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Il Circolo degli Scipioni
Le guerre d'Oriente e la cultura.
Con le vittorie in Oriente su Filippo V (196 a.C.) e Antioco III di Siria (189 a.C.), le legioni dell'Urbe, condotte dai consoli Lucio Cornelio Scipione prima, e da Lucio Emilio Paolo poi, conquistarono la Grecia e la Macedonia, cosicchè la cultura ellenistica e quella romana entrarono in contatto. In breve tempo si diffusero nella capitale i costumi, la lingua, l'arte e in particolare la filosofia ellenistica che trovò numerosi sostenitori soprattutto nei giovani romani. Solo pochi si opposero all'affermazione della cultura greca a Roma e tra questi spicca il nome di Marco Porzio Catone che, eletto console nel 184 a.C., accusava i Greci di appartenere a una società decadente e corrotta, che avrebbe potuto minare gli antichi e tradizionali costumi della patria (mos maiorum). L'opposizione di Catone al diffondersi della cultura e dei costumi ellenizzanti a Roma portò addirittura all'emissione di diversi bandi emanati contro i filosofi greci considerati come corruttori, ma dopo il 155 a.C. non si ha più notizia di provvedimenti di questo genere, poiché ormai l'opposizione ufficiale dei conservatori si era andata affievolendo e gli studi filosofici avevano ormai preso sede stabile a Roma. L'atteggiamento di Catone non ebbe perciò successo e alla fine della sua lunga vita anch'egli fu indotto a una sia pure parziale conversione.
La penetrazione a Roma della filosofia greca.
La cultura che a Roma aveva avuto fini essenzialmente pratici acquista in questo periodo una maggiore autonomia e gli uomini dell'aristocrazia cominciano a provare interesse per la cultura in se stessa; prove di questo possono essere trovate nel fatto che il console Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna (168 a.C.) portò con sé a Roma uomini di cultura greca e, come bottino di guerra, la ricca biblioteca del re Perseo di Macedonia, che utilizzò per l'educazione dei due li Fabio Massimo e Scipione Emiliano, che, adottato dagli Scipioni assunse il nome di Publio Cornelio Scipione Emiliano. Fu proprio costui, detto anche Africano minore, il promotore e il "fondatore" di quello che sarà indicato come un "circolo" culturale di Roma, costituito da membri di famiglie nobili, da filosofi, letterati sia greci che latini. Accanto a Scipione, fra gli aristocratici romani urarono Gaio Lelio, oratore e appassionato di filosofia, l'annalista Gaio Fannio, genero di Lelio, Furio Filo, lo storico e giurista Rutilio Rufo, il poeta Terenzio e Caio Lucilio, giovane letterato di piccola nobiltà accolto nel circolo con sentimenti di sincera amicizia dai colleghi più famosi. Fra i Greci le personalità più eminenti erano lo storico Polibio, che era stato educatore di Scipione Emiliano giovinetto e poi suo consigliere politico, e il filosofo stoico Panezio, che venne a Roma verso la metà del II secolo. Scipione si faceva seguire dai suoi colti amici nelle spedizioni militari, e con essi discuteva di politica e filosofia; nei momenti di riposo condivideva con loro gli svaghi dell'amicizia più intima, a volte anche infantile, come giocare a palla, raccogliere conchiglie sulla spiaggia nei pressi delle ville o rincorrersi intorno alla tavola. Orazio (Saturae II, 1,71) fa di Scipione, Lelio e Lucilio i protagonisti di una scenetta di amici che, ritirati in camna si abbandonavano a conversazioni, scherzi e allegri banchetti. Probabilmente è questa un'invenzione del poeta, che descrive bene lo stile di vita di questo gruppo di amici e affini, fatto di cultura e intelligenza, attenzione ed ironia per tutti gli aspetti della vita.
I critici del secolo scorso per definire questo gruppo di amici coniarono il termine "Circolo degli Scipioni", valendosi anche delle notizie che su di esso ci giungono attraverso le opere di Cicerone (De officiis). Il circolo scipionico è in realtà un'astrazione, cioè una struttura inesistente. Per questo oggi si tende a rivedere e abbandonare del tutto il concetto; a Roma non ci fu nulla di paragonabile ad un "circolo". Esso non aveva infatti programmi letterari o ideologici ben definiti, eventualmente suggeriti dall'aristocrazia romana, come ebbe poi il circolo di Mecenate, circa un secolo dopo. Non bisogna dimenticare che l'interesse per la cultura greca e la protezione dei poeti era per gli Scipioni una tradizione di famiglia fin dai tempi dell'Africano e come la politica si basava su amicizie personali, comunanza di interessi e legami di parentela, così doveva avvenire per la cultura. Possiamo quindi definire il circolo scipionico "spontaneo", nato cioè dalla volontà di un gruppo di affini.
