storia |
|
|||||
Gli Stati Uniti nel Vietnam
Di per sé, il fallimento politico e militare dei francesi in Vietnam
era una lezione per tutto il mondo occidentale. La precarietà della
soluzione diplomatica, con un confine arbitrario come quello che era stato
tracciato in Corea, lasciava tuttavia aperta la porta ad un nuovo precipitare
della crisi.
Da un lato la divisione fra Nord e Sud lungo la linea del 17°
parallelo, non era indicata dagli accordi di Ginevra come assetto definitivo
del Vietnam, ma come sistemazione provvisoria per favorire la riorganizzazione
delle rispettive aree: due anni più tardi, nel 1956, una consultazione
elettorale congiunta avrebbe dovuto riunificare il
Paese.
Dall'altro lato, la linea di demarcazione non separava semplicemente
due circoscrizioni amministrative, ma due realtà antagoniste per
ideologia politica e programmi sociali: a nord il comunismo di Ho Chi Min, a sud il regime conservatore dell'imperatore Bao Dai e del suo primo ministro Ngo
Dinh Diem. Il territorio
assegnato al nord, inoltre, era sensibilmente inferiore a quello liberato dal Vietminh durante la guerra antifrancese e governato fino
alla firma degli accordi secondo il modello comunista: questo comportava la
presenza nel sud di un significativo numero di guerriglieri e militanti politici
filocomunisti, potenziale nucleo di una futura
resistenza armata.
Nel periodo di massima tensione della guerra fredda, e a un solo anno
di distanza dalla conclusione della crisi coreana, la pace di Ginevra conteneva
così gli elementi per trasformarsi nella premessa di una nuova guerra.
Gli USA, dove la strategia del presidente Eisenhower
si atteneva alla dottrina Truman del
'contenimento del comunismo', guardavano con preoccupazione alle
trasformazioni dell'Asia e al richiamo che vi esercitava la rivoluzione cinese:
oltre all'esperienza vietnamita, si sviluppavano allora le lotte degli Huks nelle Filippine, le resistenze contadine nella Malesia
e nella Thailandia, movimenti rivoluzionari in
Indonesia. Per questo, nello stesso anno degli accordi di Ginevra, gli USA
promuovevano la costituzione della SEATO (South-East
Asia Treaty Organisation), un
accordo firmato a Manila da otto Paesi per la difesa dell'Asia sudorientale contro le 'aggressioni' comuniste
(oltre agli USA, vi aderivano Australia, Gran Bretagna, Francia, Nuova Zelanda,
Pakistan, Filippine, Thailandia). In questa
prospettiva, il Vietnam del sud doveva diventare un caposaldo della cerniera
difensiva nell'area del Pacifico, baluardo filoccidentale
a salvaguardia dell'intera regione indocinese.
Da queste premesse discendeva l'impegno
dell'amministrazione americana, che sostituiva il vecchio colonialismo francese
nel sostegno ai regimi conservatori dell'Indocina.
Alla fine del 1954 giungevano a Saigon consistenti aiuti finanziari dagli USA
e, insieme alle risorse, i consiglieri militari che assistevano il governo
nella repressione anticomunista.
Il passo successivo era il rifiuto del Vietnam del sud di indire le elezioni
del 1956, ufficialmente motivato con il fatto che nel nord il voto non sarebbe
stato libero: rendere definitiva la spartizione del Paese corrispondeva al
progetto di costruire nel sud una società impermeabile all'influenza
comunista, alla quale affidare il ruolo di gendarme dell'Indocina.
Tra il 1954 e il 1963, il Vietnam del sud era governato da Diem,
dapprima come capo del governo, poi come presidente della repubblica (nel 1955
un referendum popolare, svoltosi all'insegna dei brogli e delle prevaricazioni,
aveva infatti optato per la forma di Stato repubblicana e allontanato l'imperatore
Bao Dai). Il suo regime rivelava i limiti di una
classe dirigente indigena formatasi all'ombra del potere coloniale, autoritaria
e facile alla corruzione, incapace di cogliere la complessità del Paese
e di affrontare i reali problemi socio-economici. Mentre generali e alti
funzionari lucravano sugli aiuti statunitensi, le scelte politiche di Diem creavano fratture all'interno della società.
