storia dell arte |
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RINASCIMENTO
LESSICO
Il sec. XIX segna in Italia il r. del commercio.Con valore assol. (per lo più con l'iniziale maiuscola),
il periodo storico, che va dalla fine del sec. XIV alla seconda metà del XVI, caratterizzato dalla
grande rifioritura della vita culturale e spec. delle manifestazioni artistico-letterarie: la pittura, le
opere, il pensiero politico del Rinascimento.Talora con valore di agg. posposto, per indicare oggetti
artistici e caratteri stilistici risalenti al R. o a esso ispirati; rinascimentale: mobile, portale rinascimento.
ARTE: generalità
Il concetto di R. come ripresa degli ideali e delle forme dell'arte classica dopo la frattura prodotta
dal Medioevo, trovò la sua esposizione sistematica nell'opera letteraria di Vasari ( Le Vite), prima
espressione organica di un pensiero storico-teorico sull'arte: essa individua il germe della
rinascita nella pittura rivoluzionaria di Giotto, opposta all'astrattismo bizantino in nome del
'naturale', e nella riscoperta della scultura classica da parte di Nicola Pisano, mentre la prima
fioritura, che tocca tutte le arti con la triade Brunelleschi-Donatello-Masaccio, è rintracciata nel
Quattrocento fiorentino e lo sviluppo maturo nell'opera dei grandi maestri del Cinquecento
(Bramante, Leonardo, Raffaello), fino al culmine rappresentato dalla ura grandiosa di
Michelangelo. Questa costruzione vasariana, che godette per secoli di incontrastato prestigio,
offre già i termini generali e i parametri entro cui si sviluppò dall'Ottocento in avanti il dibattito
critico sul Rinascimento. L'immagine, tipica della tradizione ottocentesca, del R. come visione
'umanistica', realistica ed empirica dei rapporti tra uomo, natura e storia, contrapposta alla
'fede' trascendente dell'epoca medievale, ha fornito ampi spunti al dibattito moderno, che ha
operato su tale immagine una complessa revisione. Lo stesso termine R. è stato piegato a
interpretazioni restrittive o estensive: da un lato - superato il presupposto della 'rottura' rispetto
al mondo medievale, a favore di un discorso di 'continuità' - l'indagine sulle forme di
trasmissione della cultura classica attraverso il Medioevo ha portato a identificare altre forme di
'rinascenze'nell'arte occidentale, da quella carolingia (sec. IX) a quella ottoniana (sec. X-XI), ecc.;
d'altro canto la sempre più approfondita analisi storica ha consentito di tracciare all'interno del
periodo distinzioni tra una prima fase 'umanistica' (sec. XV), con precedenti nel sec. XIV, e la
fase matura del R. (il tardo Quattrocento fiorentino e il primo Cinquecento romano e veneto),
accentuandosi negli studi recenti la tendenza a introdurre nell'ambito del R. periodizzazioni
storico-critiche come 'manierismo' e 'arte della Controriforma', per creare una più articolata
sequenza nell'arco tra Rinascenza e barocco. Altri aspetti del discorso critico sul R. hanno
interessato i complessi rapporti tra le forme italiane della cultura rinascimentale e quelle
espresse dagli altri Paesi europei, problema legato all'assoluta priorità data tradizionalmente da
Vasari in avanti all'elaborazione italiana del R.: anche se non è stato messo in dubbio
l'indiscusso prestigio esercitato in Europa dalla cultura italiana, precedenti forme di elaborazione
umanistica sono state via via rintracciate nel naturalismo della cultura gotica francese (sec. XII-
XIII), nella fase matura del gotico franco-fiammingo (sec. XIV-XV) ed è stata in particolare
sottolineata la stretta coincidenza cronologica tra la grande pittura fiamminga e il primo R.
fiorentino.
