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Prima di addentrarsi nella discussione delle vicende strettamente legate agli avvenimenti storici che vanno solitamente sotto il nome di Guerra di Corea, è bene fare un flashback per delineare quali siano stati gli antefatti che hanno condotto gli Stati Uniti e con loro diverse nazioni appartenenti all'ONU, a partecipare attivamente al conflitto. Fin dalla Conferenza di Casablanca del 1944, il Presidente americano Roosevelt aveva tracciato i confini di quello che avrebbe dovuto essere il mondo dopo la sconfitta del nazismo. Le linee guida del nuovo ordine mondiale sarebbero state principalmente due. Primariamente, in campo politico i governi avrebbero dovuto ispirarsi al principio di democrazia in stile americano e in ambito economico la forma di mercato liberista e capitalista doveva essere ampiamente supportata dalle nazioni quale strumento di sostegno della libertà politica (ciò avrebbe portato agli accordi di Bretton Woods sulla conversione aurea del dollaro). Non approfondiremo in questa sede quali siano stati gli errori di fondo di tale impostazione né i pregi innegabili che ebbe, ma ci limiteremo a rilevare che per il compimento del Grand Design rooseveltiano rimaneva un unico ostacolo: l'Unione Sovietica. La grande nazione eurasiatica si era dimostrata un'insostituibile alleata durante la seconda guerra mondiale e nella visione dello statista americano avrebbe dovuto partecipare anch'essa alla riorganizzazione mondiale. Su tali basi si erano sempre appoggiati i rapporti intrattenuti con Stalin sia a Casablanca sia a Yalta e a Potsdam. Del resto il gigante sovietico, duramente provato dai combattimenti contro i tedeschi, si era visto costretto ad accettare l'amicizia americana, soprassedendo alle diversità ideologiche di fondo. Winston Churchill al contrario del presidente americano si era sempre mantenuto diffidente nei confronti dell'alleato orientale, considerandolo uno scomodo vicino pronto a pugnalare alla schiena alla prima occasione. Purtroppo per l'inglese, la sconfitta alle elezioni politiche nazionali non gli permise di mettere il proprio saggio consiglio al servizio del mondo occidentale.
E' difficile prevedere quale piega avrebbe preso il corso
della storia se non fosse sopraggiunta la morte di Roosevelt a mutare i rapporti
tra le due nascenti superpotenze. Ancor più gravoso è tracciare
un quadro esauriente dello scenario politico di quegli anni senza il suo
successore: Harry S. Truman. Egli, giunto quasi inaspettatamente a raccogliere
abbastanza consensi da divenire vicepresidente durante il terzo mandato
presidenziale di Roosevelt, si poteva identificare come lo stereotipo americano
del self-made man. Ex-giudice della contea di Jackson (Missouri), ex-negoziante
fallito ed ex- capitano d'artiglieria durante la prima guerra mondiale, Truman
rappresentava quella classe di americani tradizionalisti che rasentavano il
fondamentalismo. Nella sua semplice politica di base non potevano esistere dei
compromessi, tutto era o bianco o nero. Di lui scrisse così David E. Lilienthal,
esponente del Partito Democratico: 'Il paese e il mondo non si meritano di
essere abbandonati nelle sue mani, con Truman alla testa degli Stati Uniti in
un momento simile'.
La riformulazione della politica statunitense verso l'Unione Sovietica fu fortemente influenzata dalla corrispondenza da Mosca di George F. Kennan, sovietologo accreditato del Dipartimento di Stato, che in una sua relazione sull'Unione Sovietica, traccia sommariamente i punti cardine su cui si fonderà l'operato dell'Amministrazione Truman. Kennan si pose in una via di mezzo tra i favorevoli ad oltranza (tutti appartenenti alla corrente del New Deal) e i cacciatori di streghe antisovietici (il Maccartismo era sul punto di nascere), definendo i russi come un popolo psicologicamente portato all'espansionismo, quale unico rimedio all'insicurezza di fondo della nazione. Seguendo tale preconcetto articolò due direttive precise conosciute come teoria del contenimento (o balance of power) e del domino. Con la prima gli Stati Uniti avrebbero dovuto provvedere a creare intorno al paese comunista una cintura di sicurezza costituita principalmente dalle nazioni democratiche dell'Europa Occidentale e dell'Estremo Oriente, mentre con la seconda si sarebbero dovuti attivare per limitare le reazioni a catena dei rivoluzionari comunisti al loro primo verificarsi senza che si attendesse l'espansione del cosiddetto 'pericolo rosso'. Parallela a queste due concezioni si sviluppò il principio della 'aggressione pezzo per pezzo', dove si ipotizzava una serie di attacchi sovietici contro stati amici sia attraverso gli stessi partiti comunisti interni a tali nazioni, sia con aggressioni militari dirette.
