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Mentre tutti i diritti tendono ad essere riconosciuti e tutelati dalla società, i doveri non si esauriscono tutti in quelli imposti dalla legge: ogni uomo se ne autoimpone degli altri, in base al grado della propria sensibilità e delle proprie convinzioni religiose e civili. La legge, ad esempio, è fondata sul principio della solidarietà, ma nessuno, se non la propria coscienza, impone di assistere personalmente gli anziani o di esercitare un'attività politica impegnata e continuativa.
L'uomo, per sua stessa natura e per la sua percezione istintiva dell'esistenza di diritti naturali, comprende in sé anche il senso dell'eguaglianza dei simili, arricchita dalla carità, che è uno dei fondamenti della civiltà cristiana, la quale costituisce, a sua volta, tanta parte della nostra civiltà, e non solo della civiltà cosiddetta "occidentale". Questo patrimonio spirituale dell'uomo suscita in lui il senso della solidarietà, che è molto di più del semplice scambio di utilità, ma contempla, anzi, uno squilibrio della bilancia del dare e dell'avere a favore del prossimo, il bisogno di lottare per garantire agli altri ciò che noi abbiamo ottenuto e, quindi, una concezione della politica come dovere morale, come attività destinata a coinvolgere, ma anche a gratificare, le persone maggiormente dotate di "spirito di servizio". È obbedendo a questi impulsi, che occorre tornare a coltivare il senso degli ideali politici, cioè della politica come ideale, come prolungamento di quel soddisfacimento "naturale" del senso della giustizia, che non si apa di restare un arido soddisfacimento di interessi.
È vero, sta nascendo una nuova civiltà. Molti valori tradizionali vanno in crisi, mentre ne nascono di nuovi. Tra quelli oggi dominanti ve ne sono molti che guardano al sociale, all'impegno per gli altri, in una società in cui l'inefficienza dello Stato e, più in generale, delle istituzioni pubbliche viene considerata intollerabile. Ecco, quindi, il conflitto fra nuovi e antichi valori sociali da un lato e burocrazia e inefficienza dall'altro. A questa situazione, che spesso si traduce nella paralisi o nel fallimento di molte iniziative, cerca di porre rimedio il volontariato.
Numerosi bisogni della società trovano oggi, infatti, una risposta adeguata grazie all'impegno civile e al volontariato di persone, in particolare di giovani, che, individualmente o in forma associata e cooperativa, realizzano interventi integrativi o compensativi di quelli adottati da enti istituzionali. Molti cittadini, soprattutto giovani, attenti al sociale come alla sofferenza umana, si inseriscono, quindi, in organizzazioni la cui bandiera è appunto l'aiuto agli altri. Questa è anche una società pluralista, fondata su una sorta di libero mercato, non soltanto delle merci ma per fortuna anche delle idee e delle iniziative.
Il volontariato talvolta è anche "immagine", ma questa, se non contraddice i contenuti ma anzi li veicola e rafforza, non è di per sé negativa. Pensiamo al contributo che, in alcune occasioni, campioni dello sport, volti e nomi noti dello spettacolo o della cultura danno a specifiche iniziative di solidarietà o alle organizzazioni del volontariato. Si tratta di una responsabilità positiva che uomini pubblici si assumono, condividendo gesti e momenti di solidarietà umana, per sostenere l'impegno di chi più direttamente lavora nel sociale. A queste ure pubbliche o famose si chiede però di essere veri e autentici nel loro contributo, di mettere la propria immagine al servizio dei problemi e non il contrario.
Ma, poi e prima, c'è anche un modo di essere volontari e impegnati meno appariscente, meno pubblicizzato e più radicato nel quotidiano operare: un volontariato che non vuole e non deve essere enfatizzato come impresa straordinaria, poiché esso altro non è che un modo pieno e serio di essere cittadini, a tutti gli effetti, con l'interezza di diritti e di doveri che appartengono, o lo dovrebbero, ad ogni membro della comunità civile. ½ sono, in tal modo, oltre ai cosiddetti "vip", a personaggi dello sport e dello spettacolo, migliaia di persone anonime e sconosciute che ogni giorno dedicano ore della loro esistenza e delle loro energie agli altri. Scoprire un mondo, fatto soprattutto di giovani, che non vive solo di discoteche e flirt è, senza dubbio, consolante.
