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LE VIE CONSOLARI E LE ALTRE STRADE DEL LAZIO
L'antica rete stradale romana fu un 'sistema' di grande importanza per l'amministrazione dei territori conquistati e per l'affermazione di influenze politiche, economiche e culturali. I numerosi ritrovamenti archeologici, e le fonti storiche, testimoniano che conquiste territoriali e costruzione delle strade andavano di pari passo.
Forse nessun aspetto della civiltà romana è emblematico come la strada. Altri popoli sono stati grandi organizzatori e combattenti come i Romani; altri popoli, come loro, hanno lasciato imponenti testimonianze architettoniche ed artistiche: nessuno, invece, ha nemmeno tentato di 'ingabbiare' il mondo con una stupefacente rete viaria come i Romani hanno fatto. Si calcola che nel periodo di massimo splendore erano percorribili - in Europa, Asia e Africa - circa centomila chilometri di strade costruite, controllate e curate dalle istituzioni di Roma.
Non stupisce soltanto la quantità; ancor più avveniristica era la qualità di queste opere, rimasta eccezionale fino al tramonto del mondo antico: bisognerà aspettare la seconda metà del XX secolo, con le autostrade, perché tornino a realizzarsi concezioni simili a quelle romane. Infatti le vie consolari prediligevano i rettilinei, affrontavano direttamente i dislivelli, evitando il disegno a tornanti; e per questo richiedevano opere colossali quali ponti a parecchie arcate, scavi di gallerie, tagli di coste rocciose.
I nomi delle strade romane rivelano spesso la loro funzione originaria: la via Salaria era destinata al trasporto del sale; sull'Argentea, in Iberia (Sna), si svolgeva il traffico del prezioso minerale.
Altre erano identificate
dall'area geografica in cui avevano la loro origine o il loro termine:
così la via Ostiense, da Ostia; la via Ardeatina,
da Ardea, la Tiburtina, da Tibur, la Nomentana, da Nomentum. GENERALITA'Il sistema stradale romano interessò tutta l'area dell'impero, dalla Britannia all'Africa settentrionale, dall'Iberia alle province danubiane e del Vicino Oriente. |
La costruzione di un così imponente sistema di opere pubbliche, di tracciati stradali, di ponti, gallerie e viadotti, fu un lavoro immenso, realizzato quasi sempre in condizioni inumane, ad opera di militari, prigionieri di guerra, schiavi o criminali, che periodicamente si ribellavano, con rivolte spesso sanguinose. I vecchi tracciati tra Roma e i centri laziali (le vie Laurentina, Safricana, Ardeatina) erano tortuosi, pieni di variazioni di quota, ricchi di irregolarità di profilo. Il loro fondo, quasi sempre in terra battuta, talvolta era stato scavato direttamente nella roccia, ed in qualche caso veniva rinforzato con ghiaia compressa. L'introduzione di nuovi criteri e di nuove tecniche di ingegneria stradale viene fatta risalire al 312 a.C., quando si realizzò la costruzione della Via Appia ad opera di Appio Claudio Cieco, lo stesso costruttore del primo acquedotto di Roma (l'aqua Appia) come riportano Livio e Diodoro Siculo. Significativo fu l'abbinamento di strade e acquedotti, perché due strutture con funzioni così importanti per il vivere civile e per il progresso camminano l'una accanto all'altra. |
Due famosi storici come Dionigi di Alicarnasso e Strabone ritenevano che la grandezza dei Romani risiedeva in tre grandi opere di pubblica utilità: le strade, gli acquedotti e le cloache. Se i Greci trascurarono queste costruzioni non certo lo fecero i Romani che, a riguardo delle strade, prendevano in considerazione i tre principi enumerati da Vitruvio: la solidità, l'utilità e la bellezza. (1) In linea generale questo era un aspetto importante, ma chi costruivano le strade ?, Perché venivano realizzate? Come si costruivano ? Quali erano i tempi di percorrenza rispetto alle altre vie di comunicazione ? Quali strade possiamo definire 'consolari' e quali non rientrano in questa classificazione ? A questi interrogativi cercheremo di dare una risposta articolata.
