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Ricerca di storia dell'arte sulle 3 personalità di maggior rilievo nella pittura toscana del XII secolo
Giunta Pisano
Giunta Capitini, detto Giunta Pisano, è il più grande pittore toscano prima dell'avvento di Cimabue e Giotto. Giunta ha una visione drammatica della vita ed è per questo che non è esteriore la sua adesione all'indirizzo pittorico del Christus patiens. La sua tragica visione della vita trova il momento culminante nella morte di Gesù sulla croce. Il crocifisso da lui realizzato nel 1250 circa su tavola, si trova nella Chiesa di S. Domenico a Bologna. Per dare maggior risalto alla tragedia che si sta compiendo, abolisce le ure di contorno, limitandole ai busti di Maria e Giovanni ai lati. Il resto della croce è blu nel braccio verticale e orizzontale e tassellato di rombi nelle strisce laterali. Sembra un fondo piano, dal quale si stacca la grande curva dolorosa del corpo morto, realizzato volumetricamente. Non c'è naturalismo, perchè le sporgenze anatomiche sono volutamente sbalzate; non vi è una copia della realtà, ma un' interpretazione del dolore lacerante non solo dell'uomo morto in croce, ma anche delle persone che vivono il dramma eterno dell'umanità. Per questo le forme sono esasperate: il ventre tripartito orizzontalmente e percorso verticalmente da una linea divisoria, innaturalmente rilevato; i muscoli pettorali; le braccia molto magre in confronto al resto del corpo; il perizoma aggrovigliato.
Duccio Di Buoninsegna
Nel 300 l'Italia si popola di artisti d'eccezione. Duccio Di Buoninsegna è uno di questi; fa parte della scuola senese, che insieme ad altre, è da considerare parallela a quella di Giotto. A differenza di queste, può essere ritenuta più elegante, sentimentale, patetica. È un versante del filone centrale giottesco. Duccio non può essere considerato un'alievo ma una voce nuova e indipendente che si muove in modo parallelo. La sua opera fondamentale è la Maestà, conservata nel Duomo di Siena ed è considerata una delle più grandi opere esistenti. Nel 300 , la 'maestà', è la glorificazione della madre di Dio come regina del celo con intorno i profeti e gli angeli, in pratica è la Madonna vista nella gloria del cielo. Quest'opera viene commissionata a Duccio il 09101308, ed è grande 2 metri per 4 di lunghezza. Per capire quanto fosse grande la partecipazione della collettività , basta dire che il 09061311, cioè quando Duccio concluse l'opera, tutta la città sospese il proprio lavoro, per accomnare il pittore che trasferiva il suo capolavoro al Duomo. Un'altra caratteristica del dipinto è una frase, molto elementare , scritta sulla base del trono della Madonna, che dice: 'Madonna madre di Dio porta pace al mondo e guarda a Duccio che così bella ti ha dipinto'. È un capolavoro per la sua complessità tecnica ed è un opera molto costosa, anche perché personaggi come Duccio e Giotto si facevano are molto bene; infatti gli artisti del 300 iniziano ad avere grandi privilegi e le loro opere sono ben ate. Da non dimenticare è la grandiosità della concezione iconografica, infatti la Madonna chiama in causa tutta la corte del paradiso. Probabilmente doveva essere un anticipazione della visione del paradiso, infatti ci sono tutti i Santi patroni di Siena e tutte le schiere angeliche, tutti con la propria attribuzione iconografica; esempio si riconosce San Giovanni Battista(barba incolta e vesti corte).Quello che colpisce di più guardando nei dettagli l'opera è la naturalezza la patetica efficacia dei protagonisti. Si vedono , per esempio , gli angeli che stanno sopra l'altare che si affacciano quasi con stupore per assistere alla scena, loro che dovrebbero essere i pretoriani, i guardiani del paradiso. invece si comportano come tutti gli altri , Santi e Profeti. La Madonna in trono è una profusione d'oro e porpora. Il Cristo bambino conserva un po' dei bambini pantocratori ed è avvolto nella porpora (nobile tessuto); tutt'intorno ci sono le scene della vita del Cristo, è una sequenza e forse una delle più puntuali. Una delle caratteristiche del Duccio è l'emotività delle rappresentazioni, lo si vede bene nella scena della strage degli 'innocenti, dove da molta espressività ai volti. Si potrebbe quasi dire che ci sono molti riferimenti all'arte bizantina ma a ben guardare vediamo caratteristiche quasi gotiche nei volti e panneggi che esaltano le forme delle vesti e dei corpi.
