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Platone

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Platone

1 La vita e le opere
Platone per la storia del pensiero è talmente importante che A.N.Whitehead sosteneva che la filosofia europea altro non fosse che un seguito di chiose e note a margine alla sua opera.
La filosofia di Platone ha come primo scopo quello di difendere Socrate dalle accuse che lo hanno portato alla condanna a morte in primis e da chi ha malinterpretato il suo pensiero in secondo luogo.
L'intera sua filosofia può essere interpretata come il tentativo di congiungere il contrasto creatosi nell'occasione della morte di Socrate tra filosofia e politica, tra mondo ideale e reale, tra anima e corpo, ragione e sentimento, scienza ed opinione, bene e piacere, aristocrazia e popolo, attraverso la salvaguardia della assolutezza dei primi e l'avvicinamento dei secondi ai primi.
Platone nacque ad Atene o ad Egina dove il padre avrebbe risieduto nel 428/7. Il suo vero nome forse fu Aristocle, detto Platone per l'ampiezza delle spalle o dello stile. Egli veniva ricordato il 7 del mese Targelione (tra maggio e giugno), natale di Apollo ma non è detto che sia nato in quel giorno.
La sua famiglia era nobile (si tramanda che da parte di madre fosse discendente di Solone e da parte di padre del re Codro) e partecipe della vita della città ed egli fu educato a tutte le discipline (gli si attribuiscono carmi d'ogni genere).
Dopo l'efebia seguì dapprima l'eracliteo Cratilo, dipoi Socrate quando aveva vent'anni.
Se la VII lettera è autentica, da essa apprendiamo che il giovane Platone, ansioso di partecipare alla vita politica della sua città fu scoraggiato una prima volta dalla politica violenta dei trenta tiranni ed una seconda dalla democrazia che aveva processato e mandato a morte Socrate.
La morte di Socrate condusse Platone a convincersi che il solo stato giusto sarebbe stato in cui i filosofi fossero stati al potere e che perciò suo compito fosse quello di educare filosofi alla verità e trovare riferimenti politici per rifondare la polis.
Dopo essersi rifugiato a Megara Platone tornò ad Atene e poi intraprese vari viaggi: quello in Egitto è probabile, visto il numero di riferimenti alla cultura egizia presente nei dialoghi. A Siracusa, non convinse delle sue idee politiche il tiranno Dionigi il vecchio ma Dione, suo cognato. Per questo fu imprigionato e riscattato ad Egina come schiavo da Anniceri di Cirene.
Tornato ad Atene nel 387 fondò, si tramanda con i soldi del riscatto rifiutati dal suo benefattore, l'Accademia, prima scuola filosofica di cui noi abbiamo notizie certe, che diresse per vent'anni, anni in cui scrisse le sue opere più famose. Nel frattempo falliva il progetto di egemonia di Sparta, sperato da Platone e Senofonte.
Nel 367 a Dionigi il vecchio successe il lio, Dionigi il giovane il quale invitò Platone. Ma Dionigi, dilettante presuntuoso, non si convinse della bontà delle idee di Platone; esiliato Dione, Platone rimase ancora a Siracusa, poi riuscì a tornare ad Atene.
Platone fu invitato a tornare di nuovo a Siracusa, anche per evitare che qualcosa di più grave potesse accadere a Dione; nonostante la promessa Dione non fu richiamato e Platone riuscì di nuovo a tornare ad Atene grazie all'intervento di Archita da Taranto. Dione morì nel 354 in marcia contro Siracusa.
Dalla lettera VI sappiamo comunque che Erasto e Corsico di Scepsi, discepoli di Platone formularono una costituzione richiesta da Atarneo nella Misia. Questa costituzione fu apprezzata e sulla costa eolica alcuni territori vi si sottoposero volontariamente. Ermia donò ai due discepoli la città di Asso e con essi costituì una comunità filosofica, il cui tutore era Platone. Aristotele si recò ad Asso dopo la morte di Platone.
Nel 348/7 Platone moriva in Atene mentre ultimava le Leggi, secondo la testimonianza di Aristotele: la copia, lasciata sulla cera, sarebbe stata poi trascritta.
Platone è l'unico pensatore antico di cui ci rimangano integralmente le opere.
Gli scritti di Platone sono L'apologia di Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere divise dal grammatico Trasillo dell'età di Tiberio in 9 tetralogie. Non autentici sono considerati i dialoghi non compresi nelle tetralogie e quelli di cui abbiamo solo il titolo. Diogene Laerzio ci dice che le composizioni epiche, liriche e tragiche di Platone furono da lui stesso bruciate.
Dei dialoghi Panezio non riteneva autentico il Fedone; Proclo La Repubblica e Le leggi. La critica ottocentesca sulla base di incongruenze dottrinali ha ritenuto non autentici tre quarti degli scritti platonici. Un altro filone di critica sulla base della notizia di Aristotele secondo cui le Leggi furono l'ultima opera di Platone ed attraverso un esame degli stilemi (uso di particelle, espressioni ecc) ha distinto in tre gruppi le opere del filosofo, coerenti per disciplina e per stile. Perciò ora noi distinguiamo gli scritti platonici in giovanili o socratici, della maturità o costruttivi, della vecchiaia o dialettici, dubitando della autenticità dell' Alcibiade II (dove è detto che chi non raggiunge la saggezza è pazzo ma è una dottrina stoica posteriore e ci sono particolarità linguistiche più tarde), degli Amanti (vi è una caduta di stile troppo vistosa), del Clitofonte, del Minosse, del Teage (il segno demoniaco è considerato negativo ed una ina dopo positivo e vi è una notevole caduta di stile), dell'Epimonide. Le lettere ritenute autentiche sono la VII e la VIII, sulle altre c'è una notevole varietà di opinioni: comunque esse contengono particolari importanti sulle opere e la vita di Platone tranne che la prima.
Questa classificazione che seguiamo consente anche di ripercorrere il percorso filosofico intrapreso da Platone che nelle prime opere riprende il dialogo serrato di Socrate ma per il quale successivamente il dialogo diventa dialogo dell'anima con se stessa e visione della verità immutabile delle idee e perciò perde la sua vivacità e diventa superfluo, fino alle Leggi, opera in cui l'anonimo Ateniese narratore è Platone. I dialoghi platonici consentono di negare la dottrina scritta ricreando la discussione e si rivolge così a tutti non a scopo esibizionistico o confutatorio ma alla ricerca della verità. I miti stessi sono racconti verosimili delle verità filosofiche.
Dialoghi giovanili sono Apologia, Critone, Protagora, Alcibiade I, Ipparco, Ippia minore, Liside, Carmide, Lachete, Eutifrone, Ippia Maggiore, Ione, Menesseno. Essi vengono ritenuti scritti tra il 396 ed il 388.
I dialoghi della maturità sono Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo, Repubblica, Fedone, Simposio, Fedro, scritti nel periodo dei viaggi in Sicilia.
