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Socrate
1 Socrate
lio dello scultore Sofronisco (forse anche Socrate in gioventù fece
questo mestiere) e della levatrice Fenarete, nacque in Atene nel 470-469 a.C.
Borghese benestante, a causa del suo disinteresse per il denaro finì in
povertà. Abbandonò Atene solo durante la prima fase della guerra
del Peloponneso, in cui come oplita (qualifica che potevano permettersi solo i
benestanti) si fece valore. Non prese mai parte alla vita politica, tranne per
opporsi invano alla condanna di generali ateniesi vincitori alle Arginuse,
accusati di non aver raccolto i naufraghi e contro l'omicidio politico di un
certo Leonzio di Salamina; in queste circostanze il mutamento politico gli
consentì di non subire le conseguenze di queste posizioni.
Egli trascorreva le giornate discutendo con i suoi concittadini, di ogni grado
sociale: sofisti, amici (Critone), filosofi (Fedone, Antistene, Aristippo,
Simmia e Cibete), aristocratici e alti borghesi (Alcibiade e Crizia), artigiani
ed umile gente, giovani. Le conversazioni sono riportate nei Memorabili di Senofonte e nei Dialoghi
platonici.
Brutto esteriormente ma bello nell'animo (memorabile il ritratto che ne fa
Alcibiade nel Simposio di Platone),
affascinante nei discorsi, non interessato se non in maniera ironica alla
bellezza, al potere, alla ricchezza. Capace di isolarsi e di non sentire la
stanchezza, il tempo o il clima, in preda al demone che gli parla dentro e lo
trattiene dall'agire contro il bene. Questo carattere emerge dai dialoghi.
Nel 423 nelle Nuvole Aristofane
illustra l'antipatia degli ambienti tradizionalisti verso la cultura
scientifica e retorica rappresentata da Socrate; nel 399 Meleto, poeta tragico,
Licone, oratore, Anito, politico accusano Socrate di corrompere i giovani e di
credere in divinità diverse e nuove.
Atene tornata alla democrazia, per rivivere lo splendore dell'età
periclea aveva bisogno di dimenticare i rancori (amnistia e permesso di
rientro) e di ridestare il passato (si rifiuta perciò di dare la
cittadinanza a quelli che avevano combattuto i tranta tiranni) e quindi i
valori del passato. L'accusa sostiene che Socrate proprio quei valori
insidiava: l'educazione e l'unità religiosa. Socrate poi aveva avuto
buoni rapporti con i traditori Crizia ed Alcibiade; aveva condannato i politici
ateniesi e la democrazia (il regime nel quale l'ignoranza e la presunzione
prevalgono sulla competenza ed in cui i sorteggiati e non i migliori salgono al
potere).
Socrate viene condannato a morte, anche se forse l'intento dei suoi oppositori
era solo quello di esiliarlo: rifiuta di rinnegare il suo operato e di fuggire
e muore in maniera serena dopo aver bevuto la cicuta, veleno.
Socrate non scrisse nulla. Il libro difatti interrogato non risponde. La
centralità del dialogo come nucleo della ricerca è testimoniato
da questa circostanza: il libro fornisce solo dottrina e lascia credere solo di
essere sapienti.
Cioonostante Platone lo ha fatto protagonista di tutti i suoi scritti,
Senofonte ha scritto le sue virtù, Aristotele nei suoi scritti gli
attribuisce la scoperta dei ragionamenti induttivi (dall'esame del caso od
affermazione particolare si giunge ad un'affermazione generale)e della teoria
della definizione, cioè della logica, nonché un costante impegno etico,
Aristofane lo sbefeggia nelle Nuvole, accomunandolo ai sofisti (difatti gli
vengono attribuite le tre personalità del sofista senza scrupoli, del
filosofo naturalista ateo e dell'intellettuale ascetico). Difficile
perciò, se non impossibile, data le diversità di opinioni su di
lui, ricostruire in maniera fedele il suo reale pensiero.Tuttavia Aristotele
parla di Socrate partendo da ciò che Platone e gli Accademici gli
offrivano; Senofonte, a parte i primi due moduli dei Memorabili, non è avvezzo alla filosofia e scrive dopo 30
anni dalla morte di Socrate; in Aristofane Socrate è descritto
più come simbolo che come persona.
