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COMPORTAMENTI COLLETTIVI E MOVIMENTI SOCIALI
Per "movimenti collettivi" si intendono quei movimenti messi in atto da una pluralità di soggetti che tendono a rompere l'ordine istituzionale costituito e, appare chiaro come in una situazione quale quella degli ultimi decenni del '900, di grandi fenomeni sociali e politici, di contestazione della tradizione, di rifiuto dei sistemi sociali, il problema di come un ordine istituzionale entri in crisi doveva necessariamente diventare centrale per molti correnti della teoria sociologica contemporanea.
Non deve sorprendere neanche il fatto che i primi tentativi sociologici di fare i conti con la nuova realtà muovessero da presupposti non lontani da quelli della sociologia prevalente.
NEIL SMELSER (1930)
Nel suo primo tentativo di elaborare una teoria del comportamento collettivo, si riallaccia esplicitamente al pensiero d Talcott Parsons.
Smelser introduce il concetto di "azione sociale strutturata" che è un'azione integrata in un'organizzazione sociale ed individua una serie di livelli di specificità delle componenti dell'azione: dall'elaborazione di precise tecniche per raggiungere determinati fini, ai valori che stanno a fondamento di una data società e, in quanto tali, condizionano l'azione.
Quando l'azione sociale strutturata è sotto tensione e quando i mezzi istituzionalizzati per dominare la tensione sono inadeguati si ha "tensione strutturale", tensione che deve essere intesa come cattiva integrazione.
Quando si verifica tale tensione strutturale, a un qualunque livello di specificità strutturale, si deve avere una riformulazione della situazione a questo livello. Nel comportamento collettivo, invece, vi è la tendenza a passare direttamente ai livelli più generali come se quelli specifici si ristabilissero poi da sé in seguito alla riformulazione dei livelli generali.
Caratteristica del comportamento collettivo è l'impazienza che porta all'irrazionalità: quando si riformulano i principi di carattere generale, per l'equilibrio del sistema sarebbe necessario una pari riformulazione di tutti i livelli più specifici. Nel comportamento collettivo si va direttamente dal principio più generale, riformulato, al livello più specifico in cui è sorta la tensione, per un tentativo di soluzione immediata di tale tensione.
Il comportamento collettivo ha un carattere non istituzionalizzato nel senso che non è culturalmente prescritto.
Per Smelser, ogni episodio di comportamento collettivo deve comprendere:
a) un'azione non istituzionalizzata;
b) deve essere collettiva;
c) deve essere intrapresa per modificare una condizione di tensione
d) sulla base di un generale riordinamento di una componente dell'azione.
La teoria di Smelser è stata criticata per diversi motivi:
innanzitutto egli non riprende la distinzione, già proposta da Blumer, tra "movimenti espressivi" (che rivendicano nuovi valori, atteggiamenti, tecniche, ecc.) e "movimenti attivi" (che attuano la trasformazione di fatto dell'organizzazione sociale). Per questo motivo egli non può mettere in evidenza il fatto che ciò che caratterizza le grandi trasformazioni rivoluzionarie è il reale mutamento delle strutture e dei valori incarnate in esse (il che non avviene per il subitaneo generalizzarsi di una credenza, ma per l'instaurarsi di una reazione a catena di squilibri in cui le diverse parti della società sono coinvolte e ricoinvolti, i valori coinvolti e riconinvolti).
Smelser resta legato ai presupposti della tradizione sociologica dell'integrazione. Ciò perché il suo problema centrale appare quello di come ristabilire l'equilibrio istituzionale quando esso è messo in crisi da una tensione a un qualche livello delle componenti dell'azione. Egli presuppone che i principi generali fondamentali di una società debbano rimanere indiscussi e che la tensione debba essere eliminata senza che essi vengano mutati. Egli dunque considera "irrazionale" cercare di agire sui fondamenti del sistema costituito che devono invece essere accettati in quanto tali.
Nel 1981 Smelser pubblica il suo manuale di sociologia ed in esso riprende il problema del comportamento collettivo ora definito come "un comportamento relativamente spontaneo e non strutturato di un gruppo di persone che reagisce a un'influenza comune in una situazione ambigua".
Nell'individuare le caratteristiche del comportamento collettivo Smelser si riferisce e descrive una sommossa messa in atto da alcuni statunitensi neri contro le forze di polizia. Egli asserisce che gli scontri erano: a) insoliti, b) quando si verificavano c'era molta eccitazione collettiva, c) la gente sentiva che stava per succedere qualcosa, d) l'evolversi della situazione era imprevedibile, e) la durata dei disordini era limitata ad alcune ore al giorno.
