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Commercio e Produzione
Nell'epoca Romana
Storia del commercio e dell'agricoltura romana
Dopo la sua leggendaria fondazione l'economia di Roma si basava solamente sulla sua produzione agricola; i primi scambi di tipo commerciale avvenivano quindi tra la città e le camne circostanti. In seguito ai contatti con le popolazioni etrusche e con i Greci che si erano stanziati nell'Italia meridionale, cominciò a svilupparsi il commercio e la prima industria di Roma; quest'ultima ricevette ulteriori stimoli con le successive conquiste romane in tutta l'Italia, anche settentrionale.
Durante l'espansione del territori romani è il ceto alto-plebeo o equestre a farsi promotore di molte delle nuove attività economiche. Tali ceti, assieme ai liberti, assumono almeno tendenzialmente il controllo delle attività finanziarie, commerciali, degli appalti pubblici (legati alle opere pubbliche e al finanziamento delle guerre di conquista) ma anche, in buona parte, di altri aspetti della vita sociale romana, quali quelli giuridici e politici.
D'altra parte - in contrapposizione a questi ceti e alle loro attività - le classi patrizie e senatorie rimarranno maggiormente attaccate alle attività agricole e alle proprietà fondiarie.
Nonostante questo, Roma rimase prevalentemente un importante centro di consumo, più che di produzione: infatti le importazioni superavano di gran lunga le esportazioni, che erano per la maggior parte composte da manufatti di bronzo.
Per quanto riguarda l'agricoltura, quando i romani iniziarono a sottomettere le popolazioni italiche definirono le terre conquistate col termine di 'agro pubblico'.
Una parte di questi terreni veniva divisa in centurie, cioè in rettangoli più o meno equivalenti, destinati ad essere assegnati ai coloni-soldati, che di mestiere facevano i contadini e che su questi lotti praticavano sostanzialmente un'agricoltura di sussistenza.
La manodopera doveva
essere rigorosamente formata da schiavi. Le mansioni di tutti questi lavoratori
e il modo di sfruttare al massimo la loro forza-lavoro vengono descritti sin
nei minimi particolari nel primo trattato sull'agricoltura (De re rustica) di Catone, scritto tra il
164 e il
L'azienda doveva essere chiaramente orientata al mercato, per cui si dovevano specializzare le colture (specie il vino e l'olio).
A partire soprattutto dagli anni della tarda Repubblica e in quelli successivi dell'Impero (soprattutto nei momenti di maggiore fioritura economica), si assiste così al passaggio dalle proprietà latifondistiche (dette 'villae') in vere e proprie 'industrie', finalizzate al commercio, sia attraverso una notevole specializzazione produttiva che con un'intensificazione delle colture.
Accanto a una produzione di carattere commerciale, rimane anche un altro tipo di produzione, il cui fine da una parte era l'autoconsumo.
Si parla, a tale proposito, di una 'economia a doppia strategia', nella quale, accanto gli investimenti di natura commerciale, è lasciata aperta una porta anche a un'economia di natura indipendente, secondo un modello di vita più antico, che verrà poi ripreso nel Medioevo.
Con il declinare dei traffici, durante il II e nel III secolo d.C., si verificherà un'inversione di tendenza sul piano della produttività e dell'economia: le classi tipicamente agrarie quanto gli altri proprietari fondiari (essenzialmente i cavalieri e i liberti) ripiegheranno sempre di più verso la pratica di un'economia di autoconsumo, e ciò ovviamente a scapito ulteriore dei traffici e delle attività di scambio.
Si iniziò dunque a dare in gestione ai contadini (detti coloni) la villa, in cambio di un canone in denaro o in una parte del raccolto. I coloni, che sfruttavano alcune strutture presenti nella villa, come il forno e il mulino, si potevano rendere disponibili nei periodi dell'anno in cui era necessario l'impiego di manodopera supplementare, per esempio nella stagione della vendemmia.
