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L'azione imperialistica del Giappone tra l'inizio degli anni trenta e la fine della seconda guerra mondiale ebbe come effetto la sostituzione della potenza asiatica alla Francia e all'Inghilterra nel controllo dei possedimenti coloniali nel Sud Est asiatico. Il militarismo giapponese diede così un decisivo impulso al processo di decolonizzazione dell'area asiatica, poiché ridusse il potere coloniale degli stati europei favorendo il sorgere di movimenti nazionalisti e indipendentisti nelle colonie. La precocità del processo di decolonizzazione dell'Asia rispetto al continente africano si spiega anche con la diversa organizzazione politico-sociale dei paesi asiatici, che a differenza di quelli africani, ancora basati su realtà tribali arretrate, si erano dati in passato strutture statali sofisticate e strategie politiche di grande respiro e potevano, nel presente, avvalersi di elevati livelli di istruzione che facilitavano la formazione dei futuri quadri dirigenti.
In alcuni casi il processo di decolonizzazione del continente asiatico si complicò per la nascita di movimenti nazionalisti comunisti, interferendo in questo modo con l'assetto di un mondo spartito tra due blocchi e contribuendo ad aggravare, di conseguenza, il clima di guerra fredda. Limitato all'interno dei confini russi nel periodo tra le due guerre ed esteso ai paesi dell'Europa orientale negli ultimi mesi del conflitto, nel dopoguerra il comunismo costituì, infatti, un efficace punto di riferimento politico ed organizzativo per molti paesi sulla via dell'indipendenza, nonché un modello socioeconomico e un aggressivo propellente ideologico per i paesi rurali, economicamente e socialmente arretrati.
La decolonizzazione dell'area asiatica si realizzò, comunque, in tempi e con modalità diverse nei singoli paesi: così la forza del movimento indipendentista guidato da Gandhi, attivo da più di tre decenni, portò nel 1947, all'indipendenza dell'India, divisa per ragioni confessionali in due diverse entità statali (l'Unione Indiana e il Pakistan). In Cina la vacanza del controllo europeo, unita alla lotta antigiapponese e alle promesse di autonomia e di indipendenza formulate dagli Alleati nel corso del secondo conflitto mondiale, produsse la riscossa del sentimento nazionale, subito collegandosi all'esigenza di un parallelo riscatto sociale assunto come bandiera dai comunisti di Mao Tse-tung vittoriosi nella guerra civile con i nazionalisti di Chiang Kai-shek. Fermenti nazionalistici si diffusero in tutta l'Asia meridionale e nelle Filippine, che nel 1946 ottennero l'indipendenza dagli Stati Uniti, mentre in Birmania (indipendente nel 1948), in Indonesia (nel 1949) e in Malesia (nel 1957) i nazionalisti contrastarono con successo il movimento comunista: nel 1965, in Indonesia, un colpo di stato militare annientò con un tremendo eccidio l'opposizione comunista, fino ad allora legale.
In Indocina l'incapacità francese nel comprendere il mutato corso del mondo fu all'origine di un lungo conflitto armato con le forze nazionaliste (1946-54), che terminò con la sconfitta dei colonialisti a Dien Bien Phu. Ancora nel 1954, gli accordi di Ginevra stabilirono l'indipendenza del Vietnam, dal Laos e dalla Cambogia e la divisione del Vietnam in uno stato a orientamento comunista a Nord e in uno filo-occidentale a Sud; l'equilibrio estremamente instabile della situazione avrebbe determinato, tra il 1964 e il 1975, la sanguinosa guerra del Vietnam.
Fino all'inizio della seconda guerra mondiale, la parte centro-orientale della penisola indocinese fu sottoposta al dominio francese con il nome di Indocina francese; nel dicembre 1941 l'occupazione dell'Indocina da parte del Giappone gettò le basi per il controllo della penisola da parte della potenza asiatica, che dal 1945 sostituì definitivamente l'amministrazione della Francia e riconobbe all'Indocina l'indipendenza sotto l'impero di Bao Dai. Contro l'occupazione nipponica si era formato, dal 1944, il forte movimento indipendentista dei Viet-Minh guidato da Ho Chi Minh, che appoggiato dall'azione dei gruppi comunisti riuscì, dopo la modulazione del Giappone nel 1945, a rovesciare l'imperatore e a diffondersi capillarmente in tutto il paese, giungendo a proclamare, in settembre, la Repubblica democratica del Vietnam.
