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Il Fascismo di Mussolini
Benito Mussolini. Una tra le menti che rivoluzionarono una fetta di storia che appartiene a questa grande torta che è il mondo. E’ riuscito a condizionare vite e vite, contribuendo anche allo sterminio di alcune di queste grazie alla sua alleanza con Hitler. Uno degli uomini più potenti e folli che l’Italia abbia avuto al potere.
La
prima origine di questo movimento risaliva al marzo del 1919, quando Benito
Mussolini, un ex leader del partito socialista espulso per le sue posizioni
interventiste, fondava i fasci a Milano, un movimento che riuniva
ex-combattenti, ex-sindacalisti rivoluzionari ed ex-repubblicani.
In base al programma di San Sepolcro, i fasci si presentarono alle elezioni del novembre del 1919 ottenendo 5000 voti e senza conseguire alcun seggio.
Il programma di San Sepolcro prevedeva il suffragio universale, la sostituzione della repubblica alla monarchia, riforme fiscali, la riduzione della giornata lavorativa, e alcuni elementi fortemente anticlericali. Ma proprio in questo programma si comprendeva l'ispirazione violentemente antisocialista e antioperaia che poi si attuò nell'azione politica.
Dopo l'insuccesso elettorale del 1919 nacque un forte fascismo 'agrario' e lo squadrismo. Gli agrari appoggiavano e finanziavano le 'squadre d'azione' fasciste che giravano per colpire e ridurre al silenzio i sindacati, le associazioni dei braccianti e le organizzazioni socialiste.
Nel 1921, con le elezioni politiche di Maggio, i liberali scelsero di allearsi con il movimento di Mussolini per riuscire a fronteggiare i due grandi partiti di massa: socialisti e cattolici. A capo del partito liberale c'era Giolitti che in realtà sperava di poter poi riassorbire il fascismo riducendone i poteri. In questo modo però viene, in sostanza, legittimato il Partito fascista. Infatti, entrarono nel parlamento ben 35 deputati fascisti tra cui lo stesso Mussolini. I fascisti si presentavano come soluzione contro il 'pericolo rosso' per giustificare la loro azione e per accrescere l'area dei consensi. Il governo liberale entra, così, in crisi. Nel giugno del 1921, Giolitti si dimette dalla presidenza del consiglio, ormai immerso in una situazione di crescenti scontri di piazza, illegalità e violenza. Il movimento fascista, ormai forte, si trasformò nel novembre in Partito Nazionale Fascista.
Il re, dopo una breve crisi incaricò Luigi Facta di formare un nuovo governo. Facta, a capo di una coalizione di liberali, popolari mantenne il governo fra molte difficoltà fino all'ottobre del1922.
Poiché né i Socialisti italiani furono in grado di rimanere uniti, né i cattolici e i liberali riuscirono a trovare un punto d'accordo, nel 1922, quando era in atto il congresso di Napoli del partito nazionale fascista, fu organizzata una 'marcia su Roma' che costringesse il re e il parlamento ad accogliere le richieste fasciste.
Il presidente del consiglio Facta chiese al re di far intervenire l'esercito, ma il re per paura che l'esercito non obbedisse o che scoppiasse una guerra civile, rifiutò e Facta, del tutto impotente a fronteggiare la situazione, si dimise.
Il 30 ottobre, infine, il re incaricò Mussolini di formare un nuovo governo. Nasceva, così, una coalizione formata da liberali, cattolico-popolari e fascisti.
Dall'ottobre del 1922, Mussolini iniziò un'opera di rafforzamento del potere fascista. Nel dicembre fu istituito il Gran Consiglio del fascismo, un organo di dirigenti del partito fascista, con il compito di elaborare le linee generali della politica fascista.
Nel gennaio fu fondata la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel tentativo di legalizzare lo squadrismo che però, rappresentava sempre una forza armata di parte.
Mussolini mirava ad ottenere l'appoggio della classe dirigente, economica e politica.
Molte furono le riforme apportate dal nuovo governo, ad iniziare da una nuova politica economica che aboliva il monopolio statale delle polizze vita, da una riduzione del carico fiscale sulle imprese ed infine Mussolini decise di salvare l'Ansaldo e il Banco di Roma attraverso il denaro pubblico. Fece attuare una nuova riforma scolastica del ministro Giovanni Gentile che diede all'istruzione una conurazione nuova e coerente con gli ideali del fascismo e che contribuì, prevedendo l'insegnamento della religione nelle scuole elementari, a migliorare i rapporti con la Chiesa cattolica.
Nel 1923 i ministri popolari avevano lasciato il governo.
Nel 1923 fu introdotta una nuova legge elettorale, la legge Acerbo che prevedeva un forte premio alla lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti.