A mantenere gli Stati Uniti in una posizione di vantaggio
rimaneva comunque l'esclusiva dell'armamento nucleare. Su di essa si
basò tutta la politica estera fino al
Il governo cinese fino a quell'anno era rimasto saldamente
nelle mani di Chiang Kai Schek, leader del Partito nazionalista Cinese e fedele
alleato degli americani. Gli Stati Uniti avevano sostenuto
'Atto di aggressione iniziato senza avvertimento e senza
provocazione in esecuzione di un piano accuratamente preparato'
così recita il Documento delle Nazioni Unite S/1507 del 26 Giugno 1950.
Esso si riferiva naturalmente all'azione iniziata il giorno precedente da parte
delle forze armate della Corea del Nord che avevano invaso
L'attacco comunista alla Corea del Sud parve la conferma della
teoria dell'aggressione pezzo per pezzo. A Washington ne erano certi. Un
rapporto del National Security Council, noto come NSC 68, proponeva come
risposta a interventi simili, un intervento adeguato e pronto sul piano
militare e fu ciò che effettivamente avvenne. Sebbene
Fin dal principio apparve chiaro che l'interventismo americano non aveva fondamenta solo in un'oculata politica estera di contenimento del nemico sovietico, ma anche in necessità puramente interne. Truman non avrebbe potuto fare altro di fronte ai continui attacchi repubblicani al Congresso e a mezzo stampa. In particolare il senatore Robert Taft si accanì con vigore contro il presunto immobilismo presidenziale che aveva, a detta del suo detrattore, colpevolmente ignorato alcuni rapporti della CIA che segnalavano con chiarezza il riarmo e la preparazione dell'esercito nordcoreano. La determinazione dell'azione comunista mise alle strette i vertici militari americani che non poterono fare altro che dichiarare l'intervento in forze. E' da sottolineare come dal punto di vista giuridico, il conflitto che si stava per svolgere in Corea non fu mai qualificato tecnicamente come guerra, ma unicamente come azione di polizia sotto l'egida delle Nazioni Unite. Ora, sebbene sia corretta questa dizione, è palese che l'escalation progressiva dei combattimenti e l'impiego estremamente limitato dei contingenti di altre 16 Nazioni (ad esclusione delle forze armate inglesi che furono subito al fianco del loro potente alleato d'oltre Atlantico) non può far alto che qualificare quell'impresa come una guerra americana. Anche il popolo degli Stati Uniti la sentiva come tale. Dopo gli eccessi anticomunisti del 1949 e dei primi mesi del 1950, il desiderio di dare una lezione ai 'Rossi' era largamente diffuso. Si sentiva la necessità di una Crociata contro l'oscurantismo e il dispotismo, uniche qualità che si riconoscevano al regime sovietico. Se non fosse stato in Corea, sarebbe avvenuto in Germania, ma in ogni caso lo scontro tra le due super potenze era fin troppo maturo.
L'eccitazione delle prime ore ci mise ben poco a scemare. L'attacco nord coreano era stato pianificato con minuziosa precisione, tenendo conto della debolezza dell'esercito sud coreano e anche della lentezza della macchina militare americana. Per tutto il mese di Luglio del 1950 le truppe comuniste progrediranno nella loro entusiasmante avanzata nel Sud del paese, travolgendo in sequenza Seoul, Incheon, Chung-chu, An Dong. La resistenza nazionalista fu davvero minima e non servì a molto neppure l'appoggio dei marines americani provenienti dal Giappone. Questi ultimi, ormai da anni abituati alla vita di retrovia e alla tranquillità di Tokyo non bastarono ad arrestare la travolgente marea avanzante. Ai primi del mese di Agosto, il 90% del territorio sudcoreano era caduto in mano comunista e solo il grande porto di Pusan con il suo entroterra rimaneva sotto il controllo degli americani e delle Nazioni Unite. Di fronte a una situazione militare che rasentava la disfatta, qualunque comandante militare avrebbe optato per l'evacuazione della penisola coreana. Qualunque comandante tranne Douglas McArthur.
