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GLI SPETTACOLI A ROMA
1. L'ars ludica
'E' per
fermare l'infezione mortale dei corpi che gli dei ordinavano che si
istituissero per loro giochi scenici; ed è per prevenire l'infezione mortale
delle anime che il pontefice massimo vietava che si costruisse un teatro.'
(S. Agostino)
2. Il teatro
'Allora si apre il sipario e, piegate le cortine, e il palcoscenico con lo scenario. C' era una montagna di legna costruita a cielo aperto [ . ].' (Apuleio)
3. I giochi gladiatori
'panem et circenses' (Giovenale)
1.L'ars ludica
I ludi (giochi) romani comprendono: spettacoli, corse di cavalli, combattimenti di animali, esibizioni di atleti. Si dividono in ludi circenses e ludi scaenici; i primi prendono nome dal circus, luogo dove solitamente si svolgevano, mentre gli altri, gli spettacoli teatrali, sono caratterizzati dalla scaena, costruzione temporanea di tavole, davanti alla quale gli attori recitavano.
I ludi sono una festa collettiva di carattere pubblico: possono essere 'istituzionalizzati' (i giochi inseriti nel calendario) o indetti da un privato (giochi in onore di un trionfo o per una cerimonia funebre),la differenza tra giochi pubblici e privati è comunque molto labile, in quanto si tratta sempre di eventi che coinvolgono il popolo romano in tutta la sua collettività.
I giochi cominciano con una processione, che parte dal Campidoglio e attraversa tutta la città fino al luogo dello spettacolo: sfilano attori, ballerini, musicisti e artisti, capeggiati da una sorta di imperator (colui che presiederà ai giochi), seguiti da tutti i cittadini divisi per classi di età (questo è un elemento che ci fa capire che i ludi non sono una sorta di Carnevale senza leggi né ordine).
Una caratteristica dei giochi è la licentia, una sorta di impunità temporale che autorizza i Romani a canzonare, durante il percorso, il generale portato in trionfo o il morto portato al rogo. Anche questa licentia ha però un limite: sul palcoscenico è proibito deridere un personaggio vivente (come prescrivevano le leggi delle XII tavole). 'I giochi non sono quindi il luogo del rovesciamento dei rapporti di potere o della derisione dei valori' (F.Dupont, Teatro e Società a Roma, 1985 Societè d' Editions Les Belles Lettres, Paris). Sono più che altro il luogo del 'non serio', della derealizzazione, come lo stesso termine ludere indica: esso rimanda alla sfera semantica dell' imitazione e dell' irrealtà (per questo i giochi gladiatorii sono considerati munera e non ludi, in quanto veri e propri combattimenti).
Incarnano questi principi i 'ludioni': musici e ballerini che partecipano alla processione e garantiscono la continuità dei giochi, i quali non possono essere interrotti; la danza per i Romani spesso si coniuga con l' imitazione, è in sostanza una sorta di mimo.
I giochi hanno anche connotazioni di rituale religioso (non potevano appunto essere interrotti senza dover essere ricominciati da capo), anche se il circo e il teatro non sono luoghi consacrati.
I ludi circenses si svolgono infatti in un circo o in un anfiteatro, mentre i ludi scaenici si svolgono in teatro, il quale, costruito in legno raramente è stabile: infatti mentre il circo e l' anfiteatro sono vere e proprie strutture integrate nell' aspetto urbanistico della città, invece il teatro è solo un edificio temporaneo, almeno fino all' epoca tardo-repubblicana, quando nel 55a.C. venne costruito il teatro di Pompeo in questo è evidente la differenza con il teatro greco, il quale è costruito in pietra a ridosso di una collina.