I dialoghi dialettici o della vecchiaia sono il Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi, Lettere.
Esamineremo in linea di massima tutte le opere di Platone, cercando di mettere in evidenza i concetti fondamentali ed il percorso della riflessione.



2 I dialoghi giovanili
I primi scritti da esaminare ci mostrano Socrate, per Platone maestro e simbolo della ricerca filosofica.
Nell'Apologia di Socrate vi è il ricordo del processo di Socrate: in essa è l'esaltazione della consacrazione della vita alla ricerca filosofica.
Nel Critone, collegato nel contesto all'Apologia, Socrate mostra fino in fondo la coerenza della sua ricerca non rinunciando a ciò in cui credeva e accettando serenamente la proposta di fuggire per salvare la vita.
Questi dialoghi sono aporetici giacché terminano tutti coll'ammissione dell'impossibilità di definire una virtù se non si definiscano il bene ed il male in generale.
Gli altri scritti giovanili sottolineano invece il pensiero di Socrate. Anzitutto la sua convinzione che per poter ricercare sia necessario ammettere la propria ignoranza.
Nell'Alcibiade I infatti l'ambizioso e valoroso Alcibiade si prepara a dirigere gli Ateniesi: Socrate allora lo interroga sulla sapienza appresa per questo compito facendo confessare ad Alcibiade la sua ignoranza: egli dovrà conoscere anzitutto la sua anima per imparare la giustizia con la quale governare e non ingannare il popolo.
Nello Ione il protagonista è un rapsodo che si vanta di essere competente della poesia omerica. Socrate dimostra che in realtà la sapienza del poeta giunge a lui dall'ispirazione divina ed al rapsodo giunge dal poeta ed all'ascoltatore dal poeta: se poeti e rapsodi tramandassero vero sapere allora potrebbero comandare gli eserciti.
Secondo la logica del paradosso sviene sviluppato l'Ippia minore: solo l'uomo buono può peccare volontariamente. Infatti il peccato volontario presuppone la conoscenza del bene e del male e solo l'uomo buono li conosce: pecca solo chi non sa cosa sia il bene, l'ignorante. La virtù è la conoscenza.
Una seconda serie di dialoghi dimostrano che la virtù è una sola e che non è possibile comprendere alcuna virtù isolatamente presa; inoltre diventa evidente che il fine della realtà è il bene.
Nel Lachète ad esempio Platone esamina il coraggio (andréia): è la scienza di ciò che si deve o meno temere. Perciò la scienza del bene o del male futuri: ma il bene ed il male sono tali anche rispetto al presente ed al passato; perciò la scienza riguarda tutto il bene ed il male. Il coraggioso ed il pauroso temono alcune cose solamente, il disonore il primo ad esempio e la morte il secondo, per cui temibile è solo il male e non temibile il bene ma ciò ci conduce a dover esaminare cosa siano il bene ed il male
Nel Carmide l'indagine riguarda la saggezza (sofrosyne): la saggezza per Critia è la conoscenza di se stesso, del proprio sapere e non sapere, scienza della scienza. Per Socrate tale scienza ha però bisogno di un oggetto proprio, come il vedere se è vedere vede qualcosa. La ricerca suggerisce che la saggezza debba avere per proprio oggetto il bene ma se e così scienza del bene è anche sapienza e coraggio: tutta la virtù insomma.
Nell'Eutifrone l'oggetto del dialogo è la santità (osiòtes). In un primo momento si afferma che essa è l'arte di regolare gli scambi tra l'uomo e la divinità di culto e sacrifici ed aiuti e vantaggi. Le azioni pie allora sarebbero quelle gradite a tutti gli dei (non solo ad alcuni, visto che nel pantheon greco gli dei litigano tra di loro). Ma di fronte al dubbio su se sia santo ciò che è gradito agli dei o se sia gradito agli dei ciò che é santo il dialogo non trova via di uscita se non quella di percepire che la santità non è una virtù diversa alle altre, distinta.
Nell'Ippia Maggiore Platone si chiede cosa sia il bello. Esso non può essere distinto dal bene: non è il conveniente giacché il conveniente appare bello ma non è bello e dall'utile che è il giovevole, ciò che produce il bene. Come le virtù si unificano nel sapere, così gli oggetti e fini delle azioni umane, il bello, il conveniente, l'utile si unificano nel bene.
Nel Liside Platone sostiene che l'amicizia (filìa) non si fonda né sulla somiglianza né sulla diversità: il simile non può trovare nel simile che non abbia già ed il dissimile non può amare ciò che gli è diverso (il buono non può amare il cattivo e viceversa). L'uomo desidera solo il bene ed ama il bene inferiore in vista di un bene superiore, il cui grado sommo è il fondamento anche dell'amicizia. L'amicizia ha fondamento nel bene: il solo ed unico amico è il bene, giacché il resto che amiamo è solo un'immagine di questo bene.
Altri dialoghi mostrano la distanza che intercorre tra Socrate e i sofisti, la loro impostazione, il loro metodo educativo.
Nel Protagora Socrate dialoga col noto sofista che si professa maestro di virtù e gli oppone che non insegna scienza ma abilità accidentalmente apprese, quindi neppure insegnabili; inoltre Protagora non può sostenere che le virtù insegnabili siano molte e che la scienza sia solo una di esse, perché solo la scienza si può insegnare e la virtù si può trasmettere e comunicare in quanto scienza.
Nell'Eutidemo Platone affronta l'eristica, l'arte di confutare qualsiasi tesi. Eutidemo ed il fratello Dionisodoro si divertono a sostenere per esempio che solo l'ignorante può apprendere e poi che apprende solo il sapiente; che si apprende solo ciò che non si sa e poi solo ciò che si sa. Fondamento di questo modo di fare è la convinzione che non esista errore e che ogni cosa si dica, si dice che tale cosa è, quindi è vera. Socrate oppone che con la eristica nulla si insegna e che quindi essa sia inutile: è importante solo la sapienza, che non si apprende ma si ama.
Cratilo affronta la tematica del verbalismo: ci si chiede se sia vero ciò che sostengono Cratilo, Antistene ed altri sofisti, che il linguaggio sia un mezzo per insegnare la natura delle cose. Con il linguaggio deve essere possibile discernere ed apprendere la natura delle cose: ogni nome deve imitare ed esprimere la natura delle cose. Alcuni nomi (ad es. i numeri) hanno carattere convenzionale. Tuttavia la tesi di Cratilo non può essere accettata: difatti la scienza dei nomi non è scienza delle cose e non è vero che non si possono apprendere delle cose altro che i nomi e che non ci sia altra via per l'indagine della realtà che scoprire i nomi, giacché i nomi presuppongono la conoscenza delle cose, sono solo immagini delle cose, la cui natura è oggetto della ricerca.
