quando non ati affatto (come nel caso dei bambini venduti dai genitori per riare debiti insolubili), che non possono pertanto andare a scuola né ricevere un'adeguata istruzione, il lavoro è solo abuso e sfruttamento inaccettabile che deve essere duramente combattuto.



Child labour e child work


Possiamo parlare di lavori minorili, di una variegata serie di possibili attività svolte da bambini e ragazzi ai cui estremi si trova da una parte il child labour (quei lavori pesanti legati allo sfruttamento e alla schiavitù) e dall'altra il child work (forme più leggere di attività, non necessariamente penalizzabili sotto il profilo sociale). E' importante anche distinguere tra lavoro consenziente, quello cioè svolto da un minore che non ha altre alternative, in accordo con i genitori per guadagnare qualcosa in supporto al reddito familiare e il lavoro forzato, quando il bambino viene allontanato dai genitori e ridotto in schiavitù.

In Asia meridionale bambini di 8-9 anni vengono dati come pegno di piccoli prestiti dai loro genitori ai proprietari di fabbriche o ai loro intermediari.

In India questo genere di transizione è diffusa anche in agricoltura o nelle industrie in cui l'abilità manuale dei bambini è, tra le altre cose, particolarmente apprezzata, come nella lavorazione dei tabacchi (arrotolamento delle sigarette), dei fiammiferi, dell'ardesia e della seta. Nello stato indiano dell'Uttar Pradesh dove fiorente è l'industria dei tappeti i bambini sono costretti a lavorare anche più di 20 ore al giorno e quelli più piccoli sono costretti a restare accovacciati sulla punta dei piedi in ambienti angusti e insalubri. Molto bassa è anche l'età media dei bambini impiegati nella produzione di palloni, gioielli, scarpe (tra i 5 e i 12 anni) come risulta da un recente studio realizzato dall'UNICEF in Bangladesh

Si sfruttano i minori per eseguire scavi minerari pericolosi anche per gli adulti, come nelle miniere di oro e diamanti della Costa d'Avorio e del Sudafrica nonché in quelle di carbone della Colombia, dove la manodopera infantile lavora con un equigiamento di sicurezza ridotto al minimo respirando polvere di carbone. Quelli che lavorano nelle fabbriche di ceramica e di porcellana inalano silicio, quelli delle industrie delle serrature respirano fumi nocivi emessi da sostanze chimiche pericolose. In Colombia i bambini che lavorano nei vivai che esportano fiori sono esposti a pesticidi ormai banditi nei paesi industrializzati.

Lo stesso tipo di violazione di ogni norma di sicurezza e di igiene è costante nelle piantagioni di caffè, di tè e di tabacco. In alcune piantagioni di canna da zucchero del Brasile i bambini rappresentano quasi un terzo della forza lavoro e il 40% delle vittime di incidenti sul lavoro (ferite provocate con il machete usato per tagliare le canne).

Lo sfruttamento della povertà è alla radice del lavoro minorile; i bambini vanno a lavorare perché così contribuiscono al mantenimento della loro famiglia. Spesso la a di un bambino è fondamentale per la sussistenza quando i genitori non hanno lavoro. Il paradosso è che il lavoro non c'è per gli adulti ma è disponibile per i loro li e questo perché un bambino viene ato molto meno di un adulto, non si ribella, non si organizza con gli altri per rivendicare salari migliori, può essere sottoposto a qualsiasi forma di abuso (anche sessuale).

Le ragioni economiche sono certamente una potente molla che spinge molti minori a non frequentare la scuola e a cercarsi un lavoro ma esiste anche la forza della discriminazione e delle regole sociali che poggiano sul cosiddetto lato oscuro della tradizione. Questo vale ad esempio per i bambini delle classi sociali più emarginate, delle minoranze etniche, dei membri dei fuori casta indiani. Non c'è paese al mondo in cui questa discriminante determina le regole del gioco: negli USA i minori che lavorano sono asiatici o latinoamericani; in Brasile sono bambini della popolazione indigena; in Argentina sono li di immigrati dal Paraguay; in Thailandia i minori impiegati nell'industria della pesca provengono per lo più dal Myanmar.

Nepal: Tappeti fatti a mano / Sotto i nostri piedi


'Ci sorveglia un adulto. Si accerta che lavoriamo in continuazione. Quando si arrabbia, ci picchia con la bacchetta. E' da un anno che lavoro qui, con le altre bambine. Alcune avevano solo cinque anni quando hanno iniziato. Mangiamo e dormiamo nel laboratorio; c'è poco spazio e l'aria è piena di polvere di lana. Per tessere un tappeto quattro bambini hanno un mese di tempo. Il capo dice che ha prestato dei soldi ai nostri genitori, che dovremo lavorare finchè non sarà riato il prestito. Ci possiamo riuscire solo se lavoriamo sedici ore al giorno, senza ammalarci. Spesso mi chiedo quanto dovrò rimanere ancora davanti al telaio Quando tornerò a casa?'

Guri ha 9 anni. Tesse tappeti in un laboratorio di Kathmandu, la capitale del Nepal. Tappeti venduti quasi tutti sul mercato europeo, tappeti 'fatti a mano', dice l'etichetta, e non troppo cari. Quando ce li troviamo sotto i piedi, raramente ci chiediamo da dove vengono.

Spesso vengono da piccole fabbriche in cui lavorano bambini e bambine come Guri. Hanno mani piccole e agili, perfette per tessere. Costano poco, questi schiavi-bambini: 180.000 lire è il prezzo ato dai mediatori alle famiglie, per sei mesi di 'affitto' di una tessitrice. Contratti capestro, difficili da sciogliere.



Pakistan - Tutto il giorno a cucire palloni


Latif ha 11 anni, cuce palloni da calcio da quando ne aveva 7. 'Il lavoro minorile credo sia vietato, ma da queste parti non conosco un ragazzino che non lavori. Io ho cominciato aiutando un parente. Adesso sto sotto padrone, 9-l0 ore al giorno a cucire palloni, a mano. Sempre lo stesso lavoro, mi rovino le dita e non imparo a fare altro. I palloni che mi arrivano da cucire hanno i marchi più diversi, molti li conosco, credo siano famosi in mezzo mondo. Anche se io non è che mi interessi del calcio, preferirei il cricket. Ma tanto, chi ha il tempo di giocare.'



