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Nato a Blainville presso Rouen nel 1887, Duchamp comincia a dipingere giovanissimo, nel 1902, ma fino al 1912 la sua arte può essere scambiata con quella di un qualsiasi altro artista: prima Impressionista, poi Fauve. Fratello dello scultore Duchamp-Villon e del pittore J. Villon, partecipa con loro all'avventura della Section d'Or Cubista. Nel 1912 dipinge Nu descendent un escalier (Nudo che scende le scale), inaugurando così la sua svolta innovativa con la rappresentazione del movimento; la Mariée (La sposa) chiude la produzione cubista del giovane. Tuttavia il disegno della Sposa ura già tra i personaggi del suo Grande Vetro, l'opera che Duchamp inizierà a progettare all'inizio del 1913 e che lascerà "definitivamente incompiuta".
Nello stesso anno Duchamp realizza anche il suo primo "ready-made" (letteralmente già fatto, già esistente); si tratta di un ingranaggio inutile composto da una ruota di bicicletta appoggiata sopra uno sgabello. La ruota non fa muovere lo sgabello, ma gira sopra di esso a vuoto; in questo caso l'azione dell'artista consiste nel considerare l'oggetto come opera.
Quando nel 1915 si reca a New York per la prima volta, diventa popolare presso ristretto numero di amici ed estimatori; è proprio qui che insieme a Picabia pone le basi di quello che sarebbe poi stato il futuro Dada. Stringe un'importante amicizia con Man Ray ed inizia a giocare a scacchi in maniera professionale.
Inoltre, sempre a New York, Duchamp comincia a realizzare il progetto per la sua grande opera il Grande Vetro il cui titolo originale è La marine mise à nu par ses célibataires, meme (la sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche).
E' un'opera di cui è praticamente impossibile parlare, le sono stati dedicati interi volumi e lo stesso autore le ha dedicato tanti anni della sua vita e infiniti appunti; osserveremo quindi solo i tre punti che ci paiono più importanti:
la struttura dell'opera e la tecnica impiegata;
le parti che la compongono e i loro collegamenti;
il titolo e il significato in relazione alle altre opere di Duchamp.
Dal punto di vista strutturale il Grande Vetro è costituito da una parte inferiore, in cui troviamo gli scapoli associati al mondo terreno, e una superiore, occupata da un certo numero di presenze o personaggi tra i quali c'è anche la urazione della sposa.
Tutta l'opera si costruisce nella tensione tra la parte alta a quella bassa; il fatto interessante è che al contrario di un quadro tradizionale l'opera di Duchamp è realizzata in vetro e viene per questo attraversata dallo sguardo dello spettatore come una finestra. La parte inferiore è la più complessa: vi sono rappresentati alcuni macchinari incongruamente combinati tra lori, in prospettiva, realizzati incollando sul vetro fili di piombo, fogli di piombo o alluminio sagomati e parzialmente dipinti ad olio in modo da simulare delle presenze non pittoriche.
Giungiamo ora al titolo; apparentemente sembra non avere senso, ma ci pone davanti ad una sorta di scena rituale: la Sposa è messa a nudo dai suoi Scapoli.
Capiamo che il rito, la scena alla quale assistiamo è la rappresentazione di una tensione desiderante, non di un evento reale.
Se dovessimo fornire una descrizione abbreviata dell'opera potremmo dire che gli Scapoli (rappresentati da nove stampi industriali di forma vagamente umana, che ricordano delle livree, dunque dei vuoti involucri), attraverso un utilizzo assolutamente fantastico degli altri macchinari, macinano il lori desiderio per la Sposa, che sale poi verso l'alto e deve superare tutta una serie complessa di fili prima di giungere a Lei.
Il funzionamento della sposa è nello stesso tempo meccanico, fisiologico, ironico e immaginario; la forma che Duchamp rappresenta nella parte alta è solo apparenza; la sposa è dunque "la copia di una copia dell'Idea". Gli scapoli non possono dunque fare altro che desiderare quello che non avranno mai: la loro vita si consumerà nella tensione ideale per qualcosa che non potranno mai raggiungere.
Numerosissime sono le interpretazioni dell'opera capitale di Duchamp e moltissimi sono i critici che si sono misurati con questo testo ermetico che sembra non avere un'apante soluzione; forse, come dice lo stesso autore, non c'è soluzione perché non c'è problema.