Sul piano religioso, Diem suscitava l'opposizione
della comunità buddista, introducendo provvedimenti restrittivi della
libertà di culto e scegliendo la maggior parte dei dirigenti nella
minoranza cattolica (10% della popolazione totale): l'autoimmolazione
di alcuni 'bonzi' (sacerdoti), che si bruciavano in piazza per
protestare contro le discriminazioni, era l'espressione clamorosa di un
malessere che toglieva consenso al regime e che lo isolava a livello
internazionale. Sul piano economico, egli annullava gli effetti della riforma
agraria che il Vietminh aveva avviato prima della
pace di Ginevra e restituiva le terre agli antichi proprietari, la maggior
parte dei quali compromessi con la dominazione coloniale francese. La mancanza
di interventi statali a sostegno della produzione agricola, d'altra parte,
accentuava il sottosviluppo e la fame, in una regione dove l'alto tasso di
natalità determinava un continuo incremento demografico.
Le condizioni di vita estreme in cui versava la popolazione
contadina favorivano lo svilupparsi della guerriglia, animata dai 'vietcong' (i militanti del Vietminh
rimasti nel sud del Paese) e appoggiata dal governo della Repubblica
Democratica del nord. Le forme di lotta sperimentate nella resistenza
antifrancese venivano riprese contro il regime di Saigon: attacchi contro
l'esercito governativo, sabotaggi lungo le vie di comunicazione, porzioni di
territorio sottratte al controllo statale.
Il Vietnam del sud era un terreno ideale per la guerriglia: la popolazione era
confinata nella zona costiera e su alcuni altopiani e tutte le strade
(così come la ferrovia che correva lungo la costa) erano facilmente
intercettabili in qualsiasi punto; ad occidente, i mille chilometri di
frontiera con il Laos e
Sulla base dell'esperienza coreana, gli americani organizzavano
l'esercito sud-vietnamita su basi convenzionali, con carri armati e artiglieria
pesante per far fronte ad una possibile invasione del nord: questo strumento si
rivelava però inadatto a combattere la guerriglia, articolata in piccole
unità regolari con basi nella giungla e numerose squadre volanti di
villaggio.
Di fronte all'estendersi della lotta, il governo di Diem
decideva la concentrazione della popolazione delle aree a più forte
presenza guerrigliera in appositi 'villaggi strategici', sorta di
zone militarizzate presidiate dall'esercito di Saigon: a garanzia di un maggior
controllo centrale, venivano inoltre abolite le rappresentanze di villaggio
elettive (la forma tradizionale di autogoverno dei contadini vietnamiti), e al
loro posto venivano mandati funzionari nominati dal governo. Queste due scelte
si rivelavano la vera molla che forniva alla resistenza una base di massa nelle
camne: la concentrazione dei contadini favoriva la penetrazione della
proanda, mentre il controllo opprimente dell'esercito e la distruzione del
tessuto organizzativo tradizionale aumentavano la frattura tra popolazione e
governo di Saigon.
Dopo il 1960 nonostante la durezza della repressione, la resistenza
rivoluzionaria nel sud si generalizzava, pregiudicando la stabilità del
regime. Nel 1963 il presidente Diem, impopolare e
scaricato dagli stessi americani, veniva rovesciato da un colpo di Stato
militare che apriva un periodo confuso di lotte all'interno della classe
dirigente (solo nel 1967, con la conquista del potere da parte di Nguyen Van Thieu,
il vertice sudvietnamita si sarebbe stabilizzato) e
che determinava un progressivo collasso del Paese.
In questo quadro, maturava la decisione dell'amministrazione di Washington di
un intervento militare diretto. La svolta era stata anticipata da Kennedy, che sin dal 1961 aveva inviato a Saigon due
comnie di elicotteri dell'esercito americano per la lotta antiguerriglia: le
forze erano gradualmente aumentate, sino ad una presenza di ventimila uomini
alla fine del 1963.
L'escalation veniva bruscamente accelerata da Lyndon Johnson diventato presidente dopo l'assassinio di Kennedy. Nell'agosto 1964 un incidente nel Golfo del Tonchino, dove navi di pattuglia nordvietnamite
si scontravano con la flotta statunitense, offriva il pretesto per una
risoluzione del Congresso, che concedeva al presidente ampi poteri
discrezionali rispetto alla questione vietnamita (la cosiddetta
'risoluzione del Tonchino'): l'8 marzo 1965
i Marines sbarcavano sulla spiaggia di Da Nang, vicino al confine del 17° parallelo, e il generale
William Westmoreland veniva nominato comandante
militare delle forze americane in Vietnam; l'anno successivo i bombardieri b 52
iniziavano a colpire obbiettivi sul territorio del nord; nel 1968, la presenza
americana era ormai salita a 540.000 uomini.
