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Federico Barbarossa, Innocenzo III

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Federico Barbarossa



Il primo atto del ghibellino Barbarossa in veste di re di Germania fu il consolidamento della propria posizione attraverso la pacificazione tra guelfi e ghibellini. lio di una principessa di casa Welfen, Federico era cugino di Enrico il Leone, duca di Baviera e capo dei guelfi; con abile diplomazia il nuovo re raggiunse un accordo con il cugino, risolvendo radicalmente il problema guelfo: restituì a Enrico il Leone il ducato di Baviera, al quale venne aggiunta la Sassonia, e ottenne in cambio la fedeltà e l'appoggio prezioso di quest'ultimo. Nasceva così un potente stato feudale nella Germania del Nord, ampliato ulteriormente dalle conquiste al di là dell'Elba, che costituiva un antemurale dell'impero al confine nord orientale. Il secondo atto del Barbarossa fu tornare a occuparsi dell'Italia dove, eccettuate le grosse signorie feudali (il marchesato del Monferrato, la contea di Savoia e di Trento, il patriarcato di Aquileia), l'autorità imperiale era praticamente ssa, travolta dai poteri locali usurpati dai comuni. Nell'Italia meridionale si era ormai affermata la dominazione normanna, mentre Roma si era ribellata al papa ed ospitava l'eresiarca Arnaldo da Brescia. Per sottomettere l'Italia all'impero Federico Barbarossa stipulò nel 1153 un accordo con papa Eugenio III (il Patto di Costanza) e alla fine del 1154 varcò le Alpi.



Giunto in Italia Federico Barbarossa convocò a Roncaglia (Piacenza) una dieta, ossia un'assemblea di tutti i potentati dell'impero (i vescovi e i signori tedeschi e italiani, i consoli e le alte autorità dei comuni italiani), nella quale enunciò solennemente la sua intenzione di recuperare i diritti usurpati dai comuni, che spettavano a lui quale re d'Italia: il diritto esclusivo di battere moneta, di amministrare la giustizia, di riscuotere le imposte e dichiarare le guerre. Le città dell'Italia settentrionale rifiutarono queste imposizioni e fecero fronte con le armi. Federico allora incendiò Asti e Chieri per i loro attacchi al marchese del Monferrato ma non riuscì a schiacciare Milano. Scese poi a Roma per catturare Arnaldo da Brescia e si fece incoronare imperatore da papa Adriano IV, da poco succeduto a Eugenio III sul soglio pontificio. Non fu in grado di proseguire la marcia verso il regno normanno anche perché il papa, temendo che l'impero accerchiasse il territorio della Chiesa, si alleò con Guglielmo I il Malo (1154-66) riconoscendolo re di Sicilia. Nel 1155 la prima discesa di Barbarossa in Italia si concluse quindi con risultati modesti. Ben altro successo ebbe invece la seconda discesa in Italia (1158-62), che si aprì con una seconda dieta a Roncaglia (1158) nella quale Federico I emanò la Constitutio de regalibus. Dopo aver consultato i giuristi dell'università di Bologna -formatisi alla scuola di Irnerio - e gli esperti di Diritto Romano, l'imperatore confermò i decreti della prima dieta di Roncaglia e dispose che i comuni accogliessero un podestà di sua nomina. Milano e Crema si opposero, ma vennero sconfitte e rase al suolo nel 1162.

La pretesa di Barbarossa, poggiata sul fondamento ideologico del Diritto Romano (la volontà di imporsi sulle città comunali), cozzava irrimediabilmente con l'ideologia teocratica dei teologi papali. Già alla dieta imperiale di Besançon del 1157 il legato pontificio Rolando Bandinelli aveva sostenuto con forza la tesi della dipendenza feudale degli imperatori dal papato, per cui, quando il Bandinelli fu fatto papa col nome di Alessandro III (1159-81), Federico I giudicò nulla l'elezione e gli oppose l'antipapa Vittore IV (1159-64). Alessandro III scomunicò allora l'imperatore e tese una trama di alleanze che schierò dalla sua parte bizantini e normanni, Venezia e i comuni del Veneto (Lega Veronese), mentre costrinse Barbarossa a scendere per la terza volta in Italia (1163-64); le città lombarde si unirono allora nella Lega di Pontida e si impegnarono a ricostruire Milano e a darsi mutuo soccorso. Compiendo una quarta discesa in Italia (1166-68), Barbarossa tentò di risolvere con la forza i rapporti col papato; obbligò Alessandro III a fuggire da Roma per rifugiarsi in Francia anche se in seguito, a causa di una pestilenza, egli varcò nuovamente le Alpi. Il papa non rimase nel frattempo inerte: sotto il suo auspicio la Lega Veronese e quella di Pontida si unirono in un'unica vastissima Lega Lombarda che tenne testa all'imperatore ad Alessandria, città fortezza eretta in onore del papa. Nel 1174 Barbarossa tornò in Italia per la quinta volta, ma nella battaglia di Legnano (1176) subì una sonora sconfitta dalla Lega Lombarda. La risoluzione di forza vagheggiata da Federico nel conflitto con i comuni e col papato si rivelava così irrealizzabile.