Discendente da una famiglia di militari da lunga data, si era particolarmente distinto già dal suo servizio di prima nomina, avvenuta nel 1903. Legò le sue fortune a quelle del popolo filippino. Seguendo il padre (comandante delle truppe americane d'occupazione) nelle isole poco dopo che queste passarono sotto la giurisdizione statunitense, si distinse sia per genio tattico sia per coraggio durante tutta la camna per la pacificazione dell'arcipelago. Fu il più giovane direttore dell'Accademia Militare di West Point e il più giovane capo di stato maggiore. Purtroppo tra le sue qualità non spiccava di certo la diplomazia che, al contrario, necessitava per rimanere così in alto nella gerarchia militare. Così nel suo momento di massimo fulgore prima della seconda guerra mondiale, accettò di condurre l'esercito filippino in attesa dell'indipendenza promessa per il 1946. Il suo buon lavoro fu tragicamente interrotto a causa dell'invasione giapponese. Già reintegrato da Marshall nell'esercito americano ebbe il compito di arrestare l'avanzata del nemico avvalendosi unicamente delle poche truppe filippine ben addestrate e dei pochi reparti americani di stanza nell'isola principale di Luzon. La sua stella si ammantò di leggenda quando, costretto dagli eventi avversi della guerra, è costretto ad abbandonare Corregidor (la rocca difensiva dichiarata inespugnabile che cadrà presto nelle mani giapponesi) su di una motosilurante, correndo il rischio di essere catturato insieme con la propria famiglia. Egli promise solennemente che avrebbe speso la propria vita per ritornare da liberatore in quella terra e fu ciò che avvenne realmente. Agì in modo tale che il Comando americano per il pacifico ratificasse la sua strategia di avvicinamento al Giappone attraverso salti di isola in isola che consentirono la liberazione di Manila avvenuta il 3 Marzo 1945.
Con la resa del Giappone, McArthur divenne comandante delle truppe d'occupazione dell'arcipelago del Sol Levante e in quanto tale, allo scoppio delle ostilità in Corea, si ritrovò ad affrontare praticamente da solo la grave situazione. Non ci si sarebbe potuto aspettare altro da un uomo che trascorso anni della sua vita e sacrificato risorse di un'intera nazione per mantenere fede a una promessa che un'ostinata e a tratti insensata resistenza sulle posizioni continentali che ancora erano mantenute dagli americani. Mai si sarebbe piegato a una seconda fuga. Quello che poteva sembrare un'inutile spreco di energie per salvaguardare l'onore statunitense, si trasformò nel trampolino per una potente controffensiva, una volta giunti i rinforzi dalla madre patria. Con un dominio dell'aria e dei mari pressoché incontrastato, McArthur progettò un attacco da manuale. Sbarcando i propri uomini nei pressi di Incheon e Wonsan, tagliò in due le linee di rifornimento Nord Coreane, procedendo successivamente al rastrellamento delle truppe sbandate che erano rimaste intrappolate nell'enorme sacca venutasi a creare. Nell'arco di tempo che va dal 15 settembre al 26 Ottobre 1950, le truppe dell'ONU riattraversarono tutta la penisola coreana in senso inverso, conquistando la capitale comunista Pyongyang fino a raggiungere lo Ya-Lu, a pochi chilometri dal confine cinese. La vittoria finale sembrava davvero a portata di mano.
Nei primi giorni di novembre, le linee alleate furono investite da ben trenta divisioni di 'volontari' cinesi che giunsero in soccorso dei fratelli comunisti coreani. L'intervento cinese nel conflitto era stato più volte ventilato nei mesi precedenti, ma McArthur aveva sempre sminuito l'importanza di tale apporto anche nell'evenienza che si fosse verificato. Nel momento in cui avvenne concretamente, l'enorme massa di soldati che si riversò sui malcapitati rappresentanti dell'ONU oscurò molte delle disfatte storicamente più famose. Aiutati dall'inclemente inverno che non permise un adeguato supporto aereo tattico, i cino-coreani cominciarono una marcia vittoriosa liberando tutta la parte settentrionale del paese fino a superare nuovamente il 38° parallelo e giungere per metà Gennaio del 1951 sulla linea di Chung-chu, dove gli americani riuscirono ad arrestare l'avanzata. L'attacco cinese ebbe come conseguenza primaria la perdita di sicurezza da parte dei soldati americani. Infatti la lunga ritirata dal confine cinese si trasformò in più di un momento in una vera e propria rotta, causando enormi perdite umane e di materiali. McArthur che in precedenza aveva tanto denigrato la consistenza dell'esercito cinese, chiese addirittura che fossero usate le armi atomiche per arrestarne l'avanzata.