Per i Romani le strade erano delle opere fondamentali per soddisfare l'esigenze dei 'cives' e della 'civitas' e l'apertura di una nuova arteria veniva considerata un evento degno di memoria e il nome del costruttore veniva ricordato negli archi trionfali, nelle statue o come accadeva spesso la strada da lui traeva il nome. (2). Nella fase costruttiva si cercava di realizzarle in linea retta, anche se ciò comportava dei problemi nella fase realizzativa, perché avrebbero garantito uno spostamento celere in ambito commerciale e militare. L'impero romano deve il suo successo grazie anche alle sue strade che hanno facilitato il controllo dei confini, lo spostamento dei rinforzi e delle legioni verso la conquista dell'Italia e delle nuove province, portando avanti il processo di urbanizzazione ed estendendo le relazioni commerciali con le nuove province e i paesi confinanti. Lo spirito pratico dei Romani li spingeva a valutare il terreno e l'importanza dei luoghi: se le strade servivano importanti città dal punto di vista economico o militare si provvedeva a insediare presidi militari, soprattutto nei nodi di scambio, ma anche fortificazioni lungo il percorso come avviene nella strada Damasco-Palmira-Sura (3). Le strade si costruivano anche in zone desertiche, ma se i luoghi non erano degni di attenzione i presidi e le fortificazioni risultavano superflue. Si costruivano strade, inoltre, anche per facilitare ed intensificare i rapporti tra due città, come avvenne con la via Appia che doveva collegare Roma con Capua - città che con altri centri della Campania aveva stretto un'alleanza con l'Urbe.- ma che fu realizzata anche per ottimizzare i trasporti costruendo una via più più rapida rispetto alla via Latina. (4) Non sempre le strade erano costruite per volontà di Roma ma potevano essere costruite perché alcune città sentivano l'esigenza di aprirsi una via di collegamento con l'Urbe.
Costruivano le strade, di fatto, i soldati romani i quali avevano anche altri compiti: costruivano i ponti, facevano la centuriazioni delle terre e acquartieravano le tribù (5) ed esempi di tal genere sono documentati sulla colonna traiana. Le strade consolari, possiamo dire, sono quelle che sono legate alla ura di un censore o console da cui presero il nome e questo fu il caso della via Appia, Aurelia, Cassia, Clodia, Flaminia e Valeria.
Esistono poi strade romane che derivano il loro nome dalla funzione commerciale a cui erano adibite (la via Salaria che serviva per i traffici del sale) o dalla località a cui si dirigevano e che in taluni casi vengono definite consolari per consuetudine: la via Ardeatina (per Ardea), la via Labicana (per Labicum), la via Gabina chiamata poi Prenestina (per Gabii e Preneste), la via Collatina (per Collatina), la via Tiburtina (per Tibur), la via Ficulensis chiamata poi Nomentana (per Ficulensis, ma poi per Nomentum).
La costruzione di una strada romana richiedeva un grosso impegno tecnico e di certo non era un'opera fatta a caso. Prima si cercava di studiare il terreno, l'esposizione, gli ostacoli da superare o evitare, nonché le necessarie opere di consolidamento o di rafforzamento. Si valutavano, poi, le necessarie opere di aggiustamento del terreno per superare dei pendi o per parificare il terreno. Si teneva conto dei canali di deiezione, dei tombini e delle chiaviche e delle opere di protezione per difendere le strade dalle acque meteoriche, di massi e dalle frane e dalla neve.
Le strade erano formate, in linea di massima, dal crepidus, dal sulcus e dal sommum dorsus. Il sulcus era un canale che correva sui due lati della strade tra il crepidus (la parte alta) e il sommum dorsus (il lastricato vero e proprio) . Sotto il lastricato si trovavano vari strati costituiti da materiali diversi (pietrame, sabbia, pozzolana spesso mista a calcina, e talvolta anche anfore). La selce (silex o lapis durus) era il materiale di origine vulcanica che veniva comunemente usato per lastricare le strade romane per le sua caratteristiche di durezza e resistenza e che fu utilizzato, in tempi più recenti, per la costruzione dei famosi 'sampietrini', che attualmente sono stati sostituiti, in molte strade, da quelli di fabbricazione cinese o dal manto stradale. Tuttavia non tutte le strade romane erano lastricate, ma alcune erano solo ricoperte da terra battuta e sassi. (6). Sull'uso della selce da Livio apprendiamo che nel 189 a. C. la via Appia era lastricata con questa pietra lavica, mentre in precedenza era ricoperta da blocchi squadrati forse in peperino o tufo (7), mentre lo storico Procopio ci testimonia che nel VI sec. d.C. la strada nonostante il tempo trascorso non è stata minimamente sconnessa e non ha perduto la sua levigatezza (De bell. Goth. I, 14). Tuttavia quando questa pietra non era disponibile sul posto si usavano anche altri materiali come i calcari, i graniti o le arenarie (8)
I tempi di percorrenza per le strade romane erano lenti, ma lo sforzo di rendere agevoli le strade e di costruirle possibilmente in linea retta anche superando difficili ostacoli e di fornirle delle necessarie stazioni di posta e di ristoro contribuiva di molto ad alleviare il disagio del trasporto.
