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Capitalismo
Sistema economico nel quale la produzione di beni e servizi è svolta, per la maggior parte, da imprese private che operano con il criterio del profitto e scambiano i loro prodotti sulla base di un sistema di prezzi che si forma liberamente nel mercato. Il capitalismo ha origini antiche, ma ha dovuto attendere l'età moderna, con la sua disponibilità di lavoro libero e l'ampliamento del sistema del credito, per svilupparsi fino a diventare dominante. Affermatosi in Gran Bretagna, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, e poi nel resto dell'Europa e in America, si è diffuso in tutto il mondo soppiantando le diverse forme di società tradizionale.
Il termine 'capitalismo' è recente, poiché appare agli inizi del Novecento nell'opera di Werner Sombart e Max Weber. Libera iniziativa, laissez-faire ed economia di mercato sono espressioni spesso utilizzate per designare con una connotazione apologetica i sistemi economici nei quali prevale il capitalismo, mentre, dove questo è controbilanciato da un ampio intervento pubblico, si parla di economia mista.
Il maggior contributo all'elaborazione teorica dei fondamenti del capitalismo moderno si deve al pensatore scozzese Adam Smith, che per primo enunciò i principi economici alla base del sistema. In Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), libro divenuto il testo classico per eccellenza della teoria economica, egli sosteneva che, nel perseguire l'interesse personale, i singoli individui promuovono altresì i fini di tutta la società: con un enunciato ormai celebre, affermava che la combinazione di interesse privato, proprietà privata e concorrenza tra venditori nei mercati avrebbe guidato i produttori, come una 'mano invisibile', verso un fine superiore da loro non consapevolmente perseguito, il benessere della società.
Caratteristiche del capitalismo
Nel corso della propria storia, ma specialmente durante gli anni di sviluppo nel XIX secolo, il capitalismo ha evidenziato alcune fondamentali caratteristiche. Primo, le strutture produttive di base (terra e capitale) sono possedute da privati. Il capitale, in questo senso, è costituito dai mezzi di produzione, gli edifici, le macchine e le altre attrezzature utilizzate per produrre beni e servizi. Secondo, l'attività economica viene coordinata in modo decentrato, mediante l'interazione di compratori e venditori (o produttori) nei mercati. Terzo, i possessori dei mezzi di produzione, così come i fornitori di manodopera, sono formalmente liberi di perseguire il proprio interesse personale cercando di ricavare il massimo guadagno dall'uso delle proprie risorse e del lavoro nella produzione. I consumatori sono liberi di spendere il proprio reddito nel modo che ritengono più soddisfacente. Questo principio, denominato 'sovranità del consumatore', riflette l'idea che con il capitalismo i produttori saranno spinti dalla concorrenza a usare le proprie risorse in modo che meglio soddisfino le richieste dei consumatori: l'interesse personale e la ricerca del guadagno li conducono a questo fine. Quarto, il controllo statale necessario è ridotto al minimo; se la concorrenza esiste, l'attività economica si autoregolerà. Lo stato dovrà limitarsi a proteggere la società dagli attacchi esterni, difendere la proprietà privata e garantire l'esecuzione dei contratti. Questa visione del ruolo dello stato nel sistema capitalista, propria del XIX secolo, è stata sostanzialmente modificata dalle idee e dagli avvenimenti che hanno caratterizzato il XX secolo.
Origini
La classe dei mercanti e il commercio sono fattori dello sviluppo sociale presenti fin dall'antichità, ma il capitalismo come sistema economico ha origine nell'Europa del XIII secolo, mentre il feudalesimo volge alla fine. In quell'epoca, l'inclinazione a 'scambiare, barattare una cosa con un'altra', che secondo Smith è connaturata negli essere umani, venne rinnovata e stimolata dalle crociate, che assorbirono le energie di quasi tutta l'Europa dall'XI al XIII secolo. I viaggi e le scoperte dei secoli XV e XVI diedero ulteriore impulso al commercio, specialmente in seguito all'afflusso di un'enorme massa di metalli preziosi dal Nuovo Mondo. L'ordine economico che emerse da questi sviluppi fu essenzialmente commerciale o mercantile, rimase cioè imperniato sullo scambio di prodotti anziché sulla loro produzione. Fu tuttavia allora che cominciò a emergere un'importante ura del sistema capitalista: l'imprenditore, il soggetto che si assume i rischi, ad esempio quelli inerenti al trasporto via mare sulle lunghe distanze. Elemento chiave del capitalismo è lo svolgimento di un'attività in previsione di un guadagno futuro; dato che il futuro è tuttavia incerto, la possibilità di guadagno può sempre rovesciarsi in un rischio di perdita: l'assunzione di rischio è dunque un elemento proprio dello specifico ruolo dell'imprenditore.
