ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto storia

IL CASO ITALIANO: DALLO STATO LIBERALE AL FASCISMO

ricerca 1
ricerca 2

IL CASO ITALIANO: DALLO STATO LIBERALE AL FASCISMO


IL FASCISMO, UN MODELLO PER I MOVIMENTI REAZIONARI EUROPEI


Pur essendo un paese vincitore, l'Italia vide il proprio sistema politico scosso alle fondamenta; i ceti medi, la borghesia agraria e industriale si schierarono verso movimenti eversivi. Lo stato liberale viene travolto da un regime autoritario, diventato in seguito modello per tutti i movimenti reazionari europei.


LA CRISI IN ITALIA: GLI EFFETTI DELLA GUERRA E GLI SQUILIBRI STRUTTURALI DEL SISTEMA ECONOMICO


Sia il nord che il sud vengono toccati da una serie di grandi lotte sociali dovute alla disoccupazione, all'inflazione e alla riconversione produttiva. Con la guerra il potere economico si concentra in pochi complessi industriali che si trasformano in colossi che richiedono notevoli risorse economiche per sostenere i propri investimenti, protetti tra l'altro dallo stato. Ruolo fondamentale assumono le banche che in accordo con le imprese hanno l'obiettivo di impadronirsi di tutta l'economia italiana.




UN CAPITALISMO MONOPOLISTICO SENZA MERCATO E IL DUALISMO NORD-SUD


I meccanismi della concorrenza vengono annullati dallo stato. Si crea un sistema monopolistico senza mercato nel quale lo stato assume il ruolo di organizzatore dell'offerta e regolatore della domanda. L'economia italiana è caratterizzata inoltre dal profondo dualismo nord-sud: le risorse pubbliche vengono impiegate nelle imprese già esistenti e stanziate nel triangolo industriale. Pochi investimenti vengono fatti al sud dove c'è una sovrabbondante popolazione di contadini poveri ai quali non resta che emigrare. Limite a questa ultima speranza di assestamento economico viene posto da un decreto USA per limitare l'immigrazione. Accanto ad una forte disoccupazione emerge nel sud anche il problema del forte incremento demografico.


LA PROMESSA DELUSA DELLA REDISTRIBUZIONE DELLE TERRE: I MOTI SOCIALI DEL MEZZOGIORNO


Ad una situazione già grave dà il suo contributo la promessa non mantenuta della distribuzione della terra. Il miraggio di questa promessa aveva spinto migliaia di contadini a combattere dopo la batosta di Caporetto. Uno dei punti deboli del governo liberale è dunque quello di non aver affrontato il nodo della questione agraria. I contadini decisero di occupare da soli le terre guidati da leghe sindacali socialiste e dall'Associazione nazionale dei combattenti. Si giunse ad una radicalizzazione del conflitto.


LA CENTRALITA' DELLA QUESTIONE MERIDIONALE NEGLI SCRITTI DE "L'ORDINE NUOVO"


Intellettuali socialisti raccolti attorno all'Ordine Nuovo e ad Antonio Gramsci evidenziarono la centralità del problema meridionale. I contadini dovevano essere i protagonisti della ricostruzione del paese. Eccezion fatta per i sindacati, nessuno si propose di organizzare i contadini poveri che rimasero dopo l'insuccesso dell'occupazione delle terre, estranei allo stato e alle sue istituzioni.


LA CRISI NEL SETTORE INDUSTRIALE: INFLAZIONE, CROLLO DELLA LIRA, DISOCCUPAZIONE


Quando la conclusione del conflitto fece inaridire la spesa pubblica, i colossi industriali si trovarono sull'orlo del fallimento, entrando in una delicata fase di fallimenti e contrazioni della produzione. Lo stato fu costretto ad interventi di salvataggio per impedire il crollo del sistema industriale italiano. Tutto ciò è dovuto ad un semplice fattore: gli italiani sono troppo poveri per garantire il minimo di consumazione che alimenti il sistema industriale, il quale di conseguenza, si alimentava per mezzo di esportazioni e del mercato fittizio generato dallo stato. Conseguenza di ciò è un aumento della disoccupazione, l'aumento dell'inflazione e il crollo della lira. Per un paese che deve importare dall'America il crollo della moneta costituisce un vero e proprio disastro.


