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Il IV secolo fu caratterizzato da uno stato di guerra quasi costante: dal 404 al 338 (guerra di Cheronea), si susseguirono conflitti sia di ampia portata, sia di carattere locale; se a ciò si aggiunge la fase 431-404 a.C. (guerra del Peloponneso), si ha che per circa un secolo, le città greche combatterono tra loro quasi senza interruzione.
La causa principale di questa situazione fu il fallimento di ogni tentativo egemonico: la lotta per la supremazia, infatti, si risolse in una serie di insuccessi che indebolirono le poleis più forti, e che non permisero l'affermarsi di un assetto di potere definito.
Il fallimento dei tentativi egemonici è senza dubbio legato alle vicende interne delle singole città: Tebe, ad esempio, aveva i suoi punti di forza nei successi militari e nelle personalità dei suoi generali; venuti meno questi elementi, la città non poté che avviarsi ad un progressivo declino.
Sparta, invece, crollò per motivi più profondi, tra i quali l'eccessiva rigidità del suo ordinamento, la crisi demografica e i suoi riflessi in campo militare, la mancanza di una vera vocazione imperialista.
E' tuttavia l'incapacità di dar vita a stabili organismi sovranazionali che impedì alle maggiori poleis greche di instaurare e mantenere la propria egemonia.
Tale incapacità è legata ai limiti della polis come istituzione politica. La polis era, infatti, un organismo monocellulare. Inoltre, ciascuna città aspirava all'autosufficienza e all'autonomia; ciò ostacolava ogni forma di aggregazione che non avesse come obiettivo l'instaurazione di un sistema egemonico e di sfruttamento, sistema al quale comunque le poleis soggette tentavano puntualmente di sottrarsi.
D'altra parte, l'egemonia era indispensabile per l'effettiva realizzazione dell'uguaglianza interna della polis: la città antica era infatti soprattutto un centro di consumo, e dall'esterno assorbiva le risorse necessarie ad assicurare i privilegi legati al diritto di cittadinanza.
Libertà all'interno, oppressione all'esterno
Una tale struttura politica, dunque, per garantire parità e benessere al suo interno doveva necessariamente esercitare forme di oppressione: tanto poleis come Atene quanto poleis come Sparta scaricavano i costi dell'uguaglianza interna su altri gruppi (Atene sugli alleati-sudditi, Sparta su iloti e perieci).
Questa situazione poteva essere modificata solamente creando un tipo di cittadinanza sconnessa all'idea di privilegio; le poleis tradizionali non riuscirono però ad evolversi in questo senso, e si avviarono verso un progressivo esaurimento.
La ricerca di alternative: il federalismo
Uno dei principali tentativi di elaborare modelli alternativi a quelli dalla città stato portò alla creazione delle confederazioni: si trattava di stati nati dall'unione di più poleis le quali, pur conservando in parte la propria sovranità e autonomia, diedero vita a organismi sovranazionali, con magistrature, esercito e tesoro pubblico comune, retti da organi federali.
Alle strutture federali erano affidati i poteri relativi alla gestione di settori di interesse generale (politica internazionale, conflitti); le questioni interne ad ogni poleis, invece, venivano affrontate secondo leggi e abitudini proprie di ciascuna poleis.
Le principali confederazioni furono la beotica, l'arcadica, la calcidica, l'achea e l'etolica; si noti come le confederazioni sorsero prevalentemente in regioni che, sino al V secolo, erano rimaste legate alla forma arcaica dello stato etnico.
La confederazione arcadica, in particolare, onde evitare pretese egemoniche di una polis sulle altre, fondò Megalopoli, una città comune.
Tuttavia, questi tentativi di creare modelli politici alternativi fallirono, in quanto vennero attuati da stati piccoli e poiché erano ostacolati dalle poleis maggiori.
Lo spostamento del baricentro politico
Connessa alle lotte per l'egemonia è la progressiva perdita di libertà delle poleis greche a vantaggio di potenze straniere, spinte ad intervenire dalla conflittualità presente tra i greci.
Alla fine del V secolo, mentre i persiani decidevano gli esiti della guerra del Peloponneso, i cartaginesi, dopo settant'anni di tregua, sferrarono un nuovo attacco e, nel 409 a.C., conquistarono metà Sicilia.
Questi avvenimenti determinarono lo spostamento del baricentro politico dalle mani delle poleis greche a quelle della Persia prima e della Macedonia poi.
La guerra di Corinto e i rapporti con la Persia
Dopo la guerra del Peloponneso, i persiani continuarono ad intervenire nelle vicende della Grecia secondo uno schema già collaudato: sostenere di volta in volta le città più deboli contro quelle più forti, in modo da avere sempre il controllo della situazione.
