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L'EUROPA POLITICA NEL XII SECOLO
Il Papato
La cristianità medievale riconosceva come somme autorità il papa e l'imperatore.
Il concordato di Worms del 1122 tra papa Callisto II e l'imperatore Enrico V aveva posto fine al conflitto per le investiture, ma il problema della supremazia universale era rimasto senza soluzione definitiva.
La Chiesa, uscita dalla riforma gregoriana dell'XI secolo, aveva determinato che ambedue i poteri spettavano al papa: il papa deteneva il potere sulla Chiesa e, giacché la Chiesa coincideva con la comunità di fedeli, anche su tutta la società cristiana.
Qualsiasi potere, sia con natura spirituale, sia con natura temporale, esercitato sulla cristianità era un potere derivato dal papa; ne scaturiva il suo diritto di deporre e scomunicare i principi secolari, di disporre dei titoli regi, di approvare o disapprovare leggi, trattati di pace, comportamenti in guerra.
L'identificazione tra Chiesa e società cristiana non lasciava margini al riconoscimento di un'autonomia della sfera temporale.
Sulla questione delle eresie, risultò il ruolo ausiliario ed esecutivo dei monarchi, cui spettava di perseguire coloro che la Chiesa avesse giudicato eretici.
Il potere papale si esercitava incondizionatamente sulla Chiesa: il papa possedeva la sapienza per interpretare la Scrittura ed indicare i contenuti della fede; la Chiesa si strutturò in modo più gerarchico ed accentrato: le decisioni del papa erano inappellabili e a lui era riservato il giudizio definitivo sulle questioni concernenti la vita dell'istituzione ecclesiastica.
L'insieme delle norme emanate dal papa costituiva il diritto canonico, l'unico sistema giuridico universale, la cui elaborazione, iniziata nel IV secolo, proseguì nel corso dei secoli.
Abati e vescovi, che provenivano dalle casate feudali più potenti, erano detentori di poteri signorili e amministravano territori, esercitavano la giustizia ed esigevano le imposte.
La forza della Chiesa era data dalla fede religiosa delle popolazioni, che avevano un'insufficiente conoscenza delle Scritture e presso di cui circolavano temi di polemica anticlericale.
L'Impero
Il pensiero medievale concepiva l'Impero come istituito da Dio per salvaguardare l'unità e la concordia terrena degli uomini e come erede dell'Impero romano di Carlo Magno, che era Impero Sacro e Romano: il suo potere non poteva essere che universale.
Il titolo imperiale era stato assunto, nel X secolo, dai re della parte orientale dell'Impero carolingio, cioè dai re di Germania; la loro forza militare era costituita da cavalieri tedeschi.
Il potere dei re, concepito come limitato al territorio del Regno, implicava la rinuncia all'ideale di unità politica del popolo cristiano; la ura dei re era, pertanto, estranea all'orizzonte mentale del Medioevo.
L'identificazione dell'Impero con la religione cristiana era fonte di prestigio e causa di conflitto con l'autorità spirituale del papa; l'imperatore, titolare di un potere universale, era il re feudale della Germania, quindi detentore di un'egemonia politico - militare sulle stirpi germaniche, attraverso rapporti vassallatici.
I vassalli dovevano dimostrare fedeltà al sovrano e combattere al suo fianco, mentre il sovrano doveva rispettare i loro diritti acquisiti e i loro possessi ereditari; l'assunzione al trono dipendeva dall'elezione dei grandi signori laici ed ecclesiastici.
Il territorio tedesco risultava formato da un aggregato di dominazioni territoriali coordinate intorno al re.
I sovrani tedeschi, da Ottone I il Grande, avevano cercato di avvalersi della collaborazione di dignitari ecclesiastici, conferendo ai vescovi privilegi e giurisdizioni temporali; l'autorità sovrana restava, però, limitata in Germania alla disponibilità delle risorse familiari della casa regnante.
I re di Germania erano anche re d'Italia e imperatori, esercitando sull'Italia settentrionale un'autorità più labile che in Germania, protettori della Città santa, del papa e della cristianità intera.
Il titolo imperiale li esponeva ai rischi della concorrenza con il potere del papa e li obbligava a dedicare tempo e risorse per mantenere operativa la sovranità cisalpina.
Il moto riformatore si era avviato verso la negazione dei diritti d'interferenza dei laici nella Chiesa e verso l'affermazione del potere del papa; l'Impero si trovò in una posizione debole davanti alle teorizzazioni della superiorità papale.
Accettata la premessa teocratica, l'Imperatore diventava un semplice credente, timoroso delle sanzioni emanate contro di lui da un'autorità le cui decisioni avevano validità ultraterrena.
Il conflitto delle investiture si concluse con un compromesso sfavorevole all'Impero, che aveva rinunciato a controllare e utilizzare la gerarchia episcopale.