LA MOBILITAZIONE DEL PROLETARIATO INDUSTRIALE, L'INIZIO DELLA RIVOLUZIONE SOCIALE


Da questi processi nasce un ciclo di lotte operaie che richiedono brevemente: diminuzione giornata lavorativa (+ 60 ore), condizioni di lavoro umane, riconoscimento commissioni interne. Accanto alle lotte operaie si uniscono, nelle zone industrializzate, le lotte dei braccianti che non chiedono terre ma solo salari più elevati e una organizzazione del lavoro agricolo. Queste lotte ottengono buoni risultati: la giornata lavorativa diventa di 8 ore e vengono tutelati il potere di acquisto degli operai. Nel luglio 1919 la conflittualità operaia raggiunge il suo apice quando uno sciopero per il rincaro dei generi alimentari si proa in tutta Italia. Lo stato reagisce con la repressione e alla fine riesce a controllare la situazione.

L'ISOLAMENTO DELLA LOTTA OPERAIA E L'IMPOVERIMENTO DEI CETI MEDI


L'azione operaia perde incisività in quanto oltre a non coinvolgere il mondo agrario lascia isolati anche i ceti medi e la piccola borghesia urbana, tutti ceti colpiti dall'inflazione. Il carovita infatti erodeva i risparmi e faceva precipitare il valore dei titoli di stato che questi strati sociali si erano procurati. Accanto alla crisi economica si conura inoltre una crisi d'identità sociale. Gli ex-combattenti conoscono la disoccupazione oppure il loro tenore di vita viene pesantemente ridimensionato.


I REDUCI: <<LA VITA CIVILE DIVENTATA PER LORO IMPOSSIBILE>>


Gli ex-combattenti messi sullo stesso piano delle classi proletarie si sentono frustati e sfogano il loro malcontento con un'opposizione alla classe operaia che riusciva con le sue rivolte ad aumentare i suoi privilegi minacciando i piccoli privilegi e lo status di classe intermedia non proletaria degli ex-combattenti. Oltre che verso gli operai le frustrazioni si indirizzano anche nei confronti della borghesia avide ed egoista arricchitasi durante la guerra. Si genera un clima di sfiducia nei confronti della classe dirigente liberale, incapace di tutelare gli interessi dei ceti medi rappresentandone aspirazioni e bisogni.


BENITO MUSSOLINI E LA NASCITA DEL MOVIMENTO DEI FASCI E DELLE CORPORAZIONI


A meta del 1919 c'era una chiara crisi di rappresentanza del ceto medio. Il malessere suscitato dalla crisi economica viene subito intuito da Mussolini, ex-direttore di "Avanti" ed esponente del Psi prima di venirne espulso per la proanda interventista. Mussolini il 23 marzo 1919 fonda il MOVIMENTO DEI FASCI E DELLE CORPORAZIONI, un movimento che due anni dopo avrebbe assunto la funzione di vero e proprio partito politico, il PARTITO NAZIONALE FASCISTA. Quello fondato da Mussolini, almeno inizialmente, era un movimento privo di riferimenti politici. Puntava su spinte nazionalistiche e conservatrici sfruttando la base di massa composta da ufficiali e ceti medi colpiti dalla crisi. I fasci di combattimento fanno la loro sa il 15 aprile quando incendiano la sede dell'"Aventi". L'avversario nonché l'obiettivo del nuovo movimento viene subito dichiarato: indebolire il movimento operaio e le sue organizzazioni ricorrendo alla violenza. Spesso l'azione fascista si confuse con quella del movimento nazionalista in quanto entrambi si richiamavano alla stessa concezione ideologica basata sull'attivismo volontaristico, l'esaltazione della violenza e dell'atto individuale, tutti valori che si scontrano con quelli pacifisti dello stato di diritto.