Le strade, inoltre, avevano una enorme valore strategico: quelle 'verticali' servivano come strumento di penetrazione nei territori, per lo spostamento di truppe, per il commercio, i rifornimenti, mentre quelle 'orizzontali' poste sul confine, per esempio, servivano come strade per effettuare le perlustrazioni contro le infiltrazione nemiche di scarsa entità . Tuttavia se le strade orizzontali erano poste all'interno dell'impero, servivano come arterie di spostamento da un settore ad un altro.(9)
Sui tempi di percorrenza è risaputo che la via di comunicazione più veloce era quella per mare, ma era soggetta ai capricci del tempo. Da novembre a marzo non si navigava e le onerarie che trasportavano il grano da Alessandria aspettavano aprile per effettuare i primi viaggi. Normalmente una flotta in caso di venti favorevoli andava ad una velocità di 2-3 nodi che scendeva ad un nodo o un nodo e mezzo quando le condizioni climatiche erano proibitive. Un tempo di percorrenza di due giorni tra Ostia e Capo Bon (Africa) costituiva, per esempio, un caso eccezionale. (10) Tuttavia le velocità ordinarie di una flotta erano sensibilmente superiori a quelle che poteva compiere un esercito che cercava di raggiungere a marce forzate una determinato luogo. Un esercito normalmente equigiato poteva percorrere in condizioni normali e su strade lastricate e rettilinee una distanza di poco più 38 km al giorno, mentre una nave per trasportare lo stesso esercito riusciva a coprire - in condizioni di tempo normali e con una velocità bassa di un nodo- circa 44 Km in 24 ore . Esistevano, però, per via terra dei servizi veloci per il trasporto della posta mediante corrieri a cavallo (cursus publicus) o di viaggiatori mediante vetture trainate da cavalli o muli (cursus velox) che consentivano di percorrere anche 120 Km al giorno. Questri servizi erano sotto la sorveglianza del censore, in epoca repubblicana, o del curator sotto il periodo imperiale. Questi funzionari curavano, inoltre, la manutenzione delle strade e l'attuazione della normativa inerente alla tutela patrimoniale e della circolazione. (11)
Spesso certi percorsi per via mare non incontravano ostacoli, mentre per via terra bisognava fare dei giri tortuosi. Tuttavia per le distanze brevi si preferiva il trasporto via terra per non intercorrere nei capricci climatici. (12) Inoltre le navi romane non erano predisposte per trasportare passeggeri che non facessero parte dell'equigio e quindi solo i più ricchi venivano sistemati nella cabina di coperta a poppa, mentre tutti gli altri venivano sistemati, come si poteva, sul ponte o nella stiva.' (13)
Intorno al IV sec.
a.C., Roma era già una grande metropoli. Racchiusa dalle mura Serviane,
cominciava a dominare sull'Italia. Fioriva la Repubblica. Mancavano solo due
cose: l'acqua e le strade. Fino a quel momento i romani si erano accontentati
dell'acqua del Tevere e di quella piovana. Per quanto riguarda il secondo
problema, fino a quel momento esistevano solo tre vere e proprie strade, mentre
altri sentieri divennero poi famose vie consolari (come via Nomentana o via
Tiburtina): la via Salaria (che uscendo dalla porta Collina
portava a Asculum, Ascoli), la via Ostiensis (che dalla porta
Raudusculana conduceva a Ostia) e la via Latina.