Vittoria del papa e della libertas Ecclesiae, ma anche delle casate feudali: l'elezione dei vescovi fu influenzata dai principi laici, così che la potenza temporale della Chiesa si tradusse in un rafforzamento dei feudatari laici e in un fattore di indebolimento politico per l'Impero.
La situazione dell'Impero divenne più fragile alla morte di Enrico V nel 1125; si elesse Lotario II di Supplimburgo, cui successe, nel 1137, Corrado II di Svevia, che fu contrastato dal duca di Baviera.
Il conflitto tra sostenitori della casa di Svevia (ghibellini) e quelli della casa di Baviera (guelfi) compromise le posizioni dell'Impero, sia in Germania, sia in Italia, sia nei confronti del Papato, che veniva precisando ed estendendo la portata delle tesi del primato romano.
Federico Barbarossa
Con la sua alleanza, col sostegno finanziario delle città tedesche e con la collaborazione del clero, Federico I di Hohenstaufen, il Barbarossa, ripristinò l'autorità regia sui signori del regno e promosse la ripresa dell'espansione tedesca verso i territori slavi dell'Est.
Federico, nel 1154, scese in Italia, dove l'autorità dell'Impero aveva bisogno di un intervento di restauro; egli poteva contare su molti alleati, tra cui il papa.
A Roma, dal 1143, il popolo era insorto contro la signoria temporale del papa e si era organizzato in comune, dandosi magistrature proprie; si erano aggiunte polemiche contro la mondanità della Chiesa, di cui era portavoce Arnaldo; il pontefice Adriano IV contava di ricevere l'appoggio dell'imperatore per ripristinare la propria autorità su Roma.
Favorevoli all'imperatore erano i marchesi del Monferrato, i marchesi d'Este, i marchesi Malaspina e i conti di Biandrate, che avevano verso l'imperatore legami vassallatici.
Il ripristino delle intelaiature feudali costituiva l'unica possibilità di restituire all'Impero la sovranità sull'Italia centro - settentrionale e di arginare le spinte autonomistiche dei centri cittadini; il ripristino dell'autorità regia era auspicato dai comuni minori, minacciati dalla politica espansionistica dei comuni maggiori.
Federico I cercò l'appoggio dei giuristi dell'università di Bologna, per una rivendicazione laica dei poteri regi; le circostanze avverse lo costrinsero a limitarne l'estensione e a cercare di livellare i poteri concorrenti.
Nel 1154, si tenne la prima dieta di Roncaglia, nel corso della quale furono ribaditi gli obblighi di fedeltà dei vassalli e furono presi impegni a difesa della pace e a tutela dei comuni minori; catturato Arnaldo, nel 1155 ricevette da Adriano IV la corona imperiale.
Nel 1158, Federico dovette tornare in Italia, perché i comuni italiani non rispettavano i deliberati di Roncaglia; l'imperatore assediò Milano e ottenne la rinuncia ad esercitare i diritti regi usurpati e l'impegno a non molestare i comuni circostanti.
Nella seconda dieta di Roncaglia, nel 1158, l'imperatore definì i diritti regi e decise di inviare propri rappresentanti nelle città; l'arcivescovo Rainaldo di Dassel fu nominato luogotenente imperiale per l'Italia.
Il papa Alessandro III, difensore dei diritti del papato, aveva provocato la reazione di Federico definendo l'Impero un beneficio papale; la sua elezione fu giudicata invalida dai cardinali, che elessero un antipapa appoggiato da Federico.
Davanti all'insubordinazione dei comuni, l'imperatore distrusse Crema e Milano e, nel 1163, dopo la sua discesa in Italia, si formò contro di lui la Lega Veronese; i comuni di Cremona, Brescia, Bergamo, Mantova e Milano si coalizzarono con la Lega Veronese dando origine alla Lega Lombarda.
A Legnano, nel 1176, l'esercito della lega comunale sconfisse la cavalleria imperiale: si allontanò la prospettiva di ricomposizione unitaria implicita nel programma di Federico I.
L'imperatore si riconciliò col papa e siglò un armistizio con le città lombarde e con Guglielmo II di Sicilia, permettendosi di tornare in Germania e di risolvere il contrasto con il cugino bavarese.
Enrico fu sconfitto e le sue terre distribuite ai vassalli fedeli; si delineò in Germania un gruppo di principi in rapporto di dipendenza feudale con l'imperatore: erano i principi dell'Impero, dotati di uno status definito che prevedeva l'esercizio di alcuni diritti.
Nel 1183, a Costanza, fu firmata la pace tra il Barbarossa e i comuni, cui furono riconosciuti diritti di spettanza regia; era un ordinamento basato sull'equilibrio tra autonomia e subordinazione.
