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NEOCLASSICISMO
Movimento culturale fiorito tra la metà del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Delineatosi in parallelo all'intensificarsi delle ricerche archeologiche, può essere ricollegato ad atteggiamenti tipici del pensiero illuminista, in particolare alla volontà di recuperare l'originale semplicità naturale tramite l'accostamento a quella che si conura come una condizione iniziale della storia dell'umanità. Il gusto e l'espressione vogliono infatti recuperare una tradizione secolare, ma vi inseriscono spunti ed idee nuove, il che giustifica l'aggiunta del "neo" davanti al nome "classicismo".
Il momento d'inizio coincide con gli scavi, effettuati da Winckelmann, di Pompei ed Ercolano, simboli della cultura classica. Quest'importante scavo archeologico fece nascere nell'opinione pubblica un interesse per il mondo classico e per le sue idee (in particolare l'ideale d'armonia e l'ideale di bellezza). Questa nuova corrente investì l'Europa e specialmente l'Italia, che aveva sempre cercato di valorizzare, anche in epoche precedenti, la cultura classica. L'Imitazione del mondo classico fu codificata dallo stesso Winckelmann, nel suo libro "Storia dell'arte antica".
Egli affermò non l'imitazione delle opere classiche, ma l'imitazione del modo con cui l'artista del mondo classico aveva imitato la natura, che resta anche per il neoclassicismo il punto di partenza.
La natura infatti, se lasciata a se stessa, non può raggiungere la perfezione. Occorre che l'uomo intervenga e la educhi a essere naturale, secondo l'idea di naturalezza.
Nato nell'ambito delle arti urative, il neoclassicismo intendeva proporre, contro i toni mossi e le irregolarità del Barocco, quei modelli di compostezza e armonia che allora sembravano rintracciabili solo nell'arte antica.
Il suo maggior teorico fu Johann Joachin Winckelmann, che propugnò un'arte fatta di equilibrio, elegante precisione e serenità, esente da dismisure di stile e da espressioni di passionalità.
Winckelmann è considerato l'iniziatore della moderna storia dell'arte, per aver sottolineato la necessità di una conoscenza scientifica dell'antico.
Il teorico dell'arte propone di imitare l'arte greca, le cui principali caratteristiche sono nobile semplicità e pacata grandezza, in quanto perpetuo esercizio dello spirito. L'arte acquista in questo periodo un valore morale e sociale. Essa deve spingere l'uomo alla virtù attraverso i grandi esempi del passato, che diventano i modelli di un mondo puro e incorrotto.
Il neoclassicismo fu un fenomeno molto complesso, che non interessò solo le arti urative, anzi implicò un profondo rinnovamento della cultura sotto la spinta di molteplici forze. La grandiosità del neoclassicismo fu quella di aver raggiunto, da parte degli artisti, un più alto grado di purezza, passando attraverso e non sopra la natura.
Uno dei maggiori esponenti del neoclassicismo italiano fu Antonio Canova, scultore. La scultura, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far rivivere la classicità. Le maggiori testimonianze artistiche dell'antichità sono infatti sculture. E nella scultura neoclassica si avverte il legame più diretto ed immediato con l'idea di bellezza classica. Una pittura classica non esiste, anche perché le testimonianze di quel periodo sono quasi tutte sse.
I caratteri della scultura neoclassica sono la perfezione di esecuzione, l'estrema levigatezza del modellato, la composizione molto equilibrata e simmetrica, senza scatti dinamici. La pittura neoclassica si riaffidò agli strumenti del naturalismo rinascimentale: costruzione prospettica, volume risaltato con il chiaroscuro, la precisione del disegno, immagini nitide senza giochi di luce a effetto, la mancanza di tonalismi sensuali. I soggetti delle opere d'arte neoclassiche diventarono personaggi e situazioni tratte dall'antichità classica e dalla mitologia.