I membri del "circolo" si dimostravano rispettosi della tradizione romana, ma sensibili ad apprezzare ciò che di positivo vi era nella civiltà greca, riconoscendo in particolare la profonda importanza della filosofia e dell'arte ellenistica e cercarono di fondere le conoscenze della cultura greca alla civiltà romana, che non veniva quindi soffocata ma arricchita ed affinata. Il loro sogno era dunque quello di fondere la cultura filosofica greca e la sapienza politica romana, in modo che questa cultura venisse assimilata ed armonizzata con il mos maiorum.
L'ideale dell"humanitas.
La fusione dei valori romani con la civiltà greca fu indicata in latino con il termine humanitas, intesa come educazione dotta e raffinata, ma anche sentimento di partecipazione ai dolori e ai problemi umani. Questo ideale troverà espressione nelle commedie ricche di emozioni e sentimento dello schiavo cartaginese Publio Terenzio Afro (190-l59 a.C.) e in quelle di tutt'altro genere dell'umbro Tito Maccio Plauto (255-l84 a.C.). L'ideale dell'humanitas è il contributo più importante che il "Circolo degli Scipioni" offrì alla romanità.
Il primo aspetto dell'humanitas è il principio secondo cui tutti gli uomini sono uguali per natura; da ciò consegue il dovere naturale alla filantropia e, sul piano politico, al servizio disinteressato dell'umanità. Di qui nasce la giustificazione delle conquiste dell'impero di Roma, che ha il compito di proteggere le genti, assicurando loro la giustizia e la pace. L'humanitas intesa come filantropia ebbe in realtà scarsa incidenza sulla politica di Scipione Emilano; nel corso del secondo secolo avanti Cristo la politica estera dei Romani diventa più imperialistica e la formula del protettorato rimane un aspetto esteriore, che maschera la realtà delle guerre di conquista. Le feroci distruzioni di Cartagine (146 a.C.) e di Numanzia (133 a.C.) e la deportazione degli abitanti sotto la guida di Scipione sono esempi significativi di quanto l'attuazione pratica degli ideali dell'humanitas fosse difficile. Polibio di Megalopoli, venuto a Roma come ostaggio nel 166 a. C., indaga nella sua opera storica i motivi della superiorità dell'Urbe sulle altre nazioni. Egli scrive le Storie sinceramente ammirato della grandezza di Roma, per mostrare come essa fosse giunta all'impero universale grazie alle virtù della sua classe dirigente e all'equilibrio della sua costituzione (politica mista: la monarchia rappresentata dai consoli, l'aristocrazia dal Senato e la democrazia dai comizi). Secondo Polibio, Roma poteva porsi alla guida politica del mondo intero grazie alla sapienza con cui aveva organizzato il suo stato; ciò porta una importante giustificazione dell'imperialismo romano che andava diffondendosi non solo tra gli intellettuali ma anche fra il popolo, in quanto giustificato come missione universale e provvidenziale.
Altra personalità di spicco del "circolo" fu Panezio di Rodi lo storico che nel trattato Sul conveniente fornì un modello di comportamento dell'aristocrazia romana, attenuando il rigorismo dello stoicismo e occupandosi di problemi di morale pratica e sociale. Si delinea grazie a lui il secondo aspetto dell'humanitas, cioè l'affermazione dell'autonomia della persona umana, per cui l'uomo deve sviluppare liberamente la propria natura individuale, scegliendo il genere di vita più conforme alla sua inclinazione.
Dal secondo aspetto dell'humanitas discende il terzo, cioè la giustificazione dell'attività culturale come autonoma e avente una sua dignità non meno dell'attività politica.
L'otium letterario.
Gli appartenenti al circolo degli Scipioni considerano la cultura un elemento essenziale per la formazione dell'uomo e si dedicano alla letteratura principalmente nelle pause della vita politica. Uno di loro, Lucilio, però sceglie di non partecipare alla politica attiva, nonostante le ottime prospettive dovute alla sua appartenenza all'aristocrazia equestre; come primo letterato aristocratico, Lucilio predilige la vita colta e agiata alla corruzione politica che già Catone aveva riscontrato.
La valorizzazione della cultura e dell'arte porta però al distacco dalla vita quotidiana e dal popolo; l'artista, cercando di affermare liberamente la propria personalità, finirà di isolarsi completamente dalla vita sociale.
Quindi gli ideali del "Circolo degli Scipioni" se da una parte volevano "giustificare" l'imperialismo romano e incoraggiare gli uomini di cultura alla cura bene della società, dall'altra distoglievano l'individuo dalle cure della res publica inducendolo all'otium letterario. Gli ideali del "circolo", rappresentano un giusto equilibrio fra i valori di una società aristocratica al suo culmine e influenzeranno la cultura delle età successive. Cicerone troverà in questi ideali un modello di umanità, profonda sensibilità, raffinatezza, equilibrio e saggezza e attraverso Cicerone questi ideali si trasmetteranno alla culture delle generazioni successive (Umanesimo, Rinascimento).
Bibliografia:
Gruppo studi e ricerche storiche - Geostoria antica e medievale 1 - Bulgarini
Perelli - Storia della letteratura latina - Paravia
Conte - Letteratura latina - Le Monier
Bettini - Cultura e Letteratura a Roma - La Nuova Italia
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