La difesa e l'adesione alle idee di Socrate effettuate da Platone ci inducono
allora ad esaminare i suoi scritti: gli scritti giovanili possono essere
accostati tra di loro e con le testimonianze degli autori e ci mostrano un
ritratto coerente di Socrate, pur restando qualche dubbio sul fatto che vengano
riportat le idee di Platone piuttosto che quelle di Socrate e.
La tradizione vuole che Socrate fosse discepolo di Archelao, frequentasse
Pericle ed Aspasia, prediligesse Anassagora ed Euripide.
Nel Fedone di Platone Socrate
sostiene di avere abbandonato l'interesse per i naturalisti per la loro
incapacità di sciogliere i dubbi. Solo Anassagora aveva fatto ben
sperare perché riteneva vi fosse una Mente che ordinava tutto secondo il meglio
(bèlthion) e l'ottimo (àriston). Il bene (agathòn) doveva
perciò essere causa (aitìa). Ma poi Anassagora faceva scarso
riferimento a questa ipotesi esplicativa e perciò l'interesse si era
assopito.
L'oracolo di Delfi, annunciato a Socrate dall'amico Cherofonte secondo la
tradizione, ha indotto a supporre una duplice fase nella vita di Socrate: la
ricerca del significato dell'oracolo attraverso l'interrogazione dei suoi
cittadini ed il successivo periodo di servizio al dio attraverso l'educazione
dei giovani una volta appreso il significato dell'oracolo.
L'oracolo infatti sosteneva che Socrate fosse il più sapiente tra tutti
gli uomini.
Il dialogo coi concittadini trae origine dalla domanda su cosa sia una data
cosa (tì éstì) , il
bello, il giusto, il vero ecc. Il principio sottinteso è che sia
possibile attraverso il dialogo giungere ad una visione comune, a dei punti
stabili. Socrate nel conversare con i concittadini riteneva vero solo il
ragionamento che lo convincesse dopo un lungo esame critico: questo lo
differenzia dai sofisti, per i quali il discorso dell'interlocutore andava
rifiutato e superato. Perciò Socrate non rifiuta i discorsi altrui anzi
non ritiene possibile la verità senza un confronto: solo dal dialogo
possono emergere i valori e la verità.
Egli si pone di fronte a chi crede di sapere con atteggiamento entusiasta e si
professa ignorante: il dialogo serrato con i sapienti però mostra alla
fine come essi siano più ignoranti di lui che dice di non sapere nulla.
Questa capacità di far emergere la verità dal colloquio è
la maieutica, arte che Socrate ritiene di aver appreso dalla madre levatrice,
che parimenti faceva emergere il bambino dalla madre. La contraddizione insolubile
(aporìa) in cui terminano i
dialoghi socratici mostra qual è il vero sapere e spiega l'oracolo:
Socrate è il più sapiente tra gli uomini perché sa di non sapere.
E' stato riscontrato nei dialoghi perciò una doppia metodologia :
protrettica (esortativa) ed elenctica (confutativa), non necessariamente
distinte nel dialogo ma presenti.
Al termine di ogni dialogo perciò non vi è una definizione
positiva della virtù ma negativa (cosa non sia). Così l'ironia di
Socrate (metodo con il quale Socrate svela l'ignoranza e libera l'uomo dalla
falsa sapienza) dai sofisti veniva interpretata come una dissimulazione del
sapere e Clitofonte rimprovera Socrate di esortare alla virtù ma di non
essere capace di definirla. Socrate accetta la critica e sostiene di essere
levatrice come la madre: aiuta a partorire ma non partorisce.
Ma se non c'è una definizione della virtù in questi dialoghi vi
è tuttavia espressa la dottrina della virtù come conoscenza.
Socrate sostiene infatti che ognuno agisca sulla base dei propri convincimenti:
chi fa il male non agisce perciò volontariamente ma semplicemente crede
che sia il suo bene. Perciò teoria e prassi sono legate.
Chi fa il male segue un bene apparente e non il bene reale ed universale, la
cui conoscenza è il fondamento di ogni virtù. La volontà
dell'uomo sarà poi irresisitibilmente attratta dal bene se lo
avrà conosciuto. Perciò la virtù ed in genere il bene
possono essere insegnati ed emergere nel dialogo. Così il soggettivismo
esasperato dei sofisti è sostituito da un principio dialogico.