Molti giovani, infatti, si impegnano in servizi gratuiti accanto a bisognosi trascurati. C'è nei ragazzi di oggi, quindi, una discreta passione civile, come attesta appunto l'adesione a opere di volontariato, ma c'è pochissima passione politica. Una delle ragioni di questo disinteresse, più forte in Italia che in altri Paesi europei, è l'impenetrabilità del mondo politico, efficacemente rappresentata dal concetto del "Palazzo", come una cinta chiusa ed esclusiva, unita alla sua incapacità di dare risposte concrete alle preoccupazioni dei giovani.
Ogni anno, in Italia, almeno un milione di ragazzi e adolescenti trascorre una parte delle vacanze con gruppi, associazioni e organizzazioni di volontariato impegnati nei settori più disparati: campi di lavoro, di formazione e spiritualità, attività naturalistiche, viaggi di istruzione. Molte di queste associazioni, come gli scouts, hanno alle spalle anni di esperienza e precisi progetti educativi; altre fondano la loro validità su programmi ugualmente collaudati negli anni. Tutte, comunque, svolgono una preziosa opera formativa dei giovani, coadiuvando e spesso surrogando in questo il compito delle famiglie, che a loro affidano i li nella consapevole convinzione che la vita di gruppo e le responsabilità che ne derivano sono essenziali per la crescita dei ragazzi.
Come spiegare la voglia di aiutare il prossimo che in Italia spinge 5 milioni di persone, in gran parte giovani, a darsi da fare gratuitamente, a dedicarsi ogni giorno agli altri, a impegnarsi a favore dei più deboli, a portare conforto ai senza casa o ai tossicodipendenti? Quali le origini e le motivazioni profonde di tali comportamenti? Si tratta di un impegno disinteressato che rappresenta, senza dubbio, uno dei segni più positivi dell'attuale momento storico. Le motivazioni che animano i volontari sono certamente la solidarietà, l'amore per il prossimo, la voglia di far del bene: sentimenti molto normali, ma oggi considerati straordinari. Nel confronto con un egoismo che ormai si manifesta in tutto, il volontariato è quasi un miracolo.
Nell'ambiente in cui viviamo ci viene insegnato che è essenziale diventare migliori. Tutti gli altri sono visti come rivali da superare. Siamo stimolati sempre nella direzione della competitività, e abbiamo davanti a noi modelli negativi: non ci si può stupire se molti di noi assumono come principale dote la furbizia, sentendosi quasi costretti ad esercitarla e svilupparla in continuazione, anche a scapito dei più deboli. Con il passare del tempo, è difficile modificare la propria impostazione mentale: voltare la faccia di fronte a chi si trova in difficoltà diventa un'abitudine; a meno che non accada qualcosa di inaspettato, come, ad esempio, una visita in un ospedale. Un'esperienza del genere a volte porta a riflettere. Ma spesso, all'indifferenza reale fa seguito lo sforzo di continuare, nonostante tutto, ad essere egoisti. Si evita di pensarci, di vedere tutto ciò che ci metterebbe inevitabilmente in discussione.
Perché, allora, decidere di fare volontariato? Occorre interrogarsi sui motivi che portano ad assumersi una responsabilità tanto forte. Molti imboccano la via della solidarietà per "essere utili agli altri": ma è una scelta che non può durare a lungo se manca una motivazione interiore. La voglia di dare agli altri, al di là della gratificazione morale di fare del bene, se non ha alle spalle anche l'"anima", ossia una motivazione profonda, non è sufficiente per dedicarsi al volontariato. A volte, inoltre, (capita di scoprirsi un po' immaturi) la motivazione-base può essere un po' infantile: lo è se si cerca solo un espediente come un altro per aumentare la propria autostima, per sentirsi forti o buoni. Non c'è nulla di male, ma in questo caso non basta.