Le storie di questo passato, oltre a far rivivere lo spirito di quell'epoca, che tanto suggestionava l'immaginario collettivo di quegli anni, serviva alla riscoperta di valori etici e morali, di alto contenuto civile, che la storia antica proponeva come modelli al presente. La storia antica, quindi, fu un serbatoio d'immagini allegoriche da utilizzare come metafora sulle situazioni del presente
ANTONIO CANOVA
Nacque a Possagno (Treviso), a circa 80 km da Venezia, nel novembre 1757: a soli quattro anni rimase orfano del padre, Pietro; la madre, Angela Zardo, si risposò poco dopo con Francesco Sartori e si trasferì nel vicino paese di Crespano, ma Antonio rimase a Possagno, con il nonno Pasino Canova, tagliapietre e scultore locale di discreta fama. Questi eventi segnarono la sensibilità del giovane per tutta la vita.
Fin da giovanissimo egli dimostrò una naturale inclinazione alla scultura: eseguiva piccole opere con l'argilla; si racconta che, all'età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziano, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale bravura che tutti gli invitati ne rimasero meravigliati: il padrone di casa, il senatore Giovanni Falier, intuì la capacità artistica di Antonio Canova e lo volle avviare allo studio e alla formazione professionale.
A Venezia, Canova frequentò la scuola di nudo all'Accademia e studiò disegno traendo spunto dai calchi in gesso della Galleria di Filippo Farsetti.
Fu proprio durante un viaggio a Roma che Canova conosce le teorie Winckelmann: si impegna infatti in creazioni di opere che incarnino i precetti del teorico tedesco; nobile semplicità e quieta grandezza con particolare attenzione alla forma pura in grado di trasmettere emozioni e provocare forti sentimenti all'occhio dell' osservatore.
Obbiettivo scultoreo di Canova è imitare l'arte classica, in particolare quella di Fidia, che era riuscito a far coesistere "la vera carne" con la bella natura.
La sua capacità di interpretare con immediato, felicissimo intuito questi fermenti si rivela nel Teseo sul Minotauro (1781)
Si concentra sul momento successivo alla lotta, quindi alla vittoria, al momento della riflessione, della quiete. Le ure sono in armonia tra loro, ricomposte da una pace sovrana.
Il gruppo scultoreo è una rappresentazione del mito di Teseo e si pone come una delle opere più esemplari del concetto di arte neoclassica. L'eroe ateniese, aiutato da Arianna, penetrò nel labirinto di Creta, ove era rinchiuso il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, e riuscì ad ucciderlo. L'episodio si prestava a molteplici possibilità: uno scultore barocco come il Bernini ne avrebbe probabilmente approfittato per cogliere il momento di massimo sforzo nello scontro tra Teseo e il Minotauro e scolpire un gruppo di grande dinamicità e tensione. Invece Canova, da artista neoclassico, cerca il momento della quiete e non dell'agitazione. E così preferisce sintetizzare la storia al momento della vittoria di Teseo, quando la tensione si è oramai sciolta e un profondo senso di pace pervade l'eroe.
In questo istante si coglie anche un senso di umana pietà che Teseo prova verso il mostro sconfitto, in quanto la sua nobiltà d'animo gli impone di non odiare il nemico. Tutto il gruppo scultoreo trasmette quindi un senso di profonda calma: è il momento in cui l'agitazione delle passioni e delle azioni si spegne e si trasferisce all'eternità del mito. Da un punto di vista stilistico il gruppo ha equilibri molto classici e le forme anatomiche di Teseo richiamano direttamente le inespressive ma perfette fattezze di tante statue dell'antica Grecia. Il gruppo è quindi una espressione paradigmatica delle nuove esigenze estetiche dell'arte neoclassica.
A differenza della precedente scultura, nella composizione di Ercole e Lica, Canova rappresenta l'azione della lotta, ritraendo Ercole mentre sta per scagliare il suo servo.
Ercole è come un lanciatore di disco, in questo caso rappresentato da Lica.