ARTE: in Italia, caratteri generali
Se quasi contemporaneamente a Firenze e nelle Fiandre si posero situazioni storiche ed
economiche determinate dalla presa del potere politico da parte della borghesia mercantile e
finanziaria, che all'arte chiese la 'nobilitazione' della propria ideologia, è indubbia la superiorità
delle esperienze fiorentine dei primi decenni del Quattrocento, non come antecedenza
cronologica, ma come razionale integrazione di prassi artistica e fondamenti teorici. A Firenze, in
un breve e intenso arco di anni, un architetto (Brunelleschi), uno scultore (Donatello), un pittore
(Masaccio), attuarono una rivoluzionaria trasformazione della concezione e delle funzioni
dell'attività artistica: nelle loro mani l'arte, non più attività mechanica, ma liberalis, cioè
intellettuale, diventò strumento di conoscenza e indagine della realtà, cioè 'scienza' basata su
fondamenti teorici razionali, rintracciabili per la prima volta nell''invenzione' brunelleschiana
della prospettiva. Le possibilità fornite dal mezzo prospettico di misurare, conoscere e ricreare
uno spazio a misura umana, sono espresse nella nitida scansione geometrica delle architetture
di Brunelleschi, nel proporzionato ambito spaziale che accoglie le ure 'eroiche' dei rilievi di
Donatello e dei dipinti di Masaccio. Questo antropocentrismo, per cui l'uomo è 'misura di tutte le
cose', rientrava nel grande programma di renovatio dell'antichità classica che gli artisti del
Quattrocento si proposero di attuare. L'antico tuttavia non fu inteso, in questa prima fase, come
un modello da imitare, anche se Brunelleschi e Donatello si recarono a Roma a 'misurare' i
monumenti antichi, bensì come coscienza storica del passato, fonte di ispirazione per
elaborazioni autonome: in questa linea Donatello risuscitò il nudo classico ( David bronzeo del
Bargello), ricreò il ritratto romano, realistico ed eroico, ripropose il tema del monumento equestre
(Gattamelata a Padova), e su questa linea si mosse tutta la scultura fiorentina del Quattrocento
fino a Michelangelo.
La libertà, l'autonomia, il vivace sperimentalismo con cui vennero interpretati i termini
fondamentali della cultura rinascimentale, danno ragione della molteplicità di espressioni
dell'arte fiorentina, che a rigorose esperienze prospettiche (Andrea del Castagno, Piero della
Francesca) affiancò tendenzepiù moderate (Ghiberti, i Della Robbia, Michelozzo, Beato
Angelico), o anche varianti eterodosse (Paolo Uccello). Tutte le meditazioni e le conquiste
attuate dai creatori dell'arte fiorentina trovarono una codificazione nell'opera teorica di L. B.
Alberti, letterato e umanista, architetto e trattatista, tra i maggiori responsabili della prestigiosa
diffusione dei modi dell'arte fiorentina in tutta Italia, attraverso l'attività esplicata a Roma, Rimini,
Mantova.
ARTE: in Italia, il mecenatismo nel Quattrocento
Tale diffusione operò nell'ambito di quella struttura politico-culturale, fondamentale per gli
sviluppi del R. italiano, che fu la 'corte' signorile: la civiltà del Quattrocento in Italia fu infatti
legata alla trasformazione del comune in città-Stato, centro di un piccolo sistema politico nelle
mani di chi (capitano di ventura, avventuriero, banchiere, nobile o borghese) con la forza, la
frode, il dominio delle leve economiche, aveva conquistato il potere divenendone 'signore'. Il
mecenatismo dei signori fece dell'arte non solo l'ornamento della vita della corte, ma
propriamente la giustificazione ideologica del potere, lo strumento di prestigio dell'azione
politica. Si spiega con ciò il fenomeno di piccole città che diventarono fervidi centri culturali per il
concorso di letterati, umanisti, artisti e artigiani alla corte del signore. Sotto Sigismondo Pandolfo
Malatesta un borgo come Rimini diventò un centro di cultura, dove operarono l'Alberti (Tempio
Malatestiano), Piero della Francesca, e scultori, decoratori, medaglisti; a poca distanza,
nell'interno dell'Appennino marchigiano, Federico II da Montefeltro fece di Urbino - rinnovata
