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Dal 431 al 404 a.C., la Grecia fu teatro di un aspro conflitto, la Guerra del Peloponneso, che oppose la Lega di Delo, guidata da Atene, alla Lega Peloponnesiaca, guidata da Sparta.
Le ragioni profonde di questo conflitto vanno individuate nella politica espansionistica intrapresa da Atene dopo la vittoria sulla Persia, politica che potenzialmente poteva nuocere agli interessi della Lega Peloponnesiaca.
Dal punto di vista economico, una delle principali cause scatenanti della guerra fu il contrasto tra Atene e Corinto, rivali sul piano commerciale.
Fondamentale fu, inoltre, il timore di Sparta di perdere la supremazia sul Peloponneso; fu proprio questo timore a spingere la polis dorica ad impegnarsi in una guerra di ampia portata, e solo dopo che anche i suoi alleati l'ebbero fatto.
La logica dei blocchi, rappresentata dalla posizione di Sparta, fu determinante per l'estensione e la radicalizzazione del conflitto.
Sparta e Atene, infatti, parteciparono alla guerra per poter mantenere l'egemonia rispettivamente sulla Lega Peloponnesiaca e sulla Lega di Delo; le due poleis erano, dunque, prigioniere dei sistemi di alleanze che loro stesse avevano creato.
Anche le poleis minori non poterono sottrarsi alla logica dei blocchi: le città isolate, infatti, erano maggiormente esposte agli attacchi di eventuali nemici, e ciò favoriva il sorgere di alleanze.
La guerra del Peloponneso oppose, in primo luogo, due differenti posizioni ideologiche e sociali, incarnate rispettivamente da Atene e Sparta.
Atene era infatti democratica al proprio interno, ma era anche pronta a sacrificare gli interessi degli alleati per salvaguardare i propri. Sparta, al contrario, era oppressiva al suo interno nei confronti di perieci e iloti, ma rispettava la libertà, intesa come autonomia, delle poleis sue alleate, i cui interessi tentò di difendere entrando in guerra.
In questa fase, quindi, per i greci, democrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia si trovò opposta all'autonomia delle singole poleis.
Negli anni precedenti allo scoppio della guerra, i conflitti tra Atene e Corinto contribuirono ad accrescere la tensione tra i due blocchi. I membri della Lega Peloponnesiaca, compresa Sparta, decisero quindi, senza aver lasciato intentata la via diplomatica, di muovere guerra contro Atene (431 a.C.).
La composizione delle forze in campo spiega l'andamento del conflitto: il blocco guidato da Atene era nettamente superiore sul piano navale e finanziario, mentre quello capeggiato da Sparta disponeva principalmente di forze continentali.
Ciò determinava una situazione di equilibrio: le due potenze potevano sperare di sopraffarsi solo qualora fossero riuscite ad affrontare il nemico sullo stesso piano militare.
Guerra archidamica, spedizione in Sicilia, guerra deceleica
In una prima fase (fase archidamica), i due blocchi condussero una guerra di logoramento, senza riuscire ad avere la meglio l'una sull'altra per i motivi descritti nel paragrafo precedente.
Atene tentò quindi di ampliare la propria sfera di influenza ad altre aree del Mediterraneo: con questo obiettivo organizzò la spedizione in Sicilia (415-413 a.C.).
La fase successiva del conflitto (fase deceleica) fu dominata dall'ingresso in guerra dei Persiani, decisivo per la rottura dell'equilibrio esistente tra i due blocchi e per le future ripercussioni.
Nella prima fase del conflitto (detta archidamica dal nome del re spartano Archidamo) ebbe la forma di una guerra di logoramento: ogni estate, gli ateniesi evacuavano l'Attica e, mentre gli opliti peloponnesiaci devastavano la regione, attaccavano i porti del Peloponneso.
Nel 430 a.C., la popolazione dell'Attica venne decimata da una pestilenza; l'anno successivo morì Pericle.
La morte di Pericle fece riaccendere i conflitti interni ad Atene. Qui, infatti, come in tutta la Grecia, le votazioni avvenivano su singole proposte, e non esistevano partiti politici in senso moderno. Di volta in volta, quindi, si formavano gruppi di cittadini che miravano all'approvazione o alla bocciatura di una data proposta. La situazione era instabile: difficilmente una linea politica riusciva ad affermarsi con continuità.
In particolare, sorsero conflitti tra capi politici e capi militari. I primi, tra cui emergeva Cleone, rappresentavano le classi sociali che dalla guerra avrebbero tratto profitto (artigiani, commercianti), e sostenevano quindi la partecipazione militare della polis; i secondi, invece, capeggiati da Nicia, sostenevano gli interessi dei nobili e dei contadini che li avevano eletti, e sui quali sarebbe gravato il peso maggiore di un conflitto.
Dal 426 a.C., ebbe il sopravvento il partito di Cleone; l'anno successivo, gli ateniesi occuparono Pilo e catturarono 120 spartiati (il 5% della forza militare spartana) presenti sull'isola di Sfacteria, infliggendo un duro colpo a Sparta.
Poco dopo, tuttavia, l'esercito peloponnesiaco occupò Anfipoli, e monopolizzò le miniere ateniesi nel Pangeo, provocando la rivolta degli alleati (di Atene) della Calcidica (424 a.C.).
La pace di Nicia
Ben presto, i due blocchi avversari si resero conto di non poter imporre la propria supremazia militarmente. Perciò, Atene e Sparta stipularono una pace di compromesso (421 a.C.), imposta dagli esponenti moderati delle due poleis e negoziata da Nicia. L'accordo prevedeva la restituzione dei territori occupati durante la guerra e una tregua di cinquant'anni; tuttavia, i motivi profondi del conflitto non erano stati rimossi.
Guerra fredda e conflitti regionali
Gli anni successivi alla pace di Nicia furono caratterizzati da continue tensioni tra i due blocchi, che tuttavia non sfociarono mai in un conflitto aperto.
L'episodio più significativo di questa fase fu la spedizione in Sicilia organizzata da Atene nel 415 a.C..
Gli ateniesi, come la maggior parte dei greci, coltivava della Sicilia un'immagine fiabesca (territorio ricco, abbondanza di grano, splendide città); erano inoltre convinti che essa potesse rappresentare una facile conquista.
Quando dunque ad Atene giunse una richiesta di aiuto da parte della città di Segesta, in conflitto con Siracusa (di fondazione dorica, come Sparta), si presentò una buona occasione per intervenire militarmente nell'isola.
La richiesta di Segesta fu appoggiata dalle correnti più radicali, delle quali si fece portavoce Alcibiade, nipote di Pericle. Costui vedeva nell'impresa un'occasione per realizzare le proprie ambizioni personali; inoltre, sapeva che, se la Sicilia fosse divenuta area di influenza ateniese, le risorse finanziarie e militari della polis sarebbero notevolmente aumentate; infine, era necessario prevenire Sparta, sottraendole un potenziale alleato.
La maggioranza della popolazione ateniese era favorevole alla spedizione: i vantaggi che ne sarebbero venuti erano evidenti.
Quindi, nel 415 a.C., l'assemblea popolare approvò l'invio in Sicilia di un nutrito esercito, navale e continentale.
Alcibiade, tuttavia, in quanto coinvolto in un oscuro episodio di sacrilegio, fu presto richiamato in patria; per sfuggire al processo, egli si rifugiò a Sparta: qui convinse i peloponnesiaci ad intervenire in Sicilia, e provocò la ripresa delle ostilità in Grecia suggerendo l'occupazione di Decelea, borgo non lontano da Atene (questa fase è appunto chiamata deceleica).
Nel frattempo, la spedizione in Sicilia risultava fallimentare: le truppe ateniesi furono annientate grazie all'invio di un contingente di soccorso da parte di Sparta. La flotta ateniese venne distrutta, i soldati e gli equigi furono massacrati, i superstiti imprigionati, gli strateghi giustiziati.
Il fallimento della spedizione in Sicilia determinò l'intervento della Persia. Dario II, infatti, ritenne giunto il momento di ristabilire la propria preminenza sulle coste dell'Asia Minore e, schierandosi contro Atene, iniziò a finanziare Sparta in cambio della rinuncia a ogni rivendicazione sulla Ionia (412 a.C.).
L'aiuto persiano consentì a Sparta la creazione di una flotta, e le permise quindi di affrontare Atene sul suo stesso terreno; in realtà, la flotta spartana era uno strumento politico nelle mani della Persia, che poteva controllarne dimensioni e forza in modo da evitare una vittoria definitiva del Peloponneso.
Infatti, la Persia non mirava alla sostituzione di una potenza greca con l'altra, ma all'indebolimento di entrambe: ciò le avrebbe permesso di imporre la propria egemonia.
Il rafforzamento della flotta spartana ebbe due importanti conseguenze:
l'ultima fase della guerra fu combattuta prevalentemente sul mare;
le operazioni belliche si concentrarono soprattutto nel settore Ellasponto-Ionia; erano queste due regioni vitali per Atene, attraverso le quali passavano gli approvvigionamenti di grano e nelle quali risiedevano i suoi principali alleati.
La presenza di una flotta spartana favorì le insurrezioni, che Atene doveva necessariamente affrontare per non perdere il sostegno, economico e militare, dei propri alleati.
Nel frattempo, il blocco di Decelea impediva ad Atene lo sfruttamento delle miniere del Laurion, aumentava i rischi legati ai traffici commerciali, rendeva impossibile lo sfruttamento dei terreni e favoriva la fuga degli schiavi, con conseguente chiusura di botteghe e manifatture. La città andava impoverendosi, e la pressione fiscale gravava sempre più sui ceti più abbienti.
Gli insuccessi militari e le difficoltà economiche rafforzarono le posizioni dei gruppi oligarchici, favorendone il ritorno al potere nel 411 a.C.: caduto il regime democratico, si decretò l'abolizione di diarie e indennità, i diritti politici furono ristretti a un gruppo di 5000 cittadini (scelti in base al censo), la bulé venne sciolta e si istituì un consiglio di 400 membri che assunse il governo della città.
La restrizione del corpo civico, tra l'altro, mirava a limitare il numero di quanti recepivano compensi pubblici che esaurivano le finanze dello stato: ciò dimostra come il modello di democrazia ateniese fosse dipendente dal possesso di un impero e dalla ricchezza.
Il ruolo della flotta
L'importanza delle flotte in questa fase del conflitto emerge anche dalle vicende interne ad Atene: gli equigi ateniesi a Samo si ribellarono al governo oligarchico ed elessero nuovi comandanti, tra cui Alcibiade. Perduto il governo delle forze militari, il governo oligarchico cadde e fu sostituito da un regime democratico (410 a.C.).
Alcibiade, accolto trionfalmente ad Atene, fu tuttavia sconfitto nel 407 a.C. presso Notion, e si ritirò esule volontario nel Chersoneso tracico.
La sconfitta di Atene e gli Egospotami
L'assunzione del comando da parte del generale Lisandro segnò una ripresa dell'offensiva spartana sul mare: ormai gli ateniesi combattevano solo per mantenere aperta la via ai rifornimenti di grano, mentre il loro impero si disgregava.
Nel 406 a.C., gli ateniesi riportarono la loro ultima grande vittoria navale, ma non seppero sfruttare il successo. Gli effetti di ciò furono evidenti l'estate successiva, quando la flotta ateniese fu distrutta nello scontro di Egospotami (405 a.C.).
Gli ateniesi, assediati per via di terra da Decelea e per via di mare da Lisandro, cedettero nel 404 a.C..
Il trattato di pace e i Trenta tiranni
All'assemblea dei peloponnesiaci che seguì la vittoria, corinzi e tebani chiesero la distruzione di Atene e la vendita degli abitanti come schiavi; gli spartani si opposero, pretendendo però:
la distruzione delle lunghe mura e del Pireo;
la distruzione di tutte le navi rimaste, tranne dodici;
la rinuncia a tutti i possedimenti;
il ritorno degli esuli oligarchici;
un'alleanza con Sparta in condizioni di inferiorità.
Gli ateniesi dovettero sottoscrivere il trattato. Subito dopo la resa, si verificò un nuovo colpo di stato oligarchico: a trenta membri dell'aristocrazia (i Trenta tiranni) vennero conferiti pieni poteri. Questi, però, instaurarono un regime tirannico, perseguitando i democratici e i cittadini più abbienti. L'anno successivo, essi furono abbattuti da un gruppo di fuoriusciti.
La democrazia fu nuovamente ripristinata, ma lentamente gli istituti più radicali furono abbandonati e maturò la convinzione che fossero necessarie forme di compromesso con il nemico.
Si sviluppo quindi, nel IV secolo, una democrazia moderata.
La difficile egemonia di Sparta
La vittoria aveva consegnato a Sparta la guida politica della Grecia; essa, però, non seppe guadagnarsi il consenso delle altre poleis, in quanto esercitò la propria egemonia con metodi simili a quelli di Atene. In tal modo, Sparta si attirò l'odio dei vinti e la diffidenza delle altre città, soprattutto peloponnesiache. Infine, nuovi sudditi e antichi alleati si coalizzarono, e si giunse alla guerra di Corinto (395-386 a.C.); Sparta poté conservare la propria superiorità solo grazie all'aiuto dei persiani.
La battaglia di Leuttra e l'egemonia tebana
Quando però Sparta tentò, nel 382 a.C., di conquistare la Beozia, il conflitto che ne derivò ebbe caratteri di una guerra di logoramento. Nel 371 a.C., presso Leuttra, i gli spartani furono sconfitti dall'esercito tebano, guidato dal generale Epaminonda: Sparta dovette riconoscere l'autonomia dei propri alleati, e la Lega Peloponnesiaca cessò di esistere.
Nei dieci anni successivi, Tebe fu la potenza principale; i suoi tentativi di estendersi nelle regioni settentrionali e nel Peloponneso, tuttavia, riavvicinò Sparta e Atene, che costituirono una nuova lega marittima basata su un'effettiva parità dei membri confederati (377 a.C.).
Nel 362 a.C., a Mantinea, l'esercito tebano affrontò il contingente di Atene e Sparta. La battaglia avrebbe dovuto essere decisiva, ma ebbe esito incerto: Sparta pareva avviata verso un declino inarrestabile, Tebe perse il proprio slancio, Atene vide incrinarsi la solidarietà all'interno della sua Lega, che si sciolse nel 355 a.C..
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