Le prime due formavano un solo tracciato naturale, interrotto da Roma, che collegava
il Reatino al mare, la terza era un altro tracciato naturale che partiva
dall'isola Tiberina, usciva dalla città da porta Capena, seguiva le
pendici dei Colli Albani, li aggirava ed arrivava a Capua. Erano però
sentieri polverosi, senza alcuna manutenzione. Intorno al 330 a.C.; la via
Latina fu ricoperta di ghiaia, ma le cose non migliorarono di molto. La prima
vera strada romana fu la via Appia, che fu condotta a Roma da
Appio Claudio Cieco, lo stesso che vi condusse il primo acquedotto. Appio Claudio
fu il primo ad applicare il metodo del lastricato, che fu in seguito applicato
alle strade romane. Ma non era solo questa la particolarità delle strade
romane; esse erano attrezzate soprattutto per permettere alla gente di svolgere
lunghi viaggi in un tempo relativamente breve. Innanzitutto, nel Foro Romano fu
esposta una mappa in marmo dell'intricato sistema viario romano che includeva
le fontane, i posti di ristoro, i nomi delle città, i nomi delle tappe,
i fari ecc. Essa fu ricopiata in tante sotto-mappe su pergamena, ognuna per un
particolare itinerario: chi doveva andare a Firenze, si recava nel Foro,
acquistava un Itinerarium (questo era il nome delle
sotto-mappe) e si poteva avventurare lungo la Cassia, ma non è tutto:
oltre ai cippi miliari furono costruite delle tabernae
(locande dove fermarsi per dormire e mangiare), delle fontane per bere, dei mutatio
(cioè delle tappe dove il tabellarius, ovvero il
postino, poteva cambiare cavallo per mantenere la velocità costante).
Dato che 200 miglia al giorno, cioè 350 km circa, non era una
velocità impossibile (e lo sappiamo perché, come ci disse Plinio,
Tiberio viaggiò a questa velocità per raggiungere il fratello
seriamente malato in Germania) le loro strade non temevano le nostre
autostrade, complete di cartine, caselli, motel e case cantoniere.
Il primo troncone della via Appia conduceva da Roma a Capua (S. Maria Capua
Vetere) passando per Tarracina (Terracina), Formiae (Formia), Minturnae
(Minturno), Casilinum (Capua), dove si univa con la via Latina. Fu prolungata
per la prima volta nel 268 a.C. fino a Beneventum (Benevento), poi nel 190 a.C.
fino a Venusia (Venosa), Tarentum (Taranto) e Brundisium (Brindisi). Sotto
Traiano fu aggiunto un altro troncone (via Appia Traiana) da Beneventum a
Brundisium per Canosa (Canosa) e Barium (Bari). La via Latina rasentava
Tusculum, passava per Compitum, Frusino (Frosinone), Fregellae (Ceparano),
Aquinum (Aquino), Casinum (Cassino), Teanum (Teano) e si univa alla via Appia a
Casilinum.
La via Salaria
portava da Roma a Castrum Truentinum (Porto d'Ascoli), sulla costa adriatica.
Seguiva il Tevere fino a Passo Corese, si addentrava nella Sabina passando per
Reate (Rieti), Cittaducale, Antrodoco, oltrepassava l'Appennino tra le gole del
Terminillo e discendeva verso l'Adriatico, raggiungendo Asculum (Ascoli Piceno)
e Castrum Truentinum.
Poco dopo la costruzione della via Appia fu lastricata anche la via Latina, che
ne divenne l'alternativa. La via Nomentana, di origine antica,
usciva dalla porta Collina, cavalcava l'Aniene e risaliva fino a Nomentum
(Mentana).
La via Tiburtina, il cui tracciato era di antichissima
origine, fuoriusciva dalla città dalla porta Esquilina e conduceva a
Tibur (Tivoli) scavalcando l'Aniene. Fu ristrutturata nel 307 a.C. da Marco
Valerio Massimo e fu da lui prolungata fino a Corfinium (Corfinio). Questo
nuovo tratto prese il nome di via Tiburtina Valeria.
La via Praenestina è un tracciato di antica origine,
che dalla porta Esquilina conduceva a Gabii e a Praeneste (Preneste),
attraverso delle placide camne. Fu sistemata quando Roma conquistò
Praeneste, nel 338 a.C..
Anche l'agrestre via Collatina era un tracciato di antica
origine. Si distaccava dalla via Tiburtina poco dopo l'arco dell'Acqua Marcia
(che fu in seguito integrato nelle mura Aureliane e divenne porta Tiburtina, ed
ora ha il nome di porta S. Lorenzo) e conduceva alla vicina Collatia
(Lunghezza).