IL MITO DELLA VITTORIA MUTILATA CONTRO LO SPIRITO RINUNCIATARIO DI LIBERALI E SOCIALISTI


Alla conferenza di Versailles, Orlando (presidente del Consiglio) e Sonnino (ministro degli esteri) denunciano la differenza di trattamento tra i diversi paesi vincitori e si scontrano con Wilson (presidente USA) sul tema dell'annessione della Dalmazia che l'Italia riteneva necessaria per proteggere i propri confini adriatici. Nell'Aprile 1919 l'Italia abbandona per protesta la conferenza e l'opinione pubblica del paese crea il mito della vittoria mutilata: l'Italia aveva vinto la guerra ma perduto la pace. I liberali vengono accusati di avere uno spirito rinunciatario e di non saper far valere gli interessi della patria in campo europeo. Si verifica la contrapposizione politica tra l'Italia di Vittorio Veneto (forgiata dalla guerra) e quella prebellica (basata suldemocrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia liberale e socialista). Tutto ciò porta alle dimissioni di Orlando (giugno 1919). Il nuovo governo di Francesco Saverio Nitti, però, non è in grado di risolvere la crisi sviluppatasi in Italia che si aggrava invece ulteriormente nella seconda metà del 1919.


L'IMPRESA DI FIUME, UNA PROVA DI FORZA DEL MOVIMENTO NAZIONALISTA


La questione dalmata viene decisa da Gabriele d'Annunzio che decide di occupare Fiume con un reggimento di circa 9000 uomini proclamando la REGGENZA DEL QUARNARO, un'amministrazione autonoma repubblicana che implica l'annessione di Fiume all'Italia. Con questo atto che viola le relazioni internazionali, si verifica una delegittimazione del potere del parlamento e del governo. Le autorità locali inoltra mantengono all'oscuro il governo italiano dell'accaduto. La debolezza del governo di concretizza anche nel mancato intervento immediato (1 anno) una volta venuto a conoscenza dell'occupazione. Fiume diventa modello di proanda nazionalista, militarista e antiparlamentare. Col governo Giolitti ed il trattato di Rapallo (12 nov 1920) Fiume torna ad essere città libera.


IL PARTITO POPOLARE E IL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO DI STURZO


Con l'abrogazione del "non expedit", bolla di Pio IX in occasione della presa di Roma nella volontà di farla capitale, che vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica, nasce una nuova forza politica, il PARTITO POPOLARE ITALIANO (PPI). Don Luigi Sturzo, fondatore del partito, pone come cardini del suo programma la riforma agraria, il potenziamento della legislazione sociale e la riforma tributaria (più equa distribuzione di reddito e terre). Questo partito programmaticamente interclassista si propone di raccogliere una consistente base di massa nelle camne ottenendo significative adesioni anche del mondo operaio e dei ceti medi urbani.


LE ELEZIONI DEL 1919, SISTEMA PROPORZIONALE E VITTORIA DEI PARTITI POPOLARI


In queste elezioni avviene il passaggio dal sistema uninominale a quello proporzionale che cattolici e socialisti vedeva di buon grado. Il dominio liberale sulle elezioni a sistema uninominale si era indebolito già con il suffragio universale maschile; con l'introduzione del nuovo sistema proporzionale la base del consenso per venire eletti si era notevolmente ampliata ed era fondamentale poter contare su una vasta rete organizzativa che solo socialisti e popolari avevano. Il 16 novembre 1919 i popolari e i socialisti (con l'appoggio dei lavoratori) vinsero le elezioni pur avendo meno voti ma più seggi; il partito fascista ottenne solo 4 mila voti (dato significativo). Il passaggio dai liberali ai socialisti e ai popolari e l'espressione delle classi subalterne. Tale mutamento non risolve la crisi politica e sociale del paese che raggiunge invece una situazione di stallo: i partiti vincitori hanno programmi troppo contrastanti tra loro per raggiungere un accordo e allearsi ma, nello stesso tempo, nessuno di loro è in grado di governare il paese da solo.


L'ULTIMO MINISTERO GIOLITTI E L'APERTURA ALLE FORZE POLITICHE POPOLARI


Il Parlamento rinnova la fiducia a Nitti ma nel maggio 1920 viene costretto alle dimissioni. Giolitti appare nuovamente come l'unico uomo politico in grado di dar vita ad una maggioranza che riproduca nello scenario postbellico il compromesso borghesia-classi lavoratrici che stava alla base del decollo industriale di inizio secolo. Pur presentandosi con un programma fortemente riformista in campo tributario al quale associa il tentativo di aumentare i poteri del parlamento, Giolitti non ottiene il consenso dei socialisti e nemmeno quello dell'intero partito popolare. Il conflitto sociale intanto aumentava così come si amplificavano a dismisura le azioni violente dei fascisti.