Nel 1924, sulle basi del nuovo sistema elettorale, si tennero le nuove elezioni politiche. I Fascisti raccolsero una schiacciante maggioranza.
Ma il deputato Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista, venne rapito da una banda di squadristi fascisti, pochi giorni prima aveva denunciato in parlamento i sotterfugi del partito fascista.
Era chiaro a tutti chi era stato e l'unica forma di protesta fu la cosiddetta secessione dell'Aventino, cioè l'uscita dal parlamento di tutte le opposizioni, ad eccezione dei comunisti.
La crisi che seguì fu ben presto superata anche grazie all'inerzia del re di fronte all'illegalità e all'opinione pubblica.
In un discorso in parlamento pronunciato il 3 gennaio del 1925, Mussolini annunciò la svolta autoritaria assumendosi la responsabilità di quanto accaduto.
Da quel momento le opposizioni iniziarono ad essere sistematicamente colpite da provvedimenti di polizia e giudiziari, i maggiori giornali italiani divennero 'fascistizzati'.
Infine, il regime fascista prese forma di uno stato totalitario.
Da questo momento iniziarono ad essere emanate leggi che miravano a rafforzare i poteri di Mussolini, leggi che proibivano lo sciopero, che imponevano lo scioglimento di tutti i partiti ad eccezione di quello fascista, che istituivano un tribunale speciale per la sicurezza dello stato e che reintroducevano la pena di morte.
Muore definitivamente così lo stato liberale.
Nel 1929 la Santa Sede e il governo Italiano firmano i Patti Lateranensi (Trattato del Laterano, che restituiva alla Chiesa il Vaticano, S. Giovanni in Laterano e Castel Gandolfo, il concordato, che regolava le materie d’interesse reciproco come il matrimonio, l'istruzione ed il trattamento fiscale degli organismi ecclesiastici, e la convenzione finanziaria, che prevedeva un risarcimento pecuniario per la perdita dei possedimenti pontefici nel 1870). Questi patti furono unicamente un sistema, per Mussolini di potersi presentare come l'artefice di una storica riconciliazione fra lo stato e la chiesa, e, per la Chiesa, invece, rappresentava solo il legittimo riconoscimento della propria autorità sullo Stato ed, inoltre, era una garanzia di tutela della propria indipendenza.
Negli anni '30, dopo lo scoppio della grande crisi economica mondiale, la politica fascista fondò il sistema corporativo, una legge che prevedeva la nascita di 22 corporazioni cioè associazioni rappresentativa sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, suddivise per settori produttivi che si proponeva di impedire alla radice i conflitti di lavoro e di promuovere il massimo livello di produzione. In realtà il corporativismo si tradusse in vantaggio per la classe imprenditoriale.
Nel 1927 si realizza la rivalutazione della lira attraverso la 'quota novanta' (ossia il valore di cambio di 90 lire per 1 sterlina). Ovviamente tutto questo si accomnò ad una riduzione dei salari dei lavoratori.
Negli anni '30 cresce, inoltre, l'intervento statale nell'economia.
Per ovviare al problema economico che causava la disoccupazione, viene attuata una politica di lavori pubblici (strade, ferrovie, edilizia . .) e di bonifica di terreni agricoli malsani ed incolti. Con l'impiego di ingenti risorse finanziarie pubbliche, buona parte della disoccupazione poté essere assorbita e migliaia di ettari di coltura vennero messi a cultura.
Le conseguenze della grave crisi economica che nel 1929 aveva colpito tutto il mondo, fu risolta dal fascismo con la nascita di alcuni istituti statali: nel 1931 fu creato L'Istituto Mobiliare Italiano (IMI), con il compito di sostituire le banche in crisi nel sostegno alle industrie in difficoltà finanziarie, nel 1933 nacque l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) con il compito di salvare le industrie malate.
Oltre che istituti economici, nacquero anche istituti di previdenza sociale come l'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INAIL), l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI).
Mussolini fece tutto questo per arrivare ad avere un sempre maggiore livello di consenso pubblico che esplose, nel 1935, con la conquista dell'Etiopia e la proclamazione dell'Impero.
Nonostante le sanzioni economiche disposte dalla società delle nazioni, la politica estera di Mussolini ebbe successo e ciò contribuì alla nascita di una politica dell'autarchia (autosufficienza economica)
Nel 1936 l'Italia interviene a fianco dei nazisti tedeschi nella guerra civile Snola, in appoggio ai franchisti contro la repubblica. Si posero così le basi per un'alleanza fra Mussolini ed Hitler che, nell'arco di pochi anni avrebbe portato i due paesi alla guerra Mondiale.
Una Conseguenza tragica di quest'alleanza fu, nel 1938, l'emanazione di leggi razziali antisemite che, in sostanza proclamavano l'esistenza di una 'pura razza Italiana' d'origine ariana e gli ebrei furono privati, poiché 'razza inferiore', di tutti i fondamentali diritti civili e politici e costretti all'esilio o all'emigrazione.