Per Duchamp la provocazione dadaista non sta tanto nel giocare con le forme degli oggetti (com'era invece per Arp), quanto piuttosto, con le loro funzioni. Già dal 1913 l'artista aveva cominciato a sperimentare il cosiddetto ready-made che letteralmente significa "prefabbricato", "pronto all'uso". Si tratta di impiegare in campo artistico oggetti del quotidiano alla cui vista e al cui uso siamo abituati. Il significato profondo della provocazione sta proprio nel riprodurli come oggetti d'arte spiazzando e stravolgendo le nostre aspettative.
Quando nel 1917 Duchamp espose, con lo pseudonimo inventato di R. Mutt, la sua fontana, sembrò che si fosse toccato il fondo: la critica insorse e le polemiche si arroventarono. La fontana non era altro che un orinatoio rovesciato, di quelli che solitamente si trovano nei bagni pubblici.
L'ironica beffa, resa ancora più provocatoria dalla firma dell'autore e dalla data, apposte in basso a sinistra, fu chiarita dallo stesso artista che parlando di sé con il distacco della terza persona, scrisse agli organizzatori della mostra che rifiutarono di esporre l'oggetto: "L'orinatoio del signor Mutt non è immorale, non più di quanto lo sia una vasca da bagno . Non ha importanza se il signor Mutt abbia fatto o meno la fontana con le sue mani. Egli l' ha scelta. Egli ha preso un articolo usuale della vita, e lo ha collocato in modo tale che il suo significato utilitario è sso sotto il nuovo titolo e punto di vista e ha creato un nuovo modo di pensare quest'oggetto."
Quest'ultima riflessione è importante per capire il senso dell'arte di Duchamp. Arte non è più fare (dunque mostrare una bravura e una competenza anche tecniche), ma scegliere (cioè operare a livello di puro intelletto). Chiunque può quindi diventare artista e tutto può diventare arte.
L'originale della fontana è andato perso perché, nel coso di un trasloco, i facchini lo scambiarono per quello che era e lo buttarono via. Duchamp non poteva aspettarsi un esito migliore.
L'oggeto-orinatoio che, tolto dal suo contesto, diventava fontana (e quindi arte), durate il trasloco torna ad essere un oggetto e dunque come tale trattato e distrutto.
L'arte con la A maiuscola, quella prodotta dalla stessa società che era stata capace di produrre la guerra, era veramente e definitivamente morta.
Ciò è ancor meglio comprensibile in L.H.O.O.Q., un ready-made rettificato (cioè sul quale l'artista ha apportato qualche piccola modifica) realizzato nel 1919.
Si tratta di una riproduzione della Monna Lisa di Leonardo alla quale Duchamp ha aggiunto baffi e pizzetto.
In questo caso la provocazione è doppia, in quanto dissacra uno dei miti artistici più consolidati, quello della Monna Lisa appunto. Le lettere maiuscole che costituiscono il titolo L.H.O.O.Q., poi, se sillabate secondo la pronuncia francese, danno origine alla frase volgare (Elle e chaud au cul, letteralmente: ella ha caldo al sedere) e gratuita, cioè assolutamente estranea al cotesto.
In questo modo Duchamp non vuole negare l'arte di Leonardo ma, a suo modo, onorarla. Egli mette, infatti, in ridicolo gli estimatori superficiali e ignoranti, attaccati alle apparenze e alle convenzioni. Poiché tutti dicono da sempre che la Monna Lisa è straordinariamente bella lo diciamo anche noi, per conformarci acriticamente al volere del gusto dei più.
L'arte urativa dadaista si caratterizza ben presto come ricerca di forme astratte e come definizione essenziale dell'immagine. I rilievi e i collages sono esperimenti di un'arte creativa quale il dadaismo voleva, un'arte soggetta alle leggi dell'imprevisto e del caso: per esempio pezzi di carta disposti sul piano e incollati come il caso suggeriva. Arp è sicuramente il protagonista di tutte le più importanti attività dadaiste, egli, insieme alla sua comna Sophie Tauber, sperimenta molte tecniche, ricami, tappezzerie, nuovi rilievi policromi, disegni astratti e xilografie a macchina.
Precursore di vari movimenti artistici tra cui la Body-Art nel 1921 Duchamp si fa scattare dall'amico Man Ray una serie di fotografie in cui impersona, travestito, un misterioso personaggio femminile: Rrose Sélavy.Questo personaggio, che ura anche in un'altra opera come etichetta di una boccetta di profumo (Eau de Violette ovvero acqua di violetta invece che toeletta) e il cui nome promette una sorta di Vie en rose (la traduzione apparente del nome è "Rosa è la vita"), nasconde in realtà un principio più serio: con la consueta tecnica duchampiana dei giochi verbali "Rrose c'est la vie" diventa infatti "Eros è la vita". L'immagine è però quella di un ermafrodito, sia uomo che donna, completo in se stesso: soluzione alchemica della realtà o altra soluzione impossibile.