Perù - Spaccapietre e minatori


Pedro ha 10 anni, braccia forti e uno sguardo perso nel vuoto. Dall'anno scorso fa il mestiere di spaccapietre. C'è molto lavoro, perché la cava a cielo aperto dove trascorre in media 10 ore al giorno è vicina alla capitale, Lima, e per le imprese edili è conveniente venire qui a comprare materiali per costruire i palazzi e le strade. 'Siamo quasi tutti ragazzi, a lavorare con martello e piccone. Ci siamo passati la voce di questo lavoro, nel barrio, e la mattina veniamo su in gruppo, con l'autobus per un'ora e poi a piedi. A volte un camion ci dà un passaggio. Non è un lavoro che mi piace, faccio tanta fatica che a volte mi sento morire. Ma cos'altro potrei fare, non ho finito neanche due anni di scuola. Siamo poveri, i soldi servono. Spero solo di non farmi male, ci sono spesso incidenti. Comunque meglio qui che in miniera, come tanti amici miei rimasti al paese'.


400.000 bambini peruviani tra i 6 e gli 11 anni non vanno a scuola. Non dipende certo da pigrizia o incapacità; non vanno a scuola perché le loro famiglie sono troppo povere per permetterselo, perché la scuola è troppo lontana e comunque comporta dei costi, soprattutto perché hanno altro da fare: devono lavorare per portare soldi a casa. Gran parte di quei 400.000 bambini lavora dalle 8 alle 10 ore al giorno, e quasi tutti appartengono a quel 20 per cento della popolazione peruviana che vive in condizioni di povertà estrema.

Quelli che lavorano come pastori e contadini, aiutando le loro famiglie sugli altopiani, si trovano spesso in una condizione drammatica di isolamento e mancanza di servizi essenziali. Tuttavia il loro sfruttamento è meno pesante rispetto agli operai-bambini di città, schiavizzati per una a di pochi soldi, a volte anche un decimo del minimo sindacale: cavatori di pietre come Pedro, fabbricanti di mattoni, manovali nell'edilizia, facchini ai mercati generali, e via dicendo nella giostra di lavori e sottolavori che, come gironi dell'inferno, sembra sprofondare nell'abisso le speranze di cambiamento di una generazione di ragazzi le cui famiglie erano emigrate in città confidando di riuscire a sfuggire alla miseria.

Dormono in case di lamiera e cartoni, in immensi agglomerati informi di baracche, senza fognature né, spesso, acqua potabile. Molte famiglie, una volta arrivate in città, si sfasciano; e per le madri è difficile tirare avanti, se i bambini non portano a casa soldi. Per i ragazzi spesso, alla fine, l'unica risorsa è la vita di strada, tra mestieri legali e illegali, pulizie dei vetri delle macchine e vendita ai semafori; si calcola siano 81.000 i piccoli peruviani che lavorano come venditori ambulanti. Moltissimi inoltre lavorano a domicilio, oppure - soprattutto le bambine - come domestiche nelle famiglie benestanti.



Indonesia: multinazionali sotto accusa


In Indonesia, a Jakarta Numerose multinazionali ben note in tutto il mondo sono oggi sotto accusa per aver subappaltato la produzione dei loro prodotti ad industrie e fabbriche dei Paesi Poveri che impiegano e sfruttano bambini in condizioni spesso disumane.

A Jakarta, nella fabbrica della Hardaya Aneka Shoes Industry (HASI) che produce le note scarpe da ginnastica Nike, sono impiegate 6.700 minori che producono 2000 paia di scarpe ogni ora. Tri Mugiayanti è una ragazza indonesiana di 14 anni addetta alla spalmatura del mastice sulle suole che le passano davanti su un nastro trasportatore; lfaria è satura di esalazioni emanate dalle vernici e dai mastici, la temperatura è di circa 40 gradi centigradi: dopo dieci minuti di permanenza in questfambiente gli occhi e le narici cominciano a bruciare e viene un terribile mal di testa.

Per ogni paio di scarpe del modello Air Pegasus, la HASI riceve 26.400 lire, ma la Nike lo rivende ai grossisti a 56.000 lire e nei negozi a 112.000 lire. Tri Mugiyanti, invece, riceve 350 lire allfora.

E come la Nike, sono sotto accusa molte altre multinazionali, come la Chicco o lfAdidas

ALTRI TIPI DI SFRUTTAMENTO MINORILE

Bambini soldato 

Un settore, questo, in grande espansione. E' apparso in tutta la sua ampiezza durante le guerre africane degli ultimi anni. Il fenomeno è difficilmente quantificabile. Secondo il rapporto Unicef del 1996 i bambini soldato erano circa 200.000. Oggi il loro numero è certamente cresciuto. In Liberia sono circa 20.000 (un quarto dei combattenti in azione). Anche in Sierra Leone i bambini soldato sono molto 'apprezzati': non devo essere ati (al limite solo drogati), non hanno il senso del pericolo, sono particolarmente coraggiosi, vengono spessi usati come carne da macello da buttare in prima linea per rompere il fronte avversario o anche solo per aprire piste nei campi minati. In Mozambico una delle fazioni in lotta (la Renamo) ne ha utilizzati almeno 10.000. In Angola il 36% dei bambini aveva partecipato ad azioni di guerra ed il 7% aveva sparato ad un nemico.

Durante il genocidio e la guerra in Rwanda i bambini venivano usati per 'stanare' nella boscaglia gli adulti. Per alcuni di essi il premio era la testa mozzata della preda. Attualmente in Rwanda i baby soldato sono circa 8.000.

Ricerche dell'Acnur testimoniano della difficoltà immensa del recupero di personalità che abbiano subito o partecipato a così gravi violenze. Il motivo per cui si diventa baby soldato è semplice: se la guerra ti ha lasciato orfano, senza prospettive, senza possibilità di sopravviverec.. altre scelte non hai.

Sfruttamento Sessuale

Ef un dato allarmante che non può più essere ignorato: lfindustria sessuale è in continua crescita e lfetà dei bambini coinvolti diminuisce regolarmente. Prostituzione, abusi sessuali, traffico di
bambini, utilizzo per uso pornografico: queste sono solo alcune, forse le più evidenti, forme di sfruttamento sessuale dei minori.

Spesso bambine e bambini vengono rapiti e venduti nei bordelli e sacrificati alla perversione di pedofili, per lo più occidentali – infermieri, diplomatici, uomini dfaffari, insegnanti – individui insospettabili. Stuprati per pochi soldi ad gincontroh, queste piccole vittime sono per lo più tenute prigioniere in tuguri dove raramente entra la luce, in condizioni igieniche deprecabili, minacciati e seviziati al fine di stroncarne ogni possibile resistenza o tentativo di fuga.