Fortunatamente, Truman ebbe il buon senso di non ascoltarlo, temendo per la prima volta nella storia di causare un vero e proprio conflitto nucleare mondiale. Ciò che la rivista Times definì 'la peggiore sconfitta mai subita dagli americani' era dovuta non soltanto all'intervento cinese, ma anche ad alcuni errori strategici di McArthur che aveva lasciato troppo scoperte le linee di comunicazione arretrate allargando eccessivamente il fronte. Vista offuscata la propria nomea di generale invincibile, McArthur cominciò ad avventurarsi in dichiarazioni troppo azzardate in campo politico. Dopo aver richiesto un intervento con armi nucleari senza averlo ottenuto, propose di andare a colpire il cuore stesso della Cina con bombardamenti convenzionali sui porti e sulle città costiere che si affacciavano sul Mar Cinese. Ciò avrebbe inevitabilmente comportato un allargamento del conflitto con conseguenza al momento non ipotizzabili. Esattamente il contrario di quanto andava predicando Truman.
Egli preferiva localizzare anziché allargare il conflitto. Questo nuovo modo di pensare corrispondeva perfettamente alla volontà di ridurre al minimo l'impegno militare americano. Si ipotizzava (ed era anche questa una novità mondiale) la possibilità di una guerra che non dovesse essere necessariamente vinta. Si voleva ottenere un leggero vantaggio tattico con cui costringere la controparte a trattative politiche separate. McArthur si oppose anche pubblicamente a una simile concezione della guerra, arrivando ad affermare che l'evacuazione della Corea sarebbe stata inevitabile se non si fosse proceduto all'allargamento del conflitto. Sebbene il pensiero del generale fosse smentito dall'andamento degli scontri che portarono a una stabilizzazione del fronte già nel marzo del 1951, le sue critiche trovarono un terreno fertile dove attecchire sia nell'opinione pubblica sia nell'opposizione repubblicana a Truman.
Gli oppositori politici vedevano nel nuovo corso del presidente un ammorbidimento nei confronti dell'Unione Sovietica con la conseguenza di una possibile ripresa della sua offensiva non solo ideologica in Europa. Truman si adoperò a lungo per smentire le accuse, arrivando persino a nominare Eisenhower, il suo generale più famoso, comandante dello scacchiere europeo. Nonostante quest'azione di dissuasione, il Congresso fu profondamente scosso tanto da dare origine a una lunga discussione in aula conosciuta come il 'Grande Dibattito.'
Le voci repubblicane, prima fra tutte quella di Taft, furono
piuttosto contraddittorie. Ci fu qualcuno che parlò a favore di un
ritorno all'isolazionismo prebellico, dipingendo l'idea di una 'fortress
America' come soluzione di tutti i mali, ma tutti gli antagonisti di
Truman si concentrarono sull'ampliamento degli aiuti militari all'Europa, a
discapito dell'Asia (esattamente il contrario di ciò che gli si
rinfacciava in precedenza). Le ragioni che fondavano queste critiche si possono
rinvenire nel diffuso senso di abbandono di quelle stesse zone (Asia
sudorientale e Cina) per le quali migliaia di giovani americani avevano perso
la vita durante la seconda guerra mondiale. Il conflitto contro il Giappone,
condotto in massima parte dai soli Stati Uniti, aveva creato una sorta di
legame prediletto con tali nazioni che le forze di minoranza nel paese vedevano
a poco a poco sfumare. Accanto a queste ragioni del cuore si ebbero anche delle
vere e proprie diatribe su di una concezione strettamente militare che si a
andata diffondendo subito dopo il successo contro
I pur potenti mezzi aerei americani dovettero scontrarsi con la nascente tecnologia sovietica (rappresentata dagli aerei Mig-l5 forniti ai fratelli comunisti) che aveva fatto passi da gigante rispetto a soli cinque anni prima. La successiva supremazia dell'aria fu conquistata in massima parte per il miglior addestramento dei piloti americani rispetto ai corrispettivi nordcoreani. Per controbattere alle accuse di abbandono e disfattismo che gli erano rivolte, Truman portò al Congresso un gran numero di esperti che confermarono l'impossibilità di sostenere uno sforzo bellico senza un apparato militare convenzionale adeguato. Inoltre, garantirono tali esperti, la perdita del potenziale industriale europeo in favore dei sovietici avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia in favore dei comunisti. Attraverso quest'abile mossa di convinzione, il presidente aveva quasi raggiunto il proprio scopo di tranquillizzare l'ambiente circa l'impegno americano in Europa, quando erano intervenute le dichiarazioni di McArthur. Se fossero state pronunciate da qualunque altro generale, si sarebbero potute considerare come nulla più che opinioni personali, ma uscite dalla bocca di colui che era generalmente reputato il vincitore della guerra nel Pacifico, assumevano tutto l'aspetto di un monito. Che McArthur avesse delle aspirazioni politiche era più che evidente e in prossimità delle elezioni del 1952 la risposta di Truman a dichiarazioni tanto lesive per la sua politica non potevano essere differenti: il generale fu sostituito l'11 Aprile 1951.
