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Le religioni dell'antichità erano di tipo principalmente politeista, e cioè in cui si adoravano diverse ure divine, ad eccezione di quella ebrea, che era monoteista, e cioè in cui si adorava un solo dio. Prima di parlare in particolare delle religioni dei grandi regni ed imperi dell'inizio della storia, è necessario introdurre il concetto di religione.
L'uomo si è sempre posto degli interrogativi, come ad esempio "chi siamo?" o "perché ci troviamo qui?", e ancora oggi continua a porgerseli. Noi oggi cerchiamo di rispondere a questi quesiti con la scienza e con la filosofia, ma agli arborei della civiltà umana, l'uomo primitivo rispondeva a questi interrogativi con la religione.
Quel che si sa di certo è che da sempre l'uomo ha seppellito i propri simili in seguito alla loro morte, e questo fa pensare che fin dagli inizi l'uomo ha avuto un vero culto dei morti, e cioè un religione che sosteneva che dopo la morte ci fosse un'altra vita; infatti ci sono stati molti ritrovamenti di tombe in cui non c'era solo il morto, ma anche degli utensili di uso quotidiano o anche di cibarie, questo starebbe a dimostrare che gli uomini preistorici non credevano, come succedeva nelle civiltà successive, che ci fosse solo la sopravvivenza dell'anima, ma anche quella del corpo.
A questo culto dei morti era probabilmente legato un culto degli antenati, dove venivano adorati i capostipiti del proprio clan; di fatto gli antenati adorati non dovevano essere necessariamente umani, in quanto spesso si sosteneva che la discendenza di un gruppo partisse da animali o altri enti non umani.
Inoltre, molto probabilmente, c'erano anche dei riti propiziatori, svolti cioè prima di aprire una battuta di caccia o una battaglia, di cui si trova testimonianza nella quantità enorme di pitture rupestri ritrovate in grotte buie e profonde, che portano a pensare che la loro funzione fosse magica e non di abbellimento.
Tra le principali religioni dell'antichità si può ricordare come la più conosciuta quella egiziana, famosa per la sua misteriosità. Gia in seguito all'unificazione dell'Egitto, questo possedeva un pantheon, e cioè l'insieme di tutte le divinità adorate, ricchissimo, un'insieme di pratiche di culto ed un cerimoniale religioso riferiti soprattutto al faraone
Il capo dello stato veniva considerato anche come capo religioso e dio in terra, la personificazione di Horus, dio del cielo. Cosi il faraone veniva detto "Horus nel palazzo" e si faceva ritrarre come un essere per metà umano e per metà falco, mentre alla sua morte si diceva che "il falco è volato in cielo". Il faraone però non poteva essere presente in tutte le cerimonie sacre, così delegava i propri compiti ai sacerdoti, che avevano molto potere, tuttavia questi non potevano ordinare la costruzione di palazzi o edifici di culto, e neppure ampliarli, in quanto questi poteri erano concessi solo al faraone.
Originariamente, secondo la religione egizia, esisteva solo l'oceano; ma Ra, il Sole, nato da un uovo apparso sulle acque, generò quattro li. Due di essi, Gheb e Nut, generarono due li, Seth e Osiride, e le lie Iside e Nefti. Osiride privò Ra del dominio sul cosmo, ma venne ucciso e fatto a pezzi da Seth; Iside, sua sposa e sorella, ne ricompose il corpo e lo imbalsamò, aiutata dal dio Anubi, restituendogli la vita con potenti incantesimi; Osiride divenne così re dei morti e Horus, lio di Osiride e Iside, sconfisse Seth in battaglia e divenne re della Terra.
Le numerosissime divinità egizie derivano molto probabilmente da miti e leggende della civiltà preistorica africana e nilotica. Tra le dottrine principali di questa religione troviamo dei culti stellari, solari e sul mito Osiride.