Quando nel settembre del 1939 scoppiò la guerra, Mussolini dichiarò la non belligeranza che, pochi mesi dopo, fu rotta poiché il 10 Giugno 1940, l'Italia entrò in guerra con la dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra.
Data la debolezza economica e militare, l'Italia poteva solo condurre una guerra di appoggio alla Germania, infatti, più volte i nazisti dovettero intervenire in soccorso all'esercito italiano.
I disastri della guerra mettono in crisi il regime fascista per questo cresce il dissenso operaio e imprenditoriale, in particolar modo, il regime fascista perde il consenso popolare, della borghesia e dei ceti medi; nel marzo del 1943 vi furono i primi grandi scioperi operai nelle fabbriche del Nord a cominciare da Torino con la FIAT.
Gli alleati anglo-americani sbarcano in Sicilia nell'estate del 1943 e incominciarono la graduale occupazione della penisola da sud verso nord.
Il gran Consiglio del fascismo destituisce Mussolini (almeno per levarsi le maggiori responsabilità) convocato poi dal re e arrestato, fu subito, nominato il nuovo capo del governo: il maresciallo Pietro Badoglio.
Il nuovo governo Badoglio continua la guerra a fianco dei tedeschi, solo nel settembre firma l'armistizio di Cassibile accettando la resa senza condizioni alle truppe alleate.
Il re ed il governo scappano protetti dagli anglo-americani, Mussolini viene salvato dai Tedeschi e, dalla Germania, guida un nuovo stato fascista - chiamata anche repubblica di Salò controllando solo l'Italia settentrionale che era ancora in mano ai tedeschi.
Nasce il movimento partigiano, cioè la Resistenza che combatte sulla linea Gotica. La direzione politica della Resistenza era stata assunta dai rappresentanti dei sei partiti antifascisti: comunista, socialista, democristiano, (l'erede del partito popolare), liberale, d'azione (nuovo partito di sinistra, ma non marxista) e la democrazia del lavoro (una nuova formazione). Questi partiti avevano costituito il Comitato per la Liberazione Nazionale (CLN) per guidare la resistenza antifascista e condurre il paese verso la democrazia.
Nell'aprile del 1944, il governo Badoglio e CNL si alleano con la 'Svolta di Salerno' e si apre così una nuova strada per l'unità nazionale.
Nel giugno Roma veniva liberata dagli alleati, Vittorio Emanuele III abdica, Badoglio si dimise.
Le difficoltà non erano finite perché lungo la linea Gotica i tedeschi erano irremovibili, ma, il 25 Aprile del 1945 l'ordine di insurrezione del CNL portò tutte le città ad essere occupate dai Partigiani. I tedeschi si arresero o si ritirarono mentre l'esercito di Salò era ormai dissolto. Mussolini venne arrestato e fucilato dai partigiani mentre tentava di fuggire in Svizzera.
Finiva così la guerra in Italia ed era imminente la fine anche in tutta l'Europa.
Sulla stampa cattolica o nelle prediche, già alla fine dell’800 si ripeteva fino alla nausea che gli ebrei erano causa della rivoluzione francese, del Risorgimento, del capitalismo e del socialismo. Dopo il primo conflitto mondiale divennero colpa degli ebrei anche la guerra e la rivoluzione russa. E all’antigiudaismo cattolico si affiancò quello politico dei nazionalisti e dei fascisti più accesi. Per loro, imbevuti di futurismo, culto della bellezza e della violenza, gli ebrei erano pacifisti, borghesi privi di spirito di avventura e di qualsiasi altro valore che non fosse denaro.
Antigiudaismo cattolico e antisemitismo nazionalista rimasero a lungo fenomeni marginali. Ma ciò non toglie che alcune “gocce del veleno antisemita” si spargessero in quasi tutti gli ambienti. L’Italia non divenne antisemita, ma gli italiani fecero l’orecchio e si abituarono inconsciamente a certi argomenti, convincendosi che, in fondo, qualcosa di vero dovesse pur esservi.
Gli effetti si videro con le leggi per la difesa della razza promulgate a partire dal settembre 1938. Per la Chiesa avevano alcuni lati buoni. Discriminare e non perseguitare fu la posizione più o meno ufficiale.
Ma la discriminazione era persecuzione, la più barbara e la più ingiusta che da secoli la terra italiana avesse conosciuta. Anche se talvolta le amministrazioni applicarono con scarso zelo le normative razziali, per la preoccupazione di bloccare interi settori commerciali tradizionalmente in mano agli ebrei, in pochi mesi migliaia di persone persero il lavoro.