Il bisogno di una gratificazione, dunque, c'entra sempre: è giusto, ma non può essere l'unico movente che spinge a prendere questa decisione. Come scrive Stas' Gawronsky in "Guida al volontariato", "in molti aspiranti volontari prevalgono motivazioni inconsce che fanno soprattutto riferimento a se stessi piuttosto che ai destinatari dei servizi: il bisogno di autorealizzazione, la necessità di trovare una propria identità, il desiderio di relazione con gli altri. Il volontariato è un'occasione per cambiare la qualità della vostra vita e un modo per maturare, ma a condizione che offriate la vostra presenza e i vostri servizi con il cuore. Ponendovi così, vivrete certamente una bellissima esperienza e sarete realmente capaci di aiutare chi sta peggio di voi".
Talvolta i giovani che si dedicano al volontariato iniziano per caso, per provare, finendo poi con l'appassionarsi, scoprendo nel far del bene agli altri una gioia infinita, conoscendo una pienezza d'animo prima mai provata. In ogni uomo ci sono energie segrete che aspettano solo l'ora che qualcuno o qualcosa le svegli. È proprio vero: "è più dolce cosa dare che ricevere".
Tutti i giovani che lavorano come volontari parlano di un arricchimento interiore, di una soddisfazione profonda. L'altruismo, come spiegano alcuni studiosi, ha una grande funzione terapeutica. Si può a tal proposito delineare un parallelismo tra psicanalisti e volontari. Gli psicanalisti hanno un buon equilibrio, non solo perché prima di esercitare seguono un tirocinio e si sottopongono ad analisi, ma soprattutto perché danno una mano agli altri; e questo si ripercuote positivamente anche su di loro. L'assistito rappresenta un'immagine di confronto: quando supera un problema, per un meccanismo di identificazione, anche chi gli è stato d'appoggio vede una risoluzione dei propri lati irrisolti. Si tratta di una specie di messaggio di ritorno che fa davvero bene e fornisce l'occasione di conoscersi molto a fondo. Generalmente l'attività quotidiana non ha tanto potere. Lavorando, spesso, si soddisfa un senso pratico del dovere. Questa gratificazione, però, non arriva a toccare le corde più nascoste della personalità. Il volontariato ci riesce; anche perché tra chi lo fa e chi ne ha bisogno si crea un legame di scambio alla pari molto coinvolgente: io dono affetto e disponibilità, tu mi insegni la pazienza, la forza di carattere, l'amicizia e l'attenzione per chi mi sta intorno. Una complicità molto speciale, simile a quella che si sviluppa all'interno di un gruppo di amici ben affiatati. Nella società di oggi c'è un forte desiderio di confronto. Il piccolo gruppo sa ascoltare e valorizzare.
Non è affatto vero che il volontariato si sostituisca allo Stato, che dovrebbe far tutto: il volontariato ha un ruolo complementare rispetto alle istituzioni e molte volte anche di stimolo, affinché queste sviluppino la propria iniziativa in settori di marginalità sociale che proprio il volontariato ha contribuito ad evidenziare. Indubbiamente si può essere volontari singolarmente, per esempio per assistere parenti, amici o conoscenti in condizioni di bisogno; ma per arrivare dovunque lo Stato non arriva, per mancanza di mezzi, o perché comunque da un operatore sociale stipendiato non si può pretendere il livello di disponibilità che il volontariato offre, è indispensabile il supporto organizzativo che solo l'appartenenza ad una associazione può fornire.