Motti socratici sono: conosci te stesso e prendi cura della tua anima.
Conoscere te stesso comprendiamo come sia un consiglio a cercare il vero, sommo
bene. La funzione (érgon) dell'anima è quella di dominare il proprio
corpo; la sophrosyne (temperanza) si
oppone perciò all akrasìa
(mancanza di dominio)
Perciò le Leggi, impersonificate nel Critone
di Platone, non sono il frutto di un accordo tra uomini, stipulate per limitare
la natura dell'uomo ma sono soggetto nel rapporto giuridico che si viene ad
instaurare tra esse e gli uomini: perciò non è più
consentito nella logica socratica ricambiare ingiustizia con ingiustizia.
Per Socrate la filosofia è un comando che proviene da un demone interno,
dalla divinità. Socrate ha fede in un'entità trascendente
invisibile garante dell'ordine della realtà e le divinità greche
ne sono espressione: vanno difatti seguìti i culti.
2 Le scuole socratiche minori
Policrate nel 393 a.C. scrisse a
posteriori una Accusa contro Socrate alla quale verosimilmente replicò
Platone nel Gorgia, insistendo
soprattutto sui motivi politici della imputazione di Socrate. I discepoli di
Socrate si dispersero dopo la sua morte ma ad essi sono attribuiti molti
scritti aneddotici ed apologie (accomunati sotto il titolo lògoi sokratikòi), di cui non abbiamo più
alcuna testimonianza. Pare che appunto essi siano a loro volta i fondatori di
scuole che verngono definite minori giacchè la maggiore è
costituita da Platone. Esse sono varie e presentano spunti originali rispetto
all'insegnamento del supposto maestro.
La scuola megarica
Euclide di Megara fondò una
scuola. Egli fu amico e discepolo di Socrate, presente alla sua morte (Fedone di Platone), narratore nel Teeteto di Platone, anche se mai
nominato da Platone o da Aristotele quale filosofo. Si tramanda che egli abbia
rifugiato nella sua scuola molti discepoli di Socrate perseguitati. Eubulide di Mileto, Stilpone (secondo Diogene Laerzio
autore di nove dialoghi di cui non ci resta nulla), Diodoro Crono sono i discepoli e continuatori della scuola.
Idea portante sarebbe la connessione dell'idea socratica di Bene con quella
eleatica di Essere, definiti da Euclide saggezza, dio, intelletto: il Bene
è uno, perciò il molteplice è irreale. Non esiste il
movimento e le sensazioni non sono affidabili.
Grande attenzione è posta alla critica della logica discorsiva. Ad
esempio non è concepibile il possibile, come sostiene Diodoro Crono
(ciò che è non può non essere e quindi è
necessario, ciò che non è non può essere e quindi è
impossibile); così viene nuovamente, attraverso un diverso argomento,
negata realtà al movimento come avveniva in Zenone. Altra critica
è fatta da Stilpone al giudizio affermativo: per essere valido, il
giudizio Socrate è buono
implica l'identità di Socrate (soggetto) e buono (predicato), per cui
diviene impossibile attribuire il predicato ad un altro soggetto; perciò
è possibile formulare solo giudizi identici (in cui coincidano soggetto
e predicato), come l'uomo è uomo (tesi ripresa da Antistene).
Altri argomenti eristici vengono attribuiti a questa scuola: l'argomento del
mentitore ( mente o dice il vero chi dice di mentire?), del sorite ( un chicco
di frumento non forma un mucchio -sòros-
ma poiché non sappiamo aggiungendo un chicco alla volta quale di essi
costituisca il mucchio, la nozione di mucchio non è proponibile)
attribuiti a Eubulide, del velato (si conosce e non si conosce la stessa
persona se la si riconosce solo quando ha il viso non velato).
Vale la pena ricordare che Euclide conciliava unità del bene con l'unica
virtù socratica consistente nella scienza del bene e del male e Stilpone
riteneva che il saggio doveva bastare a se stesso e quindi essere superiore ai
bisogni, anche al bisogno dell'amicizia, identificando perciò la saggezza
con l' apathìa, imperturbabilità). L'interesse per la logica
valse ai filosofi di Megara il nome di dialettici
o in senso dispregiativo di eristici.