Il Gorgia ed il Menone ci fanno cambiare prospettiva: in Socrate il criterio è il dialogo e non la verità: il dialogo diversamente dalla verità può essere messo in discussione e nasce dall'ignoranza; inoltre il sapere di Socrate concerne ciò che dobbiamo o meno fare e non concerne il possesso immutabile della verità.
Il cammino del pensiero di Platone infatti ci ha condotto all'idea che la virtù sia scienza. Quindi diventa necessario affrontare il tema dell'apprendimento.
Nel Gorgia Platone affronta la retorica. La retorica è una tecnica di persuasione per la quale è indifferente la tesi da difendere. Per Platone riesce persuasiva solo quell'arte o scienza che affronta il proprio oggetto, mentre la retorica appunto non ha un oggetto: essa parla di tutto ma inganna solo gli ignoranti. Essa appare solo un'arte ma in realtà è una pratica adulatoria: la retorica e la cucina solleticano solo l'anima ed il corpo ma politica e medicina li curano realmente. Platone critica anche i politici greci che inducono al piacere e li contrappone a Socrate, vero politico che induceva al bene i suoi concittadini.
La retorica può servire a difendersi da un'accusa ingiusta o giusta ma non è importante tanto subire una condanna ingiusta quanto il non commettere male, su cui però la retorica nulla può dire. Il commettere male infatti macchia l'anima ed ancora peggio è sottrarsi ad una pena in caso di ingiustizia commessa, giacché toglie la possibilità di espiare la colpa.
La retorica intende la giustizia come convenzione, che solo gli sciocchi rispettano: diversamente la legge di natura è la legge del più forte, che si cura solo del proprio piacere, tende a dominare gli altri e si preoccupa solo del proprio talento. Quest'uomo per Platone non è il migliore e non è neppure il più felice giacché è come una botte bucata che non si riempie mai.
Il piacere soddisfa un bisogno, che è mancanza e quindi dolore. Piacere e dolore sono legati e non c'è l'uno senza l'altro. Il bene ed il male invece sono separati e non si identificano col piacere e dolore. Con una vita ordinata si consegue la virtù che conduce al bene.
Questa distinzione tra bene e piacere non spezza il nesso bene-felicità ma lo ripensa: è possibile che il bene non porti felicità su questa terra ma solo dopo la vita. Perciò concettualmente è molto importante: diviene legittimo pensare che l'uomo buono sarà felice nell'oltretomba e l'uomo che si è dedicato ai piaceri infelice. Ciò conduce all'idea dell'immortalità dell'anima e alla svalutazione del corpo e quindi del piacere e della sensibilità.
Nel Menone Platone affronta il tema dell'insegnabilità della virtù ed il sofisma secondo cui si può cercare solo ciò che si conosce (altrimenti non si saprebbe dove cercare o se ciò che abbiamo trovato è ciò che cercavamo) attraverso la dottrina della reminescenza: l'anima, immortale, prima dell'unione col corpo ha conosciuto le idee, o forme immutabili delle cose e le ha dimenticate poi al momento dell'unione col corpo. Basta però che si ricordi di una sola cosa, attraverso l'apprendimento, che essa è in grado di trovare tutto il resto se ha il coraggio della ricerca. La dottrina dei sofisti invece distoglie dalla ricerca ed impigrisce. Queste conoscenze col dialogo ad esempio vengono riattivate, attraverso un'anamnesi: l'esempio addotto è quello dello schiavo analfabeta che attraverso domande opportune rivoltegli da Socrate riesce da solo a dimostrare il teorema di Pitagora. La maieutica va così intesa.
La natura dell'anima è la stessa del mondo e per questo è possibile conoscere l'una attraverso l'altra.
L'apprendimento quindi è possibile ed è scienza la virtù che può essere appresa ed insegnata. Gli uomini saggi sono coloro che usano il ragionamento causale, che offre conoscenze stabili; tuttavia i sofisti o uomini nobili (Temistocle, Aristide), come i profeti ed i poeti, sebbene non saggi, possedevano una specie di ispirazione divina, detta opinione vera, per cui sul piano pratico conoscevano il bene, non sul piano teorico. L'opinione vera tuttavia non è stabile e non attecchisce senza ragionamento, è a metà strada tra la scienza e l'opinione.
Nel Menone troviamo un passo in cui Platone già allude alla dottrina dell'idea che poi nei dialoghi successivi approfondisce: sostiene infatti che in tutte le virtù vi è una forma per cui esse sono virtù e sostiene che bisogna fermare gli occhi su tale forma o idea (eidos).

3 I dialoghi della maturità
La reminiscenza, già affrontata nel Menone, è ripresa nel Fedone. Nel Fedone per la prima volta e la dottrina delle idee, presupposta, come se già gli ascoltatori la conoscessero, segno della asistematicità dell'opera di Platone ma soprattutto dell'oralità dell'insegnamento platonico. Le idee sono l'oggetto della conoscenza razionale, che è contrapposta alla conoscenza sensibile. La filosofia ha da distogliere l'anima dall'indagine sensibile e di indirizzarla verso se stessa, per cogliere l'essere in sé. Si coglie così la distinzione tra verità ed opinione.
L'anima non è armonia del corpo , giacché talvolta entra in conflitto con i desideri del corpo e l'armonia non preeesiste ai suoi elementi e non perisce col corpo: il simile può conoscersi solo col simile, l'anima è simile alle idee, perciò è una forma indivisibile e semplice. L'anima partecipa della vita quindi non può morire.
Il corpo è la prigione in cui si incarna l'anima; per liberarsi dal ciclo delle nascite e tornare nell'iperuranio a contemplare le idee è necessario purificare la propria conoscenza, attraverso l'abbandono della fiducia nelle opinioni e del piacere in vita.
Così la vita diventa preparazione alla morte.
Le idee sono criteri di giudizio e causa delle cose naturali. Difatti per giudicare dell'uguaglianza di due cose ci riferiamo all'idea di uguaglianza, così come facciamo quando dobbiamo giudicare del buono, del giusto, del bello: così le idee sono valori. Inoltre la causa dei fenomeni naturali è la ragione per cui è meglio che essi siano così disposti, il valore, l'idea appunto che vi è dietro. Ciò è ovviamente oggettivo.
Il Simposio è un dialogo sull'eros, o meglio sul suo oggetto, la bellezza.
Vi è una serie di monologhi in cui i convitati trattando dell'amore: Pausania distingue eros volgare, che è rivolto al corpo, dall'eros celestiale che è rivolto all'anima. Il medico Erissimaco ritiene l'eros una forza cosmica che stabilisce le proporzioni r l'armonia dell' uomo e della natura. Aristofane tratta della insufficienza alla base dell'eros, narrando il mito secondo cui prima esistevano esseri composti d'uomo e donna che poi per punizione della loro tracotanza sono stati separati e che ora vagano in cerca della loro metà.