Molti, vivendo solo di stipendio, finirono sul lastrico o dovettero subire odiosi ricatti. I professionisti dovettero chiudere gli studi, studenti e professori ebrei furono espulsi dalle scuole. Persero la licenza perfino venditori ambulanti, tassisti e osti.
Tra le tante normative vessatorie imposte dal regime, anche il divieto di possedere radio, di urare negli elenchi telefonici, di raccogliere lana per materassi, di gestire scuole di ballo, di accedere alle biblioteche pubbliche, di pilotare aerei di allevare colombi viaggiatori, di appartenere a club sportivi e di avere domestiche “ariane” perché la razza superiore non poteva fare sevizi a quella “inferiore”. Chi poté emigrò: altri si fecero battezzare, nella vana speranza di sfuggire alle persecuzioni; nelle famiglie miste si crearono tragiche lacerazioni.
L’idea di confinare gli ebrei in quartieri chiusi, per separarli dei cristiani venne a papa Paolo IV nel 1555. In Italia i ghetti furono decine, da Firenze e Ferrara, da Modena a Venezia, da Ancona a Mantova, da Trieste a Gorizia. Per tre secoli la vita nei ghetti fu segnata da ogni possibile vessazione: are le guardie interne, esercitare due soli mestieri (commerciare stracci e prestare denaro, quest’ultimo perché vietato ai cristiani), portare un segno distintivo, assistere alle prediche conversionistiche, mantenere le case dei catecumeni (gli ebrei convertiti). Le restrizioni variavano secondo gli umori dei papi, delle circostanze politiche o economiche, dei rapporti tra Stati e Chiesa. In alcune città come Milano, un ghetto non ci fu mai perché agli ebrei era vietato soggiornarvi. A Livorno, invece, i Medici concessero agli ebrei ogni libertà perché con i loro commerci arricchivano la città. Nel 1569 Pio V ordinò agli ebrei dello Stato della Chiesa, salvo quelli di Roma e Ancona, di lasciare le loro terre. Molti emigrarono negli stati vicini, altri si rifugiarono nelle due città e nei loro nomi rimase il ricordo di quella espulsione: Di Cori, Di Nepi, Ravenna, Modena, Tagliacozzo. L’ultimo ghetto, a Roma, fu abolito nel 1870.
Quando, nel 1931, fu proposta la nomina di Achille Starace a segretario del partito fascista, Leandro Arpinati, sottosegretario degli interni obbiettò: <<Ma Starace è un cretino!>>. <<Lo so>>rispose il duce<<ma è un cretino ubbidiente>>. E difatti il suo maniacale attaccamento alla causa fascista e al suo capo gli verranno l’appellativo di “mastino della rivoluzione” da parte dello stesso Mussolini, che però finirà per scaricarlo.
Il passo romano, il “saluto al duce”, la lotta alle parole straniere, il “sabato fascista”, le frasi di Mussolini scritte sulle facciate scritte sulle facciate della case sono tutte invenzioni di Starace. Che non si accontentò di pretendere che i gerarchi sostenessero spettacolari prove ginniche, con salti nel cerchio di fuoco e altre acrobazie, ma arrivò a dettare regole sui particolari più privati e personali del perfetto fascista: come stirare il colletto della camicia nera (senz’amido), di quanto alzare il braccio teso nel saluto romano (170 gradi), che cosa non bere (il caffè) . e di fronte a tanta pedanteria, persino Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro, lo definì <<un coglione che fa girare i coglioni>>.
corrispondenza fra camerati, anziché “All’Egregio', “All’ill.mo” ecc., si scriva “Al Fascista”. Noto però al riguardo che la parola “fascista”, pur essendo di natura aggettivale, quando si adopera come sostantivo, va scritta con l’iniziale maiuscola; va scritta invece con l’iniziale minuscola quando si adopera come aggettivo di un determinato sostantivo. (11 aprile 1934) " v:shapes="_x0000_s1035">
Un regime fondato sulle parole, è stato detto del fascismo, di cui si ricordano spesso gli aspetti plateali ai nostri occhi ridicoli. Più originali e alcuni coniati proprio da Mussolini, i modi per schernire nemici e “disimpegnati”: panciuti, panciafichisti, bracaioli, pantofolai, borghesoidi. Ma l’offesa preferita era “mezza cartuccia”, sopravvissuta nella lingua corrente. Primo bersaglio fu nientemeno che Vittorio Emanuele III: <<Non ho colpa io se il re è fisicamente una mezza cartuccia>> disse il duce al genero Galeazzo Ciano <<è naturale che lui non potrà fare il passo romano senza essere ridicolo>>.
