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Bonaparte

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Bonaparte, imperatore dei Francesi (Ajaccio 1769-Sant'Elena 1821). Quartogenito dell'avvocato corso Carlo Buonaparte (ch'egli muterà in Bonaparte nella primavera del 1796) e di Letizia Ramolino, secondo dei sopravvissuti, a dieci anni fu ammesso come borsista al collegio d'Autun e, poco dopo, alla Scuola reale di Brienne e poi alla Scuola militare di Parigi. Ufficiale d'artiglieria a 16 anni, si fece rinviare in Corsica per la cui indipendenza egli parteggiava e ivi perdette alcuni anni nelle miserabili beghe dei clan locali fino a quando non avvenne la rottura tra lui, propenso a seguire le idee della Rivoluzione scoppiata in Francia, e P. Paoli, passato dalla parte degli Inglesi. Tutta la famiglia Bonaparte riparò in Francia in grande miseria. Aveva il grado di capitano quando suggerì ai commissari della Repubblica il modo di prendere Tolone, rivoltatasi contro il governo rivoluzionario, il che gli procurò l'avanzamento a generale di brigata d'Italia. Caduto in disgrazia al Termidoro e imprigionato (1794), ne uscì libero poco dopo e destinato come generale di fanteria a combattere in Vandea, incarico che egli rifiutò. Radiato dai quadri dell'esercito, ottenne a Parigi un impiego all'ufficio topografico. Dopo una nuova destituzione, il suo gran giorno: l'insurrezione monarchica del 13 vendemmiaio (1795) che N. represse con energia per ordine del Direttorio. Nominato comandante dell'armata d'Italia che aveva una mera funzione diversiva a favore dell'armata del Reno, N. riuscì a capovolgere il piano di guerra perché, mentre egli vinceva con un piccolo esercito male attrezzato, le due grandi armate di Jourdan e di Moreau furono respinte verso il Reno. Passato il Colle di Cadibona attaccò il centro dello schieramento avversario a Cairo Montenotte e divise le forze contrappostegli, poi batté separatamente i Piemontesi a Millesimo (13 aprile 1796) e gli Austriaci a Dego (14 aprile) e, inseguiti i primi fino a Mondovì, li costrinse a firmare l'Armistizio di Cherasco (28 aprile) che gli apriva la strada del Piemonte. Messo così fuori combattimento un nemico, violando la neutralità del ducato di Parma batté gli Austriaci a Lodi (10 maggio) entrando tre giorni dopo a Milano; poi li batté a Borghetto, nel territorio veneto, pure esso invaso. Il perno della guerra diventò Mantova che gli Austriaci tentarono invano di liberare dall'assedio postogli inviando vari eserciti, successivamente tutti sconfitti da N.; questi vinse allora alcune delle battaglie più famose della sua carriera (Lonato, Castiglione, Arcole, Rivoli); caduta Mantova, marciò arditamente su Vienna ma accettò l'armistizio chiesto dall'Austria (Leoben, 7 aprile 1797). Intanto, con la sua strategia espansionistica, aveva terrorizzato Parma, Modena, la Toscana e il Papato, i cui sovrani arono forti indennità e alcuni cedettero lo Stato totalmente (Modena) o parzialmente (Papato). In questo periodo Bonaparte non tenne conto degli ordini del Direttorio che considerava l'Italia un pegno da restituire all'Austria per ottenere il Belgio e la riva sinistra del Reno, e fondò invece le Repubbliche Cispadana e Transpadana, poi fuse nella Cisalpina, e quella Ligure, iniziando quell'attività politica che fu il coronamento della sua carriera militare. Sacrificò la Repubblica di Venezia cedendone gran parte all'Austria e ottenendo per la Cisalpina le terre a W dell'Adige (Campoformido, 17 ottobre 1797). Il Direttorio, ch'era stato rifornito abbondantemente di mezzi finanziari da N. ed era stato da lui salvato il 18 fruttidoro da un altro tentativo monarchico, mordeva il freno ma dovette accettare tutto quello che Bonaparte faceva. Il suo trionfale ritorno a Parigi fu seguito dalla nomina a comandante dell'armata d'Inghilterra, armata che fu condotta a Malta e in Egitto (1798) per colpire il predominio britannico nel Mediterraneo e aprirsi la strada per le Indie. La rapida occupazione di Malta e la conquista dell'Egitto (battaglia delle Piramidi, 21 luglio 1798) furono neutralizzate dall'occupazione britannica dell'arcipelago, dalla distruzione della flotta francese (Abukir, 1º agosto 1798), dallo scacco francese in Siria: N., salvato l'Egitto dalla conquista turca (Abukir, 25 luglio 1799), tornò in Francia dove il governo dei Direttori, inetti e corrotti, aveva suscitato il malcontento di tutto il Paese e portato alla perdita delle conquiste e a una minaccia alle frontiere della stessa Francia. Fu facile per Bonaparte, d'accordo con uno dei Direttori, Sieyès, favorito dalla passività degli altri quattro e, da ultimo, sostenuto dai granatieri chiamati dal presidente del Consiglio dei Cinquecento, Luciano Bonaparte, rovesciare il governo (18 brumaio) e farne creare uno nuovo dai pochi deputati favorevoli o impauriti, del quale fu console dapprima



