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Bisanzio nel V e nel VI secolo
I PROBLEMI ETNICI E RELIGIOSI
Da Roma, Bisanzio non
ereditò soltanto robuste strutture statali e ambizioni a un impero
universale ma anche due ordini di problemi: 1-quello dei rapporti con le
popolazioni barbariche e, soprattutto, della loro pressione sulle regioni a sud
del Danubio; 2-quello dei dissidi, tumultuosi e laceranti, di carattere
religioso.
Preoccupò soprattutto, nella seconda metà del V secolo, la
pressione germanica degli Ostrogoti, stanziati nella Pannonia
(Ungheria), sulla penisola balcanica. Come sappiamo
il problema degli Ostrogoti fu risolto convincendo il loro re Teodorico a
dirigersi verso Occidente per abbattere Odoacre (488).Il vecchio problema della
potenza germanica all'interno dell'impero trovò invece soluzione grazie
all'alleanza con il bellicoso popolo degli Isauri,
stanziato in Asia minore e suddito dell'impero, ma ufficialmente non barbaro.
Ciò significò però l'apertura di un'altra questione
etnica, quella isaurica. Le ribellioni dei capi isaurici dovettero essere combattute con vere e proprie
guerre regolari. A spezzare definitivamente la loro resistenza fu l'imperatore
Anastasio I (491-518). La deportazione in massa degli Isauri
chiuse definitivamente le crisi etniche che da più di un secolo travagliavano
l'impero.
I problemi creati dalle dispute di carattere religioso mettevano in pericolo la
pace sociale e, in alcune religioni, come in Egitto e Siria, si associavano
pericolosamente alle tendenze autonomistiche locali.
La dottrina monofisistica godeva qui di grande
popolarità. Appunto per mettere termine alle sanguinose
persecuzioni contro di essa, Zenone (474-491) tentò nel 482 di
accordarla con quella fissata dai concili ecumenici proclamando l'Henotikon (editto dell'unione). Il tentativo fallì e
provocò uno scisma durato un trentennio.
L'atteggiamento imperiale verso i monofisistici era
però oscillante. Giustino I e Giustiniano I tornarono a una politica
intransigente nei confronti dei cristiani d'Egitto e perseguitarono Ebrei e
dissidenti, mentre l'imperatrice Teodora, l'energica moglie e consigliera di
Giustiniano, accordò ai monofisisti nuova
protezione. La scelta del resto non era facile e portava comunque a un vicolo
cieco perché se si accontentavano Egitto e Siria, scoppiavano disordini a Costantinopoli
e nei Balcani, avversi al monofisismo.
La Chiesa di Roma trovò in Giustiniano non soltanto un protettore, ma un
capo estremamente fermo che ne fece una fedele collaboratrice. La sua fermezza
giunse a far arrestare e costringere all'obbedienza papa Virgilio contrario
alla conciliazione col monofisismo voluta dall'imperatore. La politica
religiosa di Giustiniano fallì: i monofisisti
non si placarono e la tensione esistente aumentò. In Italia, anzi,
l'opposizione all'atteggiamento imperiale provocò una frattura
nell'episcopato. Alcuni vescovi del Nord capeggiati dall'arcivescovo di Aquileia Paolino, che ne approfittò per prendere il
titolo di patriarca, non riconobbero infatti papa Pelagio (556-560), allineato
alla politica di Giustiniano. Ebbe così origine il cosiddetto
'scisma di Aquileia', destinato a durare
circa un secolo e mezzo.
EREMI E CENOBI: FORME DI VITA MONASTICA
Grande importanza nella vita religiosa di quei secoli ebbe il monachesimo,
che, proprio nell'età di Giustiniano, conobbe una delle sue esperienze
più significative: quella di Benedetto di Norcia (480-543),
fondatore del monastero di Montecassino. Non bisogna
però dimenticare che proprio al tempo di Benedetto il monachesimo
era già diffuso in tutta la cristianità.