urbanisticamente - la sede di una corte raffinatissima, col concorso di architetti come Luciano
Laurana e Francesco di Giorgio Martini, di pittori italiani (Piero della Francesca, Paolo
Uccello) e stranieri (il fiammingo Giusto di Gand, lo snolo Pedro Berruguete), di maestranze di
scultori e decoratori, dando vita al clima culturale in cui maturarono le fondamentali esperienze
del Bramante e Raffaello. Gli spostamenti di Donatello a Padova e dell'Alberti a Mantova
avviarono le fondamentali esperienze dell'umanesimo settentrionale, dalla colta, 'archeologica'
pittura di Andrea Mantegna, attivo a Padova e poi a Mantova, all'accezione più 'domestica' e
naturalistica della pittura lombarda (Vincenzo Foppa), e fornirono stimoli alle più originali e
autonome esperienze maturate a Ferrara e Venezia. A Ferrara, che accolse, sotto la signoria degli
Este, l'esperienza urbanistica più vitale del Quattrocento, cioè l''addizione erculea' progettata da
Biagio Rossetti, la contemporanea presenza di Piero della Francesca e del fiammingo Rogier van
der Weyden stimolò la formazione di una corrente pittorica di straordinaria raffinatezza formale e
suggestione poetica, i cui maggiori rappresentanti furono Cosmè Tura, Francesco del Cossa,
Ercole de' Roberti, e che esercitò un duraturo influsso sulla cultura pittorica in Emilia. La
Repubblica di Venezia, tesa ad ampliare i suoi domini nell'entroterra e venuta quindi a contatto
con Padova e Verona, accolse artisti da Firenze (Paolo Uccello, Andrea del Castagno) e diede vita
a una fiorente scuola pittorica, per il cui indiscusso capofila, Giovanni Bellini, fu determinante
l'incontro con Mantegna; e a Venezia giunse a maturazione l'esperienza di Antonello da Messina,
formatosi in un altro vivace centro di cultura 'internazionale', la Napoli degli Aragonesi, aperta ad
apporti snoli e franco-fiamminghi (Colantonio). Nella seconda metà del Quattrocento Firenze
era ancora la capitale indiscussa della cultura italiana: il mecenatismo dei Medici toccò il suo
punto più alto alla corte del grande Lorenzo, centro di una cultura letterario-filosofica e artistica,
ispirata al neoplatonismo, di raffinato intellettualismo; ma già prima della morte di Lorenzo,
l'idillio classicista vagheggiato da pittori come Botticelli, i Pollaiolo, Piero di Cosimo, fu scosso
da una profonda inquietudine spirituale, da una crisi di valori di cui Fra' Girolamo Savonarola è
ura emblematica (e si pensi alla convulsa drammaticità dell'ultima produzione di un Donatello
o di un Botticelli), mentre d'altro canto la stessa politica di 'esportazione' di artisti attuata da
Lorenzo per ragioni di prestigio contribuì a impoverire Firenze e a spostare l'asse delle
esperienze più vitali di fine secolo in altri centri.
ARTE: in Italia, il Cinquecento
Nessuna delle vicende fondamentali per l'arte del Cinquecento, a eccezione della formazione di
Leonardo e Michelangelo, maturò infatti a Firenze: ben più determinanti per i nuovi orientamenti
della cultura rinascimentale furono l'ambito del centro-Italia (da Piero della Francesca, attraverso
il Perugino, a Raffaello e Bramante); l'ambiente veneziano, di ininterrotta fecondità (da Antonello
e Giovanni Bellini a Giorgione e Tiziano); e la Milano di Ludovico il Moro, dove sullo scorcio del
secolo l'incontro tra Bramante e Leonardo aprì la strada al nuovo linguaggio cinquecentesco. Ma
la vera erede del prestigio di Firenze fu Roma, che dopo il ritorno dei papi da Avignone aveva
conosciuto, per il mecenatismo papale, un intenso rinnovamento edilizio (su basi albertiane) e
culturale, e che tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento fu la sede degli
sviluppi maturi del classicismo rinascimentale, rappresentati dalla contemporanea attività di
Bramante, Raffaello e Michelangelo. Ma in realtà solo le opere romane di Bramante (m. 1514) e
Raffaello (m. 1520) espressero ancora la fiducia nella classicità come storia che si attualizza nel
presente, attraverso la restauratio della Roma antica a opera della Roma papale.