La spinta verso il capitalismo fu rafforzata dai grandi cambiamenti politici, sociali e culturali dell'epoca del Rinascimento e dalla Riforma. La nascita dei moderni stati nazionali creò anche le condizioni di pace e di ordine, cruciali per la crescita del capitalismo. Il capitalismo, infatti, cresce attraverso investimenti (il reimpiego dei profitti nella produzione o, in termini marxiani, l'accumulazione) che richiedono tempo per dare i loro frutti, e questo processo di espansione non è pensabile senza un minimo di certezza delle leggi e di stabilità.
Il mercantilismo
Dal XV fino al XVIII secolo, mentre andavano nascendo i moderni stati nazionali, il capitalismo, oltre che nelle forme commerciali tradizionali, si sviluppò anche in un'altra direzione chiamata mercantilismo, che raggiunse il massimo sviluppo in Inghilterra. Imprese tipicamente mercantilistiche sono le comnie privilegiate cui era affidato lo sfruttamento delle colonie, così come le manifatture reali create in Francia da Jean-Baptiste Colbert.
A differenza del capitalismo poi definito da Adam Smith, il nucleo del mercantilismo risiedeva nell'interesse personale del sovrano (cioè dello stato) e non in quello dei possessori privati delle risorse economiche. Nell'era mercantilista lo scopo principale della politica economica era il rafforzamento dello stato nazionale e il perseguimento dei suoi scopi. A questo fine il governo esercitava un ampio controllo sulla produzione, gli scambi e il consumo.
Il fine principale del mercantilismo era quello di accumulare ricchezza a livello nazionale sotto forma di oro e argento. Dato che molte nazioni non disponevano di questi metalli preziosi, il mezzo migliore per acquisirli era il commercio; ciò significava impegnarsi per avere una bilancia dei amenti in attivo, cioè un'eccedenza delle esportazioni sulle importazioni, giacché in tal caso i compratori avrebbero dovuto are in oro e argento i beni acquistati. Gli stati mercantilisti favorivano inoltre il mantenimento di bassi livelli salariali, ritenendo che ciò avrebbe scoraggiato le importazioni, contribuito all'eccedenza delle esportazioni e pertanto incrementato l'afflusso di oro.
I sostenitori più attenti della dottrina mercantilista capirono che la vera ricchezza di una nazione non risiede nella quantità di metalli preziosi posseduti, bensí nella sua capacità di produrre a prezzi competitivi; intuirono inoltre che l'afflusso di metalli preziosi poteva servire da stimolo all'attività economica, ma che solo quest'ultima avrebbe garantito allo stato maggiori entrate. Tuttavia solo in pochi casi gli stati indirizzati verso un'economia mercantilista applicarono conseguentemente questo principio.
Gli albori del moderno capitalismo
Due elementi, verificatisi entrambi nella seconda metà del XVIII secolo, prepararono, sul piano delle idee, la nascita del capitalismo moderno. Il primo fu l'affermazione in Francia della scuola dei fisiocratici a partire dal 1750; il secondo fu il profondo impatto che ebbero le idee di Adam Smith sui principi e sulla pratica del mercantilismo.
I fisiocratici
Fisiocrazia è il termine applicato a una scuola di pensiero economico che teorizzò l'esistenza di un ordine naturale economico, che non richiedeva la direzione dello stato per prosperare. L'economista François Quesnay, il maggiore esponente della fisiocrazia, ne enunciò i principi fondamentali nella sua opera più famosa, il Tableau économique (1758), in cui tracciò il percorso, o 'flusso', dei prodotti e della moneta attraverso l'economia. Quesnay osservò che questo movimento circolatorio sembrava in grado di avviarsi e di mantenersi da solo. Esso si basava sulla divisione della società in tre classi principali: 1) la classe produttiva, formata da coloro che erano impiegati nell'agricoltura, nella pesca, nell'attività estrattiva e che rappresentavano una metà circa della popolazione; 2) la classe proprietaria che assommava a un quarto circa della popolazione; 3) la classe degli artigiani, o classe sterile, composta dal resto della popolazione.