La scuola eleo-eretriatica
Fondata da Fedone di Elide,
continuata da Menedemo, nella quale
insegnò Stilpone, fu trasferita ad Eretria (città natale di
Stilpone). Idea portante è l'unità di virtù, bene,
verità con esclusione del molteplice. Menedemo poi insegnava
l'inesistenza delle proprietà generali, sussistenti solo negli oggetti
singoli e concreti.
La scuola cinica
La scuola cinica fu fondata da Antistene
di Atene, discepolo di Gorgia e di Socrate, di cui abbiamo perso i numerosi
scritti (pare abbia scritto Sulla natura
degli animali in cui assumeva come ideali degli animali e scritti su
personaggi omerici come Aiace e Ulisse e mitici come Oreste). Il nome della
scuola più che perché la sede fosse nel ginnasio di Cinosarge (cane
agile), luogo sacro ad Ercole, ad Atene, deve il suo nome all'imitazione del
cane: la vita randagia indifferente ai bisogni e la fedeltà al rigore
morale rappresentano bene il carattere del cane e della scuola. Definiti cappuccini dell'antichità, i
cinici erano noti per il loro predicare (la diatriba come genere letterario ha
origine da loro) e per lo stile di vita ascetico.
Per essi, la conoscenza ha valore solo se a fini pratici; la logica per
Antistene è ridotta a nominalismo, giacchè i nomi sono comuni
mentre le realtà sono tutte particolari e perciò sono possibili
solo giudizi identici e non esistono essenze universali delle cose (non esiste
la cavallinità come sostiene Platone ma solo i singoli cavalli). Inoltre
pare che Antistene per primo abbia spiegato la definizione (lògos) come l'espressione
dell'essenza di una cosa; essa è possibile solo delle cose composte, di
cui può essere detto di quali elementi constino, non degli elementi, di
cui non si può dire nulla se non il nome.
L' unica conoscenza che abbia valore è quella che conduce alla
felicità; la felicità si raggiunge coll'autarchia (autosufficienza) nell' apatia (imperturbabilità), nel disinteresse per i beni
materiali. Per raggiungere la felicità è necessario sforzarsi e
l'ideale dei cinici non a caso è Ercole. La virtù perciò
non è più come in Socrate una scienza ma uno stile di vita, un
esercizio (àskesis, da cui
ascesi significa appunto esercizio).
La civiltà infatti alleggerisce l'uomo da sforzi ma crea nuovi bisogni e
sofferenze, è di natura convenzionale e non naturale. Le forme di vita
sociale (famiglia, stato) vanno perciò combattute e bisogna tornare ad
uno stile di vita naturale: i cinici vivono in maniera animalesca, riducendo i
loro bisogni solo a quelli primari, opponendosi a tutte le convenzioni sociali,
e mostrandosi liberi nel parlare e professando idee antischiavistiche,
cosmopolitiche ed egualitarie (Diogene professava la comproprietà anche
di donne e li). Contro la religione tradizionale Antistene afferma che ci
sia un solo dio.
Appartennero alla scuola il poeta Cratete
di Tebe e Diogene di Sinope. Il
primo compose satire e tragedie in cui celebrava il cosmopolitismo e la
povertà; si narra di come avesse donato il suo considerevole patrimonio
alla sua città in atteggiamento critico e dello scandalo provocato dallo
sposare una donna di alta condizione. Del secondo non sono rimasti scritti
(pare abbia composto sette drammi e vari scritti in prosa) ma abbiamo vari
aneddoti su di lui: nominato Socrate
pazzo, si tramanda che vivesse in una botte (le sue molte opere purtroppo
sono perdute), portando dietro di sé una ciotola finchè scoprì di
poter bere anche con le mani, che per primo tra i cinici abbia usato il
mantello di stoffa rozza e la bisaccia e che di fronte ad Alessandro Magno che
gli chiese che cosa desiderasse rispose che desiderava che il re si spostasse
per permettergli di vedere il sole. La scuola resistette attraverso varie
incarnazioni fino alla fine dell'antichità.