La tesi di Washington si fondava sul presupposto che la resistenza dei vietcong non foss'altro che
un''aggressione nordvietnamita' e che
rientrasse nella strategia di conquista del mondo da parte del comunismo. Se a
livello internazionale i rapporti con l'URSS conoscevano allora la stagione
della coesistenza pacifica, le frizioni tra Mosca e Pechino e la progressiva
autonomia della Cina dal Cremlino dimostravano che i
centri direttivi del comunismo si moltiplicavano e che la minaccia non aveva
perso la sua urgenza. Ciò che era stato fatto in Corea quindici anni
prima, doveva quindi essere ripetuto in Vietnam perché, secondo la cosiddetta
'teoria del dominio', alla caduta di un birillo sarebbe seguita, a
uno a uno quella di tutti gli altri .
Sulle valutazioni dell'amministrazione Johnson
pesavano le attitudini mentali di una classe dirigente abituata a ricondurre
ogni conflitto locale alla più ampia contrapposizione tra Est e Ovest e
i condizionamenti di un'ideologia che non lasciava spazio a Paesi terzi. Se
l'influenza del Vietnam del nord nel processo rivoluzionario era innegabile
(attraverso il sentiero di Ho Chi Min, Hanoi inviava rifornimenti alimentari, armi, addestratori
militari, proandisti politici, unità combattenti), l'appoggio di
massa ottenuto dalla lotta nel sud non si spiegava se non con il generale
malessere della popolazione contadina, con l'incapacità del governo di
Saigon di dare risposte ai bisogni delle camne, con le contraddizioni il
sistema fondato sulla conservazione dei privilegi e sulla repressione militare.
L'incomprensione (o la sottovalutazione) del carattere 'popolare'
della resistenza vietnamita spingeva gli USA ad impaludarsi in un conflitto che
avrebbe rappresentato un'unicità nella loro storia, portandoli ad una
sconfitta ancora più disonorevole di quella riportata dai francese nel
1954.
Dai bombardamenti
all'offensiva del Tet
La strategia militare americana puntava al logoramento della guerriglia
e si articolava sulla combinazione di azioni terrestri e incursioni aree:
mentre alle forze regolari di Saigon era lasciato il controllo delle zone più
popolate della costa, l'esercito americano si impegnava nell'area a sud di
Saigon e nelle zone di confine con il Laos e
L'aspetto più caratteristico dell'impegno militare
americano era il ricorso agli aggressivi chimici, con largo uso di bombe al
napalm, defolianti e diserbanti: lo scopo era la distruzione della fitta
vegetazione della giungla, per togliere alla guerriglia le stesse condizioni
ambientali della resistenza, ma l'uso indiscriminato di erbicidi si risolveva
in un inquinamento diffuso del suolo, che distruggeva le coltivazioni. Secondo
una denuncia del New York Times, nel solo 1965 oltre
trentamila ettari di terreno coltivato erano stati diserbati,
con il conseguente impoverimento di un'economia già al limite della
sussistenza.
La durezza degli attacchi che provocavano decine di migliaia di morti tra i vietcong e tra i civili (oltre un milione al termine della
guerra), ma anche numerose vittime tra i soldati americani, permetteva agli USA
di vincere tutti gli scontri nei quali si trovavano impegnati: questo tuttavia
non diminuiva la combattività della resistenza, né rallentava i
rifornimenti attraverso il 'sentiero di Ho Chi Min'.
La combinazione di lotta partigiana, sostegno della popolazione rurale e
appoggio militare del nord, unite alle particolari condizioni ambientali,
trasformavano il Vietnam del sud in un territorio incontrollabile, dove i marines erano attaccati alle spalle da un nemico che
avevano appena sconfitto sul fronte.
Gli aiuti militari ed economici, che Hanoi riceveva
dalla Cina e (in una logica bipolare) dalla stessa URSS, permettevano d'altra
parte alla Repubblica Democratica del nord di fronteggiare le difficoltà
e di reggere nonostante le devastazioni dei bombardamenti. Ogni qualvolta un
successo sul campo illudeva i comandi militari americani su una prossima
conclusione del conflitto, l'emergenza scoppiava in un altro punto del
territorio.
Le difficoltà degli USA si rivelavano con tutta la loro evidenza
all'inizio del 1968, quando, sotto la direzione del generale Giap, unità nordvietnamite
e guerriglieri vietcong lanciavano l'offensiva del Tet (il capodanno buddista). Mentre la maggior parte delle
truppe americane era impegnata ai confini con il Laos e sul 17° parallelo,
oltre cinquantamila combattenti attaccavano contemporaneamente Saigon, Huè e una trentina di capoluoghi di provincia: nella
capitale i guerriglieri riuscivano a penetrare nel centro stesso della
città, dove costituivano un governo rivoluzionario provvisorio.