I rapporti con l'ex madrepatria francese, che dalla fine della guerra era tornata a rivendicare sui territori indocinesi i propri diritti, vennero regolati con il riconoscimento del Vietnam nell'ambito della Federazione indocinese e dell'Unione francese: preoccupati dell'ingerenza francese, tuttavia, Ho Chi Minh e i nazionalisti diedero inizio, il 21 dicembre 1946, alla guerra di liberazione, cui la Francia rispose insediando un governo provvisorio guidato dal generale Xuan. Condotta dal generale partigiano Giap, cui dopo la proclamazione della Repubblica popolare in Cina vennero in aiuto i comunisti cinesi, la guerriglia giunse nel 1953 ad un punto conclusivo con la vittoria sui francesi presso Dien Bien Phu, nel maggio 1954. La Francia, a questo punto, doveva accettare la sconfitta: alla conferenza di Ginevra essa si impegnò a riconoscere l'indipendenza e la sovranità dei tre stati indocinesi del Vietnam, del Laos e della Cambogia, accettò il ritiro delle truppe dai territori a nord del 17° parallelo e la loro cessione ai Viet-Minh. In via provvisoria il Vietnam venne diviso in due zone che avrebbero dovuto, entro due anni, realizzare le elezioni generali per la ricostituzione di un unico stato indipendente: il 17° parallelo costituiva pertanto il confine tra Vietnam del Nord, con capitale Hanoi, e Vietnam del Sud, con capitale Saigon, appoggiati l'uno dall'Unione Sovietica e dalla Cina, l'altro dagli Stati Uniti. Il modello socialista cui fu improntato da subito il Vietnam del Nord era controbilanciato, a sud, dal regime anticomunista del conservatore Ngo Dinh Diem, divenuto primo ministro il 14 giugno: come già in Corea, convivevano a stretto contatto due entità nazionali ideologicamente opposte, ciascuna sostenuta nella logica della guerra fredda e dal confronto a livello etario da una delle due superpotenze: tale equilibrio instabile sarebbe sfociato in aperto conflitto, con il coinvolgimento degli Stati Uniti (guerra del Vietnam).
La guerriglia nazionalista contro il dominio francese in Indocina si era conclusa (1956), con il riconoscimento dell'indipendenza del Vietnam e con la sua divisione in uno stato a orientamento comunista a Nord e in uno filo-occidentale a Sud.
Secondo gli accordi di Ginevra nel luglio 1959 si sarebbero dovute tenere elezioni generali per ricostruire uno stato unito e indipendente. Fallito il progetto per la sempre più netta differenziazione politica dei due stati , la storia del Vietnam registrò, dopo 1955, una relativa tranquillità interna del nord (Repubblica Democratica del Vietnam), che permise a Ho Chi Minh di dedicare i suoi sforzi a risolvere i gravi problemi connessi con la trasformazione di una struttura economica a carattere prevalentemente agricolo e privatistico in un'economia collettivistica e, per quanto possibile industrializzata. In politica estera la Repubblica Democratica del Vietnam si allineò in pratica sulle posizioni della Cina comunista, dando un valido appoggio al fronte di liberazione nazionale (Vietcong) che, nella regione meridionale del paese (Repubblica del Vietnam) aveva scatenato, con successo sempre crescente, una guerriglia per rovesciare il governo appoggiato dagli Americani e giungere alla riunificazione del paese.
