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Il grande affresco del Giudizio Universale
conclude l'immensa opera decorativa della Cappella Sistina. Il centro ideale
della rafurazione è Cristo Giudice, che con un gesto decreta la
salvezza o la condanna eterna. Intorno a lui l'intero universo crolla, in
un'immagine pittorica che sconvolge i canoni tradizionali della
rappresentazione del Giudizio finale, la costruzione prospettica e gli ideali
d'armonia di tutta l'arte rinascimentale, aprendo la strada alle inquietudini e
alla sperimentazione compositiva del manierismo. Nel giugno 1535 Michelangelo
fece montare i ponteggi, la parete fu rivestita di uno strato di mattoni, con
maggiore spessore in alto e minore in basso, in modo che la superficie
risultasse leggermente inclinata, probabilmente per ragioni di migliore
visibilità piuttosto che per evitare il deposito delle polveri. Il pittore
iniziò a dipingere l'anno successivo e il dipinto venne terminato il 31
ottobre 1541. Nel 1564, un mese prima della morte di Michelangelo, il Concilio
di Trento approvò la richiesta di alcuni prelati di coprire le parti
intime delle ure.
La persona che si occupò di questo lavoro fu Daniele da Volterra,
allievo di Michelangelo, e per questo motivo venne soprannominato
"Braghettone". In seguito papa Clemente VIII ebbe la tentazione di distruggere
questa opera, ma fu persuaso a non farlo. Altri interventi censori seguirono
negli anni successivi, alternati ad interventi di manutenzione e di restauro. I
fumi delle candele e le colle date per tentare di aumentare la
luminosità dell'affresco finirono col formare un velo scuro di sporco
che ne impediva la piena leggibilità. L'intervento di restauro
realizzato tra il 1990 e 1994 ha permesso di recuperare la nitidezza dei
colori, il vigore delle forme, la definizione dei particolari e l'unità
complessiva dell'opera.
Nell'ambito della composizione, ogni ura risalta anche nei più folti gruppi di persone. L'affresco della Cappella Sistina riconosce le sue fonti nella Bibbia e nella costruzione immaginifica di Dante, ma deve la sua ispirazione più profonda alla concezione religiosa di Michelangelo, guidato da chi, come l'amica Vittoria Colonna, si batteva per una riforma spirituale della Chiesa.
Accorrono dall'alto gli angeli, che portano i simboli della Passione (la colonna sulla quale fu flagellato e la croce sulla quale fu crocefisso) a testimoniare la redenzione e la giustizia del castigo. Cristo giudice è rafurato con il braccio destro alzato in un gesto collerico di dannazione mentre con la mano sinistra chiama gentilmente a sé i beati. Il suo gesto dà l'avvio ad un ampio e lento movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le ure. Ne rimangono escluse le due lunette in alto con gruppi di angeli recanti in volo i simboli della Passione (a sinistra la Croce, i dadi e la corona di spine; a destra la colonna della Flagellazione, la scala e l'asta con la spugna imbevuta di aceto). Gli si accosta pietosa Maria, che volge il capo in un gesto di rassegnazione (non può infatti intervenire nella decisione, ma solo attendere l'esito del Giudizio); affiancano il Redentore gli Apostoli e miriadi di Santi; nella parte centrale del dipinto degli angeli destano con le trombe i morti che risorgono. Tra i risorti alcuni si librano, altri sono portati verso l'alto, taluni precipitano o sono trascinati verso il basso dove Caronte nocchiero sfolla dalla sua barca i dannati, mentre Minosse, avvolto dalla serpe, li giudica all'ingresso dell'inferno. Questi ultimi due personaggi furono facile tramite a supporre l'ispirazione dantesca del dipinto, suddiviso in tre zone, come l'Inferno dell'Alighieri è diviso in tre regni. Nel cerchio dei santi attorno al Redentore si trova la mistica rosa dell'empireo dantesco e, tra gli eletti, Beatrice, Rachele. San Bernardo; tra i dannati spiccano invece Niccolò III, Paolo e Francesca, mentre tra i risorti appare lo stesso Dante, cui si avvicina Virgilio. Sulla pelle di san Bartolomeo si riconosce il ritratto deforme di Michelangelo. Si riconoscono inoltre le ure di S. Pietro con le due chiavi, S. Lorenzo con la graticola, S. Caterina d'Alessandria con la ruota dentata, S. Sebastiano inginocchiato con le frecce in mano.
Nei corpi nudi grandeggia l'umanità, gli uomini hanno corpi atletici anche se una forza misteriosa li attrae verso l'alto o li precipita in basso. Non vi sono inoltre beati: è il giorno dell'ira e della vendetta, e tutto è scosso dallo spavento sotto l'azione di Cristo.
L'iconografia tradizionale del Giudizio
è stravolta, il linguaggio razionale e ordinato proprio del Rinascimento
è abbandonato. Attraverso una panoramica generale, possiamo osservare
che i numerosi 'Giudizi finali' legati alla cultura urativa
italiana tendono a collocare l'Inferno a sinistra del Cristo giudice (e quindi
a destra di chi guarda), a porre gli strumenti della Passione (la croce, i
chiodi, la colonna, ove compaia) al di sotto del Salvatore e a posizionare gli
angeli tubicini (quelli che suonano) al di sopra di Nostro Signore che occupa
comunque una posizione centrale.
Naturalmente non si tratta di uno schema rigido, anche se le varianti sono di
poco conto, come si vede per esempio nel Giudizio del Beato Angelico che
colloca gli angeli con le trombe sotto la ura di Cristo mentre lascia
invariate le altre collocazioni.
La tradizione urativa dell'Europa settentrionale, al contrario, pone gli
strumenti del martirio di Gesù nella parte alta della composizione, il
Cristo al centro, gli angeli tubicini immediatamente al di sotto e l'inferno
nella zona più bassa dello schema. Il Giudizio di Michelangelo riflette
fedelmente questo disegno, così da essere compositivamente vicino a
celebri Giudizi come quelli dipinti da altrettanto famosi artisti fiamminghi
del Quattrocento.
Osservando l'intera superficie dell'affresco, non sarà difficile notare che gli angeli con gli strumenti del martirio costituiscono due epicentri compositivi distinti, posti simmetricamente ai lati dell'asse centrale occupato dalla presenza del Cristo giudice e della Vergine. Più in basso troviamo poi la grossa nuvola con gli angeli tubicini e al di sotto la lunga linea orizzontale del paesaggio infernale. Uno schema così concepito, ovverosia basato sulla presenza di due elementi distanti e simmetrici collocati al di sopra e ai lati di un asse verticale, al di sotto del quale troviamo un elemento orizzontale, non può non ricordare quello di un volto umano. Il problema, però, è quello di riuscire a capire se l'impressione che suscita l'insieme debba considerarsi casuale, oppure se Michelangelo volle realmente forzare lo schema che gli derivava dalla conoscenza della cultura urativa nordeuropea per rafurare il volto di Dio.
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