Il mito di Eros narrato da Socrate nel Simposio presenta la filosofia socratica e platonica in un quadro unico.Eros è lio secondo il mito di Ingegno (pòros) e Povertà (penìa). E' lio perciò di un dio e di un mortale perciò è un dèmone, intermedio (metaxù), tra l'abbondanza e la miseria, la divinità e l'umanità, tra il desiderio e la soddisfazione. Eros rappresenta il desiderio universale di possedere il bene, di felicità, la sapienza. Sotto quest'aspetto ritroviamo l'idea di dotta ignoranza socratica.
Eros è inoltre desiderio della procreazione secondo la bellezza: la generazione secondo il corpo mantiene la specie, secondo lo spirito produce virtù e sapienza. Ciò avviene attraverso un'iniziazione : dall'amore per un bel corpo all'amore per la bellezza corporea, per le belle anime, per le opere umane, per le leggi, per le scienze. Si giunge alla fine alla rivelazione della bellezza, eterna, immutabile. L'amore è perciò una divina mania.
L'anima nella Repubblica è distinta in tre parti: quella razionale (logistikòn), destinata al comando la cui virtù è la sapienza, capace di dominare gli istinti; quella emotiva o irascibile (thymeidès), che aiuta la razionalità e la cui virtù è il coraggio, energia del volere; quella istintiva o concupiscibile (epithymetikòn), ribelle alla razionale, la cui virtù è la temperanza. Questa distinzione consente di comprendere le passioni contraddittorie. L'anima è dello stesso genere delle idee.
Nel Fedro Platone descrive la natura dell'anima, immortale in quanto ingenerata, nel mito della biga: qui la tripartizione dell'anima è simboleggiata da una biga tirata da due cavalli, uno bianco (l'anima irascibile) e da uno nero (la concupiscibile) guidata da un'auriga (la razionale). L'auriga cerca di condurre la biga verso l'iperuranio, al seguito degli dei, laddove risiede l'essere, la vera sostanza, oggetto della vera scienza, che può essere contemplata solo dalla ragione.
Ma allorché prevale la guida del secondo cavallo per colpa od oblio dal mondo dell'iperuranio in cui si contemo le idee si scende e ci si incarna. L'uomo in cui ci si incarna sarà più buono e sapiente a seconda di quanto sia rimasta la biga a contemplare il mondo delle idee. E' la bellezza che risveglia il ricordo delle idee, unica idea percepibile dall'uomo che chiama l'uomo all'amore. L'amore può certamente rimanere attaccato solo alla bellezza corporea come desiderio ma se seguito nella sua natura conduce l'anima all'essere subordinando le passioni alla ragione. L'amore allora diventa un procedimento dialettico.
La dialettica consiste di un duplice procedimento: l'induzione (synagoghè) riunisce il molteplice nell'unità dell'idea, la divisione (diàiresis) distingue l'idea nelle sue articolazioni fino ad arrivare a concetti indivisibili.
La dialettica allora come guida dell'anima è vera retorica poiché non è persuasione dell'ignoranza, ma psicagogia, guida dell'anima verso il suo destino, attraverso la bellezza.
Platone nel Fedro non riconsidera solo la retorica ma anche la scrittura, mezzo per ricordare un discorso fatto a voce anche se migliore è la parola che scrive nell'anima e semina la verità, facendo nascere frutti eterni, giacché il libro interrogato ripete sempre la stessa cosa a tutti e non risponde.
Oltre che nella Repubblica, Politico e Le Leggi, in tutti i dialoghi ci sono questioni politiche. Ciò sia per l'esperienza della condanna ingiusta di Socrate, sia per la necessità di una riforma dello Stato e dell'esigenza di soluzioni per la povertà oramai diffusa. Platone propone un modello costituzionale ragionato da seguire per contenere gli eccessi della democrazia, evitare l'insorgere di tirannidi, risolvere i problemi sociali. Certo, Platone sostiene che non importa che questo stato sia reale quanto piuttosto che l'uomo agisca conformemente ad esso.
La Repubblica non fu scritta probabilmente nell'ordine in cui oggi la troviamo composta: il suo scopo è di investigare su cosa sia la giustizia. L'uomo per soddisfare i suoi bisogni, ci dice Platone, chiede aiuto ad altri uomini; l'unione degli uomini crea lo stato. La vita sociale produce a sua volta nuovi bisogni e perciò c'è bisogno di espansione di beni, persone, spazi. I bisogni naturali diventano secondari e la società diviene complessa; per ingrandirsi diventa necessaria la guerra; perciò a fianco della classe degli artigiani si crea la classe dei guerrieri: ciascuno infatti dovrebbe svolgere solo il proprio compito e perciò l'artigiano deve essere solo artigiano e non milite. Scopo del guerriero è custodire lo stato ed essere animoso coi nemici e mite cogli amici; perciò deve essere un po' filosofo, perché deve saper distinguere gli uni dagli altri.
Per educare alla lealtà, coraggio, pietà religiosa Platone critica l'educazione greca e ne espunge la musica (si intendono le arti delle Muse).
La terza classe è quella dei filosofi che comandano, poiché consapevoli degli interessi propri e dello stato.
Ogni classe così ha una sua virtù: i filosofi la sapienza, i guerrieri il coraggio, gli artigiani la temperanza; la prima sviluppa l'anima razionale, la seconda l'animosa, la terza la concupiscente. La giustizia è la virtù che tutti devono avere ed è la virtù che consente l'equilibrio delle tre virtù.
Solo così si può raggiungere la giustizia attraverso l'unità dello Stato e dell'individuo.
Le attitudini sono la fonte della partecipazione ad una classe piuttosto che ad un'altra e tramite prove attitudinali si può passare da una classe all'altra. La prima è considerata classe aurea, la seconda argentea, la terza bronzea.
Ogni classe avrà una base materiale di vita comune, necessaria a svolgere il proprio compito. Perciò sono abolite ricchezza e proprietà: viene fatto divieto di proprietà private, tranne per la classe artigiana e saranno in comune vitto ed alloggio; gli strumenti di produzione saranno nelle mani degli individui.
Inoltre viene preurata da Platone pari partecipazione per le donne alla vita dello Stato, secondo le proprie capacità ovviamente. Anche le donne potranno essere poste come guardiani. Il benessere collettivo, che deve coincidere col bene individuale è la giustificazione di questo comunismo ante litteram che prevede comunanza di donne e li, per ottenere i migliori accoppiamenti ed educazione. Norme su matrimoni, maternità sono presenti perciò nell'opera.
Dato ciò che abbiamo detto, l'educazione dei filosofi è importantissima: fino ai vent'anni verranno educati alla ginnastica ed alla musica, dai venti ai trenta alle scienze, dai trenta ai trentacinque alla dialettica, dai trentacinque ai quaranta a turno governeranno lo stato.