L'OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE E L'"ORDINE NUOVO"

La crisi sociale si avvia ad uno sbocco rivoluzionario il 30 agosto con l'occupazione della fabbrica dell'Alfa Romeo da parte degli operai che si opponevano alla serrata imposta dalla direzione che si opponeva alle rivendicazioni dei lavoratori. Questo fatto rappresenta il momento culminante dell'attacco operaio nei confronti delle strutture della società borghese. L'epicentro dell'occupazione diventa Torino. Emergono nuove ure politiche come quelle di Gramsci e Palmiro Togliatti futuri padri del PARTITO COMUNISTA ITALIANO.


L'IMPOSSIBILE MEDIAZIONE E LA DEBOLEZZA DEL RIFORMISMO MODERATO DI GIOLITTI


Il 15 settembre 1920 viene stipulato un accordo che prevede il riconoscimento in favore degli operai di elementi di controllo ed intervento all'interno della gestione delle aziende (seppur solo formalmente) nonché forti aumenti salariali.

Il moto operaio era troppo debole e circoscritto per uscire dai confini istituzionali ed era inoltre troppo violento per essere ricomposto per mezzo di un accordo che ne decreta una fine solo apparente. La borghesia agraria e manifatturiera che prendono il sopravvento in molti settori, non concordano più con i metodi di Giolitti indicando nei poteri dei sindacati e nelle continue richieste delle classi operaie un blocco verso il risanamento economico e la principale causa del disordine sociale. Anche per la borghesia industriale le cose non si mettono bene: le lotte, ispirate al mito dei soviet, tendono ad avere un carattere fortemente rivoluzionario ed inoltra gli operai hanno dimostrato di poter far funzionare le fabbriche anche da soli. Questa prospettiva pericolosa fa traslare le idee degli industriali da quelle moderate di Giolitti a quelle del fascismo e delle sue squadre armate.


LE PRIME OFFENSIVE DELLO SQUADRISMO FASCISTA: DAL BIENNIO ROSSO AL BIENNIO NERO


La frattura tra borghesia e liberalismo moderato di Giolitti va via via ampliandosi; tensioni interne al partito socialista (Psi) minano la credibilità politica del partito facendogli perdere consensi in particolare nei grandi centri dove il "blocco nazionale" (liberali conservatori, fascisti e nazionalisti) ottengono vasti successi. Ci sono in questo periodo anche i primi sfaldamenti nella mobilitazione operaia e contadina. E' in questa complicata situazione sociale e politica che avviene la prima grande offensiva dello squadrismo fascista: in occasione dell'insediamento dell'amministrazione socialista a Bologna, i fascisti, aiutati dalle forze dell'ordine, danno vita a lotte e tumulti che provocano decine di morti e feriti. Il mese seguente accade lo stesso a Ferrara. Avviene il passaggio dal biennio rosso a quello nero.


LA CRISI DEL COMPROMESSO GIOLITTIANO E LA NASCITA DEL PARTITO FASCISTA


Il cambiamento economico del 20-21 spinge il fascismo a diventare, da movimento minoritario violento, soggetto politico in grado di dare uno sbocco autoritario alla crisi. La crisi del compromesso giolittiano e le difficoltà del movimento operaio aprono la strada alla riorganizzazione del fronte conservatore sotto la guida dei fasci. Il movimento dei fasci assume le vesti di PARTITO NAZIONALE FASCISTA (11 novembre 1921, un partito organizzato gerarchicamente che abbandona le venature anticlericali tipiche del movimento dei fasci e delle corporazioni. Mussolini si impegna in parlamento in favore della chiesa conquistando le simpatie di Pio XI; la nuova organizzazione abbandona anche le idee repubblicane ottenendo ampi consensi anche negli ambienti monarchici. Alla base del progetto politico fascista rimane comunque l'uso della violenza su larga scala ed in particolare nei confronti del movimento operaio. Potenziando le squadra d'azione, Mussolini decide di intensificare le spedizioni punitive contro sedi di partiti e giornali a lui ostili (democratici) incendiando, distruggendo, uccidendo.