Il rapporto tra il cittadino e i giochi
Secondo Doupont ( cit. Teatro e Società a Roma II cap), i ludi fanno parte del tempo dedicato all' otium e non hanno nulla a che vedere con occupazioni politico-militari: durante i giochi il cittadino non si identifica più nel suo ruolo politico-sociale, i che i cittadini romani hanno sempre avuto nei confronti del tentativo di Augusto di imporre una sistemazione gerarchica sulle gradinare del teatro: non accettarono mai di buon grado questa costrizione. I cittadini rifiutano in pratica il ruolo di populos.
Secondo Fraschetti (Storia di Roma Einaudi, Torino, vol. IV, g. 609-627 ), invece, esistono tre momenti fondamentali che rendono il cittadino consapevole della sua identità politica: la contio, i ludi e i dies festi (in occasione dei spesso si svolgono i ludi).
Gli spettacoli non hano quindi un carattere di 'diversivo', ma sono un momento importante per l' affermazione politica e sociale del cittadino,soprattutto nel priodo tardo-repubblicano e imperiale, ' in un modo che, almeno in linea di principio, sembrerebbe conoscere solo cittadini a tempo pieno'.
Quindi, in epoca repubblicana, i ludi sono un' occasione di espressione popolare,attraverso la quale i cittadini godono di maggior libertà di dibattito e discussione rispetto ai comizi e alle assemblee.
Durante il principato questo carattere diventa più marcato, data la mancanza di altre occasioni di riunione: i ludi risultano l' unica possibilità concessa al popolo per esprimere il suo giudizio sul principe e sulla sua politica;diventa quindi basilare che il principe indica dei giochi e vi presenzi.
2. Il teatro a Roma
Il teatro romano non é, come si è soliti credere, una semplice imitazione della drammaturgia greca; anzi é stato un fenomeno di peso piuttosto elevato nella vita quotidiana. Fino al 55 a.C. non vi furono teatri stabili e neanche luoghi fissi dove erigere quelli temporanei. Fino a questo momento esiste solo la scaena, una 'baracca' di legno o muratura davanti alla quale gli attori recitano. Essa rappresentava, nella sua temporaneità, quella dimensione illusoria caratteristica del teatro romano: il pubblico si sedeva tutt'intorno, e in qualche caso su gradinate di legno. Quando poi si giunge alla costruzione di teatri veri e propri, in legno o muratura, essi mantengono le caratteristiche vere e proprie della scaena: gli architetti si pongono come primo obiettivo quello di creare illusioni soprattutto sonore, come vasi di terracotta sotto ai sedili, per mantenere quella 'soffusa illusione' tipica del teatro: la natura effimera del teatro si esplica anche nel fatto che i teatri non erano costruiti sfruttando la natura del terreno. Precedentemente al 55a.C. i teatri provvisori erano diventati sempre più lussuosi, e quando Pompeo riesce a costruirne finalmente uno stabile, esso non é veramente inserito nella città ma è edificato all'esterno della cinta sacra, nel campo di Marte: è ormai il periodo dei triunviri e dei principi, non più della repubblica.
La teatralità a Roma
Il teatro , a Roma, non si limita al palcoscenico, ma abbraccia tutta la vita pubblica di un cittadino: tutto è pervaso da una sorta di teatralità, dalla celebrazione del trionfo, alle orazioni, alle cerimonie pubbliche. Il teatro non è un' immagine senza vita del realtà, ma ne è un' interpretazione.
Il primo elemento che si può considerare a supporto di questa affermazione è la natura del cittadino romano: egli è tale in quanto 'spettatore' della 'politica- spettacolo'.
Le stesse magistrature adottano una vera e propria messa in scena (la toga, la porpora), che gli conferisce auctoritas, in mancanza di altre possibili legittimazioni religiose o mitologiche.
In occasione del trionfo, mentre l'imperator celebra la sua vittoria, la città diventa uno scenario e il popolo il pubblico: sfilano musici, danzatori, prigionieri, magistrati e non mancano neppure veri e propri effetti scenici; questo spettacolo esprime la forza e l' ordine della res publica.
