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IL SENSO DEL MA
Per comprendere la definizione e l'organizzazione di spazio, dobbiamo affrontare tre concetti di fondamentale importanza: ma, en ed oku. Tra questi, quello di gran lunga più importante, principio cardine nell'evoluzione della cultura giapponese e alla base di un'infinità di comportamenti che si riscontrano nella società, è sicuramente quello del ma.
Questa parola può essere tradotta come: spazio, spaziatura, intervallo, interruzione, spazio vuoto, stanza, riposo, tempo, sincronizzazione o apertura. Il suo significato dipende, quindi, da chi lo usa: un architetto usa questo termine per indicare uno spazio, un musicista per indicare il tempo. Come espressione di spazio, ma può significare lo spazio stesso, le dimensioni di uno spazio, un'unità di spazio o lo spazio tra due cose, come nelle parole toko-no-ma (alcova), ma-kazu (il numero di stanze), ma-bashira (il pilastro che marca lo spazio di un'alcova). Invece, come espressione di tempo, ma può significare il tempo stesso, l'intervallo che intercorre tra due eventi, il ritmo o la scansione del tempo; possiamo vederlo in espressioni come tsuka-no-ma (un breve momento, lett. larghezza di una mano), ma ga yoi (essere fortunato, lett. il ma è buono), ma ga au (essere in ritmo, lett. il ma si intona). Il carattere ideogrammatico per scrivere ma venne dalla Cina (simboleggiava il sole al centro di una porta), ed era usato solo in riferimento allo spazio; una volta arrivato in Giappone, venne a significare anche tempo. Il senso del ma (ma-no kankaku) è quindi indissolubilmente legato allo spazio ed al tempo, ed è per questo estraneo alla cultura occidentale, la quale tende a dissociare il tempo dallo spazio. Come spiegare l'esistenza delle molte espressioni giapponesi che incorporano i concetti di tempo e spazio miscelati insieme? Si potrebbe affermare che l'uomo giapponese dell'antichità, importando dal continente un determinato concetto, lo abbia rielaborato e caratterizzato secondo una visione che tendeva a considerare lo spazio e il tempo (fino ad allora considerati come due poli opposti) nella stessa dimensione. È proprio per la sua peculiarità di includere contemporaneamente i tre significati di tempo, spazio e spazio-tempo che la parola ma sembrava in un primo momento vaga; ma è proprio la molteplicità stessa dei significati racchiusi nella concisione della singola parola, che fa del ma un termine concettuale unico, senza equivalenti nelle altre lingue.
Il concetto di ma acquista così un ruolo predominante nella definizione del rapporto spazio-tempo. Vista la vasta gamma di significati attribuiti a tale termine, ne risulterebbe praticamente impossibile una traduzione alla lettera. Il dizionario Kojien riporta le seguenti otto accezioni, che spaziano da nozioni prettamente soggettive ad altre fortemente oggettive: a) l'intervallo tra due cose; b) una certa unità di misura tradizionale; c) la stanza di una casa; d) un certo tipo di intervallo nella musica e nella danza tradizionale; e) il modo buono o cattivo in cui qualsiasi cosa si presenta; f) un tempo di silenzio nella dizione; g) il tempo, nel senso di quando è opportuno o inopportuno; h) la fonda, il rifugio costiero. Un altro importante dizionario della lingua giapponese, questa volta antica, l'Iwanami, enuncia una definizione globale del ma: «fondamentalmente il ma è l'intervallo che esiste obbligatoriamente tra due cose che si succedono»; questo ci porta all'idea di pausa. Il ma è, senza esserlo, ciò che implica; da qui la difficoltà nel definirlo. L'architetto Gunter Nitschke, direttore dell'Institute for East Asian Architecture and Urbanism della Seika University di Kyoto, definisce il ma come «the japanese sense of place», che potremmo tradurre in italiano come senso di luogo, di posto. Qualcosa che genera un certa composizione di elementi nell'immaginazione di coloro che ne fanno l'esperienza.