Pensiamo poi, a tutte le bambine e i bambini che vivono indifesi per le strade, soggetti alle violenze di chi approfitta della loro fragilità e vulnerabilità. In Brasile, a San Paolo, circa 200.000 bambini vivono per le strade. Cristina, una bambina di dieci anni, ha vissuto in mezzo alla strada per due anni insieme al suo fratellino di quattro anni chiedendo lfelemosina. Un esame medico sulla bambina ha riscontrato sul suo giovanissimo corpo tutto il dolore delle sue esperienze

Le conseguenze sullo sviluppo psicologico e sulla salute di questi bambini sono devastanti.
Un altro tipo di sfruttamento meno appariscente, ma insidioso e sottile, può essere considerato lfutilizzo dei bambini fatto dalla televisione.

I numerosi programmi tv che si servono dei bimbi per strappare risate agli adulti, abusano psicologicamente di piccini che, a certe ore della sera, starebbero meglio a letto o a casa con i loro genitori.

E in Italia?

Sotto accusa la scuola

Sempre e comunque è sotto accusa la scuola, che producendo disinteresse nei confronti dell'istruzione innesca il circolo vizioso abbandono, lavoro nero, e talora devianza; c'è un'ampia e diffusa sfiducia nella scuola come istituzione, un progressivo allontanarsi dei giovani dai valori che la scuola esprime.

«In Campania è diffusa la cultura del mestiere, che andrebbe cambiata ma per questo ci vorrebbe una scuola più collegata col territorio e quindi più collegata col mondo del lavoro» - afferma Margherita Dini Ciacci Presidente del Comitato Regionale UNICEF della Campania.

Essa non si propone come un'alternativa educativa valida, non ci si aspetta che il fatto di frequentarla possa servire per trovare un lavoro migliore in futuro. Meglio quindi, dato che la scuola annoia e non professionalizza una occupazione qualunque, anche se essa non è strettamente necessaria alla sopravvivenza Ed è proprio in questo vuoto che la criminalità pesca la sua manovalanza, soprattutto in quella fascia di età alla fine della scuola dell'obbligo.

«Sarebbero necessarie iniziative per la fascia di età 14-l6 anni, collegate fra di loro per offrire ai giovani orientamento professionale alternativo al lavoro nero» - ribadisce la dottoressa Dini Ciacci.

«Ma qualcosa in questo senso si sta muovendo; - afferma Amedeo Daniele, sociologo, esperto di lavoro minorile e funzionario presso il Ministero del Lavoro - quello che si sta cercando di mettere in piedi è quel collegamento tra tutte le agenzie che, a vario titolo, si occupano del problema per cercare di eliminare interventi a binario morto e sovrapposizioni. E inoltre si stanno approntando iniziative concrete di inserimento professionale dei giovani nell'artigianato, il cui potenziale è davvero innovativo».


Napoli: Garzoni e sciuscià


La Campania e Napoli in particolare sono da sempre considerati luoghi simbolo dell'emarginazione giovanile in Italia. Secondo Amedeo Daniele, del Ministero del Lavoro, anche se la dimensione esatta del fenomeno non è nota - in questo senso Ministero del Lavoro, Tribunale dei Minori, enti locali ASL stanno cercando di coordinarsi per avere dati che siano frutto di una ricerca sistematica e protratta - essa è tuttavia rilevante. E' logico infatti che in un'economia come quella campana che ha una parte di sommerso così significativa, il lavoro giovanile svolga un ruolo importante. A Napoli i minorenni lavorano - tradizionalmente e illegalmente - un po' in tutti i settori: da quello manifatturiero delle calzature e dell'abbigliamento, a quello della vendita di prodotti di contrabbando. Ma fanno anche i parcheggiatori, i garzoni di bar, gli apprendisti nelle officine meccaniche. Alcune di queste attività sfiorano la criminalità o sono di copertura ad attività illegali.

Nella regione è presente la tipologia 'grave' di lavoro minorile, quello indispensabile per la sopravvivenza di nuclei familiari indigenti in quelle zone del centro storico e dell'hinterland napoletano in cui il tasso di disoccupazione sfiora il 27%. Anche fattori culturali come la cultura del mestiere e il fascino della vita di strada, il mito dell'autonomia e il fascino esercitato dai beni di consumo, giocano il loro ruolo nella diffusione del lavoro minorile a Napoli.

'Il recupero della legalità accomnato da forti iniziative di sviluppo sembra essere la ricetta in grado di risolvere un problema strutturale. Va letto in questo senso il progetto di avviamento all'artigianato, attuato dal Ministero del Lavoro in collaborazione con gli enti locali, grazie al quale nel triennio '94-'95-'96 circa 300 giovani hanno vissuto un'esperienza di formazione finanziata dal settore pubblico. Un'iniziativa innovativa e ricca di potenzialità che andrebbe monitorata nel tempo e riprodotta sui grandi numeri. Il problema principale di Napoli e della Campania è la regia di tutti gli interventi, quelli nuovi e quelli già attivi sul territorio: le risorse del volontariato devono collegarsi con le forze istituzionali e agire di concerto, in un quadro di seria formazione e di valorizzazione delle esperienze professionali di ciascuno. 'Una speranza viene alla città dalla legge 285 dell'agosto '97 che ha destinato 31 miliardi alla regione e 15 al capoluogo e che, collegandosi con altre leggi esistenti come la 216 sull'artigianato giovanile sono in grado di fornire quel grimaldello necessario a smantellare un problema che ha radici secolari nel capoluogo campano. A patto di sostituire la logica dell'improvvisazione con quella della professionalità e dell'efficienza.


Verso la soluzione del problema


Come abbiamo visto, lo sfruttamento dei bambini è un fenomeno secolare che non è ancora stato risolto nonostante i numerosi tentativi messi in atto fin dal 1700.

Già in quel tempo si può collocare, ad esempio, lfimpegno assistenziale politico e pedagogico dellfeducatore Robert Owen. Le concentrazioni produttive a base industriale, soprattutto opifici che si moltiplicavano nel suolo scozzese intorno alla fine del diciottesimo secolo, impegnavano come lavoratori, in condizioni disumane, soprattutto bambini. Colpito dalla situazione di questa infanzia diseredata e sfruttata, Owen denuncia con vigore la cruda realtà riprendendo la battaglia già iniziata da un altro educatore, Oberlin, a Strasburgo (che aveva fondato la prima gsalle dfasileh nel 1770).