La scuola cirenaica
Aristippo di Cirene nato verso il
435, ad Atene dopo il 416, frequentò Socrate. Insegnò in varie
città greche e scrisse varie opere di cui non è rimasto nulla
anche se l'attribuzione fosse sicura.
Lui fondò, come vuole la tradizione, la scuola, continuata dalla lia Arete e dal nipote Aristippo Metrodidatta (che significa discepolo della madre) che
pare abbia sistemato la dottrina della scuola: la dossografia posteriore dubita
che Aristippo maior abbia persino fondato la scuola. Tra il IV ed il III secolo
a.C. i tre discepoli che prendono vie diverse sono Anniceri, Egesia (detto
persuasore di morte) e Teodoro (detto l'ateo).
L'interesse fondamentale è etico anche se vi è una parte teorica.
La dottrina è infatti divisa in 5 punti: le cose da desiderare o fuggire
(bene e male); le passioni; le azioni; le cause (i fenomeni naturali): la
verità (fisica e logica)
Reinterpretando il principio socratico, i cirenei sostengono che, poiché il
bene attrae, tutto ciò che attrae è bene; il bene allora è
il piacere. Quest'edonismo radicale definisce il piacere come un movimento
lieve dei nostri sensi avvertito dall'animo in senso positivo che vale solo
finchè presente (perciò l'attesa e il ricordo non sono
piaceri).E' il piacere ciò che noi desideriamo, non la felicità:
difatti la felicità è il sistema dei piaceri particolari e come
tale comprende anche i piaceri passati o futuri. Che il piacere sia solo nel
presente comporta contentarsi anche del poco senza struggersi nel rimpianto o
nell'attesa e quindi un invito alla serenità ed a contentarsi anche del
poco.
Vi è ovviamente in queste tesi una centralità attribuita alla
conoscenza sensibile, di cui solo ci è dato giudicare e non delle cose
esterne. Che l'oggetto ci appaia bianco o dolce è sicuro; non
sarà mai sicuro che l'oggetto sia bianco o dolce.
La dottrina della sensazione del Teeteto
di Platone pare sia di Aristippo: c'è un movimento attivo dall'oggetto e
un movimento passivo del soggetto. La sensazione e l'oggetto sensibile sono il
frutto di quest'incontro. La sensazione è la vista, il piacere ecc. ;
gli oggetti sensibili sono colori, suoni ecc.
Va ricordato il pensiero dei discepoli:
Anniceri sostenne una dottrina
edonistica altruistica (novità rilevante) nell'affermare che i piaceri
spirituali che si fondano sulla simpatia verso gli altri valgono di più
di quelli sensibili che sono meno stabili e duraturi, rivalutando così i
legami familiari e l'amore per la patria.
Egesia, autore di Sul suicidio mediante il digiuno, invece
sosteneva che il piacere fosse il fine della vita ma anche che esso fosse
inattingibile a causa della cattiva sorte e dei molteplici mali e che
perciò all'uomo resti solo di difendersi dal dolore. Il difendersi dal
dolore dovrebbe essere il fine anche di chi fosse indifferente al piacere; la
vita stessa è infatti secondo Egesia indifferente per il sapiente,
è un bene solo per gli sciocchi. Egesia E' noto come portatore di morte
perché pare che abbia istigato al suicidio suoi discepoli, motivo per cui
sarebbe stato interdetto dall'insegnamento ad Alessandria;
Teodoro, autorevole cirenaico, in
molti punti della sua dottrina mostrò posizioni simili a quelle ciniche:
il cosmopolitismo (la mia patria è il mondo), la svalutazione
dell'amicizia (gli sciocchi non sanno usare l'amicizia, i saggi non ne hanno bisogno),
la difesa della libertà in materia sessuale. Non è certo se fu
nominato ateo perché negò l'esistenza delle divinità o solo
quella degli dei mitologici. E' lecito rubare, commettere adulterio, sacrilegio
al momento opportuno perché nulla di tutto ciò è turpe secondo
natura. Egli comunque sosteneva che la felicità fosse la gioia e
serenità interiore e non il piacere momentaneo, da raggiungersi con
l'intelletto e la giustizia. Male è ciò che è opposto
all'intelletto ed alla giustizia, indifferente ciò che attiene al
piacere ed al dolore.
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