Dopo la quinta discesa di Federico in Italia e la sconfitta di Legnano la politica imperiale scelse la via dell'azione diplomatica. Nel Congresso di Venezia del 1177 Barbarossa ripudiò l'antipapa e riconobbe Alessandro III come unico capo della Chiesa, mentre con i comuni e con il regno di Sicilia fu sancita una tregua che lasciò Barbarossa libero di liquidare l'opposizione in Germania dove Enrico il Leone si era ribellato. Quest'ultimo fu sconfitto e privato dei suoi feudi, compresa la Baviera che passò sotto il dominio della casa di Wittelsbach alla quale rimase per settecento anni, fino al termine della Prima guerra mondiale (1918). Nel 1183 finalmente la pace di Costanza chiuse il conflitto imperiale con i comuni ai quali Federico Barbarossa riconobbe di fruire dei diritti acquisiti, nonché la facoltà di unirsi in leghe fra loro, tenere milizie ed eleggere propri consoli. Nel 1186 Federico scendeva per la sesta volta in Italia per celebrare il matrimonio tra suo lio Enrico VI e la principessa normanna Costanza d'Altavilla. Pochi anni dopo, pur essendo in età avanzata, Barbarossa partì per la III crociata dove trovò la morte.

Quello che era sembrato un colpo da maestro di Barbarossa, ossia estendere il dominio della casa di Svevia all'Italia meridionale, si rivelò al contrario un'impresa carica di contraddizioni per le sorti dell'impero e della Germania. Là la grande feudalità mal tollerava la preminenza degli Svevi; in Italia sia il papa che i normanni volevano evitare l'unione del Meridione con l'impero; a tale scopo i baroni normanni posero sul trono un nipote di Costanza d'Altavilla, il conte Tancredi di Lecce. Enrico VI tuttavia ebbe ragione dell'opposizione tedesca e normanna, e riaffermò inoltre l'autorità imperiale nell'Italia centrale dove, in Toscana, pose il fratello Filippo di Svevia al governo di quei territori che erano ancora oggetto di contesa con il papato, per via dell'eredità della contessa Matilde. Enrico riprese anche la grande politica mediterranea degli Altavilla e tornò a minacciare con le sue ambiziose mire -come già avevano fatto Roberto il Guiscardo e Ruggero II - l'impero di Bisanzio che gli ò un tributo. La morte, che lo colse a Messina nel colmo della gioventù (1197), impedì a Enrico VI la realizzazione dei suoi grandiosi progetti e provocò il collasso della potenza sveva. Costanza d'Altavilla, rimasta sola con un bambino di tre anni (il futuro Federico II), incontrò l'ostilità della nobiltà normanna che voleva cacciare i funzionari germanici; Filippo di Svevia dovette abbandonare la Toscana per l'avversione dei comuni e si vide conteso l'accesso al trono tedesco dal guelfo Ottone IV di Brunswick, lio di Enrico il Leone. In queste lotte l'autorità imperiale tornava ad annullarsi: era giunta per il papato l'ora di assumere la direzione della cristianità occidentale.


Innocenzo III


Nel 1198 Lotario dei conti di Segni fu eletto papa col nome di Innocenzo III e subito, richiamandosi a Gregorio VII, affermò il principio teocratico della superiorità del pontefice su tutti i re della terra. Per prima cosa Innocenzo III si preoccupò di spezzare il cerchio che serrava Roma entro i domini imperiali e assoggettò a sé con precisi vincoli di sudditanza i territori e le città che costituivano da secoli il "Patrimonio di San Pietro". Il comune di Roma si piegò e rinunciò alla propria autonomia rimettendo nelle mani del pontefice la nomina della più alta autorità locale, il Senatore di Roma; i feudatari della camna romana giurarono fedeltà al papa e altrettanto fecero le città dell'Umbria, della Romagna e delle Marche che il papa aveva appoggiato nell'insurrezione contro i funzionari svevi. Innocenzo III fu inoltre il promotore della IV crociata (1202) -che servì solo a decretare la ssa dell'impero di Bisanzio- e dell'attacco agli eretici albigesi del 1208, che deviò dalla finalità religiosa per assumere una matrice quasi esclusivamente politica. Devastata e impoverita dalla moltitudine di guerrieri che massacrò le popolazioni senza distinzione tra eretici e cattolici, la Provenza perse la propria autonomia politica riducendosi sotto il dominio del re di Francia Filippo II Augusto.