LO SQUADRISMO AGRARIO, I PICCOLI E MEDI AGRICOLTORI CONTRO LE LEGHE BRACCIANTILI


Teatro delle azioni fasciste diventano le camne. Nella val Padana la proprietà si era spostata dai grandi proprietari a piccoli e medi agricoltori fortemente indebitati. Questi vedevano con timore le lotte contadine entrando in collisione con gli interessi dei braccianti aprendo quindi una frattura nella società rurale. In tale fratture fa il suo ingresso il partito fascista, paladino della proprietà, il quale organizza squadre armate per distruggere le sedi dei sindacati, delle leghe, delle cooperative rosse (socialiste) e bianche (cattoliche). La violenza maggiore viene esercitata verso le leghe bracciantili.


I LIBERALI APPOGGIANO IL MOVIMENTO MUSSOLINIANO IN CHIAVE ANTISOCIALISTA


Senza l'appoggio dei liberali il fascismo non avrebbe mai potuto salire al potere; le forze liberali pur non condividendone le azioni, appoggiano i fascisti per combattere il movimento bracciantile per poi staccarsi da loro per frenarli una volta ottenuto il loro scopo. Dal canto loro le forze di sinistra e il movimento sindacale sottovalutarono la gravità della situazione e non puntarono sulla mobilitazione popolare. Se ne accorsero nettamente in ritardo. Le incursioni fasciste si svolsero senza trovare opposizione e spesso furono aiutate da prefetti e autorità militari. Anche Giolitti si mosse a favore dei fascisti in chiave antisocialista.


LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO: TATTICISMO RIFORMISTA E CHIUSURE MASSIMALISTE


La sconfitta del movimento operaio è imputabile, oltre che al mutato scenario economico, anche alla debolezza del Partito socialista. Questo infatti è diviso ed indebolito da dissidi interni, nonché da contraddizioni dovute principalmente agli scontri tra l'ala radicale e quella moderata conservatrice. All'ala radicale massimalista che aveva il predominio si contrapponeva dunque l'ala moderata conservatrice che subisce il tatticismo riformista prima di Nitti e poi di Giolitti. Il gruppo progressista in definitiva non è in grado di articolare un valido piano di riforme. Quando ciò viene fatto dai riformisti, i tempi sono ormai troppo avanzati e lo scenario politico italiano non permette più una soluzione di tipo riformista.

LA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA E LE DIVISIONI DEL MOVIMENTO SOCIALISTA


La presa di posizione dei riformisti porta a contraddizioni interne nel Psi. La direzione espelle alcuni membri tra i quali spicca il nome di Turati, uno dei fondatori del PARTITO SOCIALISTA UNITARIO avente Giacomo Matteotti come segretario. Sono gli esiti di una lunga crisi politica originatasi al 27°congresso del Psi a Livorno. In quel giorno la minoranza comunista decide di abbandonare il partito socialista e, capeggiata da Gramsci, di formare il PARTITO COMUNISTA D'ITALIA; tale partito resta in aperta rottura con massimalismo e riformismo socialista. Frammentato, isolato ed indebolito il partito socialista non regge l'urto delle azioni delle squadre fasciste che con le loro incursioni dilagano in tutte le città di "sinistra" senza incontrare alcuna resistenza.

LA DEBOLEZZA DEI GOVERNI E LA CRISI GENEREALE DELLO STATO LIBERALE


Mussolini intuisce il momento della svolta, fonda nel 1921 il partito fascista, che gli permette una maggiore azione politica, la cui base è piccolo borghese e cattolica. Inizialmente Mussolini si impegna a favore della chiesa riscotendo le simpatie di Pio XI. Il gruppo dirigente fascista elabora un piano insurrezionale per piegare le ultime resistenza antifascista accelerando così la scalata verso il potere. Lo stato liberale era agli apici della sua crisi: non aveva più il controllo dell'ordine pubblico (i fascisti dettano legge con la forza e le armi), l'opposizione socialista diventa sempre più debole. La debolezza dello stato liberale si concretizza dunque in un Parlamento "paralizzato" da lacerazioni interne e quindi incapace di assumere un direzione politica valida. Con il '21, anno nel quale cade il governo Giolitti, si susseguono al governo ministeri incapaci di controllare la situazione mentre la maggioranza moderata, pur criticandone la connotazione illiberale, decide di sostenere Mussolini. L'instabilità politica si acuisce ulteriormente.


