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IL LIBERALISMO
L'idea fondamentale del liberalismo è che l'individuo ha un valore assoluto, indipendentemente dalla Società e dallo Stato di cui fa parte, e che pertanto lo Stato è il prodotto di un libero accordo tra gli individui (contrattualismo).
Il liberalismo nasce dalla crisi della concezione autoritaria e gerarchica della società propria del pensiero medievale e trova infine la sua conclusione nel liberalismo politico, la cui patria è l'Inghilterra, ossia in una determinata concezione dello Stato, nella concezione appunto dello Stato liberale: secondo questa concezione il fine principale dello Stato non è già un fine positivo, di provvedere, ad esempio, al bene comune, di rendere i sudditi moralmente migliori, o più saggi, o più felici, o più ricchi, ma è il fine negativo di rimuovere gli ostacoli che impediscono al cittadino di migliorare moralmente, di diventare più saggio, più felice, più ricco, secondo le proprie capacità e a proprio talento.
Contro lo Stato assoluto, in cui il sovrano ha un potere senza limiti giuridici, cioè è legibus solutus, lo Stato liberale è uno Stato limitato, cioè uno Stato in cui si tende a limitare il più possibile gli abusi del potere, e quindi a garantire la libertà dei cittadini dall'ingerenza dei pubblici poteri.
Questi limiti derivano, in sede di principio, dai compiti ristretti che vengono attribuiti allo Stato, inteso come arbitro nella gara degli interessi individuali e non come promotore esso stesso degli interessi comuni.
Rispetto alla struttura giuridica, i limiti del potere dello Stato vengono posti mediante due istituzioni caratteristiche: anzitutto mediante il riconoscimento che esistono diritti naturali dell'individuo anteriori al sorgere dello Stato, che lo Stato non può violare, anzi deve garantire nel loro libero esercizio (dottrina del diritto naturale); in secondo luogo, mediante l'organizzazione delle funzioni principali dello Stato, in modo che esse non vengano esercitate dalla stessa persona o dallo stesso organo (come accadeva nelle monarchie assolute), ma da diverse persone o organi in uno o altro modo cooperanti, secondo quanto teorizzato dalla dottrina della separazione e dell'equilibrio dei poteri.
Tanto la teoria dei diritti naturali, quanto quella della struttura dei poteri, si trova esposta nel Secondo trattato sul governo civile (1690) del filosofo inglese John Locke, che è considerato il maggior teorico del liberalismo: la sua opera è, da un lato, la dottrina postuma della Rivoluzione inglese del 1688, e dall'altro, il presupposto ideale della futura Rivoluzione americana, e non sarà senza influsso, soprattutto attraverso il Montesquieu, sulla Rivoluzione francese.
La dottrina che applica i principi del liberalismo in economia, è il liberismo. Si dicono liberisti coloro che sono a favore dell'applicazione del principio del laissez-faire, il quale stabilisce una politica di non intervento dello stato nelle attività economiche private. Tale teoria fu rielaborata dall'economista scozzese, Adam Smith, che giudicava il benessere individuale più importante del potere dello Stato; egli auspicò un apolitica di libero scambio che lasciasse agire la "mano invisibile" della concorrenza, intesa come forza regolatrice dell'economia.
Mentre il liberalismo ha per principio ispiratore la libertà individuale, il principio ispiratore della democrazia è l'eguaglianza. La teoria democratica afferma che il potere deve appartenere non a uno solo o a pochi, ma a tutti i cittadini, dunque il concetto fondamentale è quello di sovranità popolare.
La sovranità, cioè il potere di dettar leggi e di farle eseguire, risiede nel popolo: se il popolo può trasmettere questo potere, o meglio l'esercizio di questo potere, temporaneamente ad altri, per esempio ai suoi rappresentanti, come accade nel sistema parlamentare, non può rinunciarvi e alienarlo per sempre.
A questa stregua, mentre il liberalismo tende a proteggere essenzialmente i diritti civili, per esempio la libertà di pensiero e di stampa, di riunione e di associazione, la dottrina democratica ha come suo fine principale la difesa dei diritti politici, con la quale espressione si intendono tutti i diritti di partecipare direttamente o indirettamente al governo della cosa pubblica. Uno Stato è tanto più democratico quanto più numerose sono le categorie dei cittadini a cui estende i diritti politici, sino al limite del suffragio universale, cioè dell'attribuzione dei diritti politici a tutti i cittadini prescindendo da ogni differenza riguardante la ricchezza, la cultura o il sesso. Il che spiega, tra l'altro, come vi possa essere un divario tra uno Stato liberale puro e uno Stato democratico puro: uno Stato in cui fossero riconosciuti i principali diritti civili, ma il suffragio fosse ristretto, poteva definirsi liberale ma non democratico; d'altra parte uno Stato a suffragio universale può, servendosi degli stessi congegni della democrazia, instaurare un regime illiberale, come è accaduto in Germania nel 1933, quando il nazismo s'impadronì del potere avvalendosi del metodo elettorale.
Teorico principale della democrazia è Jean-Jacques Rousseau, il quale nel Contratto sociale, 1762, avendo definito la libertà come obbedienza alle leggi che ciascuno ha dato a se stesso, afferma che il cittadino per essere libero deve entrare in uno Stato in cui la sovranità appartenga alla volontà generale, in modo che ognuno unendosi a tutti e sottoponendosi alla volontà generale, di cui è parte, non obbedisca che a se stesso e sia libero come prima.
Ponendo l'accento sull'individuo che possiede i mezzi spirituali e anche materiali per l'esercizio e il godimento delle libertà, il liberalismo è stato definito fino alla rivoluzione francese una visione della società ostile alla estensione dei "diritti", in primo luogo politici, a coloro che quei mezzi non possedessero. Perciò il liberalismo ha assunto e mantenuto nell'epoca moderna una connotazione ostile alla democrazia, con essa anzi inconciliabile. Sono stati Rousseau sul piano teorico e quelle forze che nel corso prima delle rivoluzioni inglesi e poi della rivoluzione francese hanno rivendicato l'idea della sovranità popolare, - in base all'argomento che l'ordine politico in quanto tutti coinvolge deve poggiare sull'espressione e sulla verifica della volontà di tutti - prima a porre le critiche per la critica del liberalismo oligarchico e poi a porre le premesse per l'apertura del liberalismo alla democrazia e alla creazione di ordinamenti liberal-democratici.
L'idea del liberalismo è storicamente connessa in modo inderogabile al diritto di proprietà; le finalità che esso serve sono sempre finalità di uomini che detengono tale diritto; fuori da questa cerchia ristretta, l'individuo per cui i diritti esso si è battuto è sempre stato un'astrazione alla quale i suoi benefici non hanno potuto essere pienamente concessi; siccome i suoi propositi sono sempre stati delineati dai detentori del diritto di proprietà, la distanza fra le sue proteste e le sue attuazioni è sempre stata grande.
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