Il Tableau di Quesnay riflette l'opinione che solo le classi agricole, grazie alla fecondità della terra, fossero in grado di produrre un sovrappiù o prodotto netto. Altre attività, come quella industriale, venivano giudicate essenzialmente sterili, in quanto non producevano ricchezza ma si limitavano a trasformarla o a farla circolare. Idee simili erano state professate dal confucianesimo ortodosso in Cina. Fu questo aspetto del pensiero fisiocratico a essere utilizzato contro il mercantilismo: se l'industria non creava ricchezza, allora per lo stato diventava inutile cercare di aumentare la ricchezza nazionale con una regolamentazione capillare dell'attività economica. Bisognava invece incoraggiare il miglioramento delle tecniche agricole, favorire il benessere dei contadini, liberalizzare i mercati agricoli.
La dottrina di Adam Smith
Le idee di Adam Smith, oltre che dar luogo al primo sistematico trattato di economia, furono un attacco frontale alle dottrine mercantiliste. Come i fisiocratici, Smith cercò di dimostrare l'esistenza di un ordine economico 'naturale', che potesse funzionare più efficacemente in presenza di un ruolo statale fortemente limitato. Al contrario dei fisiocratici, però, Smith non credeva che l'industria fosse improduttiva o che solo il settore agricolo fosse in grado di produrre più di quanto vi era stato immesso. Piuttosto, egli vide nella divisione del lavoro e nell'espansione dei mercati possibilità quasi illimitate per la società di incrementare la ricchezza attraverso l'industria e il commercio.
Sia i fisiocratici sia Smith alimentarono dunque la convinzione che i poteri economici dei governi andassero limitati e che esistesse un ordine naturale nella sfera economica che l'intervento arbitrario dello stato poteva soltanto turbare. Fu Smith, però, più che i fisiocratici, a comprendere, e per certi versi ad anticipare, l'industrializzazione e la nascita del capitalismo moderno.
La rivoluzione industriale
Le idee di Smith fornirono lo sfondo ideologico e intellettuale per la rivoluzione industriale, la radicale trasformazione della società e del mondo che caratterizzò il XIX secolo. Non si può precisare una data per l'inizio di questa 'rivoluzione', che generalmente si fa risalire al tardo XVIII secolo.
La caratteristica fondamentale del processo di industrializzazione fu l'introduzione dell'energia meccanica (fornita in origine dalla macchina a vapore) in sostituzione di quella umana e animale nella produzione di beni e servizi. I progressi della meccanizzazione e della produzione in Inghilterra e poi in altre parti del mondo, furono accomnati da numerosi cambiamenti importanti. La produzione divenne sempre più specializzata e si concentrò in grandi unità, le fabbriche. Gli artigiani e i piccoli negozianti del XVIII secolo non svero, ma vennero relegati ai margini dell'attività economica nelle nazioni guida, specialmente Inghilterra, Stati Uniti e Germania. Cominciò a emergere la moderna classe operaia; i lavoratori delle fabbriche, a differenza degli artigiani tradizionali, non possedevano propri strumenti di lavoro, erano praticamente privi di proprietà e generalmente tendevano a scambiare il proprio lavoro per un salario. L'applicazione dell'energia meccanica alla produzione comportò un grande incremento nella produttività del lavoro, che rese i beni abbondanti.
Lo sviluppo del capitalismo industriale ebbe gravi costi umani. Gli albori della rivoluzione industriale furono marcati dalle spaventose condizioni di vita delle grandi masse operaie, specialmente in Inghilterra. Erano diffusi il lavoro infantile, lunghi orari e ambienti di lavoro pericolosi e malsani. Questa situazione indusse Karl Marx a denunciare con forza il sistema capitalista, in particolare nel Capitale (1867-l894). La sua opera aggredì il fondamento del capitalismo, la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il capitalismo era, inoltre, soggetto ad andamenti ciclici, caratterizzati dal succedersi di periodi di espansione e prosperità e di periodi di crisi che provocavano ondate di disoccupazione. Gli economisti classici non disponevano di una spiegazione degli alti e bassi della vita economica, e si accontentavano di considerare i cicli come il prezzo inevitabile che la società doveva are per il progresso materiale. La critica di Marx contribuì alla creazione di forti movimenti sindacali, che lottavano per ottenere l'aumento dei salari, la diminuzione dell'orario di lavoro e il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Nel tardo XIX secolo si affermò quale forma dominante di organizzazione dell'impresa la moderna società per azioni, che consentiva nello stesso tempo di raccogliere più ampi capitali di rischio e di limitare al valore delle azioni sottoscritte la responsabilità dei soci. Negli Stati Uniti, la concorrenza spietata lasciò emergere grandi corporation dotate di enorme potere finanziario. La tendenza a monopolizzare o controllare mercati e industrie di tali società spinse il Congresso degli Stati Uniti ad approvare la legislazione antimonopolistica (vedi Antitrust) che cercò di utilizzare il potere dello stato per salvaguardare almeno un minimo di concorrenza nell'industria e nel commercio.