Il Cinquecento fu infatti un secolo di laceranti, drammatici contrasti: la scossa della Riforma
protestante, i successivi sviluppi della Controriforma cattolica, la perdita dell'equilibrio politico,
l'Italia divenuta campo di battaglia di eserciti stranieri (e il sacco di Roma del 1527 apparve
veramente il segno tangibile della fine di un mondo) alterarono profondamente i termini
dell'operare artistico: l'arte, non più 'scienza', mezzo di indagine e conoscenza di un mondo a
misura d'uomo, diventò ricerca inquieta e indagine drammatica delle ragioni dell'azione umana
nella storia, dell'esperienza umana del divino. Questi contrasti si rispecchiarono in modo
esemplare nelle esperienze dei più grandi artisti del momento: nell'indagine sperimentale di
Leonardo, che opera la scissione tra arte e scienza, nell'analisi di una natura divenuta
misteriosa e inquietante; nella bruciante tensione spirituale di Michelangelo, in cui la riflessione
sul rapporto tra azione umana e aspirazione alla conoscenza del divino assunse toni tra i più
drammatici del secolo ( Giudizio universale della Cappella Sistina). Nemmeno Venezia, che parve
vivere più a lungo una felice stagione di classicismo espresso dall'architettura del Sansovino e
del Palladio e dalla sontuosa pittura di Giorgione e Veronese, appare immune da fermenti
contraddittori, evidenti nei toni drammatici dell'ultima produzione di Tiziano, nell'intimismo di un
eterodosso come Lotto, nella febbre luministica che pervade l'intera opera di Tintoretto. Finiscono
quindi per assumere i contorni di una sorta di isola felice di esperienze colte e raffinatissime
della pittura emiliana, da Correggio a Parmigianino, a Dosso Dossi. Il classicismo divenne un
riferimento canonico, un codice (si pensi a tutta la vicenda degli architetti-trattatisti, da Serlio a
Vignola), come tale verificabile in tutte le possibilità di deroga alle 'regole', fino al 'capriccio', e
la stessa sorte toccò ai modelli indiscussi stabiliti dalle 'maniere' dei grandi maestri: proprio
dalla 'scuola' di Raffaello (Giulio Romano, Perin del Vaga, ecc.) e dai seguaci di Michelangelo
prese l'avvio la ricerca anticonformista e bizzarra del manierismo. Solo alla fine del secolo,
nell'opera restauratrice dei Carracci, si tenterà di ristabilire, nel nome di Raffaello, il regno di un
classicismo ideale e astratto, al di là della storia. Intanto, da un'Italia ormai priva di autonomia
politica, l'arte italiana aveva allargato la sua influenza e il suo prestigio all'intero ambito
europeo.
ARTE: in Europa
Seguire gli sviluppi, i modi e gli orientamenti della cultura rinascimentale in Europa è discorso
non privo di problemi, coinvolgendo la complessità dei rapporti tra l'elaborazione italiana e le
soluzioni proposte nei diversi Paesi. Diversamente da quanto era avvenuto nel periodo
romanico, e soprattutto nel gotico, in cui le singole elaborazioni locali riposavano su una
sostanziale unità internazionale di linguaggio, la diffusione dei modi rinascimentali appare molto
meno unitaria, intrecciata ad apporti spesso contrastanti, assumendo talora i caratteri del
fenomeno di 'importazione'. Ciò comporta la necessità di un preliminare chiarimento cronologico.