I principali cambiamenti della lingua, nel ventennio, riguardarono la sostituzione del “lei” di cortesia con il “voi”, le parole straniere e i nomi proprio. La camna in favore del “voi” risale al 1938 e fu voluta dal segretario del partito nazionale fascista, Achille Starace (cui ho parlato sopra). Mussolini approvò immediatamente: il “lei” era straniero (fatto per altro non vero), borghese e snob, dunque antifascista. Andava rimpiazzato, così come il saluto romano doveva sostituire la stretta di mano per “temperare il carattere degli italiani”. Per non correre rischi persino la rivista femminile Lei (in questo caso pronome personale femminile) cambiò la testata in Anna bella.
Non ci fu mai una vera legge (solo una disposizione limitata agli uffici pubblici) e il “voi” ebbe fortuna soprattutto tra i ceti medio-bassi, sia per cieca obbedienza, sia perché in molti dialetti italiani, specie al Sud già si usava correntemente. Ma a molti diedero fastidio la petulanza e l’arbitrarietà immotivata di quell’imposizione.
La battaglia per il purismo della lingua italiana non fu un’esclusiva dei fascisti, che però la fecero propria. Le insegne con termini stranieri non furono proibite, ma tassate già a partire del 1923. Furono penalizzate in particolare quelle in cui era disponibile un sinonimo italiano. Coiffeur, bar, garage, hotel caddero sotto imposta maggiorata. Tram, rhum, the ne furono esentati. Ma nel 1926 anche “bar” fu dispensato: il corrispondente “taverna” risultò inadeguato.
Il periodico Scena illustrata aveva animato un dibattito con i lettori per scegliere l’equivalente di chauffeur. La rissa filologica portò banalmente ad “autista”. Il quotidiano romano La Tribuna bandì un concorso in piena regola (primo premio: mille lire). Il gioco cultural-patriottico riguardava 50 esotismi. Vinse, come traduzione di dancing, sala da ballo (bocciati: ballerìa, danzatorio, caffè-ballo e . ballatoio).
Il wc in casa era un miraggio, urarsi la vasca da bagno! Si mangiava poco, e si soffriva il freddo. La malattia uccideva nelle camne, la sifilide in città e le malattie infettive ovunque. A dispetto di chi, anni dopo, avrebbe continuato a dire che “si stava meglio quando si stava peggio”, nel periodo fra le due guerre gli italiani non stavano poi così bene di salute.
Poche cose erano democratiche, ma fra queste vanno di sicuro annoverati i geloni. Favoriti nelle carenze vitaminiche, e scatenati dal freddo patito anche nelle case più agiate, i geloni colpivano le signore borghesi così come le serve, gli operai quanto i contadini. Contro di loro c’era ben poco da fare, tanto che al medico il problema veniva sottoposto raramente. Facevano insomma parte della vita, proprio come della nascita, la morte, il duce e . la mancanza del bagno. Quest’ultima, per la verità. Era già meno democratica. Un censimento del 1931 rivela che ne erano dotati 12 appartamenti su 100: si trattava delle case dei benestanti. Il bagno fu una conquista post bellica: quando si ricostruirono le case distrutte dai bombarti, i nuovi appartamenti furono finalmente dotati di una stanza apposita.
Mussolini aveva comunque capito la situazione: per ottenere consensi e per fare in modo che il popolo italiano lavorasse e fosse più produttivo, le malattie andavano debellate. Per questo il regime avviò diverse camne per incentivare l’igiene (per esempio promosse la costruzione di bagni pubblici). E in tempi di ristrettezze economiche fece in modo che gli italiani si adattassero a fare di necessità virtù. Al freddo e alla neve, i “veri” fascisti dovevano andare incontro col sorriso sulle labbra, gli sci ai piedi e i mutandoni sotto i pantaloni. E se il pane non bastava, gli italiani dovevano rallegrarsene, perché i medici consigliavano di seguire, per mantenersi in salute, una dieta ipocalorica.
Il medico condotto, ato dal comune, era la ura di riferimento per chi si ammalava. A lui, proprio come ad un confessore, non bisognava nascondere nulla. Lo storico della medicina Giorgio Cosmacini ci spiega che per individuare una malattia i medici avevano a disposizione solo il loro intuito e la loro abilità. Raccogliere il maggior numero di informazioni possibile sul malato e sulla sua famiglia era quindi cruciale. Inoltre in mancanza di medicine adeguate i malati venivano seguiti in modo più assiduo durante tutto il corso della malattia.
L’assistenza del medico ed il ricovero in ospedale erano gratuiti per chi riceveva il “certificato di povertà”, per questo anche chi non ne avrebbe avuto diritto cercava di infilarsi nella lista dei poveri.
Sulla scia dei tentativi già portati avanti dai governi che l’avevano preceduto, il fascismo volle estendere l’assistenza sanitaria al maggior numero di persone possibile. Con questo obbiettivo furono istituite le casse mutue per i lavoratori, che venivano finanziate per metà da chi godeva di assistenza.