Dal mito della creazione derivarono le enneadi (formazioni di nove divinità) e le triadi (padre, madre e lio), che includevano le divinità locali minori; l'enneade più importante rimase la numerosa stirpe di Ra, adorata a Eliopoli, centro dell'adorazione del Sole nel mondo egizio. Gradualmente, esse si fusero in un unico e ramificato pantheon che, oltre alle divinità già citate, comprendeva gli dei Amon, Thoth, Ptah, Khnemu, Api e le dee Athor, Mut, Neit e Sekhet. L'importanza di ogni triade o enneade aumentò proporzionalmente alla rilevanza politica delle località nelle quali essi venivano adorati; con il complicarsi della religione, uomini famosi che erano stati glorificati dopo la morte divennero semidei e anche i faraoni, a partire dalla V dinastia, vollero farsi venerare come li di Ra. Gli dei minori, alcuni dei quali semplici demoni, trovarono posto in alcune gerarchie divine locali.
Gli dei egizi venivano rappresentati con busti umani e teste umane o di animali, che rappresentavano talvolta i tratti della divinità, oppure per mezzo di simboli come il disco solare o le ali del falco, posti sui copricapi dei faraoni.
A partire dal Medio Regno (2134-l668 a.C.) il culto di Ra, signore delle divinità cosmiche, divenne religione di stato, e la divinità venne gradualmente assimilata alla ura di Amon sotto le dinastie tebane, fino a diventare il dio supremo Amon-Ra. Durante la XVIII dinastia il faraone Amenofi III ribattezzò il dio Sole con il nome di Aton; suo lio e successore, Amenofi IV, proclamò Aton unico vero dio, mutando il proprio nome in Akhenaton ('Aton è soddisfatto'), facendo cancellare il termine plurale 'dei' dai monumenti e perseguitando senza tregua i sacerdoti di Amon; inoltre fondò anche una nuova capitale, l'odierna Tell El-Amarna, che ribattezzò in Akhetaten. Pur esercitando una grande influenza sull'arte e sul pensiero del suo tempo, il culto solare monoteistico di Akhenaton non sopravvisse e l'Egitto tornò, dopo la sua morte, all'antico politeismo.
La sepoltura dei morti in Egitto costituiva una pratica rituale importantissima, la più elaborata che il mondo abbia mai conosciuto. Gli egizi credevano che la forza vitale fosse composta da diversi elementi psichici, il più importante dei quali era il ka, un doppio del corpo che gli sopravviveva dopo la morte ma che senza di esso non poteva esistere; per conservare il cadavere, perciò, i corpi venivano imbalsamati e mummificati seguendo un metodo tradizionale che si riteneva risalente alla mummificazione di Osiride. Inoltre, nella tomba venivano poste copie in pietra o legno del corpo, come sostituti nel caso in cui la mummia fosse andata distrutta, e si erigevano tombe estremamente complesse per proteggere il cadavere e quanto lo circondava.
Poiché si riteneva che, dopo aver lasciato la tomba, le anime dei morti fossero in balia di infiniti pericoli, le tombe erano tutte dotate di una copia del Libro dei Morti, vera e propria guida per il mondo dell'aldilà. Dopo l'arrivo nel regno dei morti, il ka veniva giudicato da Osiride e dai 42 demoni che lo assistevano. Se essi decidevano che il defunto era stato un peccatore, il ka era condannato alla fame e alla sete o a essere fatto a pezzi da orribili carnefici; se invece la decisione era favorevole, il ka migrava nel regno celeste dei campi di Yaru, dove il grano cresceva altissimo e l'esistenza era una versione festosa della vita sulla Terra. Tutti gli oggetti necessari per la vita nell'aldilà venivano perciò posti nella tomba. Come amento per l'aldilà e per la sua benevola protezione, Osiride chiedeva che i morti svolgessero mansioni per lui, ad esempio lavorare i campi di grano. Anche questo compito, tuttavia, poteva essere evitato ponendo alcune statuette, chiamate ushabti, nella tomba affinché fungessero da sostituti per il defunto.
Un'altra famosa religione dell'antichità e quella sumerica; secondo i sumeri, il pantheon che governava l'universo comprendeva un gruppo di divinità invisibili, immortali e dotate di poteri sovrumani, che guidava e controllava il mondo secondo un piano prestabilito.