Nel 1927 Duchamp si era fatto costruire dal suo falegname una porta, per il suo appartamento parigino, che aveva questa particolarità: poteva aprire o chiudere contemporaneamente due vani le cui aperture erano poste quasi ad angolo retto; la porta, percorrendo un arco di cerchio di circa 45°, poteva chiudere uno dei due vani lasciando l'altro sempre aperto o viceversa; una delle due stanze rimane quindi sempre aperta. Anche in questo caso l'artista ci pone non tanto di fronte ad una soluzione, ma di fronte ad un'alea irrisolvibile.
Nel 1938, nell'allestimento di una mostra surrealista, Duchamp sospende 1200 scacchi di carbone sopra un braciere acceso: anche in questo caso sembra voler alludere ad un desiderio che arde, il cui "carburante" è tuttavia fuori portata per il braciere stesso. E' questo uno dei primi casi di "performance" tecnica pio ripresa e utilizzata dai movimenti Happening; Duchamp si può quindi definire un artista poliespressivo dotato di una grande creatività ed inventiva che lo portano ad essere il precursore dei maggiori movimenti artistici del '900.
Abbiamo già citato la Body-Atr e gli Happenigs ma ecco che dopo il ritorno definitivo negli Stati Uniti negli anni Quaranta Duchamp inizia a progettare il suo secondo grande lavoro: Etant donnés: 1° la chute d'eau, 2° le gaz d'éclairage (Dati: 1° la caduta dell'acqua, 2° il gas d'illuminazione, 1946/66) in cui anticipa le tecniche poi utilizzate nell'iperrealismoe nell'arte cinetica.
L'artista ottiene che il Museo di Filadelfia (che già possedeva il Grande Vetro) costruisse appositamente un vano per ospitare la sua ultima creazione che venne poi spostata al museo subito dopo la morte dell'artista (1968) insieme ad una imponente mole di appunti che riguardavano l'allestimento definitivo.
Etant donnés è un'opera radicalmente diversa da Mariée, a prima vista quasi opposta. Corposa e concreta quanto l'altra è astratta ed evanescente, si rivela però, dopo un primo esame, straordinariamente simile al Grande Vetro.
Se la Sposa, nella prima opera, si presentava come "la copia della copia di un''Idea", qui è il corpo di una donna che esibisce il proprio sesso aperto. Sdraiata su un mucchio d rami secchi, una lampada accesa in mano (le gaz d'éclairage), sembra attendere un amante. Duchamp, anticipando di molti anni gli scultori Iperrealisti, usa un materiale che suggerisce quasi tattilmente l'aspetto della pelle umana, benché la scultura non sia propriamente un saggio di realismo analitico, ma piuttosto di illusionismo. Tuttavia i rami sono veri, lo spettatore osserva il corpo da uno squarcio di muro di veri mattoni e sullo sfondo paesaggistico si trova una cascatella in movimento (un effetto cinetico) che suggerisce realisticamente la caduta dell'acqua.
Qui, dunque, il desiderio degli Scapoli sale sotto forma di gaz d'éclairage, mentre il linguaggio della Sposa scende sulla terra sotto forma di chute d'eau.
Octavio Paz suggerisce che la Sposa sia qui presentata come Diana al bagno doveva apparire ad Atteone: una magnifica vergine la cui vendetta non si fa attendere troppo; del resto la colpa di Atteone consiste nel fatto di aver visto (o spiato) la dea nuda, questo è esattamente quello che sta facendo lo spettatore che osserva l'opera dal buco di una porta come un voyeur. Del resto la posizione de voyeur mette automaticamente lo spettatore nell'impossibilità di soddisfare il desiderio.
Oltre le due opere maggiori che abbiamo qui descritto, non dobbiamo dimenticare di citare la terza, e forse capitale, delle opere dell'artista francese, la propria autostoricizzazione. Quando Duchamp lascia definitivamente la Francia per gli Stati Uniti (a causa della seconda Guerra Mondiale) porta con sé la famosa Boite en valise (scatola in valigia, 1942) che contiene riproduzioni miniaturizzate delle sue opere che egli stesso ritiene essere tra le più importanti della propria produzione. E' forse il primo artista conscio dell'importanza di una ristrutturazione critica del suo lavoro e di una necessità di lettura globale della propria.
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