Nonostante gli ingenti aiuti economici e militari degli Stati Uniti, interessati a mantenere nel Sud un regime anticomunista, la situazione economica del Vietnam meridionale non registrò miglioramenti di rilievo, soprattutto a causa delle enormi spese richieste dalla lotta contro i guerriglieri, appoggiati, oltre che dal Vietnam del Nord, da larghi strati della popolazione sudvietnamita, insofferenti del regime autoritario instaurato da Ngo Dinh Diem. Spodestato definitivamente Bao Dai nel 1955, Ngo Dinh Diem aveva infatti imposto facilmente la sua personalità, schiantando con estrema decisione tutte le oligarchie politiche e religiose presenti nel paese, che fossero in contrasto con le esigenze del funzionamento di uno stato moderno, ma rivelandosi al tempo stesso intollerante di ogni forma anche timida di opposizione democratica. il regime si trasformò via via in un dittatura di Ngo Dinh Diem e della sua famiglia cui il presidente affidò alcuni posti chiave nella vita del paese: di particolare importanza fu la funzione di Ngo Dinh Nhu, uno dei suoi quattro fratelli e della moglie di questo, la signora Nhu, che non solo esercitavano notevole influenza su Diem quali suoi consiglieri politici, ma controllavano personalmente un certo numero di organizzatori che in pratica costituivano un'efficiente polizia privata. Nonostante ciò, Diem continuò a ricevere l'appoggio degli Americani, consci della necessità di un regime forte per sostenere la lotta contro il Vietcong che, a partire dal 1959, aveva intensificato la sua azione. Per evitare che i guerriglieri ricevessero l'appoggio dei contadini, si adottò, sull'esempio di quanto fatto dagli inglesi in Malesia, il sistema dei "villaggi strategici", trasferendo le popolazioni dei villaggi isolati in appositi centri fortificati: il sistema non ottenne però i risultati previsti e contribuì invece non poco ad accrescere il malcontento popolare verso il governo Diem. Dopo che, nel novembre 1960, un tentativo di un gruppo di militari di impadronirsi del potere era stato respinto grazi all'intervento di truppe fedeli a Diem e, nel febbraio 1962, lo stesso presidente era sfuggito a un attentato compiuto da altri militari, la situazione giunse a un'aperta crisi in seguito al dissidio con la comunità buddista. La politica intollerante seguita dal cattolico Diem e dai suoi diretti collaboratori aveva già suscitato a più riprese il malcontento dei buddisti, che costituivano di gran lunga la maggioranza della popolazione. Il 7-5-63, nel corso di una manifestazione di protesta a Hué contro il divieto di celebrare pubblicamente l'anniversario della nascita di Buddha, alcune persone furono uccise o ferite; seguirono altri numerosi scontri a Saigon e in altre città, e spedizioni punitive sia da parte dei buddisti sia da parte dei cattolici filogovernativi, mentre alcuni monaci buddisti, per richiamare l'attenzione sull'oppressione religiosa, si suicidarono pubblicamente bruciandosi vivi. Diem raggiunse un compromesso con le autorità buddiste, dietro la promessa di punire i responsabili, risarcire le vittime e garantire a tutti la libertà di culto. La tregua fu tuttavia di breve durata perché i buddisti ripresero le agitazioni. Finalmente, dopo che alle dimostrazioni antigovernative si erano uniti gli studenti e che l'ambasciatore statunitense Cabot Lodge, dopo aver invano cercato di indurre Diem a cedere alle richieste di maggior libertà avanzate dai dimostranti, gli aveva ritirato il proprio appoggio, nei primi giorni di novembre un colpo di stato militare rovesciava il governo, arrestando e uccidendo il presidente Diem e i l fratello. A capo dello stato veniva designato il maggiore generale Duong Van Minh coadiuvato da un triumvirato militare. Nel 1964 ci fu un nuovo colpo di stato che portò alla ribalta due generali.
