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- Decolonizzazione dell'Africa -
S'intende per decolonizzazione il processo di emancipazione[1] e liberazione nazionale dei popoli oppressi dalla dominazione coloniale di alcuni paesi, soprattutto europei (Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Sna, Paesi Bassi, Belgio). La colonizzazione, avvenuta fra il XV e il XX secolo, ha avuto la grave colpa di suddividere l'Africa in una serie di territori, il cui frazionamento si perpetua ancora oggi in una fioritura di stati indipendenti troppo numerosi, determinando - come a volte è stato detto - la "balcanizzazione" dell'Africa. I paesi di recente indipendenza hanno confini tracciati dalle potenze coloniali: a volte sono piccolissimi, altre volte sono "troppo grandi" e vengono scossi da conflitti interni tra genti di tribù, lingua e fede diverse. Per procedere sulla via dello sviluppo economico e sociale sono spesso costretti a ricorrere al capitale straniero, con tutti i pericoli di dipendenza politico-militare dai paesi finanziatori, e di "soffocamento" economico per l'accumularsi degli interessi sui debiti.
Nel 1963 è stata fondata l'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA) con l'intento di rafforzare l'unità e la cooperazione tra i paesi africani e di eliminare ogni residua traccia di colonialismo nel continente.
Una delle conseguenze più importanti della seconda guerra mondiale fu l'emancipazione dei popoli coloniali. Essa era già implicita nelle idee di uguaglianza fra le razze, di libertà dei popoli e di giustizia sociale, nel nome delle quali si era combattuto contro il fascismo, il nazismo e l'imperialismo giapponese. Il trionfo di questi principi apparve subito incompatibile con la permanenza in varie regioni del globo di un regime di sfruttamento economico-sociale e di discriminazione etnica. Le aspirazioni all'indipendenza, già manifestatesi da tempo nei popoli africani, ne furono ingigantite ed un grandioso moto di liberazione dilagò da un continente all'altro. Esso assunse carattere ora pacifico ed ora violento; assunse altresì carattere diverso secondo il vario intrecciarsi delle sue vicende con quelle del conflitto di influenze tra USA e URSS, ovvero delle lotte di carattere nazionale con quelle di carattere economico-sociale.
1- L'AFRICA SETTENTRIONALE E LA FRANCIA
Nell'Africa settentrionale, la II Guerra Mondiale portò alla ssa del dominio coloniale dell'Italia sulla Libia. Quest'ultima divenne un regno indipendente sotto una dinastia musulmana locale. La guerra portò inoltre ad un'ondata di agitazioni per l'indipendenza nei protettorati francesi del Marocco e della Tunisia, nonché dell'Algeria. La Francia rispose con repressioni, che assunsero carattere particolarmente sanguinoso nel Marocco e in Algeria. Ma il movimento nazionalista continuò nelle sue agitazioni, che scoppiarono infine nella guerra d'Algeria (1954-62), in cui la IV repubblica trovò la sua tomba.
L'avvento al governo di Mendès-France, nel 1954, portò ad una svolta della politica francese anche nell'Africa settentrionale. Si ebbe, infatti, la concessione dell'indipendenza alla Tunisia, cui più tardi seguì quella del Marocco (1956); quest'ultimo recuperò anche la parte del suo territorio, che sino da allora era stata dominata dalla Sna. Mendès-France però fu subito costretto a dimettersi e d'altra parte l'Algeria era giuridicamente un territorio francese, anziché una colonia od un protettorato. I governi della IV repubblica continuarono pertanto a combattere contro gli insorti algerini, sinché la stanchezza dell'inutile lotta portò al crollo del regime parlamentare nella Francia stessa. Un colpo di stato, partito da Algeri, portò al governo De Gaulle (1958), il quale instaurò la V repubblica, cioè un regime presidenziale con forte carattere autoritario.