Gli spettri che si aggiravano per l’Italia di allora erano principalmente tre: la malaria, la tubercolosi e la sifilide. Queste non erano ai primi posti nelle cause di morti (polmoniti, infezioni alimentari e malattie cardiache uccidevano di più) ma su di loro si concentrarono gli sforzi del regime.
Le camne contro la malaria iniziarono nei primissimi anni dell’”Era fascista”, in continuità con le iniziative già intraprese nel periodo liberale. Alla cura dei malati col chinino si aggiunsero le opere di bonifica degli ambienti paludosi in cui si riproducevano le zanzare che trasmettono il parassita causa della malattia. Il risultato fu che dagli oltre 4000 morti denunciati nel 1922 si passò a meno di mille nella seconda metà degli anni Trenta. Ma le cifre rivelano anche un’altra realtà: fra il 1935 e il 1940 l’88% dei morti di malaria si registrò nel Sud e nelle isole. La malaria, anche se in arretramento, contribuì più che mai a fare la differenza tra le due Italie. Regredita e quasi ssa nel Centro-Nord, rimase, anche se più contenuta del passato, nel profondo Sud.
La lotta contro la tubercolosi ebbe una svolta nel 1927, quando fu istituita l’assicurazione obbligatoria contro questa malattia e furono adottate misure per limitare il contagio. Per esempio, poiché la tisi si trasmette con la saliva, fu istituito il divieto di sputare per terra, un’abitudine piuttosto in voga all’epoca. Ancora oggi, il sectiunello “Vietato sputare” è affisso in alcuni edifici e sui mezzi pubblici più vecchi.
“La carne ingrassa e può portare alla sterilità” o “ Si muore più facilmente d’indigestione che di fame”. Questi erano i (falsi) motti che venivano usati nella proanda fascista. Si sapeva già da tempo che una dieta equilibrata è composta di carboidrati e vitamine, ma anche dalle proteine della carne. Tuttavia il regime promosse i prodotti nazionali per ridurre i consumi di quelli di importazione. Il risultato fu una dieta la quale piatto principale era il pane, base dei pasti o spuntino pomeridiano.
La carne faceva capolino solo la domenica. I macellai aprivano solo un paio di volte la settimana, dato che poche persone avrebbero potuto comprare carne, così il pranzo domenicale divenne un rito per le famiglie di basso ceto.
Nelle sale da pranzo delle famiglie dove papà era capoufficio o ufficiale la tavola domenicale si preparava con il servizio buono. Si cominciava con la minestra, a volte con un po’ di riso o di pasta. Seconda portata la tanto desiderata carne, lessa e mangiata comunque pochissimo, in modo che i giorni successivi se ne potesse ricavare qualcosa con gli avanzi.
La domenica di operai e muratori era invece a base di verdure, polenta, patate e pane. Al massimo la pasta al pomodoro e un polpettone di manzo. I contadini invece se la vedevano ancora più grigia, dato che mangiavano quasi esclusivamente polenta accomnata a latte, fagioli o pancetta. Mangiavano carne solo durante le festività di Natale e Pasqua. Quelli che mangiavano peggio di tutti erano i piccoli contadini del Sud. I commensali si questa zona si riunivano a volte a tavola con un’aringa affumicata appesa ad una corda. Un pezzo di polenta o di pane vi veniva strofinato sopra perché si insaporisse. Ed era tutto.
Le massaie più apprezzate erano quelle che con poco riuscivano a mettere insieme un pasto completo e non quelle che cucinavano bene. Quella di riciclare gli avanzi era, infatti, una virtù, ogni cosa poteva essere riutilizzata in un modo o nell’altro. Un’altra virtù era quella di saper risparmiare. Qualsiasi cosa che si potesse fare in casa veniva fatta in casa, compreso il pane che poteva essere cotto nei forni dei panifici a amento.
La ghiacciaia era uno sfizio riservato solo alle famiglie agiate, mentre la gente comune si doveva arrangiare, dato che frigoriferi e conservanti non esistevano. La grande distribuzione ovviamente non c’era, così la bresaola era sconosciuta a Sud e la mozzarella di bufala non arrivava a Nord. Quanto al ristorante era “roba da ricchi”, la gente comune mangiava nelle trattorie che servivano gli amati piatti “italici”, come la pasta e fagioli e la trippa.
Alla fine del mese tra pane, pasta e riso, uova, un poco di carne e molta verdura se ne andava la metà dello stipendio medio di un impiegato.
Qualche calcolo in tempo fascista
Andare a fare la spesa era uno dei compiti più ambiti dalle “servette”, che potevano così distrarsi qualche ora dalle faccende di casa. A quell’epoca, anche le famiglie piccolo-borghese potevano permettersi una cameriera la quale era un servizio prezioso e che si accontentava di 70-80 lire al mese, oltre al vitto e all’alloggio e di un giorno di libertà ogni quindici. Ovviamente queste arrotondavano facendo la “cresta” sulla spesa dopo aver spuntato uno sconto maggiore con il negoziante di fiducia o aver trovato la stessa merce su qualche bancarella.