Frattanto i guerriglieri comunisti avevano approfittato dei contrasti interni del paese per intensificare la loro azione: potendo contare su circa 30000 uomini, comandati da elementi addestrati nel Vietnam del nord appoggiati da una fitta rete di agenti tra la popolazione, il Vietcong inflisse numerose sconfitte alle forze governative rendendo vani gli sforzi sostenuti dagli Stati Uniti per appoggiare militarmente il Vietnam meridionale. Il tentativo di instaurare una dittatura al comando di Khanh fallì clamorosamente. Anche il successivo tentativo di riportare il paese sui binari di un governo civile ebbe breve durata e il generale Khanh riassunse ancora una volta il potere. Nel marzo del 1965 si ebbe una svolta dell'impegno americano nel Vietnam in seguito alla decisione di effettuare bombardamenti massicci sul Vietnam del nord nella speranza di rallentare il flusso di rifornimenti che attraverso la "pista di Ho Chi Minh" giungevano ai guerriglieri vietcong, e indurre il governo di Hanoi a trattare. Nel giugno 1966, di fronte al crescente successo dell'offensiva vietcong, il presidente americano Johnson prese la grave decisione di estendere i bombardamenti aerei alle zone industriali intorno ad Hanoi e Haiphong, ma ciò non fece che rafforzare la volontà di resistenza del popolo vietnamita e indurre la nazioni del campo socialista a intensificare i loro aiuti. Dal febbraio 1968 i guerriglieri giunsero a minacciare le basi americane e la stessa Saigon: il crescente impegno americano (nel giugno 68 il corpo di spedizione raggiunse i 525000 uomini) si dimostrava insufficiente a piegare la resistenza dei vietcong e il prezzo ato era altissimo sia in termini economici sia in vite umane. Il fallimento della sua politica e il dilagare del dissenso all'interno degli Stati Uniti indussero il presidente Johnson ad annunciare, il 31 marzo 1968, la sospensione dei bombardamenti sul Vietnam del nord, proponendo contemporaneamente l'apertura dei negoziati di pace. Questi iniziarono alcuni mesi dopo a Parigi senza dare apprezzabili risultati non accettando gli americani di ritirare le proprie truppe e di acconsentire alla formazione di un governo di coalizione a Saigon che comprendesse anche rappresentanti dell'FNL. Con l'elezione del repubblicano Nixon alla presidenza degli Stati Uniti si aprì una nuova fase nella storia del conflitto: la cosiddetta "vietnamizzazione" consistente appunto in un progressivo graduale ritiro delle truppe americane e nella loro sostituzione nelle operazioni belliche con unità sudvietnamite. Alla fine del 1971 restavano però ancora in Vietnam quasi 200000 americani impegnati in operazioni logistiche. L'estensione territoriale del conflitto, inoltre, si allargò notevolmente con l'intervento congiunto americano - sudvietnamita in Cambogia del maggio 1970 giustificato con la necessità di distruggere i depositi di armi, munizioni e viveri usati dai vietcong per rifornire le proprie truppe operanti nel Vietnam meridionale, e con l'invasione del Laos, nel marzo 1971. Queste operazioni militari che avrebbero dovuto permettere di verificare il successo della politica di vietnamizzazione, dimostrarono invece come le forze sudvietnamite non fossero in grado di assumere su di se l'intero peso della guerra, rendendo quindi ancora necessaria la presenza delle truppe americane. Il regime di Hanoi dimostrò stabilità anche dopo la morte di Ho Chi Minh avvenuta nel settembre 1969, e seppe mantenere una propria originale collocazione autonoma rispetto a Mosca e a Pechino e continuò con grande coraggio la lotta per veder riconosciuto il diritto del popolo vietnamita alla pace e all'indipendenza.
con la politica di apertura verso la Cina e con la visita di Nixon a Mosca (maggio 1972) gli Stati Uniti tentarono di ricondurre il problema vietnamita sul terreno di accordo tra grandi potenze, sperando che le pressioni di Mosca e Pechino potessero indurre il governo di Hanoi a ulteriori negoziazioni. Il 30 marzo, tuttavia, le truppe nordvietnamite e il FNL lanciarono una nuova grande offensiva che in breve tempo permise loro di conquistare importanti posizioni. L'esercito di Saigon dette un'evidente prova di inefficienza e solo l'intervento massiccio dell'aviazione americana permise di riequilibrare le sorti della battaglia. La scadenza delle elezioni presidenziali americane, il 4 novembre 1972, sembrò poter essere l'occasione favorevole alla conclusione di un accordo di pace, che nei suoi termini generali era già stato raggiunto in ottobre nel corso di negoziati segreti svoltisi a Parigi tra il consigliere di Nixon, Kissinger e il rappresentante del governo nordvietnamita Le Duc Tho i punti principali prevedevano: la fine di ogni atto di guerra da parte del Vietnam del nord e il completo ritiro delle truppe americane, lo stabilimento di un "cessate il fuoco" nel Vietnam meridionale, la convocazione di una conferenza internazionale sull'Indocina entro 30 giorni dalla firma dell'accordo, la costituzione di un "consiglio nazionale di riconciliazione", incaricato di preparare lo svolgimento delle libere elezioni nel Vietnam del sud, garantite dalla supervisione di una commissione internazionale di controllo.
Improntati a modelli ideologici contrapposti, i due stati convivevano in una situazione di equilibrio estremamente instabile: dal 1959 si fece massiccia nel Vietnam del Sud l'attività del Fronte di Liberazione Nazionale (i vietcong), che in stretto collegamento con il regime nordvietnamita guidato da Hô Chi Minh e appoggiato da vaste masse popolari lottava per rovesciare il regime autoritario istituito dal conservatore Ngo Dinh Diem sostenuto in funzione anticomunista dagli americani, e per riunire il Sud al Nord. La conflittualità tra i due stati era necessariamente destinata a complicarsi per l'appoggio dato al Nord dall'Unione Sovietica, al Sud dagli Stati Uniti: dalla fase di guerriglia si passò perciò, intorno alla metà degli anni sessanta, al conflitto vero e proprio, causato nel 1964 dallo scontro a fuoco scoppiato tra navi statunitensi e nordvietnamite nel golfo del Tonchino e in seguito al quale l'appoggio degli americani alle forze sudvietnamite si fece sempre più massiccio.
Sostenuta dai paesi del blocco socialista, la volontà di resistenza dei nordvietnamiti e dei vietcong si intensificò e la guerriglia si fece sempre più violenta, mettendo in gravi difficoltà le forze militari americane impegnate sul campo per volontà del presidente Johnson. Il coinvolgimento in un conflitto avvertito dall'opinione pubblica come estraneo, «lontano» ed estremamente pesante in termini di perdite di vite umane si tradusse, negli Stati Uniti, nella crescita di un forte dissenso nei confronti dei vertici politici: Johnson decise allora, nel marzo 1968, di interrompere i bombardamenti sul Vietnam del Nord e di avviare negoziati di pace. Svoltesi a Parigi, le trattative fallirono. Il neopresidente americano Nixon, eletto nel 1968, stabilì allora l'adozione di una diversa linea di condotta consistente nella vietnamizzazione, cioè nel graduale disimpegno delle truppe americane e nella loro sostituzione con truppe sudvietnamite. All'inizio degli anni settanta il ritiro delle forze militari americane non poteva ancora dirsi concluso, anzi il loro impegno in Cambogia a fianco dei sudvietnamiti rese evidente come, lasciate a sé, le forze sudvietnamite non sarebbero state in grado di resistere. Nixon decise allora (1972) di tentare nuovamente la carta dei negoziati coinvolgendovi le grandi potenze: ma una nuova grande offensiva lanciata in marzo dal Vietnam del Nord e dai vietcong capovolse nuovamente la strategia americana, spingendo gli Stati Uniti a percorrere contemporaneamente la strada della diplomazia e quella dell'impegno bellico, che si rivelò sempre più incapace di fermare le conquiste dei nordvietnamiti e dei vietcong.
Nel 1973 si giunse infine all'armistizio e al ritiro delle truppe americane, sulla base di un progetto di pace che prevedeva il riconoscimento dell'indipendenza, della sovranità e della riunificazione del Vietnam. Nel 1975 l'offensiva finale dei vietcong e dei nordvietnamiti provocò il crollo del regime sudvietnamita e la riunificazione dei due Vietnam sotto l'egida comunista: in memoria del padre della rivoluzione vietnamita, Saigon veniva ribattezzata con il nome di Città Hô Chi Minh.
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