La via Aurelia fu aperta nel 241 a.C. dal censore Caio Aurelio
Cotta. Usciva da Roma dal ponte Emilio (l'odierno ponte Rotto), saliva sul Gianicolo
e conduceva a Cosa (Ansedonia). Fu prolungata da Marco Emilio Scauro nel 107
a.C. fino a Luni, mentre solo in età imperiale fu prolungata fino ad
Arelate (l'odierna Arles).
La via Flaminia fu aperta nel 223 a.C. dal censore Caio
Flaminio ed era finalizzata alla colonizzazione dell''ager Gallicus'.
Fuoriusciva dalla porta Fontinalis della cinta repubblicana (in seguito
passerà anche sotto la porta Flaminia delle mura Aureliane, l'odierna
porta del Popolo), raggiungeva, passando per l'Umbria, Fanum (Fano) e terminava
ad Ariminum (Rimini).
La via Aemilia fu costruita nel 187 a.C. dal console Marco
Emilio Lepido dopo le sottomissioni dei Liguri per unire il loro territorio
alla via Flaminia. Le città principali che toccava erano Placentia
(Piacenza), Fidentiola (Fidenza), Parma (Parma), Regium (Reggio Emilia), Mutina
(Modena), Bonomia (Bologna), Forum Cornelii (Imola), Faventia (Faenza), Caesena
(Cesena) e Ariminum (Rimini). Nel periodo imperiale la via proseguiva con un
tronco fino ad Augusta Praetoria (Aosta) passando per Mediolanum (Milano),
Novaria (Novara), Vercellae (Vercelli), Eporedia (Ivrea) e Verres.
La via Postumia fu costruita nel 148 a.C. da Spurio Postumio
Albino. Univa Genova con il litorale adriatico lungo il seguente percorso:
Genua (Genova), Dertona (Tortona), Iria (Voghera), Comillomagus (Broni),
Placentia (Piacenza), Cremona (Cremona), Verona (Verona), Vicetia (Vicenza),
Opitergium (Oderzo), Concordia (a 50 miglia da Aquieia, i cui profughi
fondarono alla fine dell'Impero la città di Venezia).
La via Popilia fu costruita nel 132 a.C. da Publio Popilio.
Collegava Capua a Rheghium (Reggio Calabria) passando per Consentia (Cosenza),
Vibo Valentia (Vibo Valentia), Grumentum e Nerulum.
La via Cassia, strada di probabili origini etrusche, metteva
in comunicazione Roma con l'Etruria, toccando Sutrium (Sutri), Volsinii
(Bolsena), Clusium (Chiusi), Arretium (Arezzo) e Florentia (Firenze) sboccando
sull'Aurelia all'altezza di Luni. Fu costruita intorno al 117 a.C., forse da
Lucio Cassio Longino Ravilla. La via Cassia si biforcava dalla via Flaminia a
pochi chilometri da Roma, subito dopo ponte Milvio.
La via Clodia fu costruita sul finir del II sec. a.C., si
distaccava dalla via Cassia all'altezza di La Storta e proseguiva penetrando
nell'Etruria fino a Cosa.
La via Portuense fu fatta costruire da Claudio. Usciva da Roma
e, costeggiando la riva destra del Tevere, raggiungeva Portus (Fiumicino), il
porto che sostituì Ostia.
La via Flavia fu costruita da Vespasiano nel 78-79 d.C.. Univa
Trieste con Pola passando per Parenzo.
La via Labicana fu costruita da Vespasiano. Era una breve
strada che, biforcandosi dalla via Praenestina all'altezza dell'arco dell'Acqua
Marcia (che, integrato nelle mura Aureliane, divenne Porta Maggiore),
raggiungeva la via Latina vicino
Valmontone, costituendo così una 'bretella' per accorciare il
viaggio.
La via APPIA ANTICA
Fu la prima e la
più importante tra le grandi strade costruite da Roma. Chiamata a buon
diritto la 'regina viarum', essa nacque alla fine del IV secolo a.C.