Neanche De Gaulle tuttavia riuscì a pacificare l'Algeria e dovette prepararsi ad un armistizio col Fronte di Liberazione Nazionale, per cui s'iniziava il riconoscimento dell'indipendenza algerina. Questi negoziati scatenarono la violenta reazione della numerosa popolazione di origine europea dell'Algeria, dell'estrema destra francese e di taluni ambienti militari contro lo stesso De Gaulle, con tentativi di sommossa militare e ondate di terrorismo. De Gaulle superò tuttavia la crisi ed ottenne plebiscitari riconoscimenti della sua autorità da parte dei francesi. L'Algeria ottenne la propria indipendenza, ma dovette affrontare problemi di estrema gravità nella sua ricostruzione post-bellica, complicati dai difficili rapporti con gli altri paesi nordafricani.
Si era giunti intanto alla definitiva sistemazione anche del dominio coloniale italiano dell'Africa orientale. L'Italia, uscita dalla resistenza antifascista, aveva riconosciuto il diritto all'indipendenza degli africani e contribuito alla loro evoluzione civile nelle proprie forze. L'impero di Etiopia aveva già riacquistato la propria indipendenza nel corso stesso della guerra; ottenne inoltre l'Eritrea, dapprima sotto la forma di una federazione, quindi di una vera e propria annessione (1960). La Somalia invece fu affidata all'amministrazione dell'Italia durante un decennio ('50-'60) per essere preparata all'indipendenza: esaurito questo compito gli italiani si ritirarono definitivamente. Al nuovo stato fu annessa anche l'ex-colonia della Somalia britannica.
2- L'EMANCIPAZIONE DELL'AFRICA NERA
Giungeva intanto l'ora dell'emancipazione anche per l'Africa nera, cioè per quell'immensa parte del continente africano, in cui vivevano le popolazioni negre, da secoli giacenti nel più duro servaggio e spesso in gravi condizioni di primitività. Particolarmente abile fu in questo campo l'opera dell'Inghilterra, che avviò per tempo la formazione di una classe dirigente indigena e condusse il processo dell'emancipazione con gradualità tale da evitare crisi violente salvo qualche eccezione, come nel Kenya, a lungo insanguinato dalla rivolta dei Mau Mau (1952-l956). Momento cruciale di questo trapasso fu la trasformazione della costa d'oro nel dominion indipendente della repubblica del Ghana (1957). Statisti negri entrarono allora, per la prima volta, nei consessi del Commonwealth, a parità di condizioni con quelli di stirpe bianca e con quelli dei nuovi paesi asiatici.
La Francia praticò dapprima una politica di repressione, che fu particolarmente sanguinosa nel Madagascar (1947); cercò poi di conformare le aspirazioni degli africani con la permanenza delle ex-colonie in una Comunità Francese, avente vincoli più stretti di quelli del Commonwealth inglese. Dopo l'avvento della V repubblica, fu offerta infine ai paesi dell'Africa nera la scelta fra la completa indipendenza e la permanenza nella Comunità Francese, in qualità di <<stati associati>> (1958). Della Comunità Francese, secondo i piani di De Gaulle, avrebbero dovuto fare parte la Francia metropolitana, alcuni dipartimenti d'oltremare con rappresentanza diretta nel Parlamento francese, i territori d'oltremare, nonché gli stati associati. La Guinea optò però per l'indipendenza completa; il Camerun, il Madagascar ed il Mali (già Sudan francese) si misero sulla stessa via nel 1960 e tutte le altre ex-colonie li imitarono. Da <<stati associati>>, pertanto, i paesi africani divennero stati alleati soltanto, rispetto alla Francia, conservando con lei un legame quanto mai tenue, e quindi svuotando di significato pratico la Comunità Francese.
L'Inghilterra continuò la sua politica gradualista, riconoscendo a mano a mano sempre nuovi dominions negri, come la Nigeria (1960), il Tanganyka (1961), l'Uganda (1962), il Kenya (1964).Suscitò però l'ostilità dei boeri dell'Africa del Sud, costituenti l'elemento predominante, rispetto agli oriundi inglesi, della minoranza bianca del paese.
Nei piani britannici, Rhodesia del Sud, Rhodesia del Nord e Nyassaland avrebbero dovuto costituire un nuovo dominion in forma federale. Viceversa si ebbero due stati negri, il Malawi (ex-Rhodesia del Nord) e lo Zambia (ex-Nyassaland), mentre la Rhodesia del Sud restava sotto un governo razzista.
