storia |
L'arena di sangue
Annunciato
sui muri della città da edicta
dipinti in rosso, il sectiunellone dei giochi che si svolgevano nell'anfiteatro
della città durante un'intera giornata comprendeva i combattimenti dei
gladiatori e le venationes, vere e proprie
battute di caccia.
Durante la mattina animali rari ed esotici, ma a volte anche volpi, lepri e
capre, venivano liberati nell'arena trasformata per l'occasione in una
scenografica quinta teatrale. Leoni, pantere, tigri, elefanti, rinoceronti e
orsi ingaggiavano tra loro o con gli uomini lotte selvagge che si concludevano
sempre con un'ecatombe, come accadde quando l'imperatore Tito inaugurò
il Colosseo: in un sol giorno vennero sacrificati oltre 5000 animali.
Verso mezzogiorno vi era una pausa durante la quale venivano rimossi i corpi e
sparsa nuova arena, mentre cresceva l'eccitazione per lo spettacolo di maggiore
attrazione della giornata: la lotta gladiatoria.
Un clamore assordante saliva dalla pompa
circensis, la parata dei gladiatori, che al seguito di magistrati, servi,
armi e trofei, tra squilli di trombe e rullar di tamburi, facevano il loro
ingresso trionfale nell'anfiteatro gremito. Compiuto un breve giro dell'arena,
i gladiatori rendevano omaggio al podio dell'imperatore e ai palchi riservati a
generali e senatori con il grido morituri
te salutant. Poi si tiravano a sorte le coppie dei duellanti, gli arbitri
si accertavano che le armi fossero regolamentari e si dava il via al
combattimento.
Era una lotta feroce, sanguinosa, senza esclusione di colpi: ai combattenti non
era concesso arrendersi o invocare pietà e così al calar della
sera uno soltanto risultava essere il vincitore o l'ultima vittima della
giornata.
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Da ladri e assassini ad eroi
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I gladiatori erano per lo più schiavi, prigionieri di guerra,
malviventi o condannati a morte che venivano addestrati in apposite scuole o
caserme sotto la guida di un maestro, detto lanista.
Ma non mancarono uomini che diventarono volontariamente gladiatori, come
l'imperatore Commodo, che scioccò tutta Roma combattendo egli stesso
nell'arena. Per il loro modo di vivere, comunque, erano oggetto di ammirazione,
come testimoniano i graffiti che qualcuno ha inciso su un muro di Pompei,
dedicati a un tracio di nome Celadus, 'l'uomo che faceva sospirare tutte
le ragazze'.
Addestrati per uccidere, nell'arena si distinguevano, secondo il costume,
l'armamento e la tecnica di combattimento. C'erano i sanniti, armati con un grande scudo e una corta spada, il gladius; i reziari, invece, erano dotati
di un equigiamento simile a quello di un pescatore, con una rete munita di
pesi per catturare il nemico, e un tridente, come quello del dio Nettuno, per
tragerlo; i murmillones, infine,
solitamente combattevano contro i reziari e si chiamavano così dal nome
del pesce, la murma, dipinta
sull'elmo.
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I muli di Mario
Soprannominati
i 'muli di Mario' dal nome del generale che primo introdusse l'uso di
far trasportare ai soldati un carico di 40 kg e più durante la marcia, i
legionari costituivano il nucleo dell'eserc
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ito romano. Erano perennemente impegnati a difendere i confini
dell'impero, a respingere i tentativi di invasione, a reprimere ribellioni o a
conquistare nuovi territori.
Le legioni erano composte da circa 5000 fanti, tutti cittadini romani, che si
arruolavano volontariamente per 20-25 anni. Rigorosamente addestrati, costretti
ad una disciplina ferrea e ben armati, i legionari per la loro robustezza
fisica erano capaci di affrontare ogni avversità. Per proteggere busto e
spalle indossavano una corazza, detta lorica,
rivestita da piastre metalliche: era molto flessibile, ma anche pesante, tanto
che i soldati erano costretti ad aiutarsi a vicenda per infilarla ed
allacciarla. Sotto l'armatura non usavano pantaloni, ma soltanto una tunica di
lana grezza che arrivava fino a metà coscia. I sandali (caligae) erano molto importanti, poiché
tanto più l'andatura era spedita durante la battaglia, tanto maggiori
erano le probabilità di vincere le guerre. Per questo le calzature erano
resistenti, con le suole chiodate in ferro, appositamente studiate per
sopportare il peso e resistere ai chilometri di marcia.
Segno di riconoscimento del grado di un soldato era la cintura, o cingulum, una specie di sottopancia in
cuoio decorato con supporti metallici. La testa era protetta da un elmo che per
i centurioni e gli altri ufficiali era sormontato da creste, in modo che gli
uomini della legione potessero localizzare i propri capi e seguirli nella
battaglia. Il pugio, o pugnale,
veniva portato appeso alla cintura sulla sinistra e aveva una lama a doppio
taglio; sulla destra, invece, c'era il gladius,
una corta spada con l'impugnatura in osso o in avorio, che poteva essere
maneggiata facilmente nel vivo del combattimento.
Nella sinistra veniva tenuta la lancia che, usata inizialmente per tragere
il nemico, fu in seguito sostituita dal micidiale giavellotto di metallo,
munito di una punta acuminata capace di forare sia gli scudi sia l'armatura. Lo
scudo, di forma rettangolare, era di cuoio rinforzato in ferro e veniva
imbracciato a difesa del corpo.
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