Un operaio invece nel 1935 guadagnava 500 lire mensili in media, l’equivalente oggi di €360. Un bracciante agricolo, peggio ancora, guadagnava 9 lire al giorno (€6,4). Al contrario, un impiegato di buon livello a fine mese portava a casa almeno €850. Oltre alle ambite 1000lire andavano solo generali e professori universitari, che guadagnavano la cifra di 3 mila lire al mese, pari a €2250.
Con quegli stipendi anche servizi di cui oggi dispongono tutti in abbondanza erano un privilegio. La luce poteva essere accesa solo in una stanza alla volta, altrimenti saltava tutto; il ferro da stiro consumava una follia; qualche ora di troppo con la stufetta a riflessione accesa e il risparmio mensile andava in fumo; l’ondulacapelli e il bollitore elettrico erano “vizi” per le famiglie dei pochi impiegati di livello.
Dopo poco però qualche lusso spuntò fuori, ad esempio fra il 1922 e il 1926 il numero di auto in circolazione passò da 40 a 100 mila. Non tutti potevano permettersela, ma per chi non aveva molti soldi c’era la Topolino da 8.600 lire nel 1936 (€6.400 oggi).
Lo Sfascio
L' intervista di Mussolini apparsa il 20 aprile
1945 sul Popolo di Alessandria.
Che puo' farci solo intuire cos'era il contenuto del 'sectiuneggio
Churchill-Mussolini.
(Otto giorni dopo Mussolini veniva giustiziato in un modo oscuro, barbaro
e dopo cinquant'anni non sappiamo ancora da chi,
Una cosa é certa: con queste righe firmò la sua condanna a morte
Scrive Mussolini
'Ho una documentazione che
la storia dovra' compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio
del 1940, se critiche venivano fatte, erano per gridare allo scandalo di una
neutralita' definita ridicola, impolitica, sorprendente. La Germania aveva
vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compenso, ma saremmo stati
certamente, in un periodo di tempo piu' o meno lontano, invasi e schiacciati.
' cosa fa Mussolini? Quello si e' rammollito. Un'occasione cosi' non si
sarebbe mai piu' presentata'. Cosi dicevano tutti e specialmente coloro
che adesso gridano che si doveva rimanere neutrali e che solo la mia
megalomania e la mia libidine di potere e la mia debolezza nei confronti di
Hitler aveva portato alla guerra..'
Siamo stati i soli ad opporci ai primi conati
espansionistici della Germania. Mandai le divisioni al Brennero; ma nessun
Gabinetto europeo mi appoggio'.. Una caldaia non scoppia se si fa funzionare
a tempo una valvola. Ma se la si chiude ermeticamente, esplode. Io volevo la
pace e questo mi fu impedito. Bisognava impedire alla Germania di rompere l'equilibrio
continentale. E nello stesso tempo provvedere alla revisione dei trattati;
arrivare a un aggiustamento delle frontiere; soddisfare la Germania nei punti
giusti. Ecco quello che avrebbe impedito la guerra
Io ho qui tali prove di aver cercato con tutte le mie forze
di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e
sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della storia.
Non so se Churchill è come me, tranquillo e sereno.
Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi
affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la
possibilita' di vivere. Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la
stessa Chiesa alleata ai suoi piu' acerrimi nemici. La Chiesa non vuole, a
Roma, un'altra forza, preferisce degli avversari deboli a degli amici forti.
Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la
cura esatta e che non ha piu' fiducia dei familiari dell'importante degente.
Molti medici si affollano per la successione. Molti di questi sono gia'
conosciuti per inetti; altri non hanno che improntitudine o gola di guadagno.
Il nuovo dottore deve ancora apparire. E quando sorgera' dovra' riprendere le
ricette mie. Dovra' solo saperle applicare meglio.
Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane
sorgera'. Un puro. Un capo che dovra' immancabilmente agitare certe idee.
Collaborazione e non lotta di classe; carta del lavoro; la proprieta' sacra
fino a che non diventi un insulto alla miseria; cura e protezione dei lavoratori,
specialmente dei vecchi e degli invalidi; cura e protezione della madre e
dell'infanzia; assistenza fraterna ai bisognosi; moralita' in tutti i campi;
lotta contro l'ignoranza e contro il servilismo verso i potenti; esaltazione
dello spirito di orgoglio di essere italiano; Abolizione di ogni dogana; libero
commercio fra paese e paese, regolato da una convenzione; moneta unica;
educazione in profondita' e non, purtroppo in superficie, come e' avvenuto per
colpa degli avvenimenti e non per deficienza ideologica. Liberta' di pensiero,
di parola e di stampa? Si', purche' regolata e moderata da limiti giusti,
chiaramente stabiliti. Senza di che, si avrebbe anarchia e licenza. E
ricordatevi soprattutto la morale deve avere i suoi diritti. Sara' un giovane a
fare tutto questo. Io non saro' piu', ma la storia mi dara' ragione.'