con Sieyès e Ducos, poi primo console con Cambacérès e Lebrun. Pochi i militari favorevoli (Murat, MacDonald, Leclerc), invidiosi od ostili gli altri; favorevole il popolo disgustato dai latrocini dell'oligarchia rovesciata e convinto che solo N. potesse dare la pace al Paese. É la seconda camna d'Italia: Bonaparte, passate le Alpi al Gran San Bernardo, piombò su Milano tagliando le linee di comunicazione agli Austriaci che avevano preso Genova il 4 giugno 1800. La battaglia di Marengo (14 giugno 1800) finì con la modulazione degli Austriaci e con la loro evacuazione dall'Italia settentrionale, sino all'Adige, poi, sconfitta l'Austria a Hohenlinden da Moreau e firmata la Pace di Lunéville

(9 febbraio 1801), che assicurava alla Francia tutta la riva sinistra del Reno, N. riordinava il Paese creando il Codice napoleonico, chiudendo con il Concordato il lungo conflitto con la Chiesa, pacificando la Francia, mettendosi al di sopra delle fazioni. Divenuto oggetto di attentati da parte dei monarchici, li terrorizzò facendo fucilare l'innocente duca d'Enghien (21 marzo 1804) e sbarazzandosi di Pichegru e di Moreau, ottenendo in tal modo l'approvazione dei residui del decimato partito giacobino. Imperatore e re d'Italia