Il volontariato non va messo alla stregua della carità, delle mille lire date al povero. Fare volontariato è anche una filosofia di vita: è troppo riduttivo dire solo che ti fa sentire meglio e ti "pulisce la coscienza"; è soprattutto un esercizio di tolleranza, di solidarietà, una ginnastica periodica che tiene in allenamento la testa, che insegna a ricordare che esistono gli altri, quelli più deboli. Affermare che ci deve pensare lo Stato e basta è una forma di egoismo che, in qualche modo, mette a posto la "famosa" coscienza senza fare nulla. Lo Stato non funziona, lo sappiamo, ma affermare che esso dovrebbe pensare a tutto è un'utopia. Inoltre il volontariato retribuito, secondo le nuove teorie economiche, potrebbe e dovrebbe diventare l'occupazione del futuro; l'aiuto alle fasce più deboli, agli anziani, ai malati e tutti i lavori socialmente utili potrebbero essere fonte di occupazione in una società che taglia sempre più posti di lavoro al ritmo di una tecnologia sempre più avanzata.
Compito del volontariato, dunque, non è certo quello di supplire, bensì quello di "integrare" quanto lo Stato non riesce a portare avanti e poi volontariato non significa solo occuparsi di persone malate, diseredati: esiste anche un volontariato "culturale" di cui poco si parla. Se importante è alleviare le sofferenze fisiche e psichiche del prossimo, altrettanto lo è occuparsi di problemi che ampliano gli orizzonti mentali, che nutrono lo spirito. Una delle associazioni i cui 2000 volontari in Italia lavorano in questo senso è "Intercultura" che, attraverso lo scambio di studenti delle scuole superiori tra l'Italia e 60 paesi del mondo, prepara gli adulti di domani a diventare cittadini di un mondo senza pregiudizi e insegna loro a conoscere e a rispettare le culture "altre". (A questo scopo Intercultura mette a disposizione anche molte borse di studio designate agli studenti le cui famiglie non potrebbero sostenere il costo di un periodo di studio all'estero.)
Un tempo, anzi fino a ieri, lo Stato tendeva a monopolizzare una serie di attività che oggi sono gestite meglio da privati, specie se animati da un grande altruismo. Ma sbaglieremmo se sostenessimo che il volontariato è un fenomeno nuovo. Anzitutto non possiamo dimenticare, ad esempio, le confraternite medievali e i cento e cento organismi scaturiti dalla cultura e dalla tradizione cristiana che, nel corso dei secoli, si sono occupati degli infermi, dei carcerati, dei poveri. Il volontariato ha insomma una tradizione antichissima che non possiamo dimenticare.
Tuttavia, già nel Seicento e nel Settecento, ma soprattutto nell'Ottocento, il secolarizzarsi della cultura ha fatto sì che il volontariato si andasse inserendo in strutture laiche o comunque secolarizzate che ne ripresero la fiaccola, cioè lo spirito antico, portandola sino ai nostri giorni. Ma non possiamo dimenticare neppure la tradizione socialista: la tendenza, tutta religiosa, all'assistenza ai diseredati, ai poveri, agli ammalati (a cominciare, nel Medioevo, da quella ai lebbrosi) tradotta, nell'ambito della cultura socialista, anzitutto nella formazione dei sindacati, ma in seguito appunto in una miriade di associazioni di volontariato.
Oggi, come dimostra l'esperienza di molti ragazzi, di giovani di colore politico diverso o senza colore, le due esperienze, le due culture, quella laica e quella religiosa, confluiscono nel volontariato italiano, molto meno connotato di un tempo ideologicamente, politicamente e religiosamente, che, con i suoi quattro milioni di aderenti, ha dimostrato in ogni situazione, anche nel Kosovo, la sua grande capacità di mobilitazione e intervento.