Rispetto alla riorganizzazione dello stato pontificio Innocenzo III svolse opera più imponente sul piano politico e diplomatico, adoperandosi a far accettare dai sovrani europei il principio dell'universale sovranità del papato. Dopo la morte di Enrico VI (1197) continuava nell'impero la lotta tra il ghibellino Filippo di Svevia e il guelfo Ottone IV di Brunswick, mentre il piccolo Federico II di Svevia, lio di Enrico VI ed erede del trono imperiale, alla morte della madre era stato posto sotto tutela da Innocenzo III. Questi in un primo momento aveva riconosciuto Ottone IV di Brunswick ma aveva ottenuto in cambio la promessa di non sottomettere all'impero il regno di Sicilia, oltre alla concessione delle città dell'Umbria, della Romagna e delle Marche (che aveva già annesso ai propri territori) e in aggiunta la cessione dei beni della contessa Matilde di Toscana, oggetto di lungo contenzioso tra papato e impero. Questioni di politica internazionale spostarono le simpatie del papa da Ottone a Filippo, e quando questi venne assassinato (1209) Innocenzo III giocò la carta del suo pupillo: dopo aver fatto giurare al giovane Federico II di tenere separate le corone di Sicilia e dell'impero, lo oppose a Ottone IV (che si era alleato a Giovanni Senzaterra d'Inghilterra), sostenuto da Filippo II Augusto di Francia, avversario giurato dell'Inghilterra. Nel 1214 Ottone e Giovanni furono sconfitti nella battaglia di Bouvines e Federico II ebbe libero accesso al trono imperiale.

I segni della dinamica personalità di Innocenzo III furono ben presto visibili in tutta Europa. Nella penisola iberica, sotto la sua ispirazione, i regni cristiani di Castiglia, Aragona e Portogallo intensificarono la grande offensiva della Reconquista, sbaragliando le forze dei mori di Cordova a Las Navas de Tolosa (1212) e prestando omaggio feudale alla sovranità pontificia; lo stesso dovette fare il re inglese Giovanni Senzaterra che combatté al fianco di Ottone IV e fu sconfitto nella battaglia di Bouvines. A Est i re della Bulgaria, della Polonia e dell'Ungheria fecero egualmente atto di sottomissione e di vassallaggio, mentre i ani delle sponde del Baltico venivano sottomessi e cristianizzati dai cavalieri dell'Ordine Teutonico. Nel 1215 Innocenzo III celebrò il suo trionfo col IV Concilio Lateranense in cui, tra l'altro, definì il dogma della transustanziazione (ossia la presenza reale del corpo, del sangue e della divinità del Cristo nel sacramento della comunione), poi si spense all'età di 55 anni nel 1216.

Federico II si era impegnato con Innocenzo III a tenere separati l'impero e il regno di Sicilia; dopo la morte di Innocenzo III egli rinnovò tale promessa al suo successore, papa Onorio III (1216-27), unitamente all'impegno di fare una crociata contro i musulmani. Dopo aver appianato in Germania le divergenze tra guelfi e ghibellini, Federico scese in Italia nel 1220 e fu incoronato imperatore. Fino al 1223 si dedicò a domare le turbolenze della nobiltà locale, poi cominciò a volgere lo sguardo all'Italia centro-settentrionale, sulla quale ormai da tempo l'impero aveva cessato, o quasi, di esercitare un'autorità effettiva. Nel 1226 convocò la Dieta di Cremona con la quale dichiarò nulla la pace di Costanza e mise al bando le città ribelli. Tanto bastò perché le città padane si stringessero nella Lega di San Zenone, firmata presso Verona, ma lo scontro fu evitato grazie alla mediazione del mite Onorio III. Per mantenere la promessa di una crociata, nel 1227 Federico si preparava a unirsi alle truppe cristiane in Oriente, dove già dal 1217 si combatteva in Palestina e in Egitto la V crociata, tuttavia egli decise di dilazionare la partenza per un'epidemia scoppiata tra le sue truppe. Il nuovo pontefice, Gregorio IX (1227-41), lo fulminò allora con la scomunica e Federico dovette partire: anziché combattere preferì comunque intraprendere la via della diplomazia e ottenne dal sultano d'Egitto la cessione di Gerusalemme, Nazareth e altri luoghi sacri (1229). Il papa protestò contro questo modo di condurre una crociata, per di più proveniente da un imperatore scomunicato, e tentò di invadere il regno di Sicilia; Federico, tornato rapidamente dall'Oriente, fronteggiò la minaccia e nel 1230 costrinse il papa all'accordo di Ceprano (o di San Germano): Federico II era sciolto dall'impegno di tenere separate la corona imperiale e quella del regno di Sicilia, ma in cambio doveva concedere libertà agli ecclesiastici in campo fiscale e giudiziario, nonché rinunciare al diritto di conferma dei vescovi eletti. Era un buon affare che Federico II seppe sfruttare al meglio.




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