Quando muore un membro di una famiglia patrizia, il suo corpo viene trasportato attraverso l'urbs, fino all' esterno della mura sacre, per essere sepolto. La processione si svolge con tanto di musici, di 'effetti scenici', che illudono il corteo che il cadavere possa stare ritto su se stesso, di attori che portano le maschere di cera (imago) degli antenati illustri della famiglia, ed è seguita da un' orazione nel foro, durante la quale il lio declama la virtù del defunto.
In sostanza, attraverso questa 'pompa funebre' spettacolare, la nobiltà romana cerca una sorta di legittimazione, esponendo alla vista di tutto il popolo la gloria dei suoi celebri antenati.
Il teatro latino è essenzialmente fondato sulla commedia, la tragedia sarà assai più opera di imitazione. Virgilio sostiene che la commedia sarebbe nata dalle feste organizzate per la vendemmia dei contadini (egli pensa ad una popolazione osca). Tutte le forme popolari che sono all'origine del teatro romano sono fondate sull'italum acetum, di cui ha parlato Orazio. I fescennini,la cui etimologia è incerta (forse dalla città di Fescennio in Etruria), erano degli scambi di battute rozzi e grevi, ad opera dei contadini in onore del raccolto. I fescennini in versi e la danza avrebbero dato origine alla satura; il suo significato probabilmente deriva da lanx satura: 'piatto farcito': per la varietà dei contenuti. Più importante della satura è invece l'atellana, una sorta di farsa popolare il cui nome deriva probabilmente da Atella, una città osca situata tra Capua e Napoli. Dagli storici moderni è anche stato trovato un legame tra l 'Atellana e la Commedia dell'arte, che nasce nella metà del cinquecento. Nelle origini del teatro latino ritroviamo anche il mimo, che nella tarda età repubblicana aveva la funzione dell'exodium, cioè una farsa conclusiva di uno spettacolo, ma successivamente avrà un ruolo più importante. Era una forma teatrale fondata sulla caricatura violenta e licenziosa, con situazioni oscene e attrici senza maschera.
Differenze con il teatro greco
Anche il teatro romano, come quello greco, è strettamente connesso con feste religiose; ciò che lo differenzia da quello greco é, invece, un altro elemento. Il teatro greco, sia tragico che comico, è strettamente legato alla vita politica e civile della città . Il teatro latino é,invece, privo di questo intento. Anche i Romani dedicavano moltissimo tempo al teatro: nel periodo della repubblica si contano 55 giorni di ludi scenici ufficiali su 77 giorni di ludi. Sotto l'impero ci sono circa 101 giorni di ludi scenici su circa 165 giorni di ludi. Nel teatro romano purtroppo la musica, il mimo, la pantomima avevano un ruolo fondamentale, mentre il testo aveva un'importanza assai minore della sua messinscena.
Il ruolo dell'attore
Nella società romana chi sale sul palcoscenico per recitare uno spettacolo è bollato d'infamia. Questa infamia è molto più di una condanna morale: i censori cancellano l'attore dai registri della sua tribù, lo dichiarano incapace giuridicamente e politicamente; Tertulliano nel de spectaculis parla addirittura di diminutio capiti, che significa sire come cittadino romano. A differenza di quanto avveniva nella Grecia classica, un attore romano è un uomo disonorato agli occhi della morale e della legge. Sotto l’Impero cambia poi l'atteggiamento di certi romani di fronte alla scena: quasi si compiacciano dell'immagine disonorevole che si creano. Gli unici che rimarranno immuni dall'infamia saranno i musicisti, nel periodo dell'impero, collocati nei settori della cavea. L'infamia posta sugli attori è il risultato della paura che la loro auctoritas, ovvero la loro immagine civica, possa persuadere il pubblico; infatti, togliendo al soggetto la sua auctoritas, si leva anche la sua forza di persuasione. Gli unici attori che sfuggono all'infamia sono gli attori di atellana; e sono anche gli unici a portare la maschera.
