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Ricerca sulla Guerra del Golfo
Conflitto che nei mesi di gennaio e febbraio del 1991
contrappose le truppe dell'ONU, composte in modo preponderante da forze armate
statunitensi, all'Iraq. Il 2 agosto 1990 l'Iraq aveva invaso il vicino Kuwait,
emirato arabo ricco di petrolio; l'8 agosto il presidente iracheno Saddam Hussein ne aveva
proclamato l'annessione, rivendicando l'appartenenza storica del Kuwait al
territorio iracheno. Il Consiglio di sicurezza dell'ONU approvò allora
una serie di risoluzioni con le quali imponeva all'Iraq il ritiro dal Kuwait
entro il 15 gennaio 1991.
A causa del mancato rispetto da parte di Hussein
delle ingiunzioni internazionali, venne costituita, sotto l'egida dell'ONU, una
forza multinazionale di circa 500.000 uomini, in prevalenza statunitensi, ma
con contingenti anche di Arabia Saudita, Egitto, Siria, Gran Bretagna, Francia
e Italia, che aveva in primo luogo lo scopo di proteggere l'Arabia Saudita da
eventuali attacchi delle forze irachene, stimate nell'ordine delle 540.000 unità.
Scaduto l'ultimatum, la coalizione dell'ONU, guidata dal generale statunitense Norman Schwarzkopf, mise in atto
l'operazione denominata Desert Storm (Tempesta nel
deserto), avviata con un'offensiva aerea contro obiettivi militari in Iraq e in
Kuwait, impiegando, oltre alle armi convenzionali, missili Patriot (comandati
dalle emissioni infrarosse) e Cruise.
Gli obiettivi della forza multinazionale erano diretti alla neutralizzazione
dei centri di comando iracheni, concentrati a Baghdad e a Bassora; all'interruzione
delle linee di trasporto e di comunicazione tra Baghdad e le truppe sul campo;
al bombardamento dell'artiglieria irachena, trincerata lungo il confine tra
Arabia Saudita e Kuwait, e della Guardia repubblicana irachena, composta da
un'élite di 125.000 uomini dislocati nell'Iraq sudorientale
e nel Kuwait settentrionale. Alcuni aerei iracheni furono abbattuti e molti
vennero bombardati negli hangar o ripararono in Iran. La difesa irachena
utilizzò rampe mobili per lanciare missili Scud
contro Arabia Saudita e Israele (membro della coalizione, ma che non
partecipò alle operazioni militari per non causare problemi allo
schieramento arabo favorevole all'intervento ONU), nella speranza di mobilitare
l'opinione pubblica araba contro la coalizione: questa rispose con missili
Patriot e con incursioni aeree che avevano per obiettivo le rampe degli Scud.
A metà febbraio, di fronte all'aumento delle perdite civili e militari,
l'Iraq fu costretto ad annunciare il ritiro dal Kuwait, a fronte di alcune
condizioni di cui si fece garante l'Unione Sovietica ma che vennero respinte
dagli Stati Uniti. La coalizione ONU sferrò quindi un decisivo attacco
terra-aria con cui sfondò la linea difensiva irachena e avanzò
rapidamente attraverso l'Iraq meridionale, circondando l'esercito iracheno e
tagliando ogni via di ritirata alla Guardia repubblicana. Nel giro di pochi
giorni, la capitale del Kuwait fu liberata; decine di migliaia di soldati
iracheni avevano disertato, erano stati catturati o uccisi. Le perdite nella
coalizione internazionale furono relativamente limitate, benché la copertura
del conflitto operata dai mass media in Occidente abbia lasciato molti dubbi
sull'effettivo svolgimento degli eventi bellici: il 28 febbraio, quando
l'attacco fu sospeso, i soldati alleati uccisi erano 149 e i feriti 513. Il
Kuwait subì notevoli danni, anche perché durante la ritirata le forze
irachene saccheggiarono la capitale e incendiarono un centinaio di pozzi
petroliferi.
Le Conseguenze
Il 6 aprile gli iracheni firmarono la fine delle ostilità: accettarono
di are al Kuwait il risarcimento dei danni, di rivelare l'ubicazione e
l'entità delle proprie riserve di armi chimiche e batteriologiche,
nonché di smantellare i propri arsenali. In seguito, però, gli ispettori
dell'ONU lamentarono che il governo di Baghdad ostacolava il loro lavoro di
controllo in merito all'adempimento delle condizioni di pace: l'ONU decise
perciò l'embargo economico contro l'Iraq, che in seguito, pur con lievi
attenuazioni, avrebbe comunque condotto il paese sull'orlo del collasso. La
minoranza religiosa sciita, che godeva dell'appoggio dell'Iran, e quella etnica
curda, priva di appoggi internazionali, cercarono di
approfittare dell'indebolimento di Saddam Hussein per ribellarsi, ma subirono una dura repressione
senza che la comunità internazionale intervenisse, se non per costituire
per la popolazione curda un'area di sicurezza
nell'Iraq settentrionale.
Il reiterato ostruzionismo opposto dall'Iraq alle ispezioni degli osservatori
internazionali incaricati di localizzare le riserve di armamenti iracheni,
giustificato con il perdurare delle pesanti sanzioni economiche che gravavano
soprattutto sulla popolazione civile, condusse all'inizio del 1998 a un clima
di tensione tra Stati Uniti (questa volta non unanimemente sostenuti
dall'Occidente e dai paesi arabi) e Iraq, che fece presagire una ripetizione
del conflitto, poi scongiurato, soprannominato ora Desert
Thunder (Tuono nel deserto).
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