I sumeri veneravano quattro divinità principali, conosciute come gli dei creatori dei quattro elementi: An, dio del cielo; Ki, dea della terra; Enlil, dio dell'aria; Enki, dio dell'acqua. L'atto della creazione avveniva pronunciando la parola divina; la divinità creatrice doveva solo pianificare e pronunciare il nome dell'oggetto da creare. L'armonia del cosmo era garantita dal me escogitato dagli dei, ossia da un sistema di regole e leggi universali e immutabili a cui ogni essere doveva assoggettarsi.
Le tre divinità celesti, subordinate alle divinità della creazione, erano Nanna, dio della luna; Utu, dio del sole, e Inanna, regina del cielo e dea dell'amore, della procreazione e della guerra. Nanna era il padre di Utu e Inanna, sulle gesta della quale i poeti sumeri crearono numerosi miti; era inoltre importante Ninurta, dio del distruttivo vento del Sud. Una delle divinità più amate era il dio pastore Dumuzi, che in origine era un governante mortale il cui matrimonio con Inanna aveva assicurato la fertilità della terra e la fecondità del ventre materno. Il matrimonio, tuttavia, finì tragicamente quando la dea, offesa dal comportamento del marito, ordinò che egli fosse condotto nell'oltretomba per sei mesi all'anno: di qui, l'aridità e la sterilità dei mesi estivi. Nell'equinozio d'autunno, che segnalava l'inizio del nuovo anno sumero, Dumuzi ritornava sulla Terra e si ricongiungeva con la moglie, facendo sì che la vita animale e vegetale riprendesse vigore e fertilità. Ogni nuovo anno i sumeri festeggiavano un rituale che rafurava il matrimonio tra Dumuzi e Inanna, impersonati dal re e da una delle sue favorite.
A ciascuna delle divinità principali, protettrici di una o più città sumere, venivano eretti grandi templi: i riti, compresi i sacrifici quotidiani, venivano officiati da numerosi sacerdoti, sacerdotesse, cantori, musici, prostitute sacre ed eunuchi.
I sumeri pensavano che gli esseri umani venissero modellati nell'argilla e che fossero creati per rifornire gli dei del necessario, affinché questi ultimi avessero il tempo di svolgere le attività divine. La vita, benché incerta e malsicura, era considerata il bene più prezioso dell'essere umano; si credeva che, quando gli esseri umani morivano, il loro spirito scendesse nell'oltretomba, dove la vita era molto più infelice che sulla Terra.
Simile alla religione sumerica ritroviamo, in epoca successiva, quella babilonese. Cosmogonia, cosmologia, dei, demoni, culti e sacerdozi furono quasi interamente mutuati dai sumeri, anche se i babilonesi adattarono questo patrimonio ereditario alla loro tradizione etnica e culturale. Così, quando la città di Babilonia divenne il maggiore centro religioso e culturale della regione e il dio Marduk assunse preponderanza nel pantheon babilonese, i sacerdoti vollero giustificare la posizione acquisita dalla nuova divinità e teorizzarono che gli dei sumerici An ed Enlil avessero ufficialmente trasferito il loro potere a Marduk.
I babilonesi credevano in un pantheon costituito da esseri invisibili, immortali, di sembianze umane, dotati di poteri soprannaturali, ognuno dei quali sovrintendeva a una piccola parte del cosmo: ciascuna divinità presiedeva agli spazi celesti, terrestri e marini, a ogni corpo celeste, alle entità naturali e anche agli attrezzi del lavoro quotidiano.
Al vertice del pantheon vi era Marduk che, secondo il poema mitologico babilonese noto come Enuma elish, ottenne l'egemonia nel pantheon assieme alla signoria su tutto l'universo quale ricompensa per aver vendicato gli dei scongendo Tiamat, la selvaggia dea del caos, e plasmando il cielo, la Terra e il corso regolato dei pianeti e delle stelle, prima di creare la stirpe umana.
Fra le principali divinità babilonesi urano anche Ea, dio della saggezza e della magia, Sin, il dio luna, Shamash, il dio sole e della giustizia, rafurato sulla stele che contiene il codice di Hammurabi, Ishtar, dea dell'amore e della guerra, Adad, dio del vento, della tempesta e dei flutti, e il lio di Marduk, Nabu, scriba e araldo degli dei. Accanto alle divinità celesti non mancava una schiera di demoni, diavoli e mostri minacciosi e, in numero minore, spiriti buoni e angeli.