Il Testamento di Benito Mussolini
' Nessuno che sia un vero Italiano, qualunque sia la sua fede politica, disperi nell'avvenire. Le risorse del nostro popolo sono immense. Se saprà trovare un punto di saldatura, recupererà la sua forza prima ancora di qualche vincitore. Per questo punto di fusione io darei la vita anche ora, spontaneamente, qualunque sia purché improntata a vero spirito italiano.
Dopo la sconfitta io sarò coperto furiosamente di sputi, ma poi verranno a mondarmi con venerazione. Allora sorriderò, perché il mio popolo sarà in pace con se stesso.
Il lavoratore che assolve
il dovere sociale senz'altra speranza che un pezzo di pane e la salute della
propria famiglia, ripete ogni giorno un atto di eroismo. La gente che lavora
è infinitamente superiore a tutti i falsi profeti che pretendono di
rappresentarla. I quali profeti hanno buon gioco per l'insensibilità di
chi avrebbe il sacrosanto dovere di provvedere.
Per questo sono stato e sono socialista!
L'accusa di incoerenza non ha fondamento. La mia condotta
è sempre stata rettilinea nel senso di guardare alla sostanza delle cose
e non alla forma. Mi sono adattato socialisticamente alla realtà. Man
mano che l'evoluzione della società smentiva molte delle profezie di
Marx, il vero socialismo ripiegava dal possibile al probabile. L'unico
socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo, punto di
confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi rispetto all'interesse
collettivo.
La politica è un'arte difficilissima tra le
difficili perché lavora la materia inafferrabile, più oscillante,
più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è
un'entità assai difficile a definirsi, perché è mutevole.
Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io
non sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si
chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un
popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro
per non essere seppellito nell'oblio.
Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco,
non col consenso come ho fatto io.
La mia dittatura è stata assai più lieve che
non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie. Il Fascismo ha avuto
più morti dei suoi avversari e il 25 Luglio al confino non c'erano
più di trenta persone.
Quando si scrive che noi siamo la guardia bianca della
borghesia, si afferma la più spudorata delle menzogne. Io ho difeso, e
lo affermo con piena coscienza, il progresso dei lavoratori. Tra le cause
principali del tracollo del Fascismo io pongo la lotta sorda ed implacabile di
taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle egoismo temevano ed
odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. Devo
dire, per ragioni di giustizia che, il capitale italiano, quello legittimo, che
si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le
esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai
nuovi patti di lavoro.
L'umile gente del lavoro mi ha sempre amato e mi ama
ancora. Tutti i dittatori hanno fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo
passivo; tremila morti contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la
dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di
tortura.
Stalin è seduto sopra una montagna di ossa
umane. E' male? Io non mi pento di aver fatto tutto il bene che ho potuto anche
agli avversari, anche ai nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con
l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia
strappandoli alla morte.
Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale
responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e
vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del
volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione
francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati
sono confinati nella cronaca nera.
Vent'anni di Fascismo nessuno potrà cancellarli dalla
storia d'Italia. Non ho nessuna illusione sul mio destino. Non mi
processeranno, perché sanno che da accusato diverrei pubblico accusatore.
Probabilmente mi uccideranno e poi diranno che mi sono suicidato, vinto dai
rimorsi. Chi teme la morte non è mai vissuto, ed io sono vissuto anche
troppo. La vita non è che un tratto di congiunzione tra due
eternità: il passato ed il futuro.
Finché la mia stella brillò, io bastavo per tutti;
ora che si spegne, tutti non basterebbero per me. Io andrò dove il
destino mi vorrà, perché ho fatto quello che il destino mi dettò.
I fascisti che rimarranno fedeli ai principi,
dovranno essere dei cittadini esemplari. Essi dovranno rispettare le leggi che
il popolo vorrà darsi e cooperare lealmente con le autorità
legittimamente costituite per aiutarle a rimarginare, nel più breve
tempo possibile, le ferite della Patria. Chi agisce diversamente dimostrerebbe
di ritenere la Patria non più Patria quando si è chiamati a
servirla dal basso. I fascisti, insomma, dovranno agire per sentimento, non per
risentimento. Dal loro contegno dipenderà una più sollecita
revisione storica del Fascismo, perché adesso è notte, ma poi
verrà il giorno ' . (Mussolini)
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