Da un lato la persistenza di tradizioni artistiche locali particolarmente vitali, come il tardogotico
dall'Europa centr. all'Inghilterra, dall'altro la lentezza della penetrazione dell'umanesimo
fiorentino rispetto ad apporti contemporanei, come quelli della pittura fiamminga, hanno
giustificato una visione storica restrittiva, secondo la quale di R. nei Paesi europei si potrebbe
propriamente parlare solo per la fase cinquecentesca, quando cioè più evidente è il rapporto
diretto con le esperienze italiane, per l'azione di mecenatismo 'internazionale' delle grandi corti
europee (dalla Francia di Francesco I, all'Austria di Massimiliano I, all'Inghilterra di Enrico VIII ed
Elisabetta I, dalla Madrid di Filippo II, alla Praga di Rodolfo II). Tuttavia, se è indubbio che
specialmente nei Paesi dove il gotico era diventato lo stile 'nazionale', per tutto il Quattrocento
la penetrazione delle forme umanistiche fu lenta, soprattutto nel campo dell'architettura, va anche
osservato che nei Paesi dell'area mediterranea, già aperti alle correnti italiane nella fervida
stagione del 'gotico internazionale', tale penetrazione fu più facile e continua, stimolando
autonome esperienze locali. Non furono però tanto i grandi modelli del classicismo italiano del
primo Cinquecento ad avere fortuna nei Paesi europei, quanto i successivi sviluppi post-classici
del manierismo più facilmente assimilabili alle locali tradizioni non-classiciste. L'esempio più
straordinario di 'alternativa' alla visione umanistica italiana del Quattrocento e del fecondo
intrecciarsi di due culture autonomamente elaborate è rappresentato dalla pittura fiamminga. La
visione umanistica di Jan van Eyck è ben paragonabile a quella di Masaccio, ma non ne
condivide l'esigenza etica ed eroica, né il rigore di sintesi spaziale: la grande protagonista
dell'umanesimo fiammingo è la natura, indagata con lenticolare attenzione in tutte le sue
particolarità e di cui l'uomo è aspetto fondamentale ma non predominante; e il fattore unificante
della visione non è la concezione razionale e geometrica dello spazio, ma la luce, principio
stesso della visione, una luce reale e non astratta. Questa poeticavenne arricchita dalle tendenze
più drammatiche di Rogier van der Weyden, dall'intimismo di Petrus Christus, dalle ricerche
prospettiche, sempre sperimentali e non 'scientifiche', di Dirk Bouts, dall'intenso naturalismo di
Hans Memling e Gerard David, fino all'eterodossa, visionaria arte di Hieronymus Bosch, creatore
di un magico e demoniaco mondo di allegorie, visto con spirito critico e moraleggiante. Intanto,
nel corso del sec. XV, la pittura fiamminga aveva esteso il suo influsso a livello europeo, dalla
Francia merid. alla Sna e al Portogallo (dove van Eyck viaggiò nel 1428), dai Paesi tedeschi
alla stessa Italia (si ricordino i viaggi di van der Weyden a Ferrara nel 1450, di Giusto di Gand a
Urbino nel 1473-75, e l'influsso esercitato da opere importate dalle Fiandre come il celebre
Trittico Portinari di Hugo van der Goes a Firenze).
Durante il sec. XVI, proprio la penetrazione del mondo formale italiano mutò sostanzialmente la
tradizione fiamminga; lo stesso eclettismo dell'architettura, che accoglie elementi decorativi
rinascimentali in strutture ancora goticheggianti, si riflette nella scultura e nella pittura,
nell'ambito della quale la scuola di Anversa (da Quentin Metsys a Jan Gossaert, a Frans Floris)
espresse una corrente nettamente italianizzante, con esiti di un manierismo colto ed esoterico
che ebbe particolare fortuna presso le corti principesche tedesche. Per cui, mentre si stava
avviando la specializzazione dei 'generi' (ritratto, paesaggio, natura morta, scena d'interno),
sollecitata anche da un attivo mercato artistico, l'ultima grande ura del R. fiammingo, prima
della prossima fortunata stagione pittorica del Seicento, appare quella di Pieter Bruegel il
Vecchio, spirito polemico e acutamente critico, la cui pittura di intenso e vigoroso realismo pare
riallacciarsi, su un piano più profondamente umano, alla lezione di Bosch.