Il pubblico
Gli storici hanno accusato il pubblico romano di aver causato la morte del teatro come genere letterario, anche prima della fine della repubblica. Incolto, rumoroso, volgare, insensibile alla finezza delle commedie di Terenzio, questo pubblico avrebbe disertato i teatri a vantaggio dei circhi. Esso sarebbe stato la causa della sparizione progressiva della commedia e della tragedia. In realtà i ludi scenici rimangono vivi fino alla fine dell'impero, anche se nel corso dei secoli il teatro perde progressivamente di importanza. Non è corretto definire il pubblico romano rozzo e grossolano solo perché non si interessa di letteratura; semplicemente la sua cultura é differente rispetto a quella Ateniese: Atene era una cultura del discorso e del giudizio, Roma una cultura della musica e della percezione immediata.
La struttura del teatro
Il teatro consisteva soltanto nella scena, cioé in un palcoscenico (pulpitum) su cui agivano gli attori, e nella scena vera e propria costituente lo sfondo. Pulpito e scena erano di legno. Quello che sappiamo sulla struttura della scena riguarda quasi esclusivamente la scena della commedia. Questa consisteva in un tavolato verticale di legno innalzato nella parte del pulpito più distante dagli spettatori; nella scena si aprivano sul pulpito tre porte, corrispondenti alle tre case contigue, dove si immaginava che abitassero i personaggi che agivano nelle commedie. Se l'azione richiedeva che si avesse l'entrata di un tempio, non era rappresentata la fronte del tempio, ma una porta, simile a quella delle case vicine, praticata nel muro che cingeva il tempio. A distanza dal tempio, sul pulpito, poteva esserci un altare. Dalla parete di sfondo, dove vi era l'apertura delle tre porte, avanzava sul palcoscenico, in corrispondenza di ciascuna porta, un vestibolo che consisteva in una tettoia piatta sostenuta da due colonne. Nell'età imperiale si ebbero tre tipi di scena: per la tragedia, per la commedia, per i drammi satireschi. Quando poi si ebbero i teatri di pietra, le parti essenziali erano la scaena, l'orchestra, la cavea (sedili). I cori che intervenivano nell'azione agivano sul palcoscenico, non nell'orchestra. Inoltre a differenza dei Greci i Romani avevano il sipario. Esclusivamente romano era anche l'uso di proteggere il pubblico mediante velaria. Adottati in età imperiale sono poi i periactoi,che avevano la funzione delle nostre quinte e di cui Vitruvio fa un'ampia descrizione nel De Architactura ( . secundum autem spatia ad ornatus ata, quae loca Graeci periactous dicunt ab eo quod machinae sunt in his locis versatiles trigonos habentes in singula tres species ornationis, quae cum aut fabularum mutationes sunt futurae seu deorum adventus cum tonitribus repentinibus ea versentur mutentque speciem ornationis in frontes . che in italiano può essere tradotto: 'aree disposte per apparati scenici, luoghi che i Greci chiamano perìaktoi (attorno a un punto focale) per il fatto che in questi luoghi vi sono macchine mobili triangolari aventi ciascuna tre campi ornamentali, le quali quando stanno per verificarsi o cambiamenti nei drammi ovvero apparizioni di dei, con tuoni improvvisi si girano verso tali parti e mutano il campo ornamentale sulle fronti') erano dei prismi girevoli, probabilmente triangolari, di legno dipinto.(ripresi anch'essi dalla Grecia) Sempre d'importazione greca i macchinari utilizzati anche in Roma per l'acustica.