La sua opera si spiega infatti ricordando l'esistenza di tradizioni molto
più antiche.
Il monachesimo ebbe origine dalle esperienze religiose degli eremiti che fra il
III e IV secolo praticavano
una vita ascetica di isolamento, di rinunzie e di meditazione nei deserti
dell'Egitto. La scelta di una vita ascetica, cioè di mortificazione
delle passioni e di esercizio dello spirito, nasceva per questi monaci dal
desiderio di realizzare un ideale martirio che sostituisce quello del sangue,
reso impossibile dalla fine delle persecuzioni.
Il secondo grande momento della storia del monachesimo fu costituito dal suo
sviluppo nella forma cenobitica. Si diffusero cioè i cenobi, le
comunità monastiche desiderose di incarnare, mediante pratiche
ascetiche e la meditazione, l'ideale evangelico di perfezione e di penitenza.
Si pensava infatti che soltanto nel monastero, considerato come un'isola di
perfetta vita cristiana, fosse possibile realizzare le virtù cristiane
autentiche un monaco egiziano, Pacomio, a stabilire
alla fine del III secolo la prima regola di vita
comunitaria: i cenobiti vivevano del proprio lavoro e praticavano la
castità, la povertà e l'ubbidienza.
LA REGOLA BENEDETTINA
IL SENSO DELLA MISURA NELLA VITA MONASTICA
Fu importante, nel continente, l'emergere in quegli anni di una nuova forma
di vita monastica, proposta dalla REGOLA che Benedetto da Norcia compose per i
suoi monaci di Montecassino nei primi decenni del VI
secolo. Tre aspetti essenziali caratterizzarono questa regola.
1-Il senso della misura. La regola benedettina propose una forma di vita
cenobitica molto più vicina di quella irlandese al costume quotidiano
del tempo: attinse largamente ad altre 'regole' già in uso nel
mondo monastico e fu improntata a un vivo senso della misura e della
moderazione, che ne favorì enormemente la diffusione. Essa richiedeva ai
membri della comunità monastica di obbedire al proprio abate, di restare
perennemente legati al monastero, di condurre un'esistenza equilibrata, senza
austerità corporali eccessive.
2-L'importanza attribuita alla lettura e allo studio. La regola attribuiva un
certo margine anche all'attività intellettuale, che però doveva
essere limitata ad approfondire i testi delle scritture. Per consentire la
lettura ( circa 20 ore la settimana) i monasteri dovevano essere provvisti di
una biblioteca. Ben presto furono dotati anche di una scuola, dove i giovani
monaci imparavano a leggere e si sforzavano di apprendere i salmi a memoria. Le
scuole monastiche funzionavano così bene che divennero il modello a cui
si ispirano le stesse scuole presbiterali ed episcopali. In quasi tutti i
monasteri era inoltre organizzato uno studio (scriptorium),
dove i manoscritti della biblioteca venivano ricopiati. Grazie a scuole,
biblioteche e scriptoria, le abbazie svolsero nei
secoli centrali del medioevo una funzione importantissima di conservazione e di
trasmissione della cultura.
3-L'importanza attribuita al lavoro manuale. La vita quotidiana doveva essere
consacrata in parte alla preghiera e in parte al lavoro manuale, interpretato
come forma di ascesi. L'abbazia doveva inoltre essere provvista di una
proprietà terriera sufficiente per mantenerla indipendente dall'esterno:
era dunque anche un centro economico e produttivo. Più che una
comunità in cui si perseguiva eroicamente un ideale ascetico sostitutivo
del martirio, diventava un rifugio in mezzo alle tempeste del mondo
circostante: un rifugio in cui, se non ci macerava nella penitenza, non ci si
dedicava neppure a una vita di pura contemplazione.
Coerente con questa concezione il monachesimo benedettino non svolse
perciò ai suoi inizi una funzione missionaria di predicazione del
messaggio cristiano. Soltanto alla fine del VI secolo papa Gregorio Magno ne
fece, come si vedrà poi, uno strumento di evangelizzazione.
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