CONGO: v. scheda
Il conseguimento dell'indipendenza profilò nuovi e gravi problemi per l'Africa nera: la ssa dei vari complessi unitari, formati dagli antichi imperi coloniali, lasciava dietro di sé una miriade di stati, quasi sempre molto poveri ed arretrati sul piano economico e tecnico, e molto deboli sul piano politico. Come se non bastasse, le frontiere stesse di non pochi dei nuovi stati africani erano artificiose, in quanto ricalcavano quelle delle antiche colonie, tracciate dalle potenze europee, senza alcuna preoccupazione per la fisionomia nazionale dei popoli interessati.
Gli anni successivi all'indipendenza videro perciò una serie intricata di tentativi di unione politica fra più stati, che però fallirono tutti, all'infuori dell'unione del Tanganyka e di Zanzibar nel nuovo stato della Tanzania (1964).Inversamente si ebbe un'altrettanta intricata serie di lotte intestine fra gruppi etnici rivali o tra fazioni politiche opposte, talvolta molto cruente, all'interno di molti nuovi stati. In non pochi casi si ebbero colpi di stato che portarono al governo esponenti militari.
3- I RAPPORTI AFRICA/EUROPA
Dopo l'accesso all'indipendenza la maggior parte delle ex-colonie europee del continente africano conservarono stretti legami economici con le antiche metropoli (soprattutto le ex-colonie francesi con Parigi). Ciò non fu di particolare vantaggio per l'economia del continente, poiché servirono a perpetuare situazioni di subalternità commerciale, temperate dall'erogazione di aiuti allo sviluppo, peraltro di entità modesta. Un orientamento in qualche misura nuovo nei rapporti economici Africa/Europa si ebbe con l'entrata in scena della CEE e la stipulazione di accordi di cooperazione tra la CEE stessa e un numero crescente di paesi del continente, nel quadro di due convenzioni dette di Yaoundé (operanti negli anni 1964-71, 1971-75), alle quali, a metà degli anni '70 subentrò la Convenzione di Lomé I (1975-79), successivamente reiterata più volte. Con le convenzioni di Yaoundé la CEE aveva in sostanza rilevato la politica di aiuti allo sviluppo attuata in precedenza dalla Francia nei confronti delle sue ex-colonie, assicurando alle loro merci i mercati di sbocco preesistenti e ampliandoli, ma mantenendo il sistema delle preferenze reciproche, e accordando loro aiuti di entità modesta. Con la Convenzione di Lomé I il quadro dei rapporti si allargò considerevolmente perché degli stati associati alla CEE, a seguito dell'ingresso in quest'ultima della Gran Bretagna, entrarono a far parte numerose ex-colonie britanniche, non solo africane ma anche dell'area pacifica e caraibica (onde il nome di stati ACP con cui a partire da allora furono chiamati gli stati associati alla CEE. Oltreché sotto l'aspetto per così dire quantitativo, la Convenzione di Lomé introdusse elementi di novità qualitativi: il regime di reciprocità venne eliminato (mentre le merci dei paesi ACP avevano libero ingresso nei paesi CEE, quelle di questi ultimi beneficiavano solo della clausola della nazione più favorita); l'aiuto allo sviluppo fu sensibilmente accresciuto; venne istituito un meccanismo speciale, lo Stabex, destinato in qualche misura a proteggere i paesi associati, dai danni provocati dalle oscillazioni spesso rovinose dei prezzi internazionali delle materie prime, da cui le economie di molti paesi associati, soprattutto africani, dipendevano vitalmente. I fatti prima riferiti mostrano quanto poco queste politiche fossero valse ad impedire il degradarsi delle economie africane e ciò si sarebbe rivelato vero anche per i prossimi anni. A quest'insoddisfacente risultato non dovette essere estraneo il fatto che anche nell'ambito delle convenzioni di Lomé gli interessi nazionali avevano trovato modo di farsi largo. Ne era prova la disposizione secondo cui il Fondo Europeo di Sviluppo della CEE dovesse essere gestito al di fuori del bilancio comunitario ed alimentato da contributi nazionali, ciò che permetteva agli stati membri della CEE di portare avanti una politica degli aiuti propria e nel proprio interesse.
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