La commedia
Il teatro latino, come abbiamo già detto, é essenzialmente un teatro comico; infatti l'italum acetum era una componente fondamentale dei Romani: tanto é vero che ci sono pervenuti venti testi di Plauto e sei di Terenzio, mentre per quanto riguarda la tragedia abbiamo solo nove tarde opere di Seneca. Al contrario di quello che si é portati a credere, la commedia latina non era affatto opera di imitazione, anzi la commedia di Plauto e di Terenzio ha avuto una sua indiscutibile originalità. Tanto é vero che i modelli greci da essi adottati erano solo uno schema drammaturgico su cui costruire commedie personalissime nello spirito, nella struttura drammaturgica stessa, nella condizione dei personaggi. Le commedie possono essere divise in due filoni: in un primo tempo si ha la fabula palliata, di argomento greco; successivamente con Nevio si ha la commedia di argomento romano, chiamata fabula togata (entrambi i nomi si riferiscono agli abiti indossati dagli attori). Il fondatore del teatro latino é Livio Andronìco, vissuto nel III secolo a.C.: autore non solo di commedie ma soprattutto di tragedie. Se Livio si limitò a tradurre per il pubblico romano le commedie greche della Commedia Nuova, invece Gneo Nevio, vissuto fra il 270 e il 201 a.C., probabilmente nativo di Capua, é un autore più libero nel tradurre e adattare i testi originali greci. Chi invece diede al teatro latino una svolta fondamentale conducendolo ad un'autonomia e a un'originalità prima neppure immaginata, fu Tito Maccio Plauto. E' stato addirittura paragonato ad Aristofane, il più grande commediografo del mondo classico. Plauto visse tra il 255 e il 184 a.C. circa e, originario di Sarsina, venne a Roma come attore prima di diventare autore di palliate. Le sue venti commedie che ci sono pervenute sono: Amphitruo; Asinaria; Aulularia; Captivi; Curculio; Casina; Cistellaria; Epidicus; Bacchides; Mostellaria; Menaechmi; Miles gloriosus; Mercator; Pseudolus; Poenolus; Persa; Rudens; Stichus; Trinummus; Truculentus.
Publio Terenzio Afro, invece, realizzò un teatro di pensiero intimista e volto alla psicologia; un autore molto diverso da Plauto, nell'intreccio, nell'invenzione comica, nei caratteri, nell'idea stessa di commedia. Il suo teatro non si rivolse soltanto ai plebei, ma anche alle classi colte. Nato a Cartagine, visse tra il 195 e il 159 a.C. Giunto a Roma come schiavo, entrò a far parte del circolo scipionico, espressione di una cultura raffinata e filoellenica, che si stava diffondendo nella classe dirigente e che si contrapponeva alla vecchia e severa tradizione romana. Per questo motivo Terenzio ebbe vita difficile sia sui palcoscenici che nei confronti degli altri autori che lo accusarono di essere un semplice prestanome dei suoi protettori; un'accusa infondata, dal momento che dopo la sua morte nessuno più scrisse commedie con il suo nome. E' stato definito da uno dei suoi più attenti studiosi (L. Perelli,Il teatro rivoluzionario di Terenzio, Firenze 1973) l'unico drammaturgo latino che si sforzò deliberatamente di realizzare una commedia latina che fosse artisticamente superiore al suo modello greco. Rispetto a Plauto, Terenzio introduce nella commedia una serie di modifiche come il prologo polemico (e non espositivo dell'intreccio), l'uso della contaminatio come mezzo per creare una commedia di preciso timbro morale, una lingua pura e limpida; ma soprattutto ciò che contraddistingue Terenzio é la sua concezione di vita, espressa chiaramente in una battuta de il punitore di se stesso:'Homo sum. Humani nil a me alienum puto.', ovvero: 'Uomo sono. Non mi è estraneo nulla di ciò che è umano. Si tratta dell'humanitas che nel teatro di Terenzio rende sia i giovani che i vecchi, sia i servi che le cortigiane dei personaggi, con le loro psicologie e con le loro debolezze, e mai dei tipi fissi o delle maschere, come accade in Plauto. Così facendo, però, Terenzio deludeva le aspettative del pubblico, attratto maggiormente da un altro genere di spettacoli. Le sei commedie da lui scritte sono: Andria; Heautontimorumenos; Eunuchus; Phormio; Adelphoe; Hecyra.