La scena è ricomposta in una circolarità che chiude l'azione e la schematizza; inoltre più che sofferta sembra quasi una scena didascalica. I movimenti sono fortemente accentuati: lo si nota nella mano di Ercole che stringe, quasi a strappare, i capelli di Lica.
Vuole ricordare un mito, quindi una sorta di insegnamento: narra della bella Deianira che invia in dono, tramite il servo Lica, al suo sposo Ercole la camicia di Nesso. Ercole, appena ricevuto l'indumento, indossò la camicia ignaro che questa gli si sarebbe stretta alle carni procurandogli dolori insopportabili da desiderare di morire.
Canova viene spesso definito lo scultore della grazia, intesa come qualità squisitamente intellettuale che permette alla realtà di diventare Natura.
Componente fondamentale delle opere dello scultore è infatti "la grazia" e si può ritrovare questa componente in una delle più belle statue di Canova: Amore e Psiche
Le due ure si sfiorano appena, rapite in un'incantata contemplazione. La passione sfuma in una sensualità raffinata con l'intreccio delle braccia, più allusivo che reale, e con la bellezza perfettamente composta, non turbato dalle passioni.
Esso rappresenta Amore e Psiche nell'atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l'alto e, per far ciò, imprime al corpo una torsione ad avvitamento; l'uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l'altra gamba si spinge in avanti inarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna. Anche in questo caso, Canova trae spunto dalla mitologia. Il soggetto è probabilmente tratto dalla leggenda di Apuleio, secondo la quale Psiche era una ragazza talmente bella da suscitare l'invidia di Venere, così che la dea le mandò Amore per farla innamorare di un uomo brutto. Ma Amore, dopo averla vista, se ne innamorò e, dopo una serie di vicissitudini, ottenne che Psiche entrasse nell'Olimpo degli dei, per restare con lui. Il soggetto è qui utilizzato come allegoria del potere dell'amore, visto soprattutto nell'intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rappresentazione all'istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.
Il gruppo ha fermezza e staticità, che si può notare nella visione frontale. Il corpo di Psiche insieme alla gamba e alle ali di Amore formano uno schema ad X simmetrico. Al centro di questa X le braccia di Psiche definiscono un cerchio perfetto che inquadra al centro il punto focale della composizione: quei pochi centimetri che dividono le labbra dei due. In questi pochi centimetri si gioca il momento pregnante ed eterno, del desiderio senza fine che l'Eros sprigiona.
Canova vuole mostrare tutta la tensione neoclassica di giungere a quella perfezione senza tempo, e per far ciò pietrifica la vita dando alla materia una forma eterna.
Anche nelle opere successive Canova tratta soggetti mitologici, ricercando la grazie che elude i forti sentimenti e le sconvolgenti passioni. Ciò lo si può notare in Ebe
ebe Giasone
L'opera è stata oggetto di studio: in particolare, a Canova, era criticato il fatto di aver reso poco espressivo il viso della donna; l'artista ribatte di aver rappresentato il bello e di non aver reso Ebe una baccante, ossia una donna dominata da frenetica passione.
A questa ricerca del bello, gli si contrappone l'opera di Thorvaldsen, il Giasone.
Il volume del corpo è chiuso in linee che non lo collegano all'ambiente circostante: manca ogni emozione e il ricordo della natura.
Canova realizza anche importanti monumenti funerari.
La concezione che Canova vuole esprimere della morte dell'uomo è duplice: innanzitutto vi è quella del trapasso, del passaggio da questa all'altra vita. Canova era un cattolico credente; la sua fede era di quelle semplici e venete, educata dall'amorevole nonna Caterina e dal rustico parroco di Possagno: per tutta la vita, Canova non ebbe manifestazioni di tentennamento e dubbi di fede. Nei suoi Monumenti funebri traspare la concezione rassegnata della morte: la consumazione del corpo è una legge posta da Dio all'uomo affinché l'anima possa ricongiungersi col suo Creatore in Paradiso. Non c'è in Canova disperazione davanti alla morte, ma compostezza nel dolore e accettazione fidente del volere di Dio.