Cimabue
E' un personaggio chiave nella storia dell'arte italiana. In effetti, si conosce poco di lui dal punto di vista anagrafico. Si chiamava Cenni di Pepo. Il nome Cimabue è un soprannome e viene dal verbo cimare che in toscano antico significa fronteggiare. Esprime quindi un carattere orgoglioso, impulsivo. Fu maestro, secondo l'invenzione di Vasari, che forse ha anche qualche fondamento di verità, di Giotto. Le opere che si possono attribuire a lui sono circa una decina e spesso sono in condizioni pessime. Possiamo affermare che, dando ragione al Vasari, si è trattato di un personaggio che ha caratterizzato l'arte italiana. Così come disse Vasari e Cennino Cennini, 'l'arte greca trasura nell'arte latina, romanza', nasce con lui la lingua urativa moderna. Dal giudizio di Giorgio Vasari si legge: 'Sebbene imitò l'arte dei greci aggiunse molta perfezione all'arte levandole molte espressioni goffe'. Realizzo cioè molte innovazioni importanti eliminando quelle espressioni ripetitive, secche, astratte dell'arte bizantina. Il primo a comprendere questo cambiamento è Dante Alighieri. Di questa opinione si ha traccia nel Purgatorio quando Dante incontra nel canto XI, Odelisi da Gubbio, grande miniatore dei tempi andati. Dante riconosce l'Odelisi come colui che ha illustrato i libri delle generazioni precedenti e l'Odelisi risponde ricordando a Dante che di lui ormai non si parla più. A quel tempo si parla di Franco Bolognese (un illustratore della generazione successiva e poi continua citando Cimabue e Giotto dicendo che la fama attuale di Giotto è giustificata dalla fama precedente, ormai oscurata di Cimabue. Dante quindi certifica che prima di Giotto la grandezza di Cimabue fu fondamentale. Dante riconosce a questo merito a Cimabue prima ancora di Vasari.
Nella chiesa di San Domenico a Bologna abbiamo una tipica rappresentazione del Cristo del medioevo del '300. Cristo e rappresentato come patients cioè morto e sofferente. Sopra la testa la classica iscrizione INRI (scritta però per esteso). a sinistra san Giovanni, l'unico degli apostoli che non lo ha mai tradito e a destra la madonna. E' una iconografia classica del 1300. Cristo ha addosso a lui tutti i segni della sua sofferenza. E' un'opera del 1265 circa. Cimabue potrebbe essere considerato come un pittore bizantino perché per esempio, nella rappresentazione del corpo di Cristo i particolari delle costole, dei muscoli, dello sterno sono marcati con un precisione chirurgica, ma sono marcati da una astrattezza quasi da ideogramma, cioè 'questa è la rappresentazione di un corpo morto e quindi così va realizzata'. Sono queste le tradizioni iconografiche bizantine. Lui però anche se rispetta queste regole introduce alcuni concetti di ordine naturalistico. Sono novità che rappresentano il realismo di un corpo umano attaccato ai chiodi, si vede per esempio il peso del corpo appeso alla croce, la rotazione del corpo, il ventre esposto. C'è una certa volontà di rappresentare la verità.
Nel Cristo di Santa Croce a Firenze (molto rovinato dall'alluvione del 1966) si vede un uomo con caratteri fisici molto addolciti ed umani . Si tratta di un opera di circa 10 anni successiva al Cristo di San Domenico. Si potrebbe dire che per la prima volta su una croce vera è appeso un uomo vero.
Questa è una delle rivoluzioni di Cimabue. Questo si vede anche nella Grande Maestà conservata agli Uffizi realizzata per la chiesa di Santa Trinita. Si nota qui una certa conquista dello spazio. Il trono sovrasta una spazio inserto sotto di esso nel quale si trovano i profeti Isaia, Abramo, David ecc., cioè coloro che con le loro parole annunciano la venuta del signore. Il trono è poi circondato da angeli che sono dislocati in profondità. Sembra che il pittore voglia conquistare lo spazio. Lo stesso vale per il panneggio dell'abito della madonna realizzato ancora con le ageminature bizantine, ma questo non contraddice la ricerca di volumetrie, basti guardare il bambino che da proprio l'impressione di essere seduto sulla madre. Si guardino i piedi del bambino che si trovano ad una distanza calcolata e rappresentati in modo che diano questa sensazione. Gli angeli riproducono ancora l'iconografia bizantina dell'angelo pretoriano, ma il loro volto è dolce sono partecipi di sostenere il trono della madonna.
C'è poi Assisi un luogo in cui tra 1200 e 1300 si realizza il linguaggio urativo italiano. Cimabue lavorò qui tra il 1270 e realizzo la volta dell'altare maggiore della basilica superiore. Rappresenta i quattro evangelisti non con i simboli del tetramorfo ma umana in atto di scrivere. San Matteo ha un angelo (il suo simbolo) che gli detta i Vangeli, dietro di lui la giudea (in rappresentazione sintetica); ad ogni evangelista è legata una realtà geografica. San Marco ha dietro di se Roma (è questa una delle prime rappresentazioni della città) si riconoscono Castel Sant'Angelo il Pantheon, San Giovanni in Laterano. Cimabue cerca di far vedere le città con le sue meraviglie architettoniche. E' la prima volta che una città viene proposta in modo riconoscibile.