Nel libro VIII e IX Platone descrive la degenerazione dello stato non guidato da filosofi. Ogni costituzione ha un suo uomo tipo: l'uomo timocratico vuole onori e denaro, in lui prevale il temperamento animoso ed è diffidente verso i sapienti, perciò la timocrazia nasce quando i governanti si appropriano di case e terre; l'uomo oligarchico vuole soddisfare ogni suo desiderio, in lui prevale l'elemento appetitivo ed è laborioso, avido di ricchezze e parsimonioso, perciò l'oligarchia è fondata sul censo e la comandano i ricchi; l'uomo democratico è libero, ma tende ad abbandonarsi ai piaceri, e quindi la democrazia può degenerare nella tirannide, in cui per guardarsi dall'odio dei cittadini il tiranno si circonda di uomini pessimi divenendo schiavo delle passioni.
Nella parte centrale Platone delinea il ruolo del filosofo. Filosofo è colui che ama la conoscenza nella sua interezza. Ciò che è è conoscibile, perciò all'essere corrisponde la scienza, al non-essere l'ignoranza, al divenire l'opinione.
Nella Repubblica Platone distingue scienza (epistéme) e opinione (dòxa) col mito della caverna. Un uomo legato in una caverna che vede solo le ombre delle statue che sono al di fuori le reputa reali; se si libera ed esce, vede prima le statue, poi le sembianze delle cose che non riesce a distinguere bene perché accecato, poi vede chiaramente le cose. Questi corrispondono ai quattro gradi della conoscenza, i primi due di pertinenza dell'opinione, i secondi due della conoscenza. Il primo momento è quello dell' immaginazione (eikasìa), il ritenere le ombre reali, il secondo è la credenza (pistis), in cui si conoscono gli oggetti sensibili, si crede all'opinione ma in maniera non posta a verifica; il terzo la ragione discorsiva (diànoia) con cui si conoscono gli oggetti delle scienze particolari, attraverso ipotesi verificate; il quarto la mente (nous) con la cui intuizione si vedono e conoscono le idee.
Le ombre sono copie delle cose naturali che sono copie degli enti matematici che sono copie delle sostanze eterne. Difatti le cose naturali riproducono rapporti matematici, per cui ricorriamo alla misura per giudicarle, e gli enti matematici riproducono l'ordine dell'essere.
Nell'educare il filosofo Platone classifica le discipline a seconda dell'adesione al metodo matematico: dalla retorica alla medicina (più in alto tra le tecniche perché fa l'uso maggiore della matematica); al di sopra la matematica (scienza del numero), la geometria (del numero e dell'estensione), la stereometria (scienza dei solidi), l'astronomia matematica (solidi in movimento), l'armonia (scienza della combinazione dei suoni). Queste scienze non devono essere studiate però con fine pratico o di lucro e deve non riferirsi a cose materiali: esse conducono la sensibilità all'intelletto e dall'opinione al mondo della verità. Pienamente si può raggiungere lo scopo solo con la filosofia che muove la ragione verso ogni cosa e che non distoglie finché non si sia raggiunto il Bene in sé, quel Bene che come il sole rende visibili gli oggetti e dà loro vita e nutrimento, senza identificarsi con essi. Le scienze particolari da ipotesi di principi conducono al mondo sensibile attraverso ragionamenti ed immagini, la dialettica considera le ipotesi come punti di partenza per giungere al non ipotetico Bene in sé, usando solo ragionamenti e partendo da idee per giungere alle idee.
Chi è sinottico (cioè ha avuto la visione d'insieme delle idee) è dialettico, ha cioè le capacità di comprendere la ragione delle cose e di conferirne con gli altri. Difatti l'uomo uscito dalla caverna deve ritornare poi nella caverna, che comunque è il suo mondo per aiutare gli altri. Lo Stato infatti non deve essere guidato da gente che crede nelle ombre e si contende il potere come fosse un bene.
Platone condanna le discipline che agiscono contrariamente al bene dello stato: la medicina quando vuole tenere in vita gli inguaribili (ciò è contro natura), la musica e la poesia quando presentano gli eroi come paurosi, bugiardi, intemperanti o gli dei come fonte di bene e di male, di inganno, menzogne, come esseri che si trasformano (essi non mutano mai poiché non conoscono nascita o corruzione): tra la forma drammatica, epica e ditirambica è la prima che va maggiormente condannata, giacché non presentando i fatti in prima o terza persona pare più veritiera delle altre e quindi inganna maggiormente.
Ma più in generale nel X libro vi è la condanna dell'arte: essa è imitazione della realtà visibile che come sappiamo è imitazione della vera realtà: quindi è copia di una copia, lontana dalla realtà.
La giustizia come fedeltà dell'uomo al proprio compito introduce il problema del destino. Anche questo problema viene affrontato, nel decimo libro della Repubblica, mediante un mito.
Er muore in battaglia e dopo dodici giorni resuscita, raccontando così agli uomini cosa avvenga dopo la morte.Ogni anima al momento della reincarnazione viene invitata a scegliere che vita seguire, tra i tanti modelli proposti loro. I primi hanno scelta più ampia ma anche l'ultimo ha la possibilità di optare per una vita che lo renderà felice. Chi è stato felice magari si lascia lusingare dal potere o dalla ricchezza, o Ulisse può scegliere una vita modesta dopo le esperienze vissute. Così in qualche modo vi è libertà giacché è presupposta prima della incarnazione nella vita vissuta. Perciò noi dobbiamo vivere in modo di essere l'uomo che saprà scegliere in quel momento che vita accogliere.

4 I dialoghi dialettici
Nel Parmenide Platone immagina un serrato dialogo con Parmenide che critica la dottrina delle idee: Platone (attraverso le osservazioni di Socrate) afferma che essa è l'unica via per riuscire a spiegare la realtà e la conoscenza e mostra attraverso l'uso dell'ironia socratica le difficoltà che si pongono nell'ammettere come plausibile le tesi di Zenone.
Le idee non possono essere solo frutto del pensiero. Un pensiero, se uno, deve essere il pensiero di un'unità e tale unità deve essere reale. Allo stesso modo, l'idea una non può essere nelle cose sensibili, altrimenti diventerebbe molteplice. La somiglianza idea-cose è una nuova idea? Esistono solo idee valori o anche idee-cose, anche se turpi? Socrate non sa rispondere.
Inoltre vi è il problema della inconoscibilità dell'idea nel momento in cui essa non è presente nell'uomo, giacché è impossibile la scienza di ciò che sia totalmente separato dall'uomo. Tuttavia va detto che Platone non aveva mai affermato la separazione idee-realtà, come non fa neppure qui, tanto che abbiamo visto come considerasse le idee cause del mondo naturale e l'anamnesi possibile solo in virtù del rapporto anima-essere.
L'essere per Platone è l'uno ed il mondo sensibile è la moltitudine. Senza l'uno, nulla è poiché non potrebbe essere neppure il molteplice senza l'unità e lo stesso molteplice è un'unità numerica, quindi non può essere senza l'unità.Tuttavia l'unità non è perché vive del rapporto colla molteplicità che è pur sempre unità perché una molteplicità, così come la molteplicità non è senza l'unità.
