Campi di concentramento
Vasto spazio chiuso da filo spinato o da altro
elemento divisorio, fortemente presidiato e adibito all'internamento di quanti,
in un regime dispotico, sono considerati avversari per motivi politici o
razziali. Il trattamento in genere si estende anche ai gruppi militari che lo
stesso regime non riconosce come combattenti. Nel linguaggio comune la
denominazione campi di concentramento è spesso estesa anche ai campi di
prigionieri di guerra, ma il diritto lo esclude perentoriamente, in quanto per
questi ultimi vige un codice internazionale che regola, tra l'altro, il
trattamento dei prigionieri, la durata della prigionia, ecc., mentre per i
campi di concentramento non può esservi legge, in quanto in un regime
democratico l'opposizione politica fa parte dei diritti di ogni cittadino. Il
primo campo di concentramento fu istituito dagli Snoli a Cuba per
rinchiudervi, nel 1868, gli insorti che erano stati fatti prigionieri.
L'esempio fu seguito dagli Inglesi nella guerra combattuta nel Sudafrica contro
i Boeri (1899-l902). Per fiaccare la resistenza degli avversari, gli Inglesi
rinchiusero nei campi di concentramento donne, vecchi e bambini e ve li tennero
come ostaggi. I campi di concentramento riapparvero durante la I guerra
mondiale, quando servirono a imprigionarvi i cittadini di Stati belligeranti
nemici, che allo scoppio del conflitto si trovavano in territorio diventato
nemico. Altri campi di concentramento vero in Russia dopo la Rivoluzione
del 1917 e di questi ebbero tutte le caratteristiche anche se chiamati con il
nome meno severo di campi di lavoro. Altri ne conobbero la Sna durante la
guerra civile (1936-39) e la Grecia dopo il fallimento dell'insurrezione
comunista del 1944. In Germania i primi campi di concentramento vero non
appena i nazionalsocialisti e Hitler presero il
potere nel 1933 e fu subito evidente che alla loro istituzione presiedeva la
politica dello sterminio scientifico, in una stretta osservanza dell'ideologia
razziale nazista. Col pretesto di «rieducare i Tedeschi antinazisti», furono
internati migliaia di comunisti, socialdemocratici, ebrei, protestanti e
obiettori di coscienza. Ben presto l'organizzazione dei campi di concentramento
assunse una tale ampiezza che Hitler ne volle
affidata la custodia alle SS, la milizia del regime, destinata a formare
l'aristocrazia della razza tedesca educata all'obbedienza cieca in un'assoluta
insensibilità morale. Fra le esperienze attuate nei campi di
concentramento, dove la tortura era norma, venne praticata anche l'eutanasia
come mezzo di «soppressione di vite indegne di essere vissute», primo passo
verso quella «razionalizzazione dello sterminio» che culminò con le
camere a gas e i forni crematori. Per le necessità della loro economia
di guerra, i nazisti concepirono i campi di concentramento come un'enorme
riserva di lavoro servile, non ato e sempre rinnovabile. A questo scopo, fin
dall'inizio del II conflitto mondiale, essi organizzarono una ventina di grandi
campi di concentramento distribuiti in Germania (Dachau, Buchenwald,
Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flossenburg, Oranienburg-Sachsenhausen, Dora,
Neu-Bremm, Neuengamme); in Polonia (Auschwitz , Birkenau, Maidanek, Stutthof); in Austria (Mauthausen); in Boemia (Terezin); in Alsazia (Natzwiller, Strithof); a Riga e a Kaunas nei Paesi Baltici. In ognuno gli internati facevano
parte di Kommandos (distaccamenti), variabili di
numero secondo il lavoro cui erano adibiti. I campi, che sorgevano in luoghi
disabitati e spesso malsani, in genere erano composti da baracche di legno
larghe da sette a dieci metri e lunghe cinquanta, costruite dagli stessi
