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Tiziano
Periodo manierista; a Venezia è in atto una crisi manieristica, circolano le prime opere d'arte a stampa. Il suo modo di dipingere è più tormento. La riproduzione della natura diventa la proiezione dell'artista stesso, c'è più soggettività e quindi interpretazioni diverse.
"La pietà" . 843
Questa svolta manierista comprende diverse opere. La pietà è l'ultima opera che dipinge prima di morire. Da un punto di vista dei personaggi ci sono delle particolarità. L'immagine della madonna è posta al centro di una grande rientranza che a sua volta è sormontata da un portone. Ai lati ci sono due statue che rappresentano il profeta Mosè ed una sibilla. A fianco della madonna c'è Maddalena, con un atteggiamento inaspettato. La sua ura grida e si protende in avanti con un gesto ampio.
L'altra ura dal lato opposto è un uomo, anch'esso proteso in avanti, messo a ¾: è la ura di Nicoderno, un personaggio citato nei vangeli. Tra questi personaggi è tracciabile una diagonale, e la composizione è dominata da questa linea. Oltre Nicoderno, è presente un piedistallo di marmo, forse appartenente alla sibilla, con la testa di un leone dove è appoggiato un piccolo quadro che ritrae Tiziano con in lio, in atto di preghiera alla madonna.
Questa opera è stata originariamente dipinta da Tiziano per essere collocata sulla sua tomba, cosa che non avvenne mai, essendo in atto un epidemia di peste; non ci fu tempo e modo.
Elementi manieristici: spazio ristretto, particolare perché illuminato da lampi di luce imprevedibili, non naturali e non uniformi come lo spazio. Domina la diagonale e c'è un estrema drammaticità evidente sopratutto nella Maddalena.
la pennellata è definita "sporca", non definisce i volumi, i contorni delle ure. Il colore sembra disgregare la materia. Quasi ure sembrano quasi non finite, abbozzate come il braccio destro di Cristo, non c'è definizione anatomica. Il risultato di questa luce a bagliori che illumina il buio ed il colore sporco è un insieme spettrale più che delle ure tridimensionali. L'insieme è cupo e drammatico.
Tintoretto
Pag. 912
Pittore veneto, vero nome Jacopo Robusti conosciuto a tutti come il Tintoretto, un nome che acquista dal mestiere di suo padre - tintore.
Nasce a Venezia nel 1518 e pare che inizialmente vada a bottega da Viziano, primo pittore della serenissima. Secondo la tradizione questo periodo non durò però molto, si narra che Tiziano ben presto lo allontana perché troppo bravo.
È comunque vero che Tintoretto, ha altri stimoli, guarda sicuramente anche a Michelangelo senza spostarsi da Venezia, visto le prime stampe d'arte che circolavano e probabilmente fu in contatto ance con artisti manieristi dell'area veneta.
"Studio di un arciere
disegno nervoso, rapido e fatto di molti segni. Questa capacità di disegno facile è dovuto ad un gran esercizio, tipico degli artisti di questo periodo. T. unisce comunque a questa abilità la conoscenza del colorismo veneto, una qualità che prende forse da Tiziano stesso a cui aggiungerà un aspetto, quello della luce, tipica del suo modo di dipingere che prenderà nome di luminismo. Consiste in una luce che accende certi particolari e che, nel caso dei ritratti (. 913) evidenzia certi tratti del volto in maniera da restituire a questa ure la vita. Lavorerà moltissimo, non solo avendo una vita lunga ma anche per questa sua caratteristica rapidità nel disegno, che lo distingueva.
Vasari non aveva una gran concezione di T., lo definiva troppo veloce e quasi grezzo, ma nel contempo lo etichetta come "il più terribile cervello che mai abbia avuto la pittura".
Anche la sua bottega divenne di notevole importanza, capace di aggiudicarsi le più grandi commissioni pubbliche. Due scuole (confraternite, corporazioni che riunivano persone laiche che si associavano; erano intitolate ad un santo protettore. Lo scopo era aiutarsi a vicenda, ce ne erano molte e le più grandi e ricche avevano un patrimonio comune con il quale, oltre che are servizi umanitari, investivano per costruire oltre la propria sede, grandi capolavori artistici dei più grandi della pittura).
Tintoretto lavora per la scuola di San Marco (oggi alla galleria dell' accademia) e per la scuola di San Rocco (Venezia, chiesa san Rocco).
"Miracolo dello schiavo"
legato alle storie di San Marco
il miracolo: uno schiavo viene sorpreso a venerare le reliquie di San Marco dal padrone ano, che fa ordine di torturarlo; San Marco spezza gli strumenti di tortura dell'aguzzino.
I personaggi principali sono tre: lo schiavo con attorno a lui gli oggetti spezzati. Seguendo una linea curva si arriva ai piedi dell'aguzzino col turbane che solleva con un gesto plateale gli strumenti di tortura spezzati.
Sempre seguendo una linea curva immaginaria al centro c'è San Marco, in scorcio molto ardito che sta arrivando in volo. A destra un personaggio seduto su un trono, probabilmente il padrone che assiste. L'altra protagonista è la folla, la gente in gruppo sia a destra che a sinistra, sono tutti diversi, è una massa colorita variegata in molte posizioni. La folla a sinistra si protende verso il centro, l'idea del miracolo è chiara e la folla più ridotta a destra è composta da persone che si ritraggono quasi spaventati innanzi alla scena.
Il fatto avviene sotto una specie di pergolato di vegetazione. A sinistra si scorge un edificio con delle colonne e sullo sfondo una piazza con un colonnato il cui, molto dietro, si intravede un giardino.
La scena è di grande impatto emotivo, dà il senso del miracolo in modo forte, da coinvolgere lo spettatore nella folla che osserva. Tintoretto studia la gestualità delle ure e la composizione. Costruisce una scena di effetto quasi teatrale. Un ruolo fondamentale lo svolge la luce, che non è naturale ma studiata e diversa a seconda della parti del dipinto: in primo piano la luce è cupa, a simboleggiare la torta e la tragedia. Nel contempo la luce è più naturale sullo sfondo dove il cielo si rischiara. Ci sono dei lampi di illuminazione da parte di San Marco, una luce spirituale legata al miracolo, una luce che si riflette sul corpo dello schiavo a terra.
Un lampo di luce illumina parzialmente con forte contrasto luce-ombra la linea curva che contiene il miracolo. La luce illumina varie parti anche della folla che emerge così dal semibuio.
Altri sono i dipinti che riguardano le storie di San Marco.
Pag. 916
Le tele della scuola di San Marco sono moltissime, tute di dimensioni molto grandi. A Venezia si usavano appunto tele di vaste dimensioni, chiamate teleri. Tintoretto lavora per questa scuola quasi tutta la sua vita, dal '60 all' '80.
Il lavoro viene di viso in 3 gruppi:
Tele dell' albergo; es. la crocifissione. La parola albergo designava delle sale destinate ad accogliere delle persone.
Tele del salone superiore;
Tele della sala terrena; anni '80, tele del pianto terra. es. Santa Maria.
Un episodio tramandato racconterebbe di come Tintoretto abbia avuto questo incarico. Molti ambivano a questo incarico che veniva assegnato mediante un concorso.
T. riuscì ad ottenerlo con una strategia: anziché preparare un semplice bozzetto, preparò un telerio (T. molto rapido), e lo propose dicendo che il dipinto lo avrebbe comunque regalato. Particolare anche perché aveva un enorme valore. Questo attirò il malcontento di tutti gli altri partecipanti.
Diventa così il pittore ufficiale della scuola di San Marco, dedicandosi intanto anche ad altri impegni.
Scuola di San Marco
"La crocifissione";
situata nella sala dell'albergo, la più importante della confraternita.
Le dimensioni sono enormi ed il tema trattato è quello della crocifissione, un tema tradizionale trattato in modo particolare. Ci sono svariati personaggi intenti in varie attività, è una scena di grande movimento e dinamismo, quasi caotica per la quantità di persone.
Tintoretto segue però una logica compositiva: ci sono come delle direttrici dove la linea principale è quella della croce e le altre, si incrociano come in una croce di sant'Andrea.
L'aspetto più innovativo è l'uso della luce, un luminismo che consiste in un illuminazione che squarcia una semi oscurità. La base del dipinto è scura, con delle luci non naturali, come dei bagliori che illuminano i particolari.
T. prima di eseguire un dipinto, faceva delle ure modellate ed una sorta di teatrino; dopo di ché illuminava la scena costruita con delle candele, gettando bagliori su certi particolari. Costruiva dunque una sorta di modello del quadro, in cui studiava gli effetti di luce.
Quello che poi è il risultato è l'idea, più che di una scena storica, di una sorta di visione che spesso nei suoi quadri è drammatica. Questa pittura tende a colpire emotivamente lo spettatore, un po' il contrario di Raffaello.
"Santa Maria Egiziaca";
situato nella sala terrena, è particolare il formato, sviluppato in verticale. Insolita la collocazione della santa, che dovrebbe esser protagonista, e che occupa invece una porzione minima ed una posizione decentrata. Una scelta tipicamente manieristica che va contro le regole compositive.
Il resto del quadro è occupato da un paesaggio in cui T. applica il luminismo, utilizzando una luce dorata che rende il paesaggio una sorta di visione.
La luce più che illuminare definisce le piante, l'acqua . con dei filamenti brillanti rendendo il paesaggio visionario, una sorta di visione dei pensieri della santa.
"Ultima cena";
ultima opera di Tintoretto che dipinge alla fine del secolo, nel 1594, anno della sua morte, avvenuta in seguito ad una febbre altissima.
Opera eseguita per la chiesa di San Giorgio di Venezia, la chiesa di Palladio.
Il tema è tradizionale ma particolare è il modo in cui lo affronta: la tavola non è posta centralmente ma è di sbieco, come se bucasse lo spazio, uno spazio in cui non si vede la fine, tipicamente manieristico.
Sono riconoscibili Gesù e gli apostoli, ma la scena avviene in un ambiente che ricorda un'osteria, una taverna. Sulla destra ci sono dei servitori intenti a portare delle cose con dei vassoi, vestiti in abiti dell'epoca di Tintoretto.
L'insieme della scena è visionario soprattutto per gli effetti di lice.
La scena è di per sé molto buia ma c'è più di una fonte di illuminazione:
La lampada; la luce è reale e naturale, ma non illumina, proietta dei lampi di luce sulle teste degli apostoli;
Aureola di Cristo; più luminosa della lampada, una luce sopranaturale ma che illumina in modo forte;
Gli angeli; sono ritratti quasi come delle apparizioni, delineati da dei filamenti di luce, una luce che individua queste ure che sono quasi delle essenze luminose.
Il risultato non è una luce uniforme, queste diverse fonti entrano in contatto fra loro e con il buio. Le ure sono illuminate a tratti ed emergono in parti. È quasi fantasioso, come una visione della mente.
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