LA MARCIA SU ROMA: L'ITALIA VERSO LA DITTATURA


Il 16 ottobre 1922 i vertici fascisti stabiliscono un piano per l'insurrezione finale. Al comando di un "quadrumvirato" composto da De Bono, Balbo, Cesare de Vecchi e Michele Bianchi i fascisti partono alla volta di Roma (19 ottobre) occupando città e paesi dell'Italia centro-settentrionale; Mussolini attendeva gli esiti della battaglia da Milano. La proposta di Facta (capo del governo) di decretare lo stato di assedio per permette l'intervento dell'esercito viene respinta da Vittorio Emanuele III che affida, inoltre, a Mussolini il compito di formare un nuovo governo (28 ottobre).

Il progetto dei liberali di servirsi per poi controllare i fascisti è fallito. L'appoggio della corona, della borghesia industriale e agraria e la neutralità della chiesa permettono ai fascisti e a Mussolini di imporre la voluta svolta autoritaria. Dal "colpo di stato" di Mussolini si passa in seguito ad una dittatura cupa ed aggressiva.


I FASCISTI AL GOVERNO E I PRIMI PROVVEDIMENTI DI POLITICA ECONOMICA


All'interno del primo gabinetto fascista trovano posto anche liberali, popolari ed indipendenti; tale governo era dunque sostenuto da un'ampia maggioranza parlamentare. Tale fiducia si conura in immediati risultati tangibili ottenuti dal governo Mussolini. In primo luogo si verifica una RIPRESA ECONOMICA nel triennio 1923-25. Per favorire tale avvenimento si fa ricorso al fisco ovvero vengono dichiarate decadute le leggi fiscali di Giolitti (che tassavano i sovrapprofitti bellici); si sottopongono salari operai e redditi contadini alle imposte sul reddito; si incrementano i prelievi sui consumi mediante imposte indirette. Accanto alla ripresa economica si sviluppa anche una DRASTICA RIDUZIONE DELLA SPESA PUBBLICA. A livello politico, invece, i fascisti decidono di restringere progressivamente le libertà di azione ed espressione accordando libertà a livello economico agli imprenditori i quali venivano agevolati da massicci prestiti per incrementare produzione ed investimenti. Si sviluppa una politica economica innovativa per la nazione rispetto al passato.


LA BATTAGLIA DEL GRANO E LA BONIFIFCA INTEGRALE, IL RILANCIO DELLA PRODUZIONE INTERNA


Dopo il 1924 crescono le esportazioni di manufatti, nasce così un boom economico che durerà fino al 1926 quando si giungerà ad una nuova fase di ristagno. Per ovviare a tale problema diminuendo le importazioni, i fascisti decidono di stimolare al massimo la produzione interna ed è così che vengono lanciate due iniziative:

la battaglia del grano: per accrescere la produzione agricola

la bonifica integrale: per aumentare la superficie coltivabile

Tali iniziative richiedevano un ingente utilizzo di manodopera che risolve positivamente il problema della disoccupazione nelle camne.


IL DELITTO MATTEOTTI: IL CARATTERE ILLIBERALE DEL REGIME


Nei primi anni di governo, Mussolini, avvia un programma di radicali trasformazioni istituzionali. Tradizionalmente ostile al Parlamento, il fascismo ne sostituisce le prerogative essenziali formando dei nuovi organismi in sostituzione di esso. Nascono il GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO, a cui furono attribuite alcune funzioni spettanti in principio al parlamento, e la MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE, incaricata della difesa del regime e nella quale confluirono la squadra d'assalto. Aumentano naturalmente le restrizioni in materia di libertà di stampa e di riunione. Nel 1924 le elezioni vengono vinte dal "listone" (fascisti e conservatori) per mezzo di voti truccati ed intimidazioni. Il solo Giacomo Matteotti (socialista) denuncia il fatto al Parlamento venendo così rapito ed ucciso a Roma il 10 giugno 1924. Tale delitto suscita indignazione nell'opinione pubblica ed in parlamento dei deputati abbandonano la Camera attuando una protesta morale che resta tuttavia simbolica (la secessione dell'Aventino) in quanto Mussolini, sebbene vacillante, utilizza l'aiuto e la protezione del re Vittorio Emanuele III