internati. Il campo era chiuso da filo spinato, nel quale era immessa corrente
elettrica ad alta tensione; torrette di vigilanza sorgevano, munite di
mitragliatrici, nei punti nevralgici del campo. Al centro un grande spiazzo
serviva all'appello mattutino, alla formazione dei Kommandos
di lavoro e alle esecuzioni pubbliche. Al vertice dell'organizzazione dei campi
stava il capo delle SS, Himmler, coadiuvato
dall'ispettore Pohl. Ogni campo aveva un ufficio di
comando, una sezione politica, i servizi logistici, un'infermeria e una
prigione. Per le donne internate il comando era riservato ai reparti femminili
delle SS. Il governo in sottordine era affidato a elementi scelti fra gli
stessi internati, i cosiddetti Kapò, che contagiati dalla violenza e
dall'odio si rivelarono non meno feroci dei loro primi persecutori. A capo di
questa organizzazione subordinata stava il decano, che rispondeva di tutti i
detenuti del campo davanti alle SS del comando. Sulla casacca di ogni
prigioniero era cucito un triangolo di stoffa: rosso per i politici, verde per
i delinquenti comuni, violetto per gli obiettori di coscienza, nero per gli
asociali, rosa per gli omosessuali, giallo per gli ebrei con sovrapposto un
altro rovesciato a formare la stella di Davide. Al centro del triangolo i non
Tedeschi portavano l'iniziale del nome della loro nazione e i lenti
d'intelletto una fascia al braccio con la parola idiot.
Tutti poi portavano il proprio numero. Punizioni durissime e il cibo
estremamente scarso e spesso avariato mietevano vittime e riducevano anche i
più forti a scheletri viventi. A scadenze mensili il comando del campo
procedeva a eliminare dai Kommandos quanti non erano
più abili al lavoro destinandoli alle camere a gas. Tentativi di fuga
furono stroncati con massacri. Degli otto milioni circa di assassinati, sei
milioni furono ebrei, accomnati da una foltissima schiera di prigionieri
russi, di zingari e di quanti la malattia e i maltrattamenti avevano reso
inabili al lavoro. Dopo la vittoria sul nazismo e la condanna dei principali
responsabili si tentò di accertare il numero delle vittime dei campi di
concentramento, ma l'impresa si rivelò molto ardua: lord Russel of Liverpool, consulente
dal 1946 al 1951 presso il comando inglese per i delitti di guerra nazisti e
quindi in grado di consultare documenti di prima mano afferma che i detenuti
assassinati nei campi di concentramento furono non meno di 9 milioni; altre
fonti ufficiali parlano di 11 milioni. L'incompletezza della documentazione
nasce dal fatto che dalla seconda metà del 1944 (quando la sconfitta
apparve ormai palese anche ai capi tedeschi) i registri dei campi divennero
fortemente lacunosi. A Mauthausen entravano interi
convogli di detenuti che sivano senza lasciar traccia sui registri. Per
citare solo alcuni dati particolari: dal 1940 al 1945 nei campi di Auschwitz e di Maidanek in
Polonia furono sterminate 6.312.000 persone, fra cui 8924 italiani; dal marzo
al dicembre 1942 furono sterminati 2.084.000 ebrei polacchi; nel primo anno di
guerra contro l'Unione Sovietica furono uccisi 66.000 ebrei lituani e 330.000
della Russia Bianca; per i civili non ebrei, lo stesso Himmler,
in un rapporto al Führer del 26 dicembre 1942, parlava della soppressione di
368.311 persone. Le cifre ufficiali sovietiche per tutto il periodo della
guerra parlano di 4.600.000 uccisi; quelle polacche di 3.450.000, quelle
cecoslovacche di 500.000. I morti di altre nazionalità ascendono a 2.700.000
complessivamente. I deportati italiani furono 43.000 e di essi ne sopravvissero
solo 3000. Tante furono le vittime che l'Europa dovette are all'aberrazione
razziale nazista.