Ciascuna delle divinità più importanti aveva un grande tempio in cui era onorata come protettrice della città; nelle città più grandi i templi dedicati alle divinità potevano anche essere numerosi, come a Babilonia, che in epoca caldea (VIII-VI secolo a.C.) ne vantava più di cinquanta.
I riti si celebravano generalmente all'aperto, nel cortile del tempio, mentre la zona interna era riservata al sommo sacerdote e ad altri esponenti del clero e della corte. Nelle grandi città accanto ai templi sorgeva anche una ziggurat, caratteristica torre a gradoni, sormontata da un piccolo santuario.
Il tempio era in primo luogo la casa della divinità, dal culto fortemente ritualizzato. Il clero, organizzato gerarchicamente, comprendeva sommi sacerdoti, addetti ai sacrifici, musici, cantori, maghi e indovini.
Il sacrificio, spesso quotidiano, attraverso il quale la divinità veniva nutrita, prevedeva l'immolazione di animali, con offerta di prodotti della terra e d'incenso, oltre ad acqua, vino e birra; fra le tante feste assumevano particolare importanza i riti della luna nuova e, soprattutto, quelli dell'anno nuovo all'equinozio di primavera, che si svolgevano nell'Akitu, il tempio di Marduk nei dintorni di Babilonia: la festa durava parecchi giorni con sacrifici, cerimonie di espiazione e processioni, fino al momento culminante, quello delle nozze sacre, unione rituale fra il re, rappresentante di Marduk, e la sposa di Marduk, impersonata da una sacerdotessa.
I documenti babilonesi mostrano un popolo che attribuiva grande valore alla bontà, alla verità, alla legge e all'ordine, alla giustizia, alla libertà, alla saggezza, al coraggio e alla lealtà; pietà e compassione erano considerate virtù, e particolare protezione era accordata ai più deboli. Le azioni malvagie erano considerate trasgressioni contro gli dei, punibili dunque solo dagli dei stessi; nessuno, poi, era considerato senza peccato, e si doveva quindi accettare ogni sofferenza come giusta punizione.
L'intensa religiosità dei babilonesi era tuttavia temperata da una visione disincantata della realtà, probabilmente più diffusa di quanto non rivelino le fonti.
Per i babilonesi la morte era il compimento di ciò che si attendeva con timore e disperazione, nella convinzione che lo spirito, liberato dal corpo, sarebbe disceso in un luogo sotterraneo e oscuro, mentre la vita nell'oltretomba si sarebbe esaurita, al massimo, in un pallido riflesso dell'esistenza sulla terra, senza alcuna speranza di ricompensa per i giusti; ogni uomo era inevitabilmente consegnato agli inferi, e non è strano, quindi, che l'opera letteraria babilonese più drammatica e creativa, l'Epopea di Gilgamesh, sia incentrata su una vana ricerca della vita eterna.
Questo poema epico assiro babilonesepoema epico assiro-babilonese, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla nel III-II millennio a.C. Prende nome dal protagonista, il re babilonese di Uruk (Erech nella Bibbia, attualmente Warka in Iraq), l'eroe che con il comno Enkidu affronta avventure di ogni genere, alla ricerca del segreto dell'immortalità. Per conoscere tale segreto Gilgamesh si rivolge al saggio Utnapishtim, scampato al diluvio universale; questi gli narra la storia del diluvio e infine gli rivela che in fondo al mare esiste la pianta dell'eterna giovinezza. Gilgamesh riesce a raggiungerla ma la perde per colpa di un serpente; torna allora a Uruk dove terminerà i suoi giorni, avendo ormai compreso che l'immortalità appartiene solo agli dei e non spetta agli uomini. Nel poema compaiono molte affinità con i testi biblici e con l'epica classica; si pensa che alcuni temi fossero largamente diffusi nel mondo antico, e che la loro attestazione testimoni rapporti culturali fra i popoli, altrimenti non documentati.
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