IL 1926, L'ANNO DI SVOLTA DEL REGIME VERSO LA DITTATURA: IL POTERE AL DUCE


Passata la bufera Mussolini da una svolta radicale alla sua politica che ha sempre rispettato formalmente le regole costituzionali. Prende corpo un assetto istituzionale e politico che prende il nome di regime fascista anche per mezzo di iniziative parallele quali:

riduzione al minimo dell'attività di opposizione politica

svuotare il parlamento della funzione di massimo organismo politico

allargare il consenso al fascismo per mezzo della mediazione sociale cioè attraverso sindacati di stato, istituti di assistenza e previdenza

Il vero anno di svolta è comunque quello tra il 1925 e il 1926: si passa da un regime ad una vera e propria dittatura mediante la promulgazione di una serie di decreti governativi con la collaborazione di Alfredo Rocco (ministro della Giustizia) uno dei capi del nazionalismo. Tali decreti limitavano ancora di più la libertà di stampa e di attività politica.

Allo stesso tempo si ha una svolta accentratrice dei poteri nelle mani dello stato: il duce congloba in se i poteri di capo del governo, del partito e titolare di alcuni ministeri come quello della Guerra, degli Interni e degli Esteri. Non viene abrogato lo statuto albertino ma subisce nette e sostanziali modificazioni delle sue norme costituzionali. Il parlamento si vede togliere la funzione legislativa che passa al governo e nello stesso tempo diventa organo di controllo. Viene modificato anche l'assetto amministrativo della comine statale: vengono sostituiti sindaci e presidenti di provincia con podestà e presidi; il potere locale passa nelle mani del prefetto che risponde direttamente al duce del suo operato.


LA SOPPRESSIONE DELL'OPPOSIZIONE E IL FENOMENO DEL FUORIUSCITISMO


Vengono dichiarati illegali tutti i partiti politici escluso quello fascista; nasce il TRIBUNALE SPECIALE PER LA DIFESA DELLO STATO con lo scopo di sopprimere le opposizioni al regime. Questo attua una legislazione repressiva che porta all'arresto di Gramsci (comunista) e alla nascita del fenomeno del fuoriuscitismo dei dirigenti dei partiti socialista, popolare, repubblicano e liberale tra i quali spiccano i nomi di Turati, Sturzo e di Nello e Carlo Roselli


L'APERTO SOSTEGNO DELLA CHIESA CATTOLICA E DI PIO XI


Il fascismo può contare anche sull'appoggio della chiesa che nel 1922 aveva eletto a pontefice Achille Ratti, Pio XI, esponente dell'ala conservatrice della chiesa, avversa a socialismo e alla democrazia liberale. La svolta impartita alla sua politica da Mussolini viene accolta dalla chiesa con neutralità ed in seguito con favore, fatto questo che porta Sturzo, convinto antifascista, alle dimissioni.


APRILE 1926, LE LEGGI SINDACALI RENDONO ILLEGALI SCIOPERI E SERRATE


Nel 1925 l'accordo di palazzo Vidoni obbliga la Confindustria a stipulare accordi solo con il partito fascista. Nell'aprile 1926 vengono promulgate leggi sindacali che rendono illegali scioperi e serrate. Gli organismi di rappresentanza sindacale vengono riconosciuti come organismi di stato ed inquadrati in corporazioni professionali che avrebbero dovuto appianare i conflitti sociali in favore degli interessi superiori della nazione. La tutela di questi è affidata alla Magistratura del lavoro. Con tale azione repressiva venivano disconosciuti i lavoratori come forza sociale e, nello stesso tempo, diventavano semplice forza lavoro. Da queste leggi si nota la volontà di creare uno stato totalitario che impedisce ai lavoratori di difendersi e contrattare liberamente i propri interessi.