Attraverso questa via noi possiamo comprendere come venga negata l'impossibilità di identità tra essere e non essere.
Il Parmenide ci mostra così come sia impossibile guardare all'essere senza rapporto con il mondo e la molteplicità.
Nel Teeteto, dialogo del quale è protagonista Socrate dimostra, parallelamente al Parmenide che è impossibile scienza senza rapporto con l'essere.
Nel Teeteto infatti Platone critica la gnoseologia sensistica (secondo cui la sensazione è conoscenza): Protagora ritiene che è vero ciò che appare ma è contraddittorio perché sarà vera secondo quest'opinione anche chi penserà esattamente il contrario. I sensi fungono da strumenti delle affezioni; poiché queste affezioni coinvolgono spesso più sensi esse non sono percepite da nessun organo particolare bensì dall'anima che stabilisce un rapporto (sylloghismòs), una connessione tra i dati. Perciò solo l'anima è in grado di affermare l'esistenza o meno di una cosa (l'essere), che una cosa sia identica a se stessa e diversa da altre cose (relazione), la somiglianza o diversità (qualità), l'unità o molteplicità (quantità).
Tuttavia in questo dialogo non si fa riferimento al criterio oggettivo: si sostiene che ogni opinione è valida quanto un'altra mentre la scienza soltanto contiene una misura; Platone inoltre confuta la tesi che la scienza sia opinione accomnata da pensiero, perché sarebbe confinata nel mondo soggettivo e quindi nel mondo del confutabile. E' necessario un criterio oggettivo e l'opinione vera deve avere un rapporto con la realtà.
Nel Sofista Platone sostiene che l'essere non può essere privo di movimento, vita, anima, intelligenza. Riguardo all'intelligenza, perché altrimenti sarebbe inconoscibile dall'uomo (abbiamo già visto nel Teeteto). L'intelligenza è vita e quindi movimento; ma il movimento non avviene in ogni senso, quindi diciamo meglio che è movimento e quiete. Ognuna di queste categorie è identica a se stessa e diversa dall'altra, per cui identico e diverso sono le ultime due categorie.
Platone critica definitivamente la tesi parmenidea. Se una cosa è se stessa e non è un'altra, noi sosteniamo che essa partecipa dell'identico (tautòn) e del diverso (hèteron), sosteniamo cioè che è se stessa ed è diversa dalle altre, non che è e che non è.
In tal guisa Platone fonda le basi della dialettica, distinzione delle idee tra di loro e dall'unica idea, con cui diviene possibile dedurre e dividere i generi sommi della realtà.
Riguardo alla predicazione la comunanza e diversità di generi ed idee consente di connettere soggetti e predicati, nomi e verbi. L'errore non è più un pensare ciò che non è e come tale inspiegabile ma un dire e pensare il diverso.
Nel Filebo Platone si chiede se siano il piacere o la scienza il bene per l'uomo. Entrambi presentano una finitezza ed infinitezza e dall'una all'altra vi è una lunga scala intermedia. Ricordiamo infatti che il finito, limitato è ordine e misura dell'illimitato e come numero toglie l'opposizione tra uno e molti giacché anche il molteplice come numero è un'unità.
Platone considera bene la misurata mescolanza di queste due realtà e ne indica la causa nell' intelligenza: senza intelligenza si ignorerebbe se si stia godendo o meno e si sarebbe simili ad animali o meno; una vita immune dal piacere è impensabile, saremmo divinità in tal caso.
Il piacere ammette più e meno e fa parte del genere illimitato: esso è indissolubilmente legato fin dalla nascita col dolore e se si accomnano ad esso sensazioni, opinioni, ricordi può essere distinto in vero o falso; il piacere puro solamente, limitato, non è mescolato al dolore del bisogno: piacere puro è quello della bellezza, del colore,dell' istruzione. Comunque il piacere non è il bene, giacché è un divenire, non un essere: rientra nella mescolanza ma è lontano dal bene.
Al primo posto per vicinanza è la misura (esattezza di proporzione tra piacere e scienza); poi la simmetria e la bellezza risultanti; poi l'intelligenza, causa della bellezza e della proporzione; poi le scienze, pure ed applicate fino all'opinione che pure è necessaria nella vita pratica; infine il piacere puro.
La scienza del giusto insomma diventa per Platone scienza della misura.
Il Timeo ha un carattere enciclopedico.
Nell'essere è l'uomo, perciò nell'essere è anche la natura; come l'essere stabile può venir conosciuto tramite la scienza, la natura che non è stabile col mito, che esprime la verosimiglianza, non la verità.
La prima parte del Timeo, lungo mito, riprende i motivi della Repubblica. L'analogia individuo-uomo è estesa all'universo: lo stato perfetto è identificato nell' Atene preistorica, in cui dittatori erano gli dei e in cui vigeva il comunismo perfetto in lotta con Atlantide, regno della legalità e della proprietà privata.
Platone distingue tra ciò che è e non ha nascita e ciò che nasce e mai è; tra ciò che è apprendibile con il nous in base al logos e ciò che è opinabile in base alla sensazione, che nasce e muore e non è mai.
Il cielo, Kòsmos, incorporeo ha nascita da un creatore, Demiurgo.
Non si sa chi o cosa sia q uesto demiurgo ed è impossibile indicarlo però possiamo dire che è buono, che il mondo è il più bello tra quelli noti e perciò è stato formato ad imitazione del mondo eterno.
L'Intelligenza divina, sulla base di un suo progetto ha voluto il Cosmo così com'è. Il mondo è vivente, modellato sul Vivente che sempre è. Il demiurgo ha dato al mondo un'anima che ha l'essenza dell'indivisibile (ciò che sempre è), del divisibile (ciò che diviene) e un'essenza mista (che partecipa dell'identico e del diverso).
L'anima del mondo risponde a ferree proporzioni matematico-armoniche ed è rappresentata da due cerchi incrociati ad X in cui l'esterno è l'identico, l'interno il diverso, in cui sono sette cerchi ruotanti l'uno in senso contrario rispetto all'altro, tre con la stessa velocità, quattro con velocità diverse: i cerchi sono orbite etarie. L'anima di diffonde perciò nel cosmo dando ad esso un movimento regolare e circolare. Il cosmo è composto di terra e fuoco cui sono aggiunti aria ed acqua secondo proporzioni definite.
Il cosmo non è eterno come il proprio modello; il tempo è misurato dal muoversi degli astri, composti di fuoco, sferici che hanno corpo ed anima e che sono ausiliari del Demiurgo, ne eseguono i decreti e formano la scala dell'essere. Il divenire si svolge nel ricettacolo universale, luogo (chorà) che è una mescolanza di spazio e materia che non ammette distruzione.
La Necessità (Anànke) regna nel ricettacolo universale e sistema la materia su cui poi agisce il Demiurgo; essa rappresenta il limite alla possibilità di produrre un ordine perfetto.