Nell'orrendamente infuocato crogiolo della guerra, infatti, sembra proprio che stia nascendo un soggetto politico nuovo: il "pacifismo globale", positivo e propositivo sul piano non solo etico, ma anche culturale e sociale. Esso riempie le piazze, le strade, i luoghi di ritrovo di ogni angolo del Paese, ma la sua vocazione principale non è manifestare quanto piuttosto costruire. Il quadro di riferimento essenziale del nuovo pacifismo è la creatività, la produzione culturale, la ricerca di nuovi linguaggi e di nuovi modi positivi di vivere e relazionare oltre le omologazioni, le frontiere e le gabbie culturali o razziali. È il pacifismo che vive nelle mille e mille esperienze della solidarietà e accoglienza quotidiana verso i diversi di ogni tipo; è quello che sostiene il primato dell'interesse collettivo rispetto all'interesse privato; è quello che pratica la cultura della differenza come grande risorsa; è il pacifismo che da anni si impegna per la condivisione senza frontiere; è quello che punta all'Europa dei diritti sociali e dei doveri di solidarietà strutturale e non solo assistenziale; è quello che da dieci anni chiede invano il riconoscimento di profughi di guerra verso gli immigrati di ogni etnia, compresi i rom, provenienti dai Balcani in fiamme. E questo processo di trasformazione del pacifismo, che è nascita di un nuovo soggetto politico dopo la fine del bipolarismo, è in atto, in forma spesso appena germinale ma vigorosa, in ogni parte del mondo compresi i Balcani; dove, se si fosse dato spazio a tale processo, invece che puntare sui nazionalismi, sulle contrapposizioni etniche, sullo smembramento della ex-Jugoslavia, si sarebbe evitato forse il bagno di sangue.
C'è chi ha definito i volontari un "grande esercito del bene" Sono, infatti, sempre presenti nei momenti difficili: intervengono nelle catastrofi naturali, come i terremoti o le alluvioni, oppure nelle emergenze, come quella recente dei profughi kosovari rifugiati in Albania e Macedonia e sulle coste italiane. Basta la loro presenza a rincuorare persone smarrite e disperate.
Anche in Italia il mondo della solidarietà è in pieno boom. Le iniziative si moltiplicano e sono sempre più numerose le cooperative sociali che offrono assistenza a malati, tossicodipendenti, anziani, handicappati.
Accanto al volontariato c'è il turismo alternativo o "responsabile". Questo modo di viaggiare vuole creare un contatto più profondo con le popolazioni e gli organismi di solidarietà internazionale che operano nelle zone visitate.
Occorre augurarsi che in futuro essere cittadini ed essere volontari significhi esattamente la stessa cosa, un modo di intendere la solidarietà come dimensione della normalità, del quotidiano, che appartiene alla coscienza di ognuno, alla naturalità del "farsi prossimo". È forse un sogno, che però si sta concretizzando sempre di più. I dati delle ricerche più recenti ci dicono che in Italia nove milioni e mezzo di persone aderiscono a un'associazione sociale e cinque milioni e mezzo vi si impegnano direttamente. Prevalgono le attività sportive (28,5%) e ricreative (24,3%); ma significativo è anche l'impegno culturale, formativo ed educativo (36,4%), quello ambientale (11,8%), quello sociosanitario (11,8%), quello socio-assistenziale (8,4%). Dunque, una realtà ricca e plurale, dove non è presente solo la solidarietà in senso stretto, ma anche il fare cultura, produrre informazione, promuovere una migliore qualità della vita, animare e aiutare a crescere e a trovare significati; una realtà che ci dimostra che il volontariato può e deve iniziare nel quotidiano, nelle piccole cose, nello stare assieme. Da qui può nascere un progetto più ampio, capace di trasformare i contesti in cui viviamo, portandovi preziosi stimoli critici, energie di innovazione e capacità di proposta. Per essere progetto non può limitarsi alla pur preziosa testimonianza, ma deve tradursi e organizzarsi in impegno sociale, deve fondarsi su valori indispensabili, quali la legalità e la solidarietà, per poter veramente realizzare giustizia. Solo così si evita il rischio che il volontario venga investito di una "delega" che deresponsabilizzerebbe la società nel suo complesso. Legalità, solidarietà e giustizia appartengono a tutti, costituiscono un diritto-dovere comune: un orizzonte che va costruito assieme, mattone dopo mattone, nel segno della gratuità, perché, come ci ricorda il Vangelo (Mt 10,8), «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Decidere di fare volontariato è un modo per "realizzarsi dentro", ma è anche una scelta che oggi può trasformarsi in un vero lavoro. "Professione volontario": può sembrare una contraddizione, eppure il volontariato non è più un'attività legata solo al tempo libero. È una scelta di vita che, per molti, si trasforma in un lavoro. E in Italia è previsto un boom delle imprese no-profit, cioè delle organizzazioni umanitarie senza scopo di lucro che forniscono servizi sociali o elaborano progetti di sviluppo nei Paesi del Terzo mondo.