per mettere in diretta e rapida comunicazione Roma e Capua. L'anno di nascita
della strada fu il 312: quello in cui fu censore a Roma, Appio Claudio, il
magistrato che la fece costruire lasciandole il proprio nome. L'ideazione
segui' un piano di concezione sorprendentemente moderno, che lasciava da parte
i centri abitati intermedi (provvisti pero di appositi raccordi) e mirava
diritto alla meta. La via fu percio' realizzata, superando grosse difficolta'
naturali, come le Paludi Pontine, con importanti opere d'ingegneria. Il primo
tratto, fino a Terracina, era un lunghissimo rettifilo di circa 90 chilometri,
di cui gli ultimi 28 fiancheggiati da un canale di bonifica che consentiva di
alternare il tragitto in barca a quello sul carro o a cavallo. Dopo Terracina,
la strada deviava verso Fondi, quindi attraversava le impervie gole di Itri e
scendeva a Formia e Minturno. Superata poi Sinuessa (l'odierna Mondragone), con
un altro tratto rettilineo puntava a Casilinum (l'odierna Capua), sul Volturno,
donde raggiungeva l'antica Capua (oggi S.Maria Capua Vetere). Il percorso
totale era di 132 miglia, pari a Km. 195, e si effettuava normalmente con
cinque/sei giorni di viaggio. In conseguenza dell'ulteriore espansione di Roma
nel Mezzogiorno, la via Appia fu piu' volte prolungata. Dapprima, subito dopo
il 268 c.C., fino a Benevento, poi al di la dell'Appennino, fino a Venosa e
quindi a Taranto. Finalmente, nel II secolo a.C. fu con dotta fino a Brindisi,
porta dell'Oriente. Il percorso dopo Benevento fu pero' a poco a poco
sostituito da un itinerario alternativo, piu breve e piu facile che
attraversava tutta la Puglia passando per Ordona, Canosa, Ruvo, Bari ed
Egnazia. Nei primi anni del II secolo d.C. esso fu trasformato in una vera e
propria variante dall'imperatore Traiano che le aggiunse il suo nome. Con la
nuova via Appia Traiana era possibile andare da Roma a Brindisi in 13/14 giorni
lungo un percorso totale di 365 miglia pari a poco meno di Km. 540. La via
Appia era lastricata con grandi lastroni (o 'basoli') di pietra
basaltica di forma variamente poligonale. La carreggiata aveva una larghezza
standard di 14 piedi romani (m. 4, 15 circa) sufficienti a consentire iI
passaggio contemporaneo di due carri nel doppio senso di marcia. Due
marciapiedi in terra battuta delimitati da un cordolo di pietra e larghi ognuno
almeno un metro e mezzo fiancheggiavano la carreggiata. Ogni 7 o 9 miglia nei
tratti piu frequentati (Km. 10/13) e ogni 10 o 12 migIia in quelli meno
importanti (Km. 14/17), si allineavano lungo la strada Ie stazioni di posta per
iI cambio dei cavalli unitamente a luoghi di ristoro e di alloggio per i
viaggiatori. In prossimita' dei centri abitati la strada era fiancheggiata da
grandi ville e soprattutto da tombe e monumenti funerari di vario genere.
LA VIA APPIA:
Lunghezza: 17,6
km.
Dislivello in
salita: 216 metri
Il sistema costruttivo di una strada romana era piuttosto complesso. Per prima cosa, venivano definiti i margini e scavata profondamente la terra per liberare la zona che successivamente sarebbe stata occupata dalla carreggiata. All'interno dello scavo si sistemavano quindi quattro strati sovrapposti di materiali diversi (viam sternere):
lo statumen, la massicciata di base, composta di blocchi molto grandi e alta non meno di 30 cm la ruderatio, fatta da pietre tondeggianti legate con calce, il cui spessore non era mai inferiore a quello della massicciata il nucleus, uno strato di grossa ghiaia livellato con enormi cilindri; il pavimentum, ossia il rivestimento, generalmente in grossi massi di silex, una pietra basaltica di eccezionale durezza e sostanzialmente indistruttibile; i "basoli", da cui la definizione "basolato" per indicare la pavimentazione. La parte centrale della carreggiata era inoltre a schiena d'asino, per favorire il deflusso dell'acqua piovana lungo i marciapiedi per mezzo di cunicoli e canaletti di scolo. La larghezza media di una strada romana andava dai 4 ai 6 metri - eccezionalmente 10-l4 metri - per permettere l'incrocio di due carri, a seconda dei luoghi e dell'importanza della viabilità; mentre i marciapiedi, di terra battuta oppure lastricati, erano larghi dai 3 ai 10 metri per parte.
Ponti e viadotti permettevano di superare fossati e corsi d'acqua; abbreviando i percorsi, essi evitavano di disegnare larghe curve fatte di salite e discese in opposte direzioni.
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