Il capitalismo del XX secolo
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, in conseguenza della 'grande depressione' (1873-l896), il capitalismo monopolistico si era tuttavia affermato nella gran parte dei paesi industrializzati, determinando una vasta riorganizzazione dei settori produttivi, nonché della stessa società. Nello stesso periodo i paesi capitalistici operarono per difendere le proprie industrie innalzando barriere doganali e conquistare nuovi mercati per le proprie merci, attuando un rilancio di politiche colonialiste e imperialiste che furono alla base dello scoppio della prima guerra mondiale.
Dopo un breve periodo di ripresa economica seguito alla guerra, le democrazie industriali dell'Europa e del Nord America vennero investite dalla Grande Depressione degli anni Trenta, il più grave sconvolgimento economico vissuto dal capitalismo moderno. Raccogliendo la sfida della depressione, i maggiori sistemi capitalisti dimostrarono tuttavia spiccate capacità di sopravvivenza e adattamento al cambiamento; i governi cominciarono allora a intervenire nell'economia per correggere i principali limiti intrinseci del sistema capitalistico.
Negli Stati Uniti, ad esempio, l'amministrazione del New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt ristrutturò il sistema finanziario al fine di prevenire il ripetersi di eccessi speculativi che avevano condotto al crollo di Wall Street nel 1929. Furono presi provvedimenti per incoraggiare la contrattazione collettiva e costruire un forte movimento sindacale in grado di controbilanciare il potere dei grandi gruppi industriali. L'introduzione della previdenza sociale e dell'assicurazione contro la disoccupazione gettò le basi per la costruzione dello stato sociale.
L'opera di John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936), influenzò profondamente il modo di operare nei paesi capitalisti, dando origine alla scuola di pensiero conosciuta con il nome di economia keynesiana.
Keynes mostrò che uno stato moderno poteva utilizzare il disavanzo pubblico, l'imposizione fiscale e l'offerta di moneta in modo da attenuare, se non proprio eliminare, il vero problema del capitalismo, gli alti e bassi del ciclo economico. Secondo Keynes, in fase di depressione il governo avrebbe dovuto accrescere la propria spesa, anche a costo di creare deficit di bilancio, per compensare il calo della spesa privata; avrebbe dovuto invece seguire una linea opposta qualora l'espansione fosse diventata incontrollabile, dando luogo a eccessi speculativi e inflazionistici.
Vittoria e crisi del capitalismo
Alla seconda guerra mondiale seguì un trentennio di crescita economica e di tendenziale piena occupazione dei paesi capitalistici, ma anche di grossi conflitti sociali e di un'estesa critica al modo di produzione e alla 'civiltà capitalistica'.
Negli anni Settanta e Ottanta, al riaffacciarsi di una grave e generale crisi economica, i governi conservatori di Stati Uniti e Gran Bretagna lanciarono un forte attacco alle politiche economiche keynesiane adottate fino ad allora, nell'intento di dare vita a un sistema economico radicalmente alternativo, di ridare slancio all'iniziativa privata (per esempio riducendo il carico fiscale delle imprese) e di ridurre il ruolo dello stato (privatizzazioni, taglio generalizzato della spesa dello stato in favore della sanità, della scuola, dell'occupazione ecc.).
La terapia liberista, benché di breve durata, provocò un'autentica rivoluzione, non solo economica, ma nei costumi e nella cultura della gran parte dei paesi industriali, e se da un lato favorì la ripresa economica e in alcuni casi l'occupazione (sebbene in molti casi precaria e priva di tutele), provocò anche il netto peggioramento delle condizioni di vita delle classi sociali deboli e marginali. Agli inizi degli anni Novanta, nello stesso momento in cui il sistema democratico e capitalista occidentale vinceva la sua lunga e aspra battaglia contro il blocco comunista, i governi artefici della 'rivoluzione liberista' venivano sconfitti.
Il dibattito sul capitalismo è destinato a continuare, anche perché il sistema capitalistico si è negli ultimi anni profondamente trasformato e continua a trasformare il panorama mondiale nel quale agisce.
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