Owen cerca di sperimentare a New Lanark (1816) una scuola per bambini fino ai dodici anni per combattere il sempre più diffuso racket del lavoro infantile.

gMentre i genitori, fratelli e sorelle erano occupati tutto il giorno ai loro filatoi, i bimbi erano lasciati vagabondarec per le strade dove prendevano tutti i vizi; in età appena più avanzata, dai 5, 6 anni, i bambini –in forza di una legge del 1563- potevano venire assunti come apprendisti presso datori di lavoro per imparare un mestiere, purché lfispettore dei povericne desse lfautorizzazione.

Scoperta tale vena da cui attingere numerosa mano dfopera a buon mercato, gli imprenditori facevano a gara per assumere quei fanciulli come apprendisti nelle fabbricheclavoravano in ambienti poco igienici, per più di 14 ore al giorno, accanto a lavoratori e lavoratrici abbruttiti dalle eccessive fatiche.

Owen si pose allora come traguardo politico quello di fornire ai li della nascente classe operaia gli strumenti culturali per riscattare la propria condizione di reietti sociali. La scuola vista quindi come clinica terapeutica, capace di guarire lfumanità dallo sfrenato individualismo e dalla feroce competitività

Egli rivolse perciò particolare attenzione alla classe preparatoria (3-6 anni) cercando di superare la logica dellfasilo assistenziale che, legittimando le differenze sociali, orientava lfinfanzia verso comportamenti dettati dalle classi al potere. Lfeducatore inglese cercò di liberare le energie creative e cognitive più profonde dellfindividuo, fermamente convinto nella sua lotta per vincere lnoranza e le discriminazioni sociali.


Già questo tentativo settecentesco ci può far intuire come una delle principali vie dfuscita dal tunnel dello sfruttamento può essere lfeducazione, la scuola.

L'educazione è la carta fondamentale per la prevenzione del disagio e per il suo superamento. Educare significa accogliere, ridare la parola e comprendere. Vuol dire aiutare i singoli a ritrovare se stessi; accomnarli con pazienza in un cammino di ricupero di valori e fiducia in sé. Nell'educazione emergono alcune urgenze: dare un senso alla vita, formare la coscienza, inculcare la solidarietà.

Purtroppo, anche in Italia il fenomeno dellfabbandono scolastico è ancora consistentemente elevato, nonostante una legislazione ben precisa che sancisce il diritto/obbligo allo studio fino alla terza media.

In Italia esiste comunque una legge del 1967 (n.977) sulla gTutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescentih che fissa il limite di età in 15 e in alcuni casi in 14 anni. Impone che non venga trasgredito lfobbligo scolastico. Alla legge viene comunque rimproverata soprattutto la debolezza delle sanzioni previste.

Numerose sono anche le convenzioni internazionali in materia di lavoro minorile, fin da 1919. si può citare la gConvenzione dellfILO sullfetà minima di ammissione al lavoro n. 138 del 1973h e la Raccomandazione sullfEtà minima n.146 che rappresenta lo strumento per lfapplicazione generale della Convenzione. Anche in questo caso lfetà minima stabilita rimane quella dei 15 anni. La Raccomandazione pone lfobiettivo di portare almeno a 16 anni lfetà minima di ammissione al lavoro.

Molte iniziative sono state inoltre intraprese per combattere o per denunciare il lavoro minorile.

A prescindere dai reportages fotografici di denuncia, sono state organizzate delle manifestazioni come la gMarcia Globaleh o Global March Against Child Labour che ha attraversato tutti i continenti coinvolgendo 97 paesi e 700 organizzazioni non governative, sindacati e associazioni.

Il gConsumo criticoh è unfaltra forma di autocoscienza che ci permette di favorire aziende che si comportano correttamente e punire in qualche modo anche le multinazionali come, la Nike, che producono indumenti e scarpe al prezzo della vita dei bambini del terzo mondo.

Ci sono stati, inoltre, dei tentativi di boicottaggio che però hanno prodotto più effetti negativi che positivi: il rifiuto, da parte di alcune ditte statunitensi, di acquistare prodotti costruiti da bambini in Pakistan ha spinto le fabbriche asiatiche a licenziare i bimbi che, senza sostentamento alcuno e senza un recupero organizzato, si sono ritrovati in strada a morire di fame.

Ef necessario quindi un intervento articolato che si componga in una serie di momenti coordinati che vanno dal recupero dei piccoli, ad un loro acculturamento che preveda la presa di coscienza di una situazione degradata e infame ed infine ad un loro graduale reinserimento nel mondo del lavoro come adulti preparati ad affrontare la vita in modo diverso e più dignitoso

Perché parliamo di lavoro minorile? Non c'è un tema che ci riguardi più da vicino di cui occuparci?
Il problema dello sfruttamento del lavoro minorile sta prendendo evidenza agli occhi dell'opinione pubblica per la sua gravità e vastità: non sono più solo le ONG a parlarne, ma anche i giornali, la televisione, Internet.
L'idea che questo problema sia lontano da noi, perché riguarda solo i paesi del sud del mondo, è uno dei pregiudizi che ne condiziona una visione sbagliata. In effetti in questi paesi lo sfruttamento del lavoro minorile ha dimensioni macroscopiche: le statistiche ci dicono che riguarda un bambino su quattro.
Ma anche nei paesi occidentali e negli ex paesi socialisti dell'Europa dell'est i bambini sono sottoposti a gravi forme di sfruttamento:



il lavoro minorile cresce negli Stati Uniti e sta riendo anche in Europa. Il Portogallo è un buon esempio. Nessuno sa quanti sono i bambini al lavoro, ma provate a girare per i laboratori nei dintorni di Porto e ne conterete a migliaia.


[da Centro Nuovo Modello di Sviluppo (a cura di), Sulla pelle dei bambini]

Anche in Italia si calcola un numero di bambini lavoratori illegali che oscilla fra i 300.000 e i 500.000; spesso sono prigionieri, ridotti in schiavitù, o coinvolti in attività criminose.
Ci si può chiedere come è possibile che i governi e le istituzioni non intervengano con leggi e norme adeguate a porre fine allo sfruttamento del lavoro dei minori. Il problema, però, non è l'assenza di norme giuridiche adeguate: nella maggior parte degli stati del mondo i limiti di età per svolgere una regolare attività lavorativa sono fissati fra i 14 e i 16 anni (con qualche eccezione per attività leggere e tirocini) e la legge prevede la punibilità di coloro che si avvalgono del lavoro dei ragazzi al di sotto della soglia stabilita.