La reazione americana fu violenta: in un mese di contrattacchi e di
rastrellamenti, tutti i centri furono riconquistati e oltre trentamila
guerriglieri vennero uccisi (da allora, il ruolo dei vietcong
sarebbe stato ridimensionato e l'onere dei combattenti sarebbe ricaduto sulle
unità del nord). Se l'offensiva del Tet si
concludeva con una sconfitta, essa costituiva però un'evidente vittoria
psicologica per le reazioni che determinava all'estero: la credibilità
dell'amministrazione americana ne risultava fortemente minata (lo stesso Johnson era costretto alla rinuncia della propria ricandidatura alle presidenziali di quell'anno)
e la strategia del logoramento, con la quale Washington aveva pensato di
piegare la resistenza, si rivelava perdente. La convocazione a Parigi di
negoziati di tregua, che sarebbero iniziati nel gennaio 1969, sanzionava il
riconoscimento da parte americana che la guerra non poteva essere vinta e che
bisognava accettare la via della soluzione diplomatica.
Verso la liberazione
All'interno degli USA la guerra in Vietnam non era popolare: il prezzo ato
dai soldati americani (47000 morti alla fine del conflitto), i costi altissimi
dell'impresa (trenta miliardi di dollari nel solo 1966), la lontananza e
l'estraneità del teatro delle operazioni, la durata di un conflitto del
quale non si riusciva a vedere la fine, l'imbarazzo per le difficoltà
che la superpotenza nucleare incontrava di fronte a un Paese sottosviluppato
del Terzo Mondo, moltiplicavano i dubbie il disagio morale per un'impresa
iniziata senza valutarne bene le conseguenze.
Su questo tessuto di fondo, alimentato anche da gesti clamorosi di dissenso
(come la renitenza alla leva da parte del campione di pugilato Cassius Clay 'Mohamed Alì') e dai
servizi televisivi sulle conseguenze drammatiche dei bombardamenti (la guerra
del Vietnam è stata la prima ripresa dalla televisione e
'portata' attraverso il teleschermo in tutte le case), si innestava
l'opposizione aperta dei movimenti di contestazione giovanile: non solo negli
USA, ma in tutta l'Europa occidentale, il ribellismo della generazione del
Sessantotto faceva del Vietnam il simbolo della lotta contro l'imperialismo,
contro la società del benessere che lo esprimeva.
L'opposizione si accentuava nel 1970 quando, nelle remore dei negoziati di
pace, il presidente Richard Nixon
estendeva il conflitto alla Cambogia e al Laos, sia con bombardamenti che si
proponevano di tagliare alla guerriglia le vie di rifornimento, sia favorendo
un colpo di Stato a Pnom Pehn
che determinava la caduta del principe Cambogia Sianouk
e l'instaurazione del regime autoritario del generale Lon
Nol: durante le manifestazioni che si svolgevano in
molte città americane, le forze dell'ordine intervenivano duramente e
nell'università di Kent State, nell'Ohio,
quattro manifestanti rimasero uccisi.
La spinta congiunta dell'opposizione interna e delle
difficoltà militari induceva l'amministrazione Nixon
ad una svolta, sancita alla fine del 1970 dalla decisione del Congresso di
revocare la risoluzione del Tonchino. Pur continuando
con le operazione aeree di bombardamento, gli americani iniziavano un
progressivo disimpegno e ritiravano le proprie truppe che a fine 1972 si
ridussero a 43000 uomini. Il 27 gennaio
Il ritiro americano accelerava l'esito della crisi indocinese. Nel Laos il
movimento del Patet Lao, appoggiato dalle forze di Hanoi, giungeva al potere conquistando nel 1974 la capitale
Vientiane; in Cambogia la rivolta contro il regime di
Lon Nol portava alla
vittoria del movimento rivoluzionario dei Khmer Rossi
di Pol Pot; in Vietnam, l'offensiva delle forze del
nord determinava il crollo dell'esercito di Van Thieu e, il 30 aprile 1975, la caduta di Saigon, da cui
venivano evacuati poche ore prima gli ultimi funzionari e consiglieri americani
rimasti. Iniziata come guerra di contenimento del comunismo, l'avventura degli
USA in Vietnam si concludeva così con la trasformazione di tutta l'Indocina in una regione governata da regimi rivoluzionari.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta