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"Ti rispetto ma non ti accolgo". E' una frase che esprime un atteggiamento diffuso tra la gente di fronte alla crescente pressione degli immigrati. Vo

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"Ti rispetto ma non ti accolgo". E' una frase che esprime un atteggiamento diffuso tra la gente di fronte alla crescente pressione degli immigrati. Voi la condividete?



Ci sono moltissime cose dette a proposito del vastissimo fenomeno dell'immigrazione, ma una frase è particolarmente interessante: "Ti rispetto ma non ti accolgo". Bisogna concentrarsi ed analizzare attentamente questi due verbi: " rispettare" ha un significato totalmente opposto ad "accogliere". Il primo non implica il secondo, mentre il secondo implica immancabilmente il primo. Senza rispetto non vi è una degna accoglienza da parte di nessuno. E' incredibile tutta la vasta gamma di significati che questa frase cela. Nasconde il lato più "nascosto" del pensiero umano, quello che di solito la gente non osa dire, per paura di essere giudicata. Parole con significati incompatibili, piazzate lì solo per esprimere in modo educato ed edulcorato ciò che si potrebbe riassumere con un semplice: " Non ti voglio" o più semplicemente: "Vattene dalla mia via, dal mio quartiere, dalla mia città". L'aggettivo possessivo "mio" ripetuto più volte, come se noi avessimo comprato la via o la città, come se tutto ruotasse inesorabilmente attorno al nostro ottuso ed egoistico micro-mondo. La verità, almeno dal il mio punto di vista, è che il mondo, finalmente, dovrebbe abbattere le frontiere, per aprirsi alla multirazzialità. Anche perché l'immigrazione è fonte di guadagno per ogni nazione che cerca di fronteggiarla: un introito aggiuntivo all'economia nazionale da cifre altissime. Ma dalla Danimarca alla Grecia, dalla Baviera al nostro ricco Nordest più incalza la domanda del mercato alla disperata ricerca di nuovi addetti stranieri, più forte si fa la reazione di un diffuso senso comune non personificato in movimenti e partiti anti immigrati. Che succede allora? La bianca e candida Europa ha paura dell'uomo nero? O teme che le future generazioni restino disoccupate? Queste sono le uniche due domande in cerca di risposta che ci si possono porre. Sicuramente una buona parte del vecchio continente sarà contrario all'avvento di flussi continuati "des etrangèrs", come dicono in Francia, sicuramente con il suo buon motivo. Ma quasi certamente le future generazioni di giovani, sempre più frenetici e alla ricerca di un "otium" sempre più comodo, non si accontenteranno di svolgere lavori umili e, seppur semplici, fondamentali per l'economia. Vorranno sempre meno dedicarvisi, e perciò è quasi d'obbligo cercare manodopera tra coloro che cercano un rifugio, calore e comprensione in noi tutti. Non sarebbe giusto negare loro, che sono il riflesso e la copia di un'Italia di inizi '900, un appiglio, una sciocchezza che li renderebbe più fortunati rispetto agli altri non emigrati. Basta avere umanità. L'immigrazione attuale, soprattutto nella sua componente più visibile, non è più quella di un tempo, solo economica e in gran parte regolare, ma lia del crollo traumatico della società dell'est comunista, del feroce smembramento dell'ex Jugoslavia ( con in più anche l'Albania) e di un gigantesco mercato di ingressi clandestini. Processi che hanno travolto regole e leggi pensate per un passato che non esiste più. Un cambio di natura fondamentale, perchè accomnato da ogni sorta di violenza, soprattutto verso le donne e i minori che mai la storia dell'immigrazione aveva conosciuto. Con in più l'aggravante di scontrarsi con remote e istituzioni europee anch'esse frutto di un passato da tempo tramontato, quando ogni nazione considerava legittimo e possibile gestire da sola il controllo dei propri confini. Ma una domanda ora sorge spontanea: ci sono ancora confini effettivi sul nostro mondo? La risposta sta alle future generazioni. Per ora, a causa della stoltezza ed avidità umana, ancora si, ci sono. Poi si vedrà.






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