Inoltre:
- la Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite protegge i minori da qualunque sfruttamento economico che possa nuocere alla loro salute
- la Convenzione 138 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro) ha fissato l'età minima lavorativa a 15 anni

Le norme giuridiche non sono sufficienti però a tutelare i minori, che svolgono le loro attività nell'illegalità: in questi casi si parla di lavoro informale, categoria che include il lavoro nero e il lavoro in subappalto. E uno degli ostacoli nell'analisi del problema è proprio la difficoltà di stimare il numero dei soggetti coinvolti: i dati a proposito del lavoro minorile sono esclusi - anche in Italia - dalle statistiche ufficiali. Gli unici dati esistenti sono le stime delle varie organizzazioni non governative.

Vogliamo parlare di lavoro minorile? Sì, ma scusa: cosa intendi esattamente?
La stessa definizione di lavoro minorile è problematica: la Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia definisce minore (o meglio 'fanciullo') i ragazzi di età compresa fra 0 e 18 anni.
Ma per molti l'espressione 'lavoro minorile' va riferito al lavoro svolto dai ragazzi sotto i 15 anni, cioè da quei ragazzi che si trovano sotto la soglia dell'età minima lavorativa stabilita dalla Convenzione 138 dell'OIL.


Parlando del lavoro dei bambini e degli adolescenti dobbiamo introdurre alcune distinzioni: una, proposta dall'Unicef, riguarda due categorie di bambini lavoratori:
- quelli che lavorano all'interno della famiglia di appartenenza, dove si porta avanti un'attività contadina o artigiana svolta in proprio; per povertà, mancanza di infrastrutture e garanzie sociali le famiglie di questi minori hanno bisogno di braccia infantili. Il ragazzo, in questo genere di situazione, può lavorare qualche ora e andare a scuola; in altri casi lavora tutto il tempo, ma non si può parlare di sfruttamento, bensì solo di miseria - quelli che vengono sfruttati da un padrone

Un'altra distinzione che bisogna fare è fra i casi meno gravi - per esempio il lavoro per alcune ore, in settori che non pregiudicano la salute psico-fisica - e quelli più gravi, in cui il bambino lavora a tempo pieno, svolgendo attività nocive o dannose per il suo sviluppo fisico, sociale, psicologico e che gli impediscono di ricevere un'istruzione.


Il rapporto Ires su lavoro minorile introduce invece la distinzione fra lavoro illegale e illecito:

Per attività illecite si intendono quelle che infrangono soltanto i divieti sul lavoro - minorile o in quanto tale: assistenza, contratti, retribuzioni minime ecc. - che gli Stati si sono dati.
Le attività illegali ricadono invece nella sfera dei lavori perseguibili penalmente: prostituzione, manovalanza nelle fila della criminalità, partecipazione a bande armate e eserciti irregolari.
L'unione delle due dimensioni permette di analizzare il lavoro dei bambini differenziando secondo la gravità che esso assume e, quindi, di elaborare soluzioni articolate e realmente applicabili nei diversi casi.
[da Ires (a cura di), Rapporto nazionale sul lavoro minorile]

I minori che lavorano sono impegnati nelle più diverse attività: nelle industrie calzaturiere e dell'abbigliamento, che ricorrono maggiormente al lavoro dei bambini e li trattano nel modo peggiore; nelle piantagioni di tè, banane, gomme palma da olio, cacao, dove ogni anno muoiono o si ammalano molti bambini per avvelenamento da pesticidi; nelle concerie; nelle miniere e nelle cave di vetro; nella produzione dei giocattoli; nella produzione dei tappeti; nel lavoro domestico; molti bambini sono invece venditori ambulanti.
I lavori svolti dai minori, quindi, non sono tutti uguali: ciascun lavoro comporta differenti livelli di rischio, fatica e sottomissione.

Pensando al problema del lavoro minorile penso sempre alla povertà in cui vivono tanti bambini e ragazzi
In effetti i guadagni dei minori spesso sono necessari al sostentamento del nucleo familiare; questo anche perché paradossalmente è più semplice per un ragazzo che per i suoi genitori trovare un lavoro.
Ma in questo modo si avvia un circolo vizioso: i ragazzi che vanno a lavorare, oltre a svolgere attività pericolose, dannose e malate, non frequentano la scuola; rimanere privi di istruzione vuol dire per loro essere condannati a un futuro di lavoro umile e mal retribuito, perché non avranno mai l'occasione di studiare o imparare un mestiere qualificato.
Il lavoro minorile diventa così causa e conseguenza della povertà.
Ma altre sono le implicazioni per cui la povertà può essere causata dal lavoro minorile; al proposito sentiamo la voce di Kailash Sathyarti, che è a capo del movimento Bounded Labour Front:

Il lavoro minorile non è una conseguenza della povertà, ma una causa perché fa abbassare il livello dei salari e perché mantiene la disoccupazione degli adulti. Nel 1947 l'India aveva dieci milioni di bambini che lavoravano alle dipendenze dei padroni e dieci milioni di disoccupati. Oggi i bambini in queste condizioni sono 55 milioni e i disoccupati sono altrettanti.
Ed ecco la tragica realtà: mentre gli adulti non guadagnano, i bambini, che dovrebbero andare a scuola, lavorano, si ammalano, rimangono analfabeti e guadagnano poco. Parlo chiaro: i bambini sono tenuti al lavoro perché i padroni ci guadagnano. Essi scartano gli adulti perché hanno una maggior capacità contrattuale e quindi potrebbero ottenere salari più alti. I bambini invece, nella loro innocenza e nella loro debolezza, si piegano alle peggiori forme di sfruttamento.
[da Centro Nuovo Modello di Sviluppo (a cura di), Sulla pelle dei bambini]