GIOVANNI GENTILE E ALFREDO ROCCO: LA COSTRUZIONE DEL CORPO TEORICO DEL REGIME


Con questa attività legislativa il fascismo vuole rimodellare i rapporti individuo-società e classi-stato. Il corpo teorico del nuovo regime è costituito da intellettuali quali Giovanni Gentile e Alfredo Rocco. Gentile (filosofo) offre al regime la giustificazione teorica del suo operato, ciò consiste nel respingere l'idea che il fascismo sia contrario ad ogni forma di cultura e, in secondo luogo, affermare che gli aspetti positivi del liberalismo sono stati assorbiti dal nuovo movimento fascista. Vuole costruire un collegamento fascismo-Risorgimento idealizzando il pensiero di Mazzini e Gioberti. Rocco invece ha il compito di dare corpo giuridico alla concezione statalista e dirigista tipica del fascismo. L'unica entità credibile della nazione è lo stato; la società civile non gode di alcuna autonomia rispetto all'attività statale; la mano dello stato ha il compito dominare i conflitti tra le classi. Deriva da ciò l'idea che sindacati ed associazioni debbano diventare organi di stato. E' una ideologia antitetica rispetto a quella tradizionale liberale ed è anche questa adatta a giustificare lo stato totalitario che Mussolini vuole creare. Il contributo di Rocco è quindi piuttosto cospicuo: sue sono le leggi sindacali, la riforma elettorale (voto si o no), la definizione giuridica del Gran Consiglio ed il codice penale del 1931.


LA SVOLTA DEL 1926 IN POLITICA ECONOMICA


Nel 1926 le condizioni che hanno favorito la ripresa economica del 1924 iniziano a venir meno; inflazione e svalutazione della lira rischiano di trasformarsi da incentivi a pericolosi elementi di crisi. In questo periodo viene quindi avviata un'azione di politica monetaria, voluta dal duce e promossa dal ministro delle Finanze Volpi, atta a rivalutare la moneta italiana. Una moneta svalutata agevola le esportazioni ma complica le importazioni. L'inflazione invece è incompatibile con l'obiettivo di ridurre i salari, principale obiettivo della borghesia e fonte del suo appoggio nei confronti del fascismo.


LA LIRA A "QUOTA 90": L'AUTORITA' DEL REGIME SUL MONDO IMPRENDITORIALE


Nel 1926 con il discorso di Pesaro Mussolini lancia l'operazione "Quota 90" che consiste in una rivalutazione della lira nei confronti della sterlina, moneta principale di scambio. La nuova fase prevede una diminuzione dell'inflazione per mezzo del controllo dei prezzi, la protezione di risparmiatori e la tutela dei settori industriali più forti facendo ricorso ad un rigido protezionismo. Tale azione rafforza il consenso interno ed estero e stimola la grande industria pur danneggiando la piccola impresa esportatrice. La rivalutazione politica fa capire inoltre che in Italia l'unica volontà politica è quella del duce, si tratta di una prova di forza che fa capire agli industriali che il nuovo governo non assomiglia minimamente a quello antico e che la mediazione non sarà tanto semplice e scontata. Mussolini ha dimostrato di saper fornire garanzie e di saper mediare i suoi interessi verso i lavoratori; tutto deve essere subordinato alla completa adesione al regime e al riconoscimento del suo potere indiscusso. La svolta politica va quindi resa in questa ottica: lo stato corporativo e l'irriggimentazione degli organi statali sono condizioni indispensabili affinché le conseguenze sociali della rivalutazione della lira non portassero ad una nuova conflittualità sociale.


GLI EFFETTI SOCIALI DELLA RIVALUTAZIONE: IL VASTO CONSENSO DELLA PICCOLA BORGHESIA


Quota 90 porta infatti ad una nuova crisi nei settori economici dediti all'esportazione. Aumenta la disoccupazione a dismisura e si verifica una forte erosione dei salari. Si giunge ad un biennio di squilibri e tensioni sociali in particolare nel triangolo industriale. La carta del lavoro del 1927 di fronte alle nuove lotte dimostra la sua inconsistenza. In queste gravi condizioni il regime sceglie di appoggiare i grandi gruppi industriali scaricando i costi della rivalutazione sui salari. Il regime continua così a rafforzarsi in quanto la rivalutazione si dimostra strumento di difesa del piccolo risparmiatore. La borghesia assume la funzione di base di massa del regime, l'ambito sociale in cui il partito raccoglie i maggiori iscritti e consensi.  Anche la chiesa contribuisce ad aumentare lo sviluppo del fascismo in quanto prima tollera la distruzione del partito popolare e lo scioglimento delle organizzazioni giovanili ed in seguito appoggia la svolta totalitaria del regime.


Galleria di foto e immagini per: fascismo





Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta