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BILANCIO DELLA GUERRA
La guerra era durata 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furono più di 37 milioni; in aggiunta, la guerra produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti tra la popolazione civile. Un'intera generazione di europei fu falcidiata dalla carneficina: francesi, inglesi, tedeschi e russi persero tra il 15 e il 20% dei loro uomini in età compresa tra i 18 e i 30 anni, appartenenti indifferentemente alle classi inferiori e a quelle elevate. Infatti, nel carnaio delle trincee e nei massacri delle battaglie morirono tanto i soldati semplici, reclutati perlopiù tra i contadini, quanto gli ufficiali che li guidavano.
Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della guerra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale pose al contrario le premesse di un conflitto ancor più devastante. Gli Imperi Centrali dichiararono la loro accettazione dei 'Quattordici punti' del presidente Wilson come base per l'armistizio, aspettandosi che i loro princìpi ispiratori avrebbero costituito il fondamento dei trattati di pace. Al contrario, gli Alleati europei si presentarono alla conferenza di Versailles e a quelle successive determinati a esigere dagli Imperi Centrali riparazioni equivalenti all'intero costo della guerra, nonché a spartirsi tra loro i territori e i possedimenti delle nazioni sconfitte, secondo gli impegni presi in accordi segreti stabiliti tra il 1915 e il 1917, prima dunque dell'entrata in guerra degli Stati Uniti.
Il presidente Wilson in un primo tempo insistette affinché la conferenza di pace accettasse il programma delineato nei 'Quattordici punti' nella sua totalità, ma nel tentativo di garantirsi l'appoggio dei recalcitranti alleati per l'applicazione dell'ultimo - riguardante l'istituzione di una Società delle Nazioni - finì con l'abbandonare questa posizione. I trattati di pace prodotti dalla conferenza di Versailles risultarono così squilibrati da divenire fattori di instabilità nel futuro dell'Europa.
La dissoluzione degli imperi
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un quadro politico dell'Europa completamente differente da quello del 1914. La ssa di tre imperi (russo, tedesco, austroungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l'identità nazionale era tutt'altro che omogenea. Si trattò di un autentico terremoto geopolitico che investì particolarmente l'area centrorientale dell'Europa, laddove oltre 250 milioni di persone (russi, tedeschi ed ex sudditi austroungarici) videro modificarsi sotto i loro occhi antichi confini e cadere autorità secolari. Dovettero perciò cominciare a fondare su nuove basi le loro relazioni sociali e politiche. In Russia la dissoluzione dell'impero zarista, sopraggiunta già prima della fine del conflitto, era stata accelerata dal processo rivoluzionario sfociato nell'instaurazione del regime bolscevico.
In Germania e nell'Austria-Ungheria il disfacimento della comine imperiale coincise con la sconfitta militare, così che la soluzione al vuoto di potere determinatosi nel 1918 fu in parte lasciata alle decisioni delle potenze vincitrici. Se per l'ex impero asburgico si trattava di sanzionare quel frazionamento tra nazioni che era già in atto prima del conflitto, nel caso della Germania bisognava fare i conti da una parte con lo spirito punitivo della Francia e dall'altra con la coesione nazionale dei tedeschi. Gran Bretagna e Francia, imponendo pesanti sanzioni economiche e amputazioni territoriali, ferirono il sentimento nazionale dei tedeschi: l'umiliazione risultava ancor più grave per il fatto che l'esercito tedesco, a differenza di quello austriaco, non aveva subito una vera e propria disfatta.
Comunque risultò chiaro sia ai vinti sia ai vincitori che la guerra aveva preparato il declino dell'Europa. L'instabilità dei suoi confini centrorientali lasciava presagire un futuro di tensioni interstatali: a est la Russia bolscevica apriva una potente minaccia ideologica all'ordine europeo e al di là dell'Atlantico irrompevano due nuove grandi potenze, quali gli Stati Uniti e il Giappone, candidate a rimpiazzare le potenze europee nella conduzione del capitalismo mondiale.
Conseguenze economiche
Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti non solo dalla riconversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile, ma più in generale dal riassetto di un intero sistema economico. La guerra per oltre quattro anni aveva finalizzato la produzione, gli scambi, la gestione monetaria, la macchina burocratica degli stati, realizzando la mobilitazione totale delle risorse umane e materiali. Ne erano state sconvolte le regole precedenti.
Per quanto concerne l'aspetto finanziario, la guerra aveva generato un enorme disavanzo nei bilanci statali, sollecitati alla spesa dalle esigenze militari. Nelle transazioni monetarie l'instabilità dei cambi aveva prodotto inflazione e svalutazione a livelli incontrollati. In queste condizioni rimettere sotto controllo le finanze statali si presentava come un problema arduo, dai complessi risvolti sociali e politici, prima che tecnici. Anche la situazione industriale apparve di difficile gestione nel momento in cui vennero a mancare le commesse statali, che in tempo di guerra avevano trainato interi settori, quali il meccanico, il tessile, il chimico. Insorsero gravi problemi legati alla riconversione dell'industria bellica. Inoltre bisognava trovare un lavoro per i milioni di reduci dal fronte.
Conflitti sociali
La guerra aveva innescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte
e aveva depositato nella coscienza di milioni di uomini il ricordo brutale della violenza.
Dal rifiuto morale che molti soldati e ufficiali elaborarono in risposta ai massacri,
scaturì un odio profondo verso la guerra che si tramutò in un impulso di riscatto.
Sentimenti simili furono all'origine della Rivoluzione russa del 1917, ma anche delle
lotte operaie e contadine che si manifestarono in Germania, in Francia, in Italia tra il
1917 e il 1922. Al contrario, nei soldati che non avevano avvertito un'opposizione
morale alla guerra, l'esperienza sotto le armi aveva lasciato impressioni di forza bruta,
abitudini all'uso della violenza, attitudine alla prevaricazione fisica, tutte componenti
queste che prepararono il clima psicologico delle forze reazionarie attive in Europa già
dal 1919. La crisi del dopoguerra infine, se travolse operai e contadini, agrari e
industriali, turbò ancora di più i ceti medi, esposti ai contraccolpi dell'inflazione e alla
perdita di reddito e di prestigio, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le
quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali.
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