Parlare di lavoro minorile? C'è poco da parlare: bisogna abolirlo e subito!
L'idea di abolire subito e in toto il lavoro minorile non è condivisa da tutti. I soggetti coinvolti nella lotta allo sfruttamento del lavoro minorile sono tutti d'accordo sull'abolizione immediata delle forme estreme di lavoro minorile, cioè di quelle forme di lavoro che rappresentano una grave violazione dei diritti umani, al punto da poter essere equiparabili alla schiavitù:
1. tutte le forme di schiavitù o simili, come il lavoro forzato, la vendita dei bambini e la servitù per debiti
2. l'uso e l'offerta di bambini in attività illecite nella prostituzione e nella produzione di materiale pornografico
3. ogni tipo di attività che, per la sua natura o le circostanze in cui è espletata, possa mettere in pericolo la salute fisica o psichica dei minori
Le forme di lavoro intollerabili sono definite nella Conferenza dell'OIL tenutasi a Ginevra nel giugno del 1998.
Ma sull'abolizione di altre forme di lavoro minorile l'accordo fra le parti cade: per alcuni il lavoro minorile deve essere abolito in toto e subito. Altri ritengono che il lavoro minorile, nelle sue forme non estreme, non deve essere abolito ma regolamentato e - per i bambini che non possono fare a meno di lavorare perché troppo poveri - si debbono creare situazioni in cui la scuola e il lavoro convivono nell'arco della giornata.
L'ipotesi del 'divieto totale', accomnata da interventi che migliorino il reddito dei genitori, ben si adatta ai casi di lavoro sotto padrone, in condizioni di rischio e nocività.
La seconda ipotesi, che prevede l'abolizione del lavoro minorile come risultato di un cammino di sviluppo, si adatta ed è sostenuta dalla grande maggioranza di bambini che lavorano aiutando i genitori, in un'economia povera, agricola o artigianale. Dove in effetti ciò che serve - secondo Mani Tese - sono interventi di riforma agraria, piccola meccanizzazione collettiva, garanzia dei prezzi al produttore, pensioni, sanità di base, infrastrutture e, naturalmente, istruzione di base gratuita e disponibile.


Vorrei capire chi si occupa del lavoro minorile, chi sono i protagonisti di questo dibattito
I protagonisti del dibattito sul lavoro minorile sono diversi e spesso con posizioni differenti: organizzazioni non governative, organismi internazionali, organizzazioni di bambini lavoratori.
In effetti per cercare di capire a fondo il problema del lavoro minorile e orientarsi nella quantità di notizie al riguardo è necessario dare voce a tutti i protagonisti del dibattito.
Esistono molte associazioni di volontariato regolate da statuti e Organizzazioni non Governative (ONG) che si occupano di problemi umanitari.
Le ONG sono associazioni senza scopi di lucro, accreditate presso le autorità ufficiali, impegnante a livello locale, nazionale e internazionale ad affrontare le problematiche inerenti agli squilibri tra il nord e il sud del mondo. Esse rappresentano la società civile e favoriscono gli scambi tra paesi poveri e paesi ricchi. In questi ultimi anni sono state talvolta consultate da organismi governativi nazionali e sovranazionali (come l'ONU), come è accaduto in occasione della Conferenza sull'Ambiente a Rio e della Conferenza sulle Donne a Pechino.
Le ONG organizzano anche meeting paralleli alle Conferenze ufficiali: per confrontarsi, per esprimere compiutamente analisi delle varie problematiche, denunce e proposte per il futuro.
Alcune ONG si occupano in particolare dei problemi inerenti ai diritti dei bambini e svolgono un'azione di monitoraggio sull'applicazione della Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia. In questo senso alcuni esempi sono:
- Save the Children: ONG internazionale, dotata di una rivista - Right Angle - che affronta, di volta in volta, i problemi emergenti in tutto il mondo
- l'associazione SACCS: fondato in India nel 1980 da Kailash Sathyarti e sostenuta da molte ONG. La SACCS ha liberato più di 30.000 bambini che lavoravano in condizione di schiavitù.

In Italia molte ONG stanno realizzando progetti, interventi e camne d'informazione contro lo sfruttamento del lavoro di bambini e adolescenti nel Sud e nel Nord del mondo. Tra le altre ricordiamo Mani Tese, Fratelli dell'Uomo, Asoc.

I governi, oltre alle differenti legislazioni nazionali più o meno avanzate e rispettate (spesso è significativo il divario tra legislazioni e applicazione delle stesse), hanno i loro rappresentanti in organismi di carattere internazionale che si occupano dei problemi dei minori.
L'Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia) è l'agenzia dell'ONU fondata nel 1946 per aiutare i bambini vittime della Seconda Guerra Mondiale. Attualmente agisce in circa 160 paesi, cercando di portare aiuti concreti per migliorare la qualità della vita dei minori.
L'Unicef si occupa sempre più spesso del lavoro minorile, come risulta dal rapporto La condizione dell'Infanzia nel mondo 1997 dedicato a questo tema.
L'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) è l'organismo delle Nazioni Unite che si occupa in maniera specifica dei temi del lavoro. Gli organi dell'OIL sono formati non solo dai rappresentanti di governi che ne fanno parte, ma anche dai rappresentanti degli imprenditori e dei sindacati.
Rispetto al lavoro minorile l'OIL ha adottato una serie di Raccomandazioni e Convenzioni per regolamentarne l'impiego: la prima di queste Convenzioni venne emanata nel 1919 (anno di fondazione dell'OIL) e fissava a 14 anni il limite di età di assunzione nell'industria.
Nel 1973, l'importante Convenzione 138 dell'OIL ha stabilito l'età minima di assunzione dei lavoratori.
Nel 1992 l'OIL ha creato L'IPEC (International Programme on the Elimination of Child Labour), il Programma Internazionale per l'Abolizione del Lavoro Minorile. Il programma è finalizzato a eliminare il lavoro minorile a partire dalle forme più intollerabili, rafforzando la capacità di ogni nazione di affrontare questo fenomeno e creando un movimento mondiale contro il lavoro minorile.

Ma anche i bambini e gli adolescenti lavoratori si stanno organizzando in tutto il mondo per rivendicare direttamente i loro diritti e migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Le forme organizzative sono multiformi e creative: cooperative, parlamenti, convegni, case di accoglienza autogestite. Tutte queste iniziative si basano su un presupposto comune: i minori vogliono prendere decisioni in prima persona, sperimentando strutture decisionali democratiche.

L'infanzia è una tappa della vita per il gioco, per imparare e per crescere, si tratta di un periodo in cui tutti i bambini e bambine dovrebbero avere l'opportunità di sviluppare le proprie potenzialità e sognare dei bei piani sul futuro.

Ulteriori informazioni sul lavoro minorile:

Visione d'insieme

  1. Proposta dell'Ufficio Internazionale del Lavoro sul lavoro minorile
  2. Marcia Globale contro il lavoro minorile
  3. Quello che il mondo dice sul lavoro minorile

Comunque, per più di 250 milioni di bambini e adolescenti in tutto il mondo, quelli che lavorano molto prima che le loro ossa e sensibili anime siano pronte per affrontare il lavoro che svolgono, l'infanzia è un sogno perduto.