Esemplare in questo senso fu quanto avvenne nella guerra di Corinto (395-386 a.C.). In questa fase, la Persa sostenne inizialmente i nemici di Sparta, in quanto questa aveva violato gli accordi del 412 a.C. che le imponevano di non intervenire nella Ionia. Quando Sparta, indebolitasi, abbandonò l'Asia Minore, i persiani cessarono di sostenere i suoi nemici; Atene e i suoi alleati furono quindi costretti a interrompere le ostilità.
La pace di Antalcida, una vittoria della Persia
I contendenti, nel 386 a.C., firmarono dunque un accordo con la Persia (pace di Antalcida), che sanciva l'egemonia persiana sull'Asia Minore e imponeva lo scioglimento delle alleanza formatisi durante la guerra.
In questo modo, i centri che avrebbero potuto ostacolare l'egemonia di Sparta -già vacillante- si annullarono; la città peloponnesiaca si ritenne dunque vincitrice. La vera vittoria fu però della Persia, che si assicurò il mezzo per intervenire nelle vicende interne della Grecia.
DAI CITTADINI SOLDATI AI PROFESSIONISTI DELLA GUERRA
La specializzazione delle funzioni militari
Ruolo importante nella perdita dell'iniziativa politica da parte delle città greche ebbe anche la componente militare.
Nel V secolo, essere soldato era una funzione del cittadino che non richiedeva specializzazione. Quasi un secolo di guerre, però, portarono ad un progressivo perfezionamento delle tecniche di combattimento e quindi ad una specializzazione delle funzioni militari.
La tendenza alla specializzazione iniziò durante la seconda guerra persiana, quando le forze marittime iniziarono ad avere un'importanza fondamentale nei conflitti. Il combattimento navale, infatti, necessitava ora di un addestramento specifico e continuato.
Le innovazioni nei combattimenti terrestri
Nonostante lo sviluppo delle tecniche di combattimento navale, nel IV secolo le principali innovazioni si ebbero nel campo dei combattimenti terrestri; ciò deriva dal fatto che, in questa fase, le potenze che tentarono di importi (Sparta, Tebe) erano sostanzialmente continentali, e non possedevano una vera tradizione marinare. Il combattimento terrestre acquistò così l'antica importanza, e i maggiori conflitti di questo periodo furono decisi in battaglie campali.
Le principali novità riguardano il ricorso sempre più diffuso alla fanteria leggere e l'adozione dello schieramento obliquo, utilizzato per la prima volta dal tebano Epaminonda nella battaglia di Leuttra (371 a.C.).
La diffusione degli eserciti mercenari
La necessità di disporre di soldati capaci di avvalersi delle nuove tecniche di combattimento portò alla nascita della ura del mercenario, soldato di professione che prestava servizio a amento.
La diffusione degli eserciti mercenari fu inoltre favorita dall'urgenza di trovare nuove fonti di guadagno da parte sia di contadini, sia di cittadini (gli uni colpiti dalla devastazione delle camne, gli altri dalla confisca dei beni o dall'esilio), dall'impossibilità di ricorrere alla colonizzazione come via d'uscita, dai continui conflitti e dallo sviluppo di monarchie militari.
La maggior parte dei mercenari proveniva da regioni povere, e si poneva al servizio di tiranni siciliani, cartaginesi o dei persiani.
Le libere città greche non potevano sostenere le spese di un esercito a amento; con la perdita del controllo delle forze militari, progressivamente essere persero anche l'iniziativa politica. Il potere effettivo passò dunque a sovrani, greci o non greci, in grado di finanziare un proprio esercito.
I CONFLITTI SOCIALI NEL IV SECOLO; LA SPOLITICIZZAZIONE DEL DEMOS
Le motivazioni economiche delle lotte civili
Ai danni provocati dalla guerra, nel IV secolo si aggiunsero quelli derivanti dai conflitti sociali che esplosero in questo periodo.
Sino alla fine del V secolo, le lotte civili ebbero sostanzialmente una connotazione più propriamente politica; nel IV secolo, invece, le tensioni tra democratici e oligarchici si allentarono, e la posta dello scontro non fu più la spartizione del potere, ma divenne la riorganizzazione delle proprietà fondiarie e la ridistribuzione delle ricchezze.
La crisi delle finanze pubbliche
Nel corso del IV secolo a.C., infatti, si ampliò il divario tra ricchi e poveri: a causa della guerra, infatti, grandi fortune si accumularono nelle mani di pochi, mentre molti andarono in rovina.
L'impoverimento dei piccoli e medi proprietari terrieri e la tendenza dei nuovi ricchi a investire in terreni incentivarono la diffusione di latifondi. L'inflazione portò ad un aumento del costo della vita, e il numero di schiavi crebbe enormemente. La crisi delle finanze pubbliche, esaurite dalla guerra, privò dei mezzi di sostentamento quanti, finora, avevano vissuto grazie a compensi statali, e una parte crescente della popolazione si ridusse in povertà.
Il lavoro dipendente era disprezzato e perciò, nonostante la crisi, coloro che non si arruolavano come mercenari e che non espatriavano rifuggivano da ogni altra attività economica; costoro, quindi, pretendevano che lo stato provvedesse al loro sostentamento. In questo senso, la pressione sociale era fortissima: spesso, esaurite le riserve statali, cittadini innocenti venivano condannati al solo scopo di confiscarne i beni.
Tale situazione è descritta dall'oratore ateniese Lisia: "Il Consiglio di ogni anno non commette ingiustizie quando dispone di mezzi sufficienti per l'amministrazione, ma nei giorni di penuria è costretto ad accogliere le denunce, a confiscare i beni dei cittadini e a obbedire alle più disoneste suggestioni dei retori".
Riesplode la conflittualità sociale
Il contrasto tra l'uguaglianza teorica dei diritti e l'effettiva disuguaglianza economica tra i cittadini riaccese la conflittualità sociale: si tornò a chiedere la soppressione dei debiti e la ridistribuzione delle terre. In molte poleis si susseguirono rivoluzioni e tumulti, esili e confische di beni, e spesso si scatenarono feroci odi di parte.
Ben presto, le opposte fazioni politiche finirono col perdere di vista i loro effettivi obiettivi, e si concentrarono solamente nell'annientamento dell'avversario; ciò, naturalmente, contribuì a logorare e indebolire ulteriormente le istituzioni delle città.
Crisi economica e crisi della politica
In particolare, nelle poleis greche i partiti democratici mirarono più alla realizzazione dell'uguaglianza economica che all'ottenimento di un ruolo decisivo nel governo; ciò era indice di una progressiva spoliticizzazione del demos. Per la massa dei cittadini, infatti, partecipare alla gestione dello stato era divenuto un obiettivo secondario; in primo luogo, infatti, era necessario trovare i mezzi del proprio sostentamento. Nessuna polis era più in grado di assicurare il benessere ai propri cittadini, e perciò la politica fu avvertita come un lusso, una perdita di tempo.
Il potere ai notabili della città
Nel IV secolo, dunque, si verificò il naturale passaggio del potere nelle mani dei notabili della città. Si trattava di ricchi, non necessariamente nobili, che impiegavano parte dei loro averi a vantaggio della comunità, ricevendone in cambio gloria, celebrazione e riconoscimento.
I motivi per cui i notabili assunsero il potere senza contrasti sono sostanzialmente due:
essi erano gli unici a disporre del tempo sufficiente per dedicarsi alla politica, in quanto non avevano bisogno di lavorare;
disponevano dei capitali necessari a soddisfare i bisogni dei cittadini, ai quali lo stato non poteva più provvedere.
Essenziale era soprattutto quest'ultima condizione: su di essa si basava il tacito accordo in base al quale il demos cedeva l'esercizio del potere politico a quanti erano in grado di offrire vantaggi materiali alla collettività.
In Grecia fu dunque la massa di cittadini a rinunciare ai propri diritti politici, favorendo il ristabilirsi di un'oligarchia basata sul censo.
La concentrazione dei poteri
La spoliticizzazione del demos favorì un processo di concentrazione dei poteri opposto a quello avviatosi alla nascita della polis. Ora, infatti, più si riduceva la partecipazione dei cittadini alla gestione dello stato, più le speranze delle masse si concentravano su singoli individui di particolare prestigio e carisma; nell'instabilità politica ed economica, quindi, ai greci parve meno inaccettabile l'idea che un unico individuo potesse concentrare su di sé tutti i poteri.
Il ritorno di monarchie e tirannidi
Nel IV secolo a.C., in Grecia rivero le monarchie e le tirannidi. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, ancora una volta i tiranni salirono al potere sfruttando situazioni di squilibrio e tensione interne, oppure approfittando di una minaccia proveniente dall'esterno; in questo periodo, inoltre, le tirannidi assunsero prevalentemente un aspetto militare.
La tirannide più famosa di questo periodo è quella di Dionigi il Vecchio, avutasi a Siracusa dal 406 al 366 a.C.. Presentatosi come difensore dei greci occidentali di fronte agli attacchi dei cartaginesi, Dionigi approfittò della situazione per assoggettare l'intera Sicilia e parte dell'Italia meridionale, e per dare ad una monarchia territoriale.
Fonte: Le civiltà del vicino oriente. La civiltà greca, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.
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