Queste forme contrattuali di lavoro si rendevano particolarmente indicate là dove le proprietà erano troppo lontane per poter essere ispezionate frequentemente, oppure per quelle terre che si trovavano in zone insalubri, dove i latifondisti preferivano mettere a repentaglio la vita dei coloni che non quella degli schiavi comprati sui mercati.
Perciò nell'impero, ormai segnato dalle incessanti invasioni di popoli barbarici, si hanno due situazioni: la prima in cui le ville diventarono veri e propri centri di autosussistenza, estranei alla vita che si svolge al loro esterno, l'altra in cui il declino del commercio porta alla rovina dei mercanti.
Durante il tardo-impero avviene la scissione tra la camna e la città e dalle camne si reclutano solamente le schiere dei soldati e questo fatto introdurrà un elemento importante nelle lotte politico-sociali del secolo III.
Con l'inizio del Medioevo si ha la definitiva indipendenza delle "villae" con la trasformazione del colonato con la servitù della gleba.
Prodotti delle province imperiali
L'Impero Romano dipendeva dalle importazioni dalle province:
In particolare, dall'Etruria venivano esportati i metalli (soprattutto
il bronzo), Ravenna e Pisa rifornivano Roma di navi.
In età imperiale nacquero nuove industrie nelle regioni conquistate, che conobbero un facile sviluppo: infatti il commercio fu agevolato rendendo migliori le comunicazioni terrestri e più sicure quelle marittime.
Dalle regioni orientali giungevano merci rare, preziose e ricercate come i profumi dall'Arabia, e la seta dalla Cina. L'Egitto produceva papiri e manufatti di cristallo.
Per quanto riguarda le regioni occidentali e settentrionali, le loro
industrie incominciarono a fare concorrenza a quelle italiche. Dalla Sna
giungevano acciaio, lana e un garum particolarmente gustoso. In Gallia si
lavoravano i metalli preziosi, si fabbricavano oggetti di bronzo, particolari
vasi di argilla e si producevano calzature, mantelli e più in generale
stoffe.
Lo sfruttamento delle
Province dell'Impero
Il saccheggio delle Province è messo in atto attraverso l'esercito
(funzione di controllo) e la burocrazia imperiale (funzione di riscossione)
formata, quest'ultima, dall'aristocrazia urbana delle province stesse la quale
trova, in questo modo, un'altra fonte di arricchimento.
Lo sfruttamento sistematico delle province si esplica attraverso due fasi: la
metropoli (Roma) sfrutta le camne (colonie) attraverso l'intermediazione
delle città dell'lmpero, tutte, in varia misura, subalterne al centro.
In ogni provincia, infatti, si ripropongono gli stessi meccanismi di
soggiogamento delle camne alle città.
Le strade romane vennero sempre costruite inizialmente per scopi militari, poi con il tempo diventarono grandi vie di comunicazione e furono anche usate per gli scambi commerciali.
Il sistema viario subì molti miglioramenti a partire dalla fine dell'epoca repubblicana e giunse ad essere una valida alternativa ai viaggi marittimi, in particolare nei mesi invernali, quando le attività di navigazione venivano bloccate. Le grandi vie di comunicazione romane, soprattutto in quei territori vasti e lontani dalle città, erano dotate di stazioni di posta e di luoghi di riposo per i viaggiatori.
Una delle prime vie costruite, ma sicuramente quella che assunse più importanza per il commercio con l'Italia meridionale, fu la via Appia, che collegava Roma a Brindisi attraverso Capua e Benevento. Altre vie furono prolungate in tempi successivi per raggiungere la costa adriatica, come la via Claudia Valeria che collegava Tivoli con Pescara, passando gli Appennini.
Nel II secolo a.C. si svilupparono le comunicazioni con l'Italia settentrionale: per la loro importanza vengono ricordate la via Flaminia fino a Rimini, la via Aemilia fino a Piacenza; il sistema di comunicazioni nel nord fu poi migliorato con la costruzione di altre strade, come la via Postumia, che metteva in comunicazione Genova con Verona ed Aquileia, o altre che giungevano fino ai passi alpini e in Istria.
In Gallia i Romani trovarono una rete stradale già costruita in
precedenza dalle popolazioni celtiche e vi apportarono solamente dei
miglioramenti, potenziando le comunicazioni transalpine (da Torino a Lione
attraverso la valle di Susa, i valichi della Valle d'Aosta) e quelle dirette
verso il Reno, per i contatti con
Le comunicazioni marittime e stradali resero molto importanti, ricche e popolose alcune località, come Alessandria e altri villaggi sul mar Rosso in Egitto, Corinto in Grecia per i suoi due porti alle estremità dell'istmo, molte città della costa occidentale dell'Anatolia e nodi stradali in territorio siriaco o ai limiti del deserto (questo perché i traffici al di là dei confini dell'impero non erano svolti da mercanti romani, che preferivano aspettare in località come Petra o Palmira o nei porti come Berenice sul mar Rosso l'arrivo delle carovane dall'estremo Oriente).
Lo sviluppo dei commerci e delle vie di comunicazione, in particolare quelle marittime, ha permesso maggiori scoperte geografiche ed una più ampia diffusione della geografia, e quindi anche della cartografia.
I viaggi per mare hanno sempre presentato alcuni vantaggi rispetto a quelli terrestri, più lenti, meno pericolosi e meno comodi; inoltre la capacità di carico delle navi era maggiore di quella dei carri ed era possibile effettuare trasporti su lunga distanza senza che i costi aumentassero esageratamente.
Per questo la maggior parte dei commerci nel mondo romano veniva svolta per vie d'acqua; un gran numero di servizi di navigazione rimase in mano alle popolazioni dell'Oriente ellenistico, mentre i trasporti fluviali furono gestiti solo localmente.
Nel Mediterraneo era possibile navigare dalla metà di marzo alla metà di novembre; durante i quattro mesi invernali, definiti dai Romani mare clausum, ogni attività di navigazione marittima era interrotta.
I principali prodotti esportati via mare erano il grano, il vino, l'olio, il garum e i metalli in genere, soprattutto sotto forma di barre e di lingotti; sempre sulle navi giungevano a Roma alcuni prodotti di lusso, quali animali rari per i giochi del circo, marmi policromi dall'Africa e dall'Asia Minore, graniti dall'Egitto, spezie e sete dall'Oriente.
Dalla Sna meridionale arrivava il garum;
dalla Betica giungevano a Roma delle anfore di olio che poi venivano svuotate e
gettate lungo il fiume (il numero di anfore era veramente grande, tanto che
tutti i frammenti delle anfore gettate hanno formato sulla riva destra del
Tevere una collina alta circa
Era molto diffusa anche la navigazione fluviale e lacustre, grazie alla sua importanza economica e commerciale: i traffici maggiori si svolgevano su alcuni tratti del Rodano, del Reno, del Danubio, del Nilo e su alcuni laghi dell'Italia settentrionale, oltre che lungo il Po; altri fiumi venivano risaliti dalla foce, come il Tevere da Ostia a Roma e l'odierna Natissa fino ad Aquileia.
Nel mondo romano non esisteva un'unica organizzazione che si occupava dei trasporti navali e del commercio; spesso il carico veniva affidato a chi possedeva una nave e agiva in proprio, oppure a piccole comnie che raggruppavano alcuni soci per comporre una flotta molto modesta.
Durante il periodo repubblicano gli armatori, detti navicularii, dipendevano da grandi imprenditori finanziari, che li sostenevano economicamente. In epoca imperiale lo Stato, che aveva il monopolio di alcune forniture particolarmente importanti, si appoggiava sulla navigazione privata per i trasporti commerciali; per questo gli armatori godevano di alcuni privilegi, come il riconoscimento di particolari diritti o della cittadinanza latina, la garanzia di una sorta di assicurazione gratuita o l'esenzione da alcune tasse.
Talvolta i traffici marittimi erano sottoposti a tasse e pedaggi, che variavano a seconda dei luoghi, delle merci (il loro valore economico o l'utilità sociale del carico) e delle persone (la loro posizione sociale o la loro funzione).
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