Nel transetto si trova la crocifissione di Cristo che appare come una scena apocalittica. Tutti sono in tumulto. Queste scene purtroppo sono in condizioni pessime perché i colori hanno subito una trasformazione che li fa sembrare un negativo fotografico. Nel transetto vengono rappresentate molte scene dell'apocalisse. Questo era un tema molto caro a quel tempo. San Francesco era visto come colui che veniva a sradicare i vecchi tempi. Un nuovo vento avrebbe cambiato il mondo. E' un movimento che la Chiesa di Roma cercò anche di contrastare.
Accanto alle scene apocalittiche ci sono scene della vita della madonna. Anche se molto rovinate le scene dovevano trasmettere a chiunque un enorme suggestione. Da ciò si capisce la grande rivoluzione linguistica dell'arte urativa italiana a cui tutti, a cominciare da Giotto, si ispirano.
E' intensa la ricerca di Cimabue nella rappresentazione delle città. Non sono più puri ideogrammi come nelle rappresentazioni bizantine, ma città reali. Cimabue rappresenta le città così come lui le vede al suo tempo.
In una Maestà che si trova al Louvre, successiva a quella degli Uffizi, si vede che l'iconografica bizantina è completamente trasurata. E' un'opera dominata dalle ombre e dalle luci e alcuni caratteri tipicamente bizantini si sono affievoliti (per esempio le ageminature e l'iconografia degli angeli pretoriani).
Nell'abside del duomo di Pisa c'è un mosaico di Cimabue che rappresenta San Giovanni. Commissionato nel 1301 fu concluso l'anno successivo. E' una ura completamente moderna rispetto ai canoni della tecnica musiva orientale. La trasurazione dal greco al latino si può dire compiuta.Le prime notizie relative a questo grande pittore senese lo rammentano (1278) intento a dipingere dodici casse per la custodia di documenti dell'Ufficio della Biccherna del Comune di Siena, andate successivamente perdute. Negli anni seguenti continua ad essere citato come esecutore di oper
e per il Comune, nonostante sia conosciuto come un cittadino particolarmente turbolento: restio a partecipare ad azioni di guerra in Maremma, a prestare giuramento agli ordini del Capitano del Popolo, e persino collegato a pratiche di stregoneria per le quali gli viene comminata una multa nel 1302. Non sono invece documentati gli eventuali spostamenti ipotizzati dagli studiosi per spiegare le diverse componenti della sua cultura; se i viaggi ad Assisi e a Roma sembrano molto probabili è più difficile sostenere la sua permanenza nel Mediterraneo orientale e a Parigi dove il Duch de Sienne o il Duch le Lombard citati in un testo potrebbe essere un omonimo del nostro pittore. La data di morte, tra il 1318 e il 1319, va collegata verosimilmente all'atto di rinuncia da parte dei sette li all'eredità paterna. Perduti i primi lavori per il Comune di Siena, l'opera più certa di questa fase giovanile è la piccola Madonna di Crevole, oggi al Museo dell'Opera di Siena. Seguono: la grande tavola con Maestà conosciuta coma Madonna Rucellai, oggi agli Uffizi e per molti secoli ritenuta opera di Cimabue , una vetrata circolare nell'abside del Duomo di Siena, la Madonna dei francescani (Siena, Pinacoteca), la Maestà di Berna (Kunstmuseum), la Madonna col Bambino e sei angeli della Galleria Nazionale di Perugia. Del 1308 è invece il primo documento che menziona la commissione della grande tavola con Maestà conclusa nel 1311 per il Duomo di Siena, senza dubbio il capolavoro assoluto di questo pittore; tenuto conto però dell'impegno richiesto da un'opera di tale complessità, la critica attuale tende ad anticiparne la data di inizio. Rimossa dall'altare maggiore del Duomo e successivamente smembrata nel corso del Settecento, risulta sparsa nei musei di tutto il mondo mentre il corpus principale è nel Museo dell'Opera di Siena. Esso mostra un artista capace di rinnovare profondamente la trama della pittura bizantina, attento al dato quotidiano e naturale reso con una gamma cromatica di grande intensità. Sono ascrivibili agli ultimi anni il Trittichetto della National Gallery di Londra e il Polittico n° 47 della Pinacoteca di Siena, molto compromesso quanto a conservazione e con larghi apporti di bottega.
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