Già ne passato sia lo spazio che il tempo venivano concepiti in Giappone in termini di intervallo. Da ciò si comprende come, proprio questa concettualizzazione dello spazio-tempo in entità unica, sia alla base della 'particolarità' della cultura giapponese, collocando tutte le sue manifestazioni artistiche in una posizione a sé, rispetto a quella occidentale. È forse questo aspetto che ha permesso, più di ogni altro, il formarsi di una cultura multidimensionale, diversa da quella bidimensionalità che caratterizza la nostra. A tale proposito si parla di uno speciale carattere della cultura giapponese che può forse essere descritto dalla sua molteplicità di grigi. In Occidente, il grigio è visto come il risultato della mescolanza di bianco e nero, un colore distinto che si colloca a metà strada tra i due. Al contrario, il grigio ben rappresenta sia il gusto giapponese per i colori, sia l'essenza culturale multidimensionale della società.
Un altro concetto è quello di ku, vuoto o nulla, ma che può significare anche cielo. È uno dei concetti centrali del Buddismo giapponese. Per riassumere brevemente, la dottrina nega ogni distinzione tra esistenza e non esistenza, ma afferma che entrambi esistono simultaneamente nella condizione di ku. Secondo il pensiero occidentale lo spazio è rigorosamente tridimensionale; nel pensiero giapponese, invece, si direbbe che diventi quadridimensionale, risultato al quale si perviene con l'aggiunta del tempo.
Il concetto (o senso) tradizionale giapponese di spazio, come abbiamo visto, è piuttosto diverso da quello occidentale, e questo vale anche nella sua fase più moderna. In Occidente siamo soliti parlare di spazio nella accezione tridimensionale, contrapponendolo all'oggetto che invece è sostanziale e tangibile.
Nella pittura ad inchiostro (sumi-e), i vasti spazi lasciati bianchi, immatricolati, i ma, rappresentano il cielo, le montagne o addirittura l'oceano. Lo stesso vale per la calligrafia, intesa da sempre come un'arte e un modo di espressione personale, in cui gli spazi possiedono una grande quantità di significati. Per quanto riguarda la musica, lo stesso discorso si può applicare ai senuhima, i momenti in cui, nelle rappresentazioni teatrali del Noh, la musica si arresta e l'attore ferma ogni movimento percepibile: è proprio in questo momento di sospensione dell'azione e del suono che egli può esprimere lo spirito del suo ruolo, lasciando immaginare allo spettatore un'infinità di movimenti; un momento di vuoto silenzioso dunque, che contiene un profondo significato. Lo spazio in Giappone, non è mai stato compreso come fattore fisico. Anzi, la conclusione che si può trarre dall'architettura giapponese, è che lo spazio come entità non esiste affatto. Del resto la chiave umana fondamentale per comprendere la percezione dello spazio, è stata l'interpretazione della natura visibile.
I luoghi santificati (Yorishiro) cari alla tradizione shintoista e rintracciabili ancor oggi nei recessi della natura, erano a volte delimitati da quattro pali conficcati nel terreno, uno per angolo, ed uniti da una cordicella. Si pensava che i kami discendessero in posti così delimitati, lasciati completamente vuoti. Per questo i modi di preparare un tale spazio e di aspettare la discesa del kami all'interno hanno avuto un'immensa influenza sulle successive valenze dello spazio-tempo giapponese. Uno spazio così delimitato era, infatti, considerato come un vuoto al pari di tutti gli oggetti concreti, ritenuti vuoti al loro interno. Secondo le credenze popolari il kami sarebbe disceso ed avrebbe riempito questi vuoti con la forza spirituale (chi). È fondamentale notare come la percezione dell'istante in cui avveniva tutto ciò abbia avuto un'importanza decisiva nei successivi sforzi artistici. Per sintetizzare, infine, le nostre riflessioni intorno al ma come vero e proprio 'senso di luogo' riportiamo le conclusioni di Nitschke, secondo il quale la storia dell'architettura giapponese segue uno sviluppo da un disordine apparente nella creazione umana, fino ad arrivare ad un senso di ordine altamente sofisticato, in cui la consapevolezza ha comunque preso il posto dell'ingenuità. Tale sviluppo è da lui così diviso nelle seguenti tre fasi: 1) Disordine apparente; 2) Ordine geometrico; 3) Ordine sofisticato.
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