Ci sono perciò due ordini di cause degli eventi: finalistiche (in cui opera l'intelligenza) e, subordinatamente, le meccanicistiche (in cui opera la necessità): la fisica ha perciò un fine e l'ordine della necessità è subordinato al bene.
Gli elementi delle cose (stoichèia) sono unità geometriche secondo leggi e proporzioni specifiche: poliedri regolari costituiscono difatti fuoco, terra, aria, acqua e Platone sostiene che il dodecaedro, la ura geometrica più simile alla sfera servì al Dio per dipingere l'universo.
Il Demiurgo con i residui degli elementi formanti l'anima del mondo dei semi che infonde negli dei degli astri e che costituiranno la parte egemonica dell'anima umana, razionale, collocata nella testa e immortale, responsabile della funzione conoscitiva (parente dell'anima del mondo). Altre due parti vi sono nell'anima umana, non immortali: la parte volitiva (irascibile), unita a quella egemonica tramite il collo, collocata nel torace; la parte istintiva, collocata nel ventre e separata dalle altre due dal diaframma.
Nel Politico Platone afferma che il comando debba spettare solo a chi conosca la scienza politica, simile al divino pastore che ai tempi di Crono guidava il gregge umano. La scienza politica consiste nel trovare il giusto mezzo nelle azioni umane, contemperando la prontezza dei cittadini coraggiosi e la saggezza dei prudenti. La scienza offre il criterio di scelta tra le costituzioni. La costituzione perfetta non avrebbe bisogno di leggi che sono inadeguate per natura, essendo rigide mentre la realtà è mobile e varia. Ma con la fine dell'età di Crono e con la venuta dell'età di Zeus la legislazione è il male minore: l'osservanza delle leggi permette di distinguere l'aristocrazia dall'oligarchia, la monarchia dalla tirannide, la democrazia dall'oclocrazia (governo della massa informe). La democrazia è la forma migliore di governo perché, sebbene la monarchia in assoluto sarebbe la miglior forma, la divisione del potere consente che chi disubbidisce alle leggi possa essere controllato e sostituito, diversamente dalla monarchia ridotta in tirannide; questo impedire i grandi mali però non toglie che non si riusciranno a produrre grandi beni colla democrazia.
Le Leggi, complemento del Timeo, fu edita da Filippo di Opunte. Opera più lunga (12 libri), in essa Platone vuole indicare uno stato di un grado solo distante dalla perfezione, attuabile. Egli riabilita la legislazione e l'opera stessa è un codice di leggi su ogni campo del diritto, comprendente una ricca analisi delle istituzioni e delle norme educative.
La legge e la sanzione sono necessarie: la legge però non solo deve comandare ma anche educare e persuadere al bene; così la sanzione non deve essere vendetta ma correggere, spingendo ad amare la giustizia ed a liberarsi dall'ingiustizia.
L'educazione dorica, sostiene Platone, suscita il coraggio e le virtù guerriere. Senonchè la guerra danneggia individui e città e le virtù di guerra servono ad affrontare i nemici, non il piacere e la dissolutezza, vere cause della rovina degli stati. La politica deve educare secondo un principio morale, controllando tutto, compresa l'arte. La legge educa alla virtù, custodendola e rendendola abitudine. La virtù poi è il giusto mezzo tra gli opposti estremi, data solo da Dio.
La costituzione ideale deve essere mista, come quella spartana: monarchico nel potere dei Re, aristocratico nel consiglio degli anziani, democratico nell'eforato, dovrebbe garantire obbedienza alla legge e diritti comuni. Platone descrive minuziosamente l'organizzazione di tale stato: va costruito lontano dal mare, in una regione che consenta omogeneità degli abitanti, uguale porzioni terra, numero fisso di famiglie (5040 è il numero più divisibile), norme per il matrimonio, per la successione ereditaria dei beni, per la ricchezza, l'economia pubblica, il diritto penale. La famiglia qui è ammessa, sparisce la tripartizione in classi, la difesa dello stato deve essere compito di tutti. La proprietà fondiaria va controllata e limitata Le autorità valutano il capitale di ognuno e riequilibrano le ricchezze.
Le magistrature hanno da sorvegliare e conservare lo stato: la massima è il Consiglio notturno, composto dai più virtuosi sacerdoti, dai dieci più anziani custodi di leggi, dai curatori dell'insegnamento; al di sotto altri consigli che si distribuiscono il potere e si dividono i compiti (il consiglio dei censori ad esempio ha il diritto di accusare i magistrati).
Fondamento dell'educazione è la religione. Ogni cosa nel mondo è mossa da un'altra. Andando a ritroso giungiamo fino all'anima che muove e non è mossa; essa è l'intelligenza suprema che ordina tutto. Questa religione di stato non ammette indifferenza: gli dei si occupano dell'uomo, non sono indolenti e non sono certo inferiori all'uomo che vuole rendere perfetta anche la sua opera più piccola. Non ammette superstizione: gli dei non vanno propiziati con doni votivi come fossero cani, tanto più che neppure gli uomini accettano doni offerti con doppio fine.
Nella VII lettera le esigenze di riforma si incontrano con un pessimismo sempre più radicale. Come Dionigi, tutti quelli che hanno scritto i risultati della ricerca di Platone mostrano di non averla compresa: perciò egli non scriverà mai alcun sunto della sua riflessione. La scienza si può raggiungere con la parola, la definizione, l'immagine. Il sapere è al di là di questi mezzi: ancora oltre ci è l'oggetto conoscibile. Ad esempio, il cerchio viene con una parola indicato, viene definito, rafurato; compreso attraverso opinione, scienza ed intelligenza; esse traggono la loro fonte dalle anime. Tuttavia parola, definizione, immagine, sapere si correggono a vicenda, giacché nessuno di essi è stabile e sicuro. Solo al termine di questo lungo processo vengono fuori saggezza (frònesis) ed intelligenza (nous), cioè moralità e conoscenza, congiunte. L'uomo non può raggiungere l'intelligenza se non per la sua parentela con l'essere; inoltre è necessaria anche la benevolenza nella discussione, capacità di mettere in discussione le proprie posizioni e di cercare la verità.
Nella VII lettera Platone afferma di non avere mai scritto la sua dottrina. Aristotele infatti (discepolo di Platone negli ultimi vent'anni di Platone) ed altri autori ci narrano di dottrine non scritte (àgrapha dògmata), tra cui la lezione Sul Bene. Questa interpretazione è sostenuta dalla scuola di Tubinga (H.J. Kramer e K.Gaiser) e difesa in Italia da G.Reale. La realtà sarebbe il prodotto dell'azione dell'Uno e della Diade indeterminata, due principi supremi. Il primo corrisponderebbe al Bene, causa di tutto ciò che è ordinato, unitario, identico e positivo; la Diade rappresenterebbe il molteplice ed il disordinato. Le idee sarebbero generate da un principio di unità e molteplicità e da identificarsi con i numeri.