Loro lavorano dalle prime ore del mattino fin dopo il tramonto. Si possono trovare a vendere fiori o gomma americana ai turisti dispersi per le strade rumorose e sovrappopolate; abbrustolendo la propria pelle in piantagioni gigantesche, sporche e infette da residui chimici; pulendo i pavimenti delle ville di milionari incoscienti; rompendosi la schiena in buie fabbriche di tappeti sotto la frusta della moderna schiavitù.

Questi bambini non conoscono nessun altro gioco che non sia la sopravvivenza.

La loro scuola è la strada; il loro insegnante, l'ingiustizia. Il loro futuro è rappresentato da un nero vicolo d'incertezza che potrà finire con le loro vite in qualsiasi momento.

In un mondo che così sviluppato, principalmente negli ultimi anni, è quasi incredibile rendersi conto che certi bambini, il settore più vulnerabile della società, siano obbligati a rinunciare al loro futuro e a lavorare per la loro sopravvivenza.

Uno degli obiettivi principali di Casa Alianza è quello di denunciare e intraprendere azioni decisive contro qualsiasi forma di sfruttamento del lavoro minorile in America Latina, dove più di 12 milioni di minorenni sono intrappolati nel labirinto del lavoro in un periodo delle loro vite in cui dovrebbero avere diritto a essere soltanto bambini.

BAMBINI AL LAVORO - SAVE THE CHILDREN


Un fenomeno mondiale

  • Nel mondo ci sono almeno 250 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano. Quasi la metà è occupata a tempo pieno. A questi vanno aggiunti i bambini soggetti a sfruttamento sessuale.
  • Dalle statistiche dell'Unicef risulta che il 61% del lavoro minorile è concentrato in Asia, il 32% in Africa, il 7% in America latina.
  • Nel Sud-est asiatico, dove l'industrializzazione è stata velocissima negli ultimi 30 anni, i bambini vengono impiegati ovunque, non solo nelle zone più povere.
  • Inoltre, poiché le multinazionali occidentali sempre più spesso trasferiscono le loro filiali nel Terzo mondo, dove con un costo della manodopera molto basso si possono produrre manufatti a basso contenuto tecnologico, i bambini qui trovano facilmente occupazione nei settori dell'export.

Dati e statistiche

  • Statistiche attendibili per difetto. Nepal: il 60% dei bambini lavora; Pakistan: il 20% della popolazione che lavora sono bambini (4-l4 anni), che producono l'80% dei palloni da calcio; Indonesia: il 20% dei bambini lavora; India: 44 milioni; Bangladesh: il 25% dell'intera popolazione infantile (nel tessile da export e nell'artigianato: da notare che nel tessile i bambini sono quasi la metà di tutta la manodopera); Thailandia: il 32% della forza-lavoro (beni per l'export); Filippine: oltre 2 milioni; Senegal: oltre il 40%; Nigeria: circa 12 milioni; Brasile: 7 milioni (più quelli che vivono per strada), fanno soprattutto calzature per l'export (a San Paolo il 20% del reddito familiare è garantito dal lavoro minorile).

Business

  • Facciamo un esempio di business: in un'azienda brasiliana di scarpe (che soprattutto sono di tipo sportivo), i padroni ricevono dalla multinazionale L. 26.400 per ogni paio di scarpe (il lavoratore riceve una cifra ridicola: L. 350 all'ora), poi la multinazionale rivende le scarpe ai grossisti per L. 56.000; in un qualunque negozio di una città europea o americana quel paio di scarpe costa L. 112.000. Se quel lavoratore volesse comprarsi le stesse scarpe che produce, gli occorrerebbero sette settimane di lavoro.

Malattie e morte

  • I bambini brasiliani che lavorano nei calzaturifici che producono scarpe per delle famose marche occidentali, respirano i mastici per 9 ore al giorno in un ambiente saturo di solventi al benzene. Dopo pochi anni hanno i polmoni e le mucose di occhi, bocca e naso praticamente bruciate.
  • Il record dei bambini che muoiono sotto i 5 anni lo detiene il Niger: 320. L'Italia è a quota 8.

Cosa fare?

  1. sanzioni economiche contro i Paesi che permettono lo sfruttamento minorile;
  2. premiare chi combatte il lavoro minorile, favorendo p.es. l'export dei Paesi che dimostrano di lottare contro questo sfruttamento;
  3. boicottare l'acquisto di quei prodotti di cui si sa con certezza che provengono da tale sfruttamento e per i quali esiste una possibile alternativa;
  4. garantire che nell'ambito di una medesima multinazionale, avente l'azienda principale in un paese occidentale e le filiali sparse in vari paesi del Terzo mondo, sia applicato il principio 'a parità di lavoro parità di salario', fra un operaio occidentale e uno terzomondiale;
  5. progettare un Nuovo ordine economico internazionale, che induca a rispettare di più il valore della persona umana.

LA MOBILITAZIONE CONTRO IL LAVORO MINORILE
In marcia per i diritti dell'infanzia

Nel mese di maggio in tutta Italia sono state realizzate decine di iniziative in occasione della fase finale della Global March che, dal 1< al 24 maggio, ha attraversato il nostro paese per concludersi a Ginevra con lfintento di sollecitare lfOIL, Organizzazione Internazionale del Lavoro, ad impegnarsi più efficacemente per proteggere e promuovere i diritti di tutti i bambini del mondo, specialmente il diritto ad essere protetti e liberati da quei lavori che ne compromettono lo sviluppo fisico, mentale e sociale ed il diritto a ricevere unfistruzione. Sono state molte le manifestazioni, assemblee, seminari e forum con le quali i sindacati hanno contribuito ad informare e sensibilizzare lavoratori ed opinione pubblica.

Catania, Napoli, Bologna, Milano e Torino, assieme a tanti altri centri grandi e piccoli, sono stati i punti più significativi di questa mobilitazione che ha coinvolto studenti, ONG, forze politiche e sociali.

Ma il contributo più significativo e specifico che CGIL, CISL e UIL hanno messo in campo per sostenere la lotta contro lo sfruttamento minorile in Italia e nel mondo è rappresentato dalla Carta dfimpegni per promuovere i diritti dellfinfanzia ed eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, firmata dal governo italiano, da CGIL, CISL e UIL, dagli imprenditori e dalle principali istituzioni mondiali che si occupano del problema (OIL e UNICEF). Questa carta dfimpegni, se sostenuta e coerentemente applicata, rappresenta indubbiamente un punto di forza per tutti quanti vogliono affrontare, per risolverlo, questo problema dellfinfanzia sfruttata, in molti casi fino allfannientamento fisico e morale.