Il suo successore, generale Matthew Ridgway, agì con prontezza, riuscendo a smentire tutte le fosche previsioni di McArthur. Un'ultima controffensiva americana consentì di ritornare a ridosso del 38° parallelo, in pratica sul confine precedente l'inizio degli scontri. Nella madrepatria però, l'operato di Ridgway fu completamente oscurato dal clamore provocato dall'allontanamento di McArthur. Egli, ritornato in patria in patria dopo 14 anni (ricordiamo che vi mancava dal 1937, anno in cui aveva accettato l'incarico presso il governo filippino) fu accolto come spettava ad un vero trionfatore. Non facendosi sfuggire l'occasione, si presentò a più riprese in pubblico, cavalcando l'onda della fama che sembrava doverlo spingere fino alla presidenza. Il sollevamento popolare che ne seguì andò a colpire molto pesantemente la ura di Truman. McCarthy in una dura requisitoria tenuta nei suoi confronti a Milwaukee arrivò addirittura a definirlo con testuali parole 'un lio di puttana'. Questi attacchi personali che spesso scadevano nel cattivo gusto se non nell'offesa aperta facevano leva su di un crescente sentimento popolare di appoggio alle forze armate. Singolare è infatti che si evidenziassero proprio in questo periodo le prime avvisaglie di un crescente potere dei militari, avvenimento di certo estraneo alla storia e alla cultura americana. Esso sarebbe sfociata nell'elezione come presidente di Dwight Eisenhower, ma vediamo più in particolare cosa mise fuori gioco da quella corsa McArthur.
La simpatia del pubblico e l'appoggio dei politici più estremi cominciarono a scemare con il discorso tenuto dal generale all'apertura della Convenzione Repubblicana. Fu chiaro che il fine ultimo di McArthur fosse di candidarsi e non, come invece continuava a dichiarare nei suoi interventi, un interesse disinteressato e patriottico per il bene della Nazione. L'opinione pubblica che non aveva radicato in sé quel senso plebiscitario che sarebbe tornato comodo all'eroe di guerra, prese lentamente ad abbandonarlo. Di fronte a questo repentino voltafaccia, McArthur sfoderò ancora una volta quel suo sano pragmatismo che lo aveva sempre caratterizzato. Abbandonò ogni velleità politica per diventare presidente del consiglio di amministrazione della Sperry Rand. Come aveva detto lui stesso rifacendosi al ritornello di un antico canto militare 'Old Soldiers never die, they just fade away' (i vecchi soldati non muoiono, semplicemente svaniscono).
Nel frattempo i combattimenti in Corea non erano cessati.
Quella che era stata una guerra di estremo movimento si era trasformata in un
combattimento di logoramento, dove il conseguimento di vittorie militari aveva
importanza solo a livello politico. I negoziati iniziati nell'estate del 1951
si sarebbero intrecciati con la camna politica delle presidenziali del 1952,
arrivando, come spesso accade, a fissare i confini là dove si trovavano
le truppe al momento del cessate il fuoco. Eisenhower si era impegnato a porre
termine al conflitto coreano e ciò puntualmente avvenne nel 1953, una
volta ottenuti i pieni poteri. Le conseguenze della guerra di Corea non si
limitarono ad un aumento delle spese militari (che pure passarono da
I risultati ottenuti nel contenimento dell'espansione sovietica in Asia, avrebbero dovuto essere visti come una vittoria secondo i canoni della dottrina Truman, ma agli occhi degli americani che uscivano né vincitori né vinti dalla guerra, assunsero un significato opposto. Il mito dell'invincibilità degli Stati Uniti era caduto, demolito da soldati comunisti (che comunque avevano subito perdite molte volte superiori rispetto a quelle americane). Si andò creando quel clima di terrore del nemico comunista che fomentato dalle idee estremiste di McCarthy avrebbe cementato quel periodo della nostra storia moderna conosciuto come Guerra Fredda.
Fonti: 'Storia degli Stati Uniti dal
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