Smelser poi distingue tra folla (caratterizzata dai rapporti diretti che intercorrono tra coloro che ne fanno parte) e massa (che ha un comune oggetto di attenzione)
Egli poi continua affermando che i movimenti collettivi sono propri sia delle folle che delle masse e possono essere dovuti a paura, gioia, ostilità
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PAURA |
OSTILITA' |
GIOIA |
FOLLA |
Panico |
Linciaggio |
Fenomeno della moda |
MASSA |
Diffondersi di notizie per incidente |
Ricerca di un capro espiatorio |
Passioni collettive per divi dello spettacolo o sportivi |
Smelser inoltre distingue tra comportamenti collettivi e movimenti sociali i quali sono forze sociali innovative rispetto all'ordine istituzionale ma non hanno qual carattere di precarietà che è propria dei comportamenti collettivi: hanno una leadership più stabile ed organizzata, è presente una mobilitazione e una pianificazione deliberata degli episodi di comportamento collettivo, sono più direttamente rivolti a cambiare la società nel suo complesso e quindi contengono quasi sempre elementi di conflitto politico e di contrapposizione nei confronti di coloro che si oppongono alla realizzazione dei loro obiettivi.
FRANCESCO ALBERONI (1929)
L'idea centrale di Alberini è quella di stato nascente espressione weberiana che egli rielabora rifacendosi non solo a Weber ma anche a Marx, Durkheim, agli studiosi americani del comportamento collettivo e inserendo molti concetti tratti dalla psicoanalisi.
Per stato nascente egli intende quel momento in cui si superano collettivamente le barriere costruite dal sistema istituzionale e lo si ritrova, ad esempio, nell'idea di carisma di Weber, nella concezione della rivoluzione di Marx, nei fermenti collettivi che portano alla fusione delle coscienze individuali e al sorgere di una nuova coscienza collettiva in Durkheim.
Lo stato nascente non è alla base di qualsiasi fenomeno collettivo perchè esso implica l'interazione ed il formarsi di una solidarità attraverso di essa. Alberoni distingue quindi fenomeni collettivi di aggregato (dove le persone si comportano alla stessa maniera ma non vi è fusione di coscienze: panico, emigrazioni, moda, ecc) e fenomeni collettivi di gruppo (che si ha quando l'attività va compresa come attività collettiva e va imputata a un'entità collettiva ed alla cui base vi è sempre un fermento che può sorgere solo nell'interazione e tende a rompere le barriere istituzionali costituite per creare nuove formazioni sociali destinate ovviamente a istituzionalizzarsi). Alberoni porta come esempio di fenomeni collettivi di gruppo che implicano lo stato nascente (prima di istituzionalizzarsi) l'innamoramento, il movimento delle femministe, il movimento hippy, i movimenti sindacali.
Ora, vediamo come Alberoni accomuna fenomeni tanto di versi tra loro e non possiamo non chiederci come egli possa giustificare queste sue affermazioni tanto in riferimento agli aggregati quanto in riferimento ai gruppi. Ad esempio egli non può evitare la difficoltà nello spiegare come eventi dovuti al caso (es: il panico) possano essere considerati sullo stesso piano di eventi derivanti da specifiche cause economico-sociali (es. emigrazione) e tale difficoltà permane in quanto egli ha trascurato di dare giusta considerazione ai fattori socio-economici.
Un'altra difficoltà sta nel fatto che la definizione di stato nascente data da Alberoni non consente di distinguere la direzione di questi movimenti, infatti, alcuni tendono a stravolgere l'ordine costituito per introdurne uno nuovo; altri, invece, tendono a ripristinare il passato. Egli invece afferma che lo stato nascente "non è ne reazionario ne progressista".
Ecco che la sua sociologia, nata con intenti critici verso la coercitività delle istituzioni, si rivela priva di qualsiasi capacità critica perchè ogni impulso al mutamento, a prescindere dalla sua direzione, è posto sullo stesso piano.
ALAIN TOURAINE (1925)
In Francia, i problemi relativi ai movimenti sociali sono stati oggetto di studio da parte di Alain Touraine e troviamo i fondamenti del suo pensiero nell'opera La produzione della società, del 1973.
Egli inizia con una critica al modello funzionalista al quale rimprovera:
a) di fare riferimento prevalentemente ai "valori" come fattore di coesione sociale mentre in qualsiasi società essi si manifestano solo attraverso i rapporti classe (intendendo questo termine nell'accezione più ampia);
b) la società non è nemmeno guidata da un corpo coerente di valori in quanto essi si trovano a coesistere in modo contraddittorio.
c) di considerare la società dal punto di vista delle istituzioni e vedere dunque in tutto ciò che non si conforma ad esse come una deviazione.
La sociologia prevalente (ed in particolare quella funzinalista), afferma Touraine, pone l'accento sul problema della "riproduzione" della società senza considerare che essa, oltre a riprodursi si produce ed ogni sociologia che si limiti all'analisi del solo momento della riproduzione è una sociologia che si fa portavoce dei rapporti di dominio costituiti.
Eppure, continua Touraine, non è facile uscire dal funzionalismo senza uscire dalla sociologia perchè la sociologia non può fare a meno di rapportare l'azione alla società e tale considerazione vale sia per la sociologia critica dei controlli (che mette in stato di accusa la società per il suo potere coercitivo) sia per la sociologia delle decisioni (che vede la società come un insieme di soggetti che agiscono e decidono liberamente). Infatti, così come la sociologia delle decisioni dissolve il sistema negli attori e nelle loro relazioni, la sociologia dei controlli dissolve gli attori nel sistema.
Touraine, allora, introduce il concetto di storicità, cui dà un significato molto diverso da quello solitamente inteso per questo termine: storicità come capacità di prodursi della società cioè non come insieme di valori ma come orientamenti realizzati concretamente e diventano funzionamento sociale solo passando attraverso i rapporti di classe che si disputano il loro controllo.
Egli propone dunque una sociologia dell'azione secondo la quale la società è sempre un sistema, un'organizzazione, un insieme di istituzioni ma anche un insieme di azioni individuali in rapporto tra di loro che creano movimenti in continua tensione con le strutture consolidate: questo secondo momento è quello della produzione della società mentre il primo è quello della semplice riproduzione.
Touraine trova così un compromesso che gli consente di superare una delle difficoltà maggiori della sociologia contemporanea la quale oscilla tra uno studio delle istituzioni entro cui gli individui sono ridotti in ruoli specifici e preordinati e un attivismo che tuttavia non fa i conti con la coercitività, che pure c'è, dell'apparato istituzionale.
Per Touraine, nella sua opera Il ritorno dell'attore del 1984, l'attore è "il movimento sociale" in quanto sono questi ad agire e a produrre l'innovazione anzichè riprodurre la società. Il problema, però è complicato dal fatto che mentre ad essi è attribuita la massima importanza (in quanto attore) dall'altra quelli cui Touraine fa riferimento con sono ancora realtà in atto ma mere possibilità, con l'unica eccezione del movimento operaio (almeno era così al momento in cui Touraine scriveva).
Una sociologia che non voglia essere un retaggio del passato, che non voglia rimanere legata a categorie interpretative ormai superate, è e deve essere una sociologia dei movimenti.
Il movimento sociale è il soggetto dell'azione e l'azione è concepita da Touraine come libertà anche se non è negato il condizionamento culturale, dallo sviluppo economico e dal sistema politico. I movimenti culturali vanno compresi in rapporto con l'ordine (le istituzioni) in quanto esso non è mai totale o totalmente chiuso: c'è sempre un piccolo spazio alla libera azione. D'altra parte, continua Touraine, la democrazia è necessaria allo sviluppo dei movimenti sociali (che altrimenti sarebbero schiacciati dal totalitarismo) così come essi sono necessari per lo sviluppo della democrazia stessa. In base a queste considerazioni, Touraine afferma che i movimenti sociali che oggi sono possibili (in base ai sistemi politici, culturali oggi esistenti) hanno, rispetto all'unico movimento realmente esistito nel passato (il movimento dei lavoratori) un carattere più prettamente culturale: si occupano di salute, di sessualità, di informazione lottano per crearsi uno spazio autonomo tra pressioni politiche ed economiche.
I movimenti sociali rappresentano dunque un nuovo tipo di contestazione che va compresa in rapporto con il crollo delle grandi aspettative rivoluzionarie.
Inoltre, Touraine, sembra non sfugga anch'egli alla tendenza ad accentuare il momento soggettivo rispetto ai condizionamenti strutturali propria degli studiosi dei movimenti collettivi in generali.
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