Tuttavia lo scrittore essoterico, sebbene non escluda il Platone sistematico ed esoterico ha sempre ottenuto un grande riconoscimento ed a ciò si riferisce per costruire il suo pensiero.

5 L'Accademia
Quasi un millennio resistette l'Accademia fondata da Platone, sorta nei giardini di Academo.
Essa fu strutturata verosimilmente come un tiaso, in cui si volgesse attività religiosa, profana e ricreativa.
Sotto la prima influenza delle comunità pitagoriche l'educazione politica fu il primo interesse dell'Accademia. I futuri uomini di stato venivano probabilmente educati in tutte le materie, con un particolare accento su matematica e geometria, sviluppate in vita di Platone da Teeteto di Cirene. Le stesse Divisioni, comprendenti gli Hòmois (somiglianze) testimoniano come le opere riflettessero gli interessi di Platone ed in particolare la diairetica, divisione in generi e specie.
Eudosso di Cnido entrò negli stessi anni di Aristotele. Entrò in conflitto con Aristotele per il suo tentativo di riformare la dottrina delle idee (secondo Aristotele sosteneva che le idee fossero mescolate alle cose) ma soprattutto portò l'insegnamento astronomico nella scuola. Per spiegare il movimento irregolare dei corpi celesti ipotizzò moti sferici aventi al centro la terra ma con assi obliqui rispetto ad altre sfere. Questa tesi verrà diffusa dai Fenomeni di Arato di Soli. Egli inoltre sviluppò una teoria delle proporzioni con una formulazione dei numeri irrazionali e sosteneva che il piacere fosse il bene perché da tutti desiderato, anche se poi egli stesso non fosse un amante del piacere.
Alla morte di Platone la direzione della scuola passò a Speusippo. Egli sosteneva che il numero matematico, distinto da quello sensibile, fosse il modello ideale della realtà.
Tuttavia la realtà sarebbe strutturata secondo diversi ordini (numeri, grandezze, anima e corpi sensibili) ciascuno con principi propri non in comunicazione tra loro. Gli stessi numeri non avrebbero rapporto diretto con le cose.
Sosteneva che la 'sensazione scientifica' (termini contraddittori secondo il pensiero platonico) fosse il fondamento della conoscenza della realtà. La divinità è la ragione, che regge il mondo. Il bene inoltre non è il principio della realtà ma il punto a cui essa tende. Nelle Similitudini, in dieci libri, di cui abbiamo alcuni frammenti, classificava le specie animali e vegetali. Formulò critiche alla teoria delle idee.
Alla sua morte (339-8 a.C.), avvenuta per suicidio in seguito a paralisi, la direzione dell'Accademia finì nelle mani di Senocrate, fino al 315-4, anno in cui morì. Abbiamo solo frammenti della sua opera.
Egli distingueva il sapere (vero), l' opinione (falsa) e la sensazione (mista). Attraverso il sapere noi conosciamo la sostanza intelligibile, attraverso l'opinione la sostanza sensibile, attraverso la sensazione la sostanza mista. Sulla base di questa tripartizione egli divide la fisica in dialettica, fisica, etica.
La teoria dei numeri nel suo pensiero è antropomorfizzata: l'unità è una divinità maschile, la dualità femminile e tra uomo e divinità esistono numerosi démoni.
L'anima è un numero che si muove da sé, evidentemente un ordine. Senocrate identificava addirittura numeri ed idee. Ci sono numeri idee e numeri che usiamo per contare: dei dieci numeri idee, l'unità e dualità erano a fondamento della divisibilità e indivisibilità, dalla cui unione il numero proprio.
Parallelamente l'unità viene identificata geometricamente col punto e gnoseologicamente con la ragione, la dualità con la linea e la conoscenza, la triade con il corpo e la percezione sensibile. ½ è infatti un mondo sovraceleste intelligibile, un mondo celeste intelligibile e sensibile, un mondo inferiore sensibile. Cielo e stelle sono divinità ma demoni e divinità sono presenti anche nel mondo inferiore.
In questo modo la scuola svalutava le tematiche politiche (il regno macedone ed ellenistico spingeva a riconsiderare tali idee), della dialettica e accentuare invece la dottrina dei principi della realtà strutturata come matematica e della filosofia come contemplazione.
Eticamente sosteneva che desiderare qualcosa di cattivo equivaleva a compiere il male e riteneva la felicità il possesso della virtù e dei mezzi per raggiungerla, cui giunge pienamente solo il filosofo. Tra i beni dell'anima, del corpo e della vita esteriore infatti la virtù è il bene sommo.
Filippo di Opunte fu anche autore dell'Epinomide, in cui si esclude che le arti e le scienze conducano alla sapienza (servono solo al benessere), cui conduce solo la scienza del numero.Il numero è ordine, perciò non conoscerlo significherebbe caos ed immoralità. Il rigore dell'ordine è sommo nei corpi celesti, il cui movimento perfetto proverebbe l'esistenza di un'anima vivente conferita loro dalla divinità: essi stessi sono dèi o immagini di dèi. L'aria e l'etere sarebbero quindi divinità invisibili, di cui si supporrebbe una gerarchia di demoni. La pietà religiosa così si raggiungerebbe studiando l'astronomia, coadiuvata da aritmetica e geometria. I governanti infatti dovrebbero studiare queste materie.
Eraclide Pontico, rettore dell'Accademia mentre Platone era in Sicilia nel 361 fu esperto in tutte le materie, non degno di fede su tutte le sue notizie, interprete in termini demonologici e astrologici delle idee di Platone. Scrisse degli inferi (Sull'Ade) e della discesa di un uomo dalla luna. Ripensò Democrito, ponendo corpuscoli non allegati al posto degli atomi, ordinati da un'intelligenza superiore. Astronomicamente ammise il movimento diurno della terra, la rotazione di Mercurio e Venere intorno al sole (per questo ricordato da Copernico), sostenne che i pianeti fossero composti di terra ed aria. L'anima sarebbe formata da etere, materia sottilissima. Nei Simulacri contro Democrito criticò la conoscenza come flusso di atomi.
Dopo Senocrate fu scolarca Polemone fino al 270-269, sostenitore della vita conforme a natura e dell'ideale della vita calma trascorsa con umore immutabile; poi Cratete fino al 268-4, poi Arcesilao.
Crantore tra il IV ed il III a.C. scrisse Sul Dolore, prima opera del genere delle consolazioni, in cui suggeriva la moderazione degli affetti ma soprattutto svalutava la vita per giungere all'accettazione della morte. In un frammento esalta il dolore sostenendo che quello fisico difende la salute, il morale libera l'anima. Secondo Sesto Empirico, nel rafurare i Greci che in festa dovevano decidere tra i beni sommi, poneva al primo posto la virtù, poi la salute, poi la ricchezza. Egli scrisse il primo commentario ad un'opera di Platone, il Timeo.





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