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Gli Etruschi, i Cartaginesi e le origini di Roma - Roma imperiale, Roma repubblicana

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Gli Etruschi, i Cartaginesi e le origini di Roma

Tra il IX ed il V secolo a.C. i preminenti elementi culturali presenti nell'area mediterranea erano Fenici, Greci ed Etruschi.

I Fenici, che già da tempo frequentavano il Mediterraneo su rotte commerciali, a partire dalla fine del IX secolo a.C. ca. stabilirono una serie di colonie in Africa settentrionale, nella Sna meridionale e sulle isole maggiori del Mediterraneo. Quasi contemporaneamente, i Greci si stanziarono prevalentemente sulle coste dell'Italia meridionale e della Sicilia. Queste colonie fenicie e greche agirono come centri diffusori delle conquiste culturali maturate per secoli nel Vicino Oriente e nell'area egea, stimoli presto assorbiti e rielaborati in maniera autonoma dalle culture locali, tra cui si distingue quella etrusca.

La civiltà etrusca si sviluppò, nel periodo compreso tra l'VIII ed il VII secolo a.C., nella regione delimitata da Appannino, Tevere e mare Tirreno (in corrispondenza di buona parte dell'area della cultura villanoviana. Grazie allo sfruttamento della ricchezza mineraria di questo territorio, questa civiltà raggiunse un notevole livello di prosperità e ricchezza. Gli Etruschi esportavano metalli grezzi, manufatti realizzati dai loro abili artigiani, e vino che, come dimostrano i reperti archeologici, giungeva fino ai Celti attraverso la via commerciale del Rodano. Gli Etruschi, pur non raggiungendo mai una organizzazione politica unitaria, estesero notevolmente la loro egemonia: a sud, in Campania, controllavano l'area compresa tra la foce del Sele e Capua; verso nord, facendo fulcro intorno all'abitato di Felsina (Bologna) si estesero nella Pianura Padana, fondando varie città, controllando anche, attraverso gli empori commerciali di Adria e Spina, i traffici nell'Adriatico. Sul versante tirrenico, con una sorta di spartizione territoriale con i Cartaginesi, inclusero nella loro sfera di influenza il Tirreno e parte della Corsica. Il momento di massimo splendore e potenza per la civiltà etrusca si ebbe nel VI secolo a.C. È in questo periodo che Roma passata alla fase di insediamento proto-urbano già a partire dall'VIII a.C., ebbe, come altri centri latini, re etruschi.



Con il V a.C. iniziò il declino della potenza etrusca sotto la spinta dei Greci, dei Celti e di Roma. Nel 474 a.C., infatti, la flotta siracusana del tiranno Ierone, che pochi anni prima aveva contrastato i Cartaginesi in Sicilia, sconfisse gli Etruschi a Cuma. Questa data segna l'abbandono da parte degli Etruschi delle sedi campane, progressivamente occupate da popolazioni di lingua osca che dall'Appennino premevano verso la costa. A nord l'espansione nella Padania fu messa in crisi dai Celti. Sebbene elementi celtofoni fossero già presenti da tempo nella pianura Padana, integrati con l'elemento italico a partire dal V secolo a.C. passarono le Alpi numerosi gruppi celtici, in cerca di nuove sedi, nel quadro di un moto di espansione molto più vasto. I Celti si stanziarono nella pianura Padana e in Emilia (zona che poi fu detta Gallia Cisalpina): nei pressi dell'etrusca Melpo sorse il centro gallico di Mediolanum, Felsina divenne la gallica Bononia.

Per quanto riguarda Roma, sotto i re etruschi aveva raggiunto una preminenza sulle città latine e conosciuto importanti innovazioni: la città ebbe un impianto urbanistico, vi fu introdotto l'alfabeto, la prima organizzazione costituzionale dello stato romano, la divisione della società in classi censitarie, la ristrutturazione dell'esercito. Un'idea della potenza raggiunta da Roma in questo periodo può venire dal suo coinvolgimento nella politica 'internazionale', con la stipulazione, per Polibio nel 509 a.C., di un trattato commerciale con Cartagine.

Ma l'egemonia etrusca si incrinò anche nel Lazio: secondo la tradizione storiografica antica, nel 509 a.C. Roma cacciò i re etruschi e instaurò la repubblica. Per tutto il V e parte del IV secolo Roma affrontò, al proprio interno, la progressiva organizzazione dello stato e delle magistrature, passando attraverso i conflitti politici e sociali tra patrizi e plebei. Il nuovo stato repubblicano ebbe magistrature che seguivano il principio della collegialità e della temporaneità: al vertice vi erano dapprima due pretori (titolo che indicava i comandanti militari), in seguito due consoli che rimanevano in carica un anno. Sul fronte esterno iniziò la lotta per affermarsi definitivamente sui Latini, sulle tribù tosco-umbre di Volsci ed Equi e sugli Etruschi. Il primo obiettivo etrusco di Roma, per assicurarsi il controllo del corso del Tevere, importante via commerciale verso l'interno della penisola, fu Veio, con cui ebbe scontri a più riprese fino alla definitiva conquista nel 396 a.C. Dopo un momento di crisi causato dalla presa della città da parte dei Celti, l'espansione di Roma riprese in maniera decisa, puntando oltre i confini del Lazio.


Roma imperiale


Con la vittoria di Ottaviano ad Azio, si può considerare concluso per Roma un lungo periodo di guerre civili, crisi istituzionali e sociali, che portarono alla fine del sistema di governo repubblicano. Ottaviano, rimasto l'unico signore di Roma, dovette risolvere il problema di legittimare un potere che già deteneva di fatto, senza suscitare la reazione delle forze conservatrici repubblicane. Non essendo possibile una palese trasformazione istituzionale in senso autocratico, il capolavoro di Ottaviano, che prese il titolo di Augusto, fu di proandare la piena restaurazione della repubblica, riuscendo però ad ottenere una auctoritas, cioè un prestigio politico riconosciuto da tutti, che gli permise di condizionare le scelte di governo, pur agendo dall'esterno delle istituzioni. Egli gettò le fondamenta del nuovo modello di governo, il principato. La struttura intorno alla quale Augusto costruì il suo potere, legata alla sua persona, poneva il problema della successione. Orientatosi per una scelta dinastica, fu Tiberio a succedergli. Il governo di Tiberio, diviso tra un periodo di accordo con il senato e uno di conflitto, può fare da emblema al problema politico fondamentale del principato post-augusteo: la conservazione del precario equilibrio fra gli interessi e il potere del principe e quelli della classe senatoria. Questo scontro segnò i primi due secoli della storia imperiale: quando gli imperatori indirizzarono la loro politica rimanendo nel corso indicato da Augusto, governarono senza problemi; quando invece tentarono di dare al proprio potere forme monarchiche assolutistiche, come fecero Caligola e Nerone, furono annientati, sia politicamente che fisicamente. La suddivisione stessa, fatta dalla storiografia senatoria, degli imperatori in 'buoni' e 'cattivi' riflette un giudizio dato in base al tipo di atteggiamento politico tenuto nei confronti dell'aristocrazia senatoria. Con la morte di Nerone e la fine della dinastia giulio-claudia, dopo un anno di guerre civili tra i pretendenti al ruolo di principe (69 d.C.), il potere passò nelle mani di Flavio Vespasiano. La dinastia Flavia (Vespasiano e i li Tito e Domiziano resse l'impero fino al 96; fu un periodo caratterizzato, complessivamente, sul piano sociale ed economico, da due fenomeni: l'ascesa dei ceti medi e la crescente importanza delle province rispetto all'Italia. Con Nerva iniziò il cosiddetto periodo dei principi per adozione: ogni imperatore prima della morte adottava l'erede designato, scelto in base ai suoi meriti e qualità. Era un sistema (che funzionò fino al 180 d.C. grazie al fatto che gli imperatori non ebbero li legittimi a cui lasciare l'impero) che da una parte salvaguardava il principio della scelta del migliore, caro al senato, dall'altra rispettava il concetto della successione dinastica, ben accetta al popolo e ai sudditi orientali. Nerva adottò Traiano, con cui l'impero, che fino ad allora aveva visto ulteriori conquiste, toccò la sua massima espansione territoriale, ma i punti nevralgici restavano il confine germanico e quello partico. I regni di Adriano e Antonino Pio furono il vero apogeo dell'impero di Roma, periodo di sostanziale pace interna ed esterna, di equilibrio tra le forze politiche e di crescita economica, soprattutto nelle province. Il quadro mutò già con Marco Aurelio il cui regno fu scosso dalla prima grande invasione di popolazioni germaniche, che, superato il Danubio, giunsero fino in Italia, dove furono respinte a stento; a ciò si aggiunse una grave epidemia. La guerra e la pestilenza determinarono una grave crisi economica. Ciò portò da una parte a lotte sociali e all'instabilità politica, dall'altra alla ricerca di sicurezza nelle ideologie e nelle religioni alternative (ebraismo, cristianesimo, e culti salvifici e misterici di origine orientale). Dopo l'uccisione di Commodo (192) e la conseguente lotta per il potere, divenne imperatore Settimio Severo. Nonostante i Severi operassero scelte di governo necessarie, la crisi continuò ad acuirsi. La pressione barbarica sul confine reno-danubiano rendeva necessario disporre di un esercito in grado di fronteggiare tale minaccia e i Severi dovettero concedere benefici economici ai soldati, divenuti la terza forza politica dell'impero, coloro che acclamavano gli imperatori o li facevano cadere. Le casse imperiali, per finanziare queste largizioni, ricorsero ad una più severa pressione fiscale che, in un periodo di regressione della produzione agricola, contribuì ad aggravare la situazione economica, a segnare la fine della piccola proprietà terriera, a fare crescere l'inflazione. Il III secolo fu dunque segnato da una grave crisi economica e sociale, e la politica si ridusse ad uno scontro tra senato, esercito e principe. Per circa 50 anni gli imperatori si succedettero ad un ritmo vertiginoso, nominati o destituiti per lo più dalle diverse legioni stanziate nelle varie zone dell'impero o dal senato, che tentava di riprendere il controllo della successione imperiale. Verso la metà del secolo, ad opera di una tendenza centrifuga, si ebbe la nascita di due stati resisi autonomi da Roma, l' imperium Galliarum e il regno di Palmira mentre continuava sul confine orientale il problema dei Parti, su quello africano la spinta dei nomadi, e sul limes germanico la pressione barbarica. Per risolvere questa difficile situazione occorrevano radicali riforme, ma ciò poteva avvenire solo se la direzione dello stato avesse riacquistato autorità e potere. Alcuni imperatori, come Gallieno e Aureliano (che riconquistò i regni separatisti), avevano già agito in questo senso, ma la vera riforma si ebbe con Diocleziano e poi con Costantino. La tetrarchia di Diocleziano, e poi le riforme di Costantino miravano a conciliare l'esigenza di una forte autorità centrale con la necessità di procedere ad un decentramento del potere. L'impero tardoantico, nato dopo queste riforme, è qualcosa di molto diverso dal principato augusteo: l'imperatore è diventato un monarca assoluto, al vertice di un complesso apparato amministrativo e burocratico. Suddividendo l'impero in 4 grandi prefetture, a loro volta divise in 12 diocesi e in numerose province, si realizzò il decentramento amministrativo, mentre il governo centrale, attraverso complesse strutture ministeriali, controllava gli affari generali dello stato. Con una politica sociale ed economica legata al dirigismo statale e una riforma fiscale e monetaria, si superarono in parte gli effetti della crisi economica del III secolo. Il fulcro dell'impero si spostò in maniera definitiva da Roma e l'Italia verso oriente, poiché le province orientali, dal punto di vista economico-politico erano in una posizione trainante rispetto all'occidente. Costantino trasferì la capitale da Roma a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli. Affrontò anche, rovesciando la politica religiosa dell'impero, la questione del cristianesimo, religione che, nonostante le persecuzioni di alcuni imperatori, si era diffusa sempre più a tutti i livelli sociali. Con l'editto di Milano (313 d.C.) Costantino si assicurò l'appoggio della forza organizzativa ed economica delle chiese cristiane. La Chiesa, attraverso le sedi episcopali e l'azione di vescovi dalla grande personalità, divenne sempre più un punto di riferimento, soprattutto politico, supplendo alle carenze delle istituzioni statali. Queste riforme ovviamente non risolsero i problemi dell'impero, come quello sempre ricorrente dei barbari, ormai stanziati anche all'interno dei confini romani e inseriti nell'esercito e nei quadri amministrativi. Questo ed altri problemi, tra cui la difficoltà nel gestire un apparato burocratico enorme e complesso, finirono per portare, alla morte di Teodosio, alla suddivisione definitiva dell'impero in due parti, autonome politicamente ed economicamente. Per l'Oriente iniziava una fase storica che sarebbe durata ancora mille anni, per l'impero d'Occidente, invece, fu una sorta di agonia, che terminò ufficialmente dopo alcuni decenni (476 d.C.) quando i capi germanici, ormai padroni dell'impero, interruppero l'inutile successione di imperatori senza potere, e i cosiddetti regni romano-barbarici si sostituirono all'antico stato di Roma.



Roma repubblicana


Verso la metà del IV secolo a.C. iniziò quel moto di espansione sempre più rapido che portò la città di Roma ad unificare l'Italia peninsulare. Tappe fondamentali di questa conquista sono la sottomissione del Lazio e di parte della Campania (348-326 a.C.), la conquista, a conclusione dello scontro con i Sanniti (326-283 a.C.), di quasi tutte le altre regioni dell'Italia centro-meridionale e, dopo la guerra con Taranto, delle città della Magna Grecia (283-264 a.C.). Con la presa della Magna Grecia, Roma ormai entrava in diretta concorrenza con Cartagine, la maggiore potenza economica e commerciale del Mediterraneo: inevitabile uno scontro armato tra le due città. La guerra con Cartagine impegnò Roma per tutta la seconda metà del III secolo a.C.; a conclusione della prima guerra punica (264-241 a.C.), passarono sotto il dominio di Roma Sicilia, Sardegna e Corsica, le prime province romane; al termine della seconda (218-201 a.C.), la potenza cartaginese risultava gravemente ridimensionata. Con gli inizi del II secolo a.C. Roma, proiettata verso le dimensioni di potenza egemone del Mediterraneo, oltre a continuare la sua espansione in Gallia Cisalpina e poi in Gallia meridionale, si volse all'Oriente contro i regni ellenistici di Macedonia e Siria. Con una serie di guerre vittoriose Roma divenne la padrona assoluta dell'intero Mediterraneo. Verso la metà del II secolo a.C. l'imperialismo romano mostrò la sua faccia più dura: la Macedonia fu ordinata provincia, Cartagine fu rasa al suolo (terza guerra punica), Corinto venne distrutta, togliendo alla Grecia ogni speranza di indipendenza. Questo periodo di espansione, frutto, all'interno della classe dirigente romana, del prevalere degli interessi degli imprenditori commerciali, coincise con un periodo di gravi difficoltà interne. Si accentuò il contrasto tra ceto senatorio e equestre, da poco protagonista nella vita politica; si aggravò la crisi economico-produttiva determinata da camne militari sempre più estese nel tempo; si pose il problema del controllo del vasto territorio conquistato con i sistemi di governo della città-stato; il sistema della milizia cittadina fu messo in crisi dalle conquiste in terre sempre più lontane da Roma, determinando così la nascita di eserciti di professione, presupposto per le guerre civili del I secolo. È su questo sfondo che si ebbero i tentativi riformatori dei Gracchi, falliti per la miopia del ceto dirigente. Le istituzioni repubblicane, già di per sé inadeguate a governare uno stato cresciuto a dismisura in poco tempo, furono scosse da gravi conflitti sociali. La politica di Roma finì nelle mani di uomini forti, abili generali che durante le guerre di conquista avevano stretto con i loro eserciti (ormai fatti di soldati professionisti pronti a seguire il comandante che offrisse le migliori possibilità di guadagno) legami tali da farne vere e proprie truppe personali. Questi comandanti (Mario, Silla, Pompeo, Cesare) furono i protagonisti di quasi un secolo di sanguinose guerre civili. Ma, nonostante la crisi interna, l'espansione romana continuò: al termine della guerra giugurtina (111-l05 a.C.), parte della Numidia divenne provincia romana e, dopo la definitiva sconfitta di Mitridate (74-71 a.C.), anche Ponto, Bitinia e Siria divennero province, mentre con altri regni orientali si instaurarono rapporti di vassallaggio; in occidente Cesare completò la conquista della Gallia, presto romanizzata. Gli ordinamenti interni della repubblica erano però in crisi irreversibile, anche se le istituzioni repubblicane, da un punto di vista giuridico, restavano intatte, la repubblica non esisteva più: contro ogni consuetudine democratica Cesare accumulò nelle sue mani un grande potere, che lo rendeva padrone della vita politica di Roma. Nonostante il suo assassinio in nome della restaurazione repubblicana, il processo di dissoluzione della repubblica era inarrestabile, e fu subito chiaro che altri volevano raccogliere l'eredità politica di Cesare. Dalla lotta per il potere, senza esclusione di colpi, tra Marco Antonio e Ottaviano uscì vincitore, grazie alla sua abile proanda politica, Ottaviano. Dopo la battaglia di Azio, egli restava l'unico signore di Roma: ormai l'astro della repubblica era tramontato, mentre sorgeva all'orizzonte quello dell'impero.




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