ARTE: nei Paesi tedeschi
Nei Paesi tedeschi, l'apporto della cultura fiamminga fu determinante per il superamento dei modi
del gotico internazionale, ancora attivi nella prima metà del Quattrocento, ma la visione della
realtà espressa intorno alla metà del secolo da tre pittori di origine sveva - Lukas Moser, Hans
Multscher e Konrad Witz - esprime già un'elaborazione autonoma, nella direzione di
un'espressività più intensa e realistica di quella fiamminga, di un senso cromatico e spaziale più
libero, cui non sono estranee (specie in Witz) esperienze italiane. Tale originale sintesi di cultura
fiamminga e italiana assunse forme più colte ed elevate nella seconda metà del secolo (Martin
Schongauer, Hans Holbein il Vecchio, Michael Pacher), sostanziando il panorama culturale su cui
emerse la più complessa e alta ura del R. tedesco, quella di Albrecht Dürer, personalità di
livello europeo per la vastità della cultura, delle soluzioni formali, sintesi impeccabile di cultura
tedesca e italiana. Artista rinascimentale per eccellenza, affiancabile a Leonardo per l'esigenza
di impostazione teorica dell'operare artistico, per la ricerca di misura e proporzione delle forme,
per la volontà di indagine scientifica del reale, Dürer fu il maggiore sostenitore del primato
dell'arte italiana nei Paesi tedeschi, e non a caso l'artista tedesco che i pittori italiani più
eterodossi (i primi manieristi fiorentini, il Lotto) guardarono con maggior simpatia. Eppure è
evidente che le esperienze più autenticamente germaniche del Cinquecento, intimamente
correlate alla Riforma protestante, rompono la sintesi düreriana in diverse direzioni: dal violento,
drammatico espressionismo di Matthias Grünewald all'intellettualismo raffinato ed estetizzante
di Lucas Cranach, dal penetrante realismo di Hans Holbein il Giovane alla vena irrazionale e
fantastica di Albrecht Altdorfer e dei paesaggisti della 'scuola danubiana', fino alle inquietanti
fantasie demoniache di Hans Baldung Grien. Questa cultura ebbe larga diffusione nei Paesi
dell'Europa centr. - anche attraverso la grande fortuna delle stampe a xilografia, cui tutti i
maggiori artisti tedeschi diedero straordinari contributi - e a essa si ispirarono pittori singolari
come Nikolaus Deutsch, il maggiore rappresentante del R. in Svizzera. Una particolare accezione
degli aspetti più colti della cultura tedesco-fiamminga fu quella elaborata nell'area dell'Europa
orient., in particolare alla corte di Rodolfo II a Praga dove, col concorso di pittori come
Bartolomeo Spranger e scultori come Adriaen de Vries, si espresse una corrente manierista
apertamente cortigiana, sensuale e decadente. Rapporti con l'arte tedesca e fiamminga (tramite i
ritrattisti Holbein il Giovane e Antonio Moro, olandese) ebbe anche l'Inghilterra, il Paese più
isolato dalle vicende europee, che solo in epoca elisabettiana si aprì a influssi fiamminghi e
francesi nell'architettura, prima che agli inizi del Seicento l'azione di Inigo Jones desse l'avvio a
quella particolare forma del classicismo inglese nota come 'palladianesimo', destinata a lunga
fortuna.