La necessità di conservare i benefici che la Rivoluzione aveva portato alla grossa borghesia e alla classe contadina fecero desiderare che la politica incarnata da N. non fosse soggetta all'alea 'd'un colpo di pistola', e da console a vita qual era stato proclamato (2 agosto 1802), fu nominato imperatore (18 maggio 1804). Si incoronò da solo, alla presenza del papa, ch'era andato a Parigi credendo di dover compiere lui quella importante cerimonia (2 dicembre 1804), come si incoronò re d'Italia a Milano (26 maggio 1805). Intanto la guerra con l'Inghilterra, chiusa dal Trattato di Amiens (25 marzo 1802), era ricominciata nel 1803. Pretesto per i Francesi fu il mancato sgombero di Malta da parte inglese; per gli Inglesi l'annessione del Regno di Sardegna alla Francia e il predominio da questa esercitato in Olanda e in Svizzera. Ma la vera causa fu l'impossibilità dell'Inghilterra d'ammettere il possesso francese del Belgio e il predominio di Parigi sul continente. La guerra ricominciò e il duello anglo-francese durò 12 anni fino al crollo di Napoleone. Fallito il progetto d'invasione dell'Inghilterra per l'imperizia dell'ammiraglio Villeneuve che da ultimo si lasciò battere a Trafalgar (21 ottobre 1805), N. dovette fronteggiare la coalizione anglo-russo-austriaco-napoletana organizzata da Pitt. Piombato in Baviera dal campo trincerato di Boulogne, costrinse l'inetto generale austriaco Mack a modulare a Ulma (20 ottobre 1805), marciò su Vienna, la occupò e poi distrusse gli eserciti austro-russi ad Austerlitz (2 dicembre). L'Austria fu costretta a firmare la Pace di Presburgo (26 dicembre) che le tolse le regioni ottenute a Lunéville; il Regno di Napoli, invaso, costituì uno Stato per Giuseppe Bonaparte (marzo 1806). La Prussia, unitasi in ritardo alla Russia, fu sbaragliata a Jena (14 ottobre) da N. e lo stesso giorno da Davout ad Auerstedt; N. entrò in Berlino poco dopo (27 ottobre); i Russi, dopo uno scontro dall'esito incerto a Eylau (8 febbraio 1807), furono gravemente sconfitti a Friedland (14 giugno) e conclusero la Pace di Tilsit (7-9 luglio) che consacrò il dimezzamento della Prussia e un accordo tra N. e lo zar Alessandro I sulle sfere di reciproca influenza. Scopo di N. era di ottenere l'appoggio russo allo strangolamento economico dell'Inghilterra deciso col decreto sul blocco continentale (21 novembre 1806) che ne vietava il commercio coi Paesi dell'Europa. Tale decisione fu fatale per N. perché ne condizionò la politica portandolo a un'ininterrotta guerra di conquiste per evitare che merci britanniche entrassero di contrabbando sul continente. Così ebbero inizio l'invasione del Portogallo, della Sna e dello Stato Pontificio, con successiva deportazione del pontefice a Fontainebleau e l'annessione dell'Olanda, mentre la resistenza popolare si organizzava nella Penisola Iberica aiutata (all'inizio poco e male) dall'intervento inglese. N. stesso dovette intervenire personalmente per riconquistare Madrid (4 dicembre 1808) da cui Giuseppe, passato quello stesso anno dal trono di Napoli su quello di Sna, aveva dovuto fuggire. Ne approfittava l'Austria per riprendere la guerra, ma anche questa volta N., sconfitto l'arciduca Carlo ed entrato a Vienna (13 maggio 1809), riusciva, dopo la battaglia di Essling (21-22 maggio), a schiacciare l'esercito avversario a Wagram (5-6 luglio) e a imporre la Pace di Schönbrunn (14 ottobre) che toglieva all'Impero austriaco ogni sbocco al mare. I rapporti con la Russia intanto si tendevano: questa conquistava la Finlandia ma non appoggiava N. nella guerra del 1809; era sospettosa per la creazione d'una Piccola Polonia; non otteneva l'assenso alla conquista di Costantinopoli e degli Stretti; rifiutava la mano d'una granduchessa a N. che aveva divorziato da Giuseppina, sterile, per avere un erede al trono. Il declinoLe nozze austriache di N. (1810) con l'arciduchessa Maria Luisa, l'occupazione dell'Oldemburgo da parte di Davout e soprattutto il malcontento dei commercianti russi per i danni ch'essi subivano in seguito al blocco continentale portarono alla rottura; la spedizione di Russia (1812) se vide N. occupare Mosca (14 settembre) dopo i vittoriosi scontri di Smolensk (16-l7 agosto) e della Moscova (7 settembre), finì in una catastrofe perché Mosca prese fuoco e l'esercito non ebbe più modo di accamparsi, lo zar non rispose alle proposte di pace avanzategli; quell'atto politico-sociale (la liberazione dei servi della gleba), che avrebbe messo in grave crisi la Russia, non fu fatto e, infine, un inverno precoce distrusse quasi tutto l'esercito francese in ritirata verso la Germania e fu un miracolo se ciò che sopravviveva della Grande Armée non fu catturato al passaggio della Beresina (26-28 novembre). La sorte delle armi peggiorò nel 1813. I successi anglo-snoli nella Penisola Iberica e l'intervento prussiano (28 febbraio 1813), seguito più tardi da quello austriaco (12 agosto), nonostante le vittorie di N. a Lützen (2 maggio), a Bautzen (20-21 maggio) e a Dresda (26-27 agosto), ebbero come risultato ultimo la catastrofe di Lipsia (16-l9 ottobre) in seguito alla quale tutta la Germania insorse contro l'imperatore il quale fu costretto a ripassare il Reno. Nel 1814 N. difese la Francia invasa dai nemici e, benché con scarsissime forze, ottenne parziali successi (Brienne, Champaubert, Montmirail, Vauchamps); ma, tradito o abbandonato dai suoi marescialli (Marmont, Ney, Augerau, Oudinot, Moncey, Lefebvre) e dai suoi ministri (Talleyrand, Fouché) che si giustificarono adducendo la necessità di sacrificare N. per salvare la Francia, egli, dopo la ritirata di Augerau da Lione (20 marzo) e la vergognosa modulazione di Marmont a Parigi (31 marzo), dovette abdicare (6 aprile) e accontentarsi della sovranità dell'isola d'Elba. Venuto a conoscenza del malcontento sorto in Francia contro i Borbone, sbarcò nel golfo Juan (1º marzo 1815) e rientrò a Parigi senza colpo ferire seguito dai soldati che avrebbero dovuto arrestare la sua marcia. Posto fuori legge dalle potenze radunate a Vienna, tentò di battere separatamente i nemici e invase il Belgio, batté i Prussiani a Ligny (16 giugno) ma a Waterloo fu vinto dagli Anglo-Prussiani (18 giugno). Di fronte alla decisa azione del Senato preferì abdicare anziché appoggiarsi al popolo di Parigi che gli era favorevole e si consegnò agli Inglesi che lo relegarono a Sant'Elena quale prigioniero di guerra. Ivi egli diede vita alla leggenda napoleonica creando il mito di un N. desideroso di attuare il principio di nazionalità quale premessa degli Stati Uniti d'Europa e, novello Prometeo, incatenato su uno scoglio dall'odio dei mercanti inglesi. Morì per un cancro il 5 maggio 1821. I suoi resti furono trasportati a Parigi nel 1840; un secolo più tardi furono collocati accanto a essi quelli dell'unico lio, Napoleone II, il Re di Roma. N., certo il più grande capitano della storia e, come Cesare, assai coraggioso, fu divorato dall'ambizione di fare della Francia la più grande potenza del mondo, anche se alle conquiste fu in parte indotto dalla necessità di piegare l'Inghilterra colpendola nei suoi commerci. Se i contemporanei ammirarono N. soprattutto come generale, la sua opera duratura fu invece la costruzione dello Stato borghese sorto dalla Rivoluzione nel 1789, che venne poi nel corso del sec. XIX preso a modello dagli altri Stati d'Europa.




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