La tragedia
La tragedia, messa in secondo piano rispetto alla commedia ebbe però la sua importanza nel periodo della repubblica. Anche le tragedie si possono differenziare a seconda che siano di argomento greco, fabula cothurnata, o di argomento latino, fabula praetexta. Tra gli autori di tragedie troviamo, oltre a Livio e Nevio, Ennio, nato nel 239 a.C. a Rudiae e morto a Roma nel 169, fu il grande poeta ufficiale della Roma repubblicana, ma anche il teatro tragico fu per lui asssai importante. Anche Ennio, come Terenzio, mantenne sempre contatti con il circolo scipionico. Pacuvio, lio di una sorella di Ennio, fu suo erede nella tragedia. Nato a Brindisi nel 220 a.C., morì a Taranto intorno al 130. Anche Pacuvio, come Ennio, fu in stretto rapporto con il circolo scipionico. Il maggiore esponente di questo genere letterario è, però, Seneca, grande scrittore 'morale' che fu maestro di Nerone e che visse dal 4 a.C. al 65 d.C. La sua influenza é stata enorme su tutto il teatro tragico moderno: ha suggestionato profondamente i massimi autori elisabettiani: Shakespeare, Marlowe, Webster. Il primo elemento distintivo é la concezione del fato che 'non solo non si identifica con il dio, ma é superiore a uomini e dei e li travolge, il più delle volte, in una comune negatività' (G. Paduano, il mondo religioso della tragedia romana, Firenze 1977, p.21). Il secondo elemento di rilievo è il gusto della violenza più atroce, l'uso costante di fantasmi e di sogni premonitori, la rappresentazione in scena di effetti sanguinari e truculenti degni di quelle battaglie fra gladiatori che avevano molto successo nel circo. Seneca, con uno stile che passa dalla digressione alla battuta serrata e folgorante, crea un teatro tragico che, pur nascendo dai modelli euripidei e solo in piccola parte eschilei e sofoclei, ha un'originalità tutta sua, accenti inusitati ed emozioni particolarissime.
3. I giochi gladiatori
Come le gare con i carri, anche le lotte gladiatorie ebbero origine probabilmente come giochi funebri privati, pur essendo molto meno antichi rispetto alle prime.
Il primo combattimento gladiatorio in Roma di cui si ha testimonianza ebbe luogo quando tre coppie di gladiatori lottarono fino alla morte durante il funerale di Giunio Bruto nel 264 a. C., anche se è assai probabile che episodi simili si ebbero già in precedenza.
I giochi gladiatori (chiamati MUNERA poichè costituivano in origine una sorta di 'tributo' versato agli antenati defunti) gradualmente persero la loro connessione esclusiva con i funerali di cittadini individuali e divennero una parte importante degli spettacoli pubblici finanziati dai politici e dagli imperatori. La popolarità di questi giochi è testimoniata dall' abbondanza di dipinti murari e mosaici che ritraggono i gladiatori
I gladiatori
I gladiatori (il cui nome deriva da quello della spada romana chiamata gladius) erano prevalentemente individui non liberi (criminali condannati, prigionieri di guerra, schiavi); alcuni di essi erano volontari (per la maggior parte liberti o uomini liberi delle classi più basse) che sceglievano di assumere lo stato sociale di uno schiavo per il compenso economico o per la fama e l' eccitazione.
Chiunque diventasse gladiatore era automaticamente infamis per la legge e per definizione un cittadino non rispettabile. In realtà anche un esiguo numero di esponenti delle classi più elevate si confrontava nell' arena (benchè questo fosse esplicitamente proibito dalla legge), ma costoro non vivevano con gli altri gladiatori e costituivano una particolare esoterica forma di intrattenimento (così come le donne, estremamente rare per la verità, che combattevano nell' arena).
Tutti i gladiatori pronunciavano un giuramento solenne (sacramentum gladiatorium), simile a quello dei legionari ma assai più sinistro: 'Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di essere morso, di essere ucciso per questo giuramento' (Uri, vinciri, verberari, ferroque necari, Petronius Satyricon 117). Paradossalmente, questo terribile giuramento forniva una sorta di voluzione e di onore ai gladiatori; come afferma Carlin Barton: 'Il gladiatore, attraverso il suo giuramento, trasforma in volontario quello che in origine era un atto involontario, così che , nel momento stesso in cui assume i panni di uno schiavo condannato a morte, egli diviene contemporaneamente un uomo che agisce secondo la propria volontà'(The sorrows of the Ancient Romans: The gladiators and the monsters Princeton University Press, 1993 15).
Alcuni gladiatori non combattevano più di due o tre volte l' anno; i migliori tra essi divenivano veri e propri eroi popolari e, in quanto tali, i loro nomi apparivano spesso nei graffiti: il carnefice dell' arena diventava il carnefice dei cuori: decus puellarum, suspirium puellarum. Grazie a questa popolarità e ricchezza, lo schiavo, il cittadino decaduto, il condannato per delitti comuni eguagliava i pantomimi e gli aurighi di moda. I combattenti più abili infatti potevano vincere una notevole somma di denaro e ricevevano la spada di legno (rudis) che simboleggiava la libertà acquisita. I gladiatori liberati potevano continuare a combattere per denaro, ma più di frequente divenivano istruttori nelle scuole gladiatorie o guardie del corpo mercenarie per il compenso economico.
Tipi di gladiatori
Vi erano diverse categorie di gladiatori, distinte in base al tipo di armatura indossata, alle armi utilizzate e allo stile del combattimento; gli incontri vedevano generalmente coinvolte due diverse categorie di gladiatori.
I sanniti: portavano lo scudo(scutum) e la spada (spatha)
I traci: si proteggevano con una rotella(parma) e maneggiavano il pugnale(sica)
I murmillones: forniti di un casco su cui era dipinto un pesce di mare, la murma
I retiarii: di solito gli antagonisti dei precedenti, con la rete e il tridente.
L'arena
I combattimenti gladiatori, come le gare con i carri, si tenevano in origine in grandi spazi aperti con dei sedili provvisori; è stato attestato che alcuni munera avevano luogo nel foro, ad esempio. Quando ,in seguito, i giochi divennero più frequenti e popolari, si rese necessaria una struttura più grande e permanente. Anche se a tale scopo veniva spesso usato il circus maximus per via della sua maestosa capacità, i romani alla fine crearono un edificio specificatamente per questo tipo di spettacoli (chiamato anfiteatro perchè i sedili erano distribuiti tutti intorno alla struttura ovale o ellittica dell'area in cui avvenivano i combattimenti l'harena, il cui terreno era ricoperto di sabbia).
I primi anfiteatri, tanto a Roma come altrove erano costruiti in legno, ma gli anfiteatri in pietra dimostrarono di essere molto più duraturi.Il più antico anfiteatro in pietra, costruito a Pompei nel I° secolo d.C.e con una capienza di circa 20.000 posti, è ancora ben conservato.
Si possono vedere attraverso il livello superiore delle arcate una serie di sedili in pietra disposti a gradinate, oltre alle mura esterne.
Come i teatri Romani così gli anfiteatri erano delle strutture provvisorie: non essendo scavati nel declivio naturale del terreno infatti, questi potevano essere costruiti ovunque.
Un giorno all'arena
I giochi gladiatori avevano inizio con una elaborata processione che comprendeva i combattenti ed era condotta da colui che finanziava la manifestazione, l'editor; in Roma, durante il periodo imperiale, questo era di solito l'imperatore stesso, mentre nelle province era un magistrato d'alto rango.
La parata e gli eventi successivi erano spesso accomnati dalla musica.