ARTE: in Francia
Nella Francia del Quattrocento, all'esaurirsi del gotico 'cortese', la pittura appare largamente
debitrice della cultura fiamminga, di cui accolse l'analitica indagine della realtà, e di quella
italiana, da cui trasse il rigore della rappresentazione spaziale; influenze fiamminghe furono più
nette nelle province nordiche (Simon Marmion), ma si espansero anche nella Provenza di Renato
d'Angiò (Maestro dell'Annunciazione di Aix, Maestro della Pietà di Avignone), pur così aperta ad
apporti italiani (Enguerrand Charonton). Una sintesi particolarmente alta di cultura fiamminga e
influssi italiani è espressa dall'opera del Maestro di Moulins, e con maggiore coscienza e
solennità in quella della maggiore personalità del Quattrocento francese, Jean Fouquet, pittore e
miniatore, attivo alla corte di Carlo VII. Sensibile fu l'influsso italiano nel campo della scultura
(Michel Colombe). Tale vivacità di aspetti culturali contraddice la tendenza, un tempo prevalente,
a far risalire le origini del R. francese alla fine del sec. XV, con l''importazione' dei modi italiani
dopo le camne di Carlo VIII e Francesco I; in realtà tali modi furono accolti per gradi, e come in
architettura solo verso la metà del Cinquecento le soluzioni italiane penetrarono a livello di
concezione strutturale, così nelle arti urative la Francia non risultò toccata dalla pienezza delle
soluzioni rinascimentali italiane (malgrado il soggiorno di Leonardo presso Francesco I al
castello di Cloux, dove morì), mentre accolse con favore le tendenze manieriste. E in effetti la più
splendida realizzazione delle forme italianizzanti in Francia fu un centro di manierismo
internazionale: la reggia di Fontainebleau, dove Francesco I chiamò architetti, pittori, decoratori
italiani (Sebastiano Serlio, Rosso Fiorentino, Primaticcio), che diedero vita a una vera e propria
scuola, fonte di una cultura francese estetizzante ed elegantissima (gli scultori Jean Goujon e
Germain Pilon, i pittori Antoine Caron e i due Jean Cousin, il Vecchio e il Giovane), e che fornì
stimoli anche a personalità più autonome e diversamente impegnate come Jean e François
Clouet, acuti ritrattisti.
In campo architettonico, l'apporto del Serlio, tramite l'azione dei suoi trattati, ispirò lo stile
rigoroso, freddo e solenne di Pierre Lescot e Philibert Delorme, matrice del successivo
classicismo secentesco.
ARTE: in Sna
Con la vicenda francese trova più di un punto di contatto quella del R. snolo: il Quattrocento
vide affiancarsi all'influenza italiana, già notevole nel periodo del gotico 'internazionale', quella
fiamminga, introdotta primamente da Luis Dalmau (che fu presso i van Eyck dopo il 1431), e poi
accolta da Jaime Huguet e Bartolomé Bermejo, in un'accezione sontuosa, tipicamente snola,
che sacrifica il paesaggio a favore del fondo oro. Ancora all'ascendenza di van Eyck (che fu in
Portogallo nel 1428) è riconducibile il vigoroso realismo di Nuño Gonçalves, il maggiore pittore
del R. portoghese, attivo a Lisbona alla corte di Alfonso V. Un particolare equilibrio di naturalismo
iberico e composizione spaziale italiana distingue la pittura di Pedro Berruguete, tramite in patria
delle tendenze umanistiche italiane, dopo la sua attività a Urbino (1473-75). Come in Francia,
anche in Sna il pieno R. italiano arrivò solo di riflesso, attraverso la raccolta di opere di Carlo
V e Filippo II, collezionisti di Tiziano e Veronese, ma la scelta successiva non si orientò tanto
verso l'estrosità manierista quanto verso il classicismo ortodosso della Controriforma. In
architettura, una tendenza più decorativa si innestò sullo stile plateresco (come avvenne in
Portogallo per l'architettura manuelina), ma il gusto prevalente fu per un'interpretazione
categoricamente classicista, quel freddo stile desornamentado già evidente nel palazzo di Carlo
V all'Alhambra, di Pedro Machuca, e che raggiunse il suo culmine nel gigantesco e funebre
complesso dell'Escorial, eretto dai michelangioleschi Juan Bautista de Toledo e Juan de Herrera,
a ornare il quale Filippo II chiamò artisti italiani, gli scultori Leone e Pompeo Leoni e i frescanti
Tibaldi e Cambiaso. Una versione sobria e contenuta dei modi manieristi, soprattutto
michelangioleschi, è fornita dalla scultura di Alonso Berruguete e dalla pittura devozionale di
Luis de Morales. Alla fine del secolo, uno dei grandi isolati della pittura europea, Dominikos
Theotokopulos detto El Greco dalla sua terra di origine, travolse i suoi modelli veneziani
(Tintoretto) e gli arbitri formali del manierismo in una fiammata di autentico espressionismo
visionario, in cui pare consumarsi l'ultima vera tensione spirituale del R. europeo.
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