La funzione principale del Monumento funebre canoviano è la celebrazione dell'eroe.
Monumento funerario di Clemente XIII: è stato concepito dallo scultore secondo il classico schema a tre piani sovrapposti.
Sul primo livello, quello del basamento, poggiano le ure allegoriche: due leoni, simbolo della forza, che proteggono la porta che da accesso al sepolcro; il genio della morte e la ura femminile con la croce in mano simbolo della Religione.
Al secondo livello è posto il sarcofago, di forme ovviamente classicheggianti.
Al terzo livello vi è la statua a tutto tondo del papa, inginocchiato sul sarcofago, rappresentato in atteggiamento umile
Monumento funerario a Clemente XIV si può notare uno schema in piccole e grandi divisioni.
Sopra un grande zoccolo è posto il sarcofago del papa, protetto dall'Umiltà e la Temperanza, trasformate in donne che piangono la morte del pontefice. Le tre statue sono definite le migliori dell'arte greca in quanto espressione, composizione e panneggi.
In alto campeggia la ura del Papa, che suscitò grandissimo scalpore ed emozione tra i contemporanei.
Monumento funerario di Maria Cristina d'Austria come nella forma più antica del monumento sepolcrale un gruppo di persone si accinge
l'urna se per essere sostituita dalla immagine triangolare di una piramide. L'efie statuaria viene sostituita da un ritratto di profilo a bassorilievo, inserito in un medaglione di chiara derivazione classica. Notevole importanza assumono le ure allegoriche che, nella intenzione dell'artista, non sono puri e semplici simboli ma devono commuovere per l'azione in divenire che stanno rappresentando. In questo caso, infatti, le ure compongono un singolare corteo funebre che si accinge a salire i gradini che portano alla porta della piramide. Da questa porta fuoriesce un tappeto che scorre sui gradini come un velo leggero e impalpabile.
Il corteo è aperto da una giovane ragazza che ha già un piede oltre la soglia della tomba. È seguita da una donna che rappresenta la Pietà con in mano l'urna delle ceneri della defunta. Un'altra ragazzina la sta seguendo. Più indietro un'altra giovane donna avanza, aiutando un vecchio uomo a salire le scale. Sono rappresentate tutte le tre età della vita, dalla gioventù alla vecchiaia, a simboleggiare che la Morte non risparmia nessuno. Le ure procedono con incedere lento e mesto. Hanno tutti la testa chinata in avanti, a simboleggiare che nei confronti della Morte la superbia umana non può nulla. Di fianco la porta della piramide, che quindi simboleggia la porta di passaggio dal mondo terreno al mondo dei morti, c'è l'allegoria del Genio della Morte poggiato sul Leone della Fortezza. In alto, il medaglione con il ritratto di Maria Cristina d'Austria è circondato da un serpente che si morde la coda, simbolo quest'ultimo dell'Eterno Ritorno. Il medaglione è sostenuto dalla allegoria della Felicità, mentre un'altra ura angelica porge alla defunta una palma, simbolo della gloria. La piramide, come simbolo dell'Oltretomba, è decisamente una immagine neoclassica. Contiene la reminescenza delle antiche piramidi egiziane, i più grandi monumenti funebri mai realizzati dall'uomo, e si presenta con una forma geometrica semplice, il triangolo, ma carico di notevoli significati allegorici.
Rappresentante di primissimo piano dell'internazionalismo della cultura neoclassica, Canova fu anche l'ultimo anello di una catena che aveva affermato, attraverso l'opera dei suoi artisti più grandi, il primato dell'arte italiana in Europa.
L'eclissi della sua fortuna critica fu tuttavia rapida, a cominciare dall'avvento del Romanticismo, e si accomnò al generale declino della cultura neoclassica.
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