C'è, quindi, anche chi fa del volontariato il proprio mestiere, anche soltanto per qualche tempo. Prendersi cura di un bambino un po' più sfortunato degli altri o partire per trasformare un pezzo di deserto in un campo agricolo . Lavorare così, mettere al servizio degli altri la propria voglia di fare scalda il cuore. Ma il "buonismo" e la buona volontà non bastano per aiutare gli altri: occorrono anche professionalità e competenza, perché quando c'è da dare una mano agli altri serve soprattutto essere decisi, bravi e risolti, oppure diventarlo. Occuparsi degli altri è un impegno emotivo e pratico molto intenso.
Qui da noi i professionisti della solidarietà sono attualmente 418 mila, pari all'1,8 per cento della forza lavoro: cifre basse se paragonate ai 946 mila addetti che il no-profit conta nel Regno Unito (4%), gli 803 mila della Francia (4,2%), il milione della Germania (3,7%) e i 7 milioni degli Stati Uniti (6,8%). Fra questi ci sono anche i volontari internazionali, che lavorano per istituzioni come il ministero degli Esteri o l'Onu oppure per le Ong, Organizzazioni non governative che si finanziano con raccolte popolari o accedendo ai fondi di Unione Europea, Cee, Onu. In Italia ci sono 160 Organizzazioni "non governative", cioè slegate dalle istituzioni, che elaborano progetti di sviluppo in tutti i Paesi del Terzo mondo.
Il "volontariato internazionale" consiste nel lavorare per almeno due anni in un paese del Terzo mondo, con la popolazione locale, mettendo a frutto le proprie conoscenze per realizzare progetti di sviluppo. Per chi sogna, inoltre, di lavorare alle Nazioni Unite, di girare il mondo e impegnarsi per affrontare i problemi dell'umanità, quali la fame, le guerre, lo sminamento, non è poi così difficile dedicarsi a tali attività umanitarie. Basta partire con impegno e, soprattutto, con il piede giusto. Il primo possibile impiego è come volontari a fianco degli esperti degli organismi internazionali. È però richiesta la laurea, in qualsiasi materia, almeno tre anni di esperienza lavorativa, uno spiccato interesse per il Sud del mondo e meno di 30 anni al momento della presentazione della domanda. Si lavora sul campo, con contratti biennali, nei progetti Onu in tutto il mondo, presso vari organismi come la Fao, l'Unido oppure l'Unicef.
Sono moltissimi in Italia i corsi per diventare professionisti della solidarietà, promossi da università, enti privati e pubblici, Organizzazione delle nazioni unite e Ong, Organizzazioni non governative.
Penso che il volontariato, ossia una " . prestazione di lavoro, gratuita o semigratuita . " (Devoto-Oli) sia l'atto d'amore di una madre, il gesto spontaneo verso un ammalato, un anziano, una persona bisognosa. Tale spontaneità è per sua natura in contrasto con la falsa retorica proandistica di questa attività. Ma visto che di lavoro comunque si tratta, esso diventa spesso situazione di comodo per coloro che dovrebbero assumersi certe responsabilità e che in questo modo possono esimersi dal farlo. Inoltre, trattandosi di lavoro, esso crea disoccupazione (di alcuni) pur aumentando la ricchezza (di altri). Ed è per questo che il volontariato non può essere istituzionalizzato. Per cui sì al volontariato, no allo sfruttamento!
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