PROPOSTE DELLA GLOBAL MARCH

1- Mobilitazione dellfopinione pubblica per lottare contro le ingiustizie sociali che obbligano i bambini a lavorare. Far conoscere le ingiustizie sociali (discriminazione delle donne e delle minoranze, distribuzione iniqua della terra e delle risorse economiche, sottoccupazione, disoccupazione e trattamento iniquo dei lavoratori adulti) e le ingiustizie nei rapporti internazionali (il peso enorme del debito estero che grava sui paesi del Sud, gli effetti perversi della globalizzazione e dellfimposizione di programmi di aggiustamento strutturale) che obbligano i bambini a lavorare per vivere.

2- Eliminazione immediata delle forme più intollerabili di lavoro infantile. Adottare tutte le misure necessarie per eliminare immediatamente. il lavoro in condizioni di schiavitù o forzato, il lavoro pericoloso o dannoso, lfuso dei bambini negli eserciti, nella prostituzione, nella pornografia e nel traffico di stupefacenti. Sottolineare inoltre la necessità di rafforzare i meccanismi di protezione permanente a livello locale e nazionale per garantire i bambini in situazioni a rischio.

3- Riabilitazione e reintegrazione sociale dei bambini lavoratori. I bambini liberati saranno i destinatari di programmi di riabilitazione, istruzione e sviluppo, necessari ad assicurare il passaggio ad unfinfanzia serena; per raggiungere questo obiettivo è necessario offrire alle famiglie alternative sostenibili, rompendo così il ciclo della povertà e dello sfruttamento. Si sollecita la necessaria dotazione di fondi per i programmi di riabilitazione, da gestire con la partecipazione delle famiglie.

4- Massimo stanziamento di risorse nazionali e internazionali per garantire lfistruzione a tutti i bambini e le bambine del mondo. Chiedere che vengano destinate risorse a livello locale, nazionale e internazionale a favore di unfistruzione gratuita ed obbligatoria, accessibile a tutte le bambine e i bambini del mondo. Insistere affinché le Autorità a tutti i livelli diano priorità allfistruzione e le Agenzie Internazionali, le Banche di sviluppo e gli Stati donatori forniscano lfappoggio finanziario necessario. Si potranno ottenere ulteriori fondi per gli investimenti sociali, in particolare nel campo dellfistruzione, da una decisa riduzione del debito estero in molti paesi.

5- Ratifica e applicazione da parte degli Stati delle leggi esistenti e delle Convenzioni sul lavoro infantile. Chiedere che gli Stati tengano fede agli impegni presi, con riferimento alle leggi costituzionali, a quelle nazionali e alle dichiarazioni internazionali, e che la maggior quantità possibile di risorse sia dedicata allfattuazione di interventi immediati. Inoltre, chiedere allfOIL di premere sugli Stati aderenti e di monitorarne le azioni, in collaborazione con i movimenti dei lavoratori e altre organismi competenti, come le ONG, anche coinvolgendo i bambini stessi e le loro famiglie. AllfOIL viene anche richiesto di consultare tutti questi soggetti già nella fase preparatoria della nuova Convenzione.

6- Promozione di azioni concrete da parte di imprenditori e consumatori. Sollecitare gli imprenditori a sostituire i bambini con gli adulti, riconoscendo a questi ultimi salari dignitosi e condizioni di lavoro giuste, con lfapplicazione di misure transitorie per garantire la sicurezza e il benessere dei bambini. Promuovere, inoltre, tra i consumatori lfacquisto di prodotti ottenuti senza il ricorso allo sfruttamento infantile ma, nel contempo, con un trattamento equo degli adulti.

Potete scappare dalla prigionia della vita, ma non potete mai scappare dalla povertà.' Detto degli abitanti delle baraccopoli

Pressioni familiari - Se le madri potessero scegliere, non manderebbero a lavorare i loro bambini: preferirebbero vederli a scuola. Ma quello che glielo impedisce è sempre la povertà. I padri sono spesso alcolisti o sottoati. Anche quando l'intera famiglia lavora, il suo reddito complessivo può essere inferiore a un dollaro al giorno. Il lavoro infantile è sempre una sconfitta: se un bambino non può studiare, allora il ciclo della povertà si ripete - e non uscirà mai dalla baraccopoli.

Nessuna stanza per i sogni - Quando la famiglia del bambino è molto povera, non c'è crescita creativa, non ci sono giochi per il bambino. Non c'è tempo che il bambino possa spendere per fare qualcosa che non sia essenziale per la sopravvivenza della famiglia. Un bimbo di 8 mesi dimostrerà 3 anni. A 4 anni sarà già al lavoro. Ci sono moltissime 'botteghe scolastiche', nelle quali in teoria il bambino deve fare un po' di lavoro in cambio di istruzione gratuita. Nella pratica, invece, i bambini semplicemente lavorano per qualcuno che si arricchisce alle loro spalle.

Perchè i bambini non dovrebbero lavorare? - Naturalmente i bambini hanno lavorato per migliaia di anni - ma per loro stessi: per acquisire le proprie abilità nell'ambito protetto della loro famiglia e della comunità. Tutte le compomenti della comunità lavoravano insieme per sostenersi, con i propri sindacati (cooperative) come sistemi di garanzia e tutela. Il lavoro infantile è spesso più frequente dove l'occupazione adulta è più bassa. I genitori potrebbero avere un lavoro se i loro bambini non lavoranssero - ma i bambini costano molto meno di un adulto.

Perchè i bambini lasciano la scuola - Non ci sono scuole a sufficienza per i bambini poveri. Ma anche se c'è la scuola e una famiglia della baraccopoli può risparmiare abbastanza per are le tasse scolastiche per alcuni anni, i bambini spesso abbandonano la scuola perché gli insegnanti non sono addestrati a essere sensibili agli ostacoli che questi bambini incontrano. Una ragazza può essere costretta a recarsi a piedi fino alla scuola attraversando da sola zone pericolose dove può correre il rischio di essere violentata.

Una rete di sicurezza - Se tutto il lavoro infantile fosse improvvisamente vietato, sarebbe un problema, ma un programma di transizione potrebbe costitutire una rete di sicurezza. Ad esempio, quando l'India si incamminò verso la globalizzazione totale, andavano attivbati contemporaneamente programmi molto seri di lotta alla povertà. La gente dei paesi ricchi può sostenere questo processo appoggiando i piccoli gruppi di base che sviluppano l'autostima. Le camne dei consumatori dovrebbero anche premere perché i governi adottino un'etichetta che dica chiaramente che il lavoro infantile non è stato usato nella produzione delle merci vendute.




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