Le manifestazioni della mattina potevano incominciare con combattimenti simulati; a questi sarebbero seguiti esibizioni di animali, a volte consistenti in animali ammaestrati che si cimentavano in giochi di abilità, ma più spesso organizzati come cacce (venationes) in cui animali esotici sempre più numerosi venivano aizzati l'uno contro l'altro, oppure cacciati e uccisi dai bestiarii.
L'ora di pranzo era dedicata alle esecuzioni dei criminali che avevano commesso crimini particolarmente atroci:
omicidi incendi, sacrilegi (i Cristiani, ad esempio, erano considerati imputati per sacrilegio e tradimento, in quanto rifiutavano di partecipare ai riti della religione di stato o di riconoscere la natura divina dell'imperatore.
La natura pubblica dell'esecuzione la rendeva tanto più degradante quanto dolorosa , e mirava a fungere da deterrente per gli altri.
Una forma di esecuzione nell' arena era la damnatio ad bestias, in cui i condannati erano costretti ad entrare nell' arena con animali feroci, oppure a partecipare a rappresentazioni drammatiche di racconti mitologici in cui i protagonisti morivano realmente (ne è un esempio il mito di Dirce, ucciso dopo essere stato attaccato ad un toro). I criminali potevano anche essere costretti a combattere nell' arena senza un precedente addestramento; in tali confronti la morte era l' inevitabile conclusione, in quanto il victor doveva combattere con ulteriori avversari finchè non moriva (tali combattenti non erano, naturalmente, gladiatori professionisti).
In occasioni straordinarie, i criminali potevano essere costretti ad interpretare una complessa battaglia navale (naumachia); queste, benchè generalmente si svolgessero sui laghi, si pensa abbiano occasionalmente avuto luogo anche nel Colosseo.
Nel pomeriggio, i giochi raggiungevano il momento culminante: i combattimenti gladiatori individuali. Questi consistevano generalmente in scontri tra gladiatori con differenti tipi di armatura e stili di combattimento, arbitrati dal lanista.Si crede comunemente che queste lotte cominciassero con l' enunciazione da parte dei gladiatori di questa formula: 'Coloro che stanno per morire ti salutano': in realtà, l'unica testimonianza dell'utilizzo di questa espressione si riscontra nella descrizione di una naumachia organizzata da Claudio con dei criminali condannati in cui gli uomini, secondo quanto si è potuto desumere, dicevano: 'Ave Imperator, morituri te salutant', ma questo non era certamente un tipico combattimento gladiatorio, e non può pertanto essere assunto come esemplare di una pratica usuale.
Vi erano, comunque, molti rituali nell'arena. Quando un gladiatore era stato ferito e intendeva dichiarare la resa, sollevava il dito indice: a questo punto, la folla avrebbe manifestato con particolari gesti simbolici la sua volontà riguardo alla sorte del gladiatore sconfitto: se cioè egli dovesse essere ucciso o risparmiato. Secondo quanto si è soliti credere, 'pollice verso'equivaleva alla morte, 'pollice alto'alla salvezza, ma non vi sono effettive testimonianze di questo fatto, e i testi scritti riportano che, se 'pollicem vertere' indicava la morte, era invece 'pollicem premere'ad esprimere la volontà di risparmiare il gladiatore. In ogni caso, il finanziatore dei giochi decideva a questo punto se concedere o meno una sospensione della condanna (missio). Se il gladiatore doveva essere ucciso, egli era tenuto a subire il colpo finale con una sorta di ritualità, senza lamentarsi o tentare di sottrarvisi.
Alcuni studiosi ritengono che si seguisse un rituale anche per rimuovere il cadavere del gladiatore, con un uomo mascherato da Caronte che tastava il corpo per accertarsi che fosse veramente morto, e quindi uno schiavo che lo trascinava con un uncino attraverso un cancello chiamato Porta Libitinensis (Libitina era una dea della morte).
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