Concordò una politica comune di lotta contro l'eresia; l'espansione verso il Mezzogiorno d'Italia e il matrimonio fra il lio Enrico e Costanza d'Altavilla fu la realizzazione di diritti imperiali sull'Italia.
Nel 1189, organizzò una crociata per la riconquista di Gerusalemme, ma, nel corso di questa spedizione, morì annegato nel 1190.
Le monarchie
Per il pensiero medievale, il potere del re derivava dal Dio; l'incoronazione avveniva in una cerimonia religiosa che conferiva al re caratteri di sacralità.
Il re doveva garantire l'unità, l'equilibrio e la concordia fra ecclesiastici, cavalieri e lavoratori e, svolto il suo ufficio regale, avrebbe ottenuto la canonizzazione.
In Francia e Inghilterra restò la convinzione che i re fossero taumaturghi e, alla fine del secolo, il miracolo della guarigione fu attribuito all'intrinseca santità del suo ufficio; il re era capo dei suoi uomini armati e il suo potere traeva legittimità da riconoscimenti conferitigli dai sudditi.
La prassi della successione dinastica si impose sulla base di una concezione famigliare del regno e della convinzione che solo chi apparteneva a una stirpe di re poteva svolgere funzioni regali.
I re controllavano efficacemente solo la parte del regno su cui erano concentrate le proprietà familiari; l'utilizzazione dei rapporti feudali servì a ricucire il potere e, laddove prevalse una linea di collaborazione col ceto feudale, fu accentuato l'aspetto feudale, dove prevalsero i fattori di contrasto, fu accentuato l'aspetto teocratico.
La monarchia inglese
Nel 1066, dopo la morte di Edoardo III il Confessore, Guglielmo il Conquistatore sconfisse a Hastings gli Inglesi e stabilì una nuova dominazione, assegnando posizioni di controllo ai comni normanni.
Guglielmo e i suoi successori non concessero ai loro vassalli un'ampia autonomia; i re inglesi conservarono possessi demaniali e si assicurarono il controllo delle risorse economiche e di clientele militari all'interno dei feudi.
Nel 1086 fu redatto il Domesday Book, un censimento della popolazione, delle sue risorse economiche e del suo stato; il re inglese poté impostare sulla base di ciò un prelievo fiscale diretto sui suoi sudditi.
I re inglesi consolidarono le proprie posizioni nell'isola e soggiornarono in Normandia, dove condussero operazioni militari contro i signori francesi.
Enrico I d Enrico II tageneto si impegnarono per estendere i diritti della corona, scontrandosi con la Chiesa inglese che cercò di sottomettere con le Costituzioni di Clarendon nel 1164.
La limitazione delle prerogative ecclesiastiche provocò la resistenza dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, che fu ucciso, nel 1170, da quattro cavalieri normanni.
Nel 1152, Enrico II aveva sposato Eleonora d'Aquitania, ampliando i possedimenti dei re d'Inghilterra in Francia e il coinvolgimento nelle vicende militari e diplomatiche del continente; i risultati di tale politica furono il consolidamento dell'autorità regia e la spossatezza finanziaria della società inglese, sottoposta a pressioni fiscali.
La monarchia francese
Il regno dei Franchi occidentali, sorto nell'843 dalla divisione dell'Impero carolingio, aveva subito un processo di disgregazione nel IX e nel X secolo.
L'ereditarietà dei grandi feudi era diventata la regola, le province erano divenute principati e i funzionari regi indipendenti; il dominio del re si era ridotto alla regione tra la Senna e la Loira, si affermarono le dominazioni più ristrette di conti e castellani, in un processo di sbriciolamento dei poteri che solo i legami di vassallaggio attenuavano.
Erano accentuate le differenze tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno francese, vocazione mediterranea, diritto scritto, costumi raffinati, letteratura in lingua d'oc; nel Nord, affinità col mondo tedesco, diritto consuetudinario, spiriti bellicosi, letteratura in lingua d'oil; nel mezzo, Parigi, che divenne il centro amministrativo del monarca e il centro artistico e culturale della Francia.
I successori di Ugo Capeto, arbitri nelle contese tra i signori del regno ed eredi della dignità sacerdotale di Carlo Magno, furono considerati gli ecclesiastici e la Chiesa si rivolse a loro per averne protezione.
I re di Francia agirono con prudenza e si avvalsero della ripresa economica dell'XI secolo: consolidarono le loro posizioni, riassoggettando i castelli dei vassalli e creando un corpo di funzionari, i balivi, che esercitavano funzioni regie dietro stipendio.
Alla fine del XII secolo, Filippo III governò direttamente solo sui vecchi possedimenti regi, minacciato dalla vastità dei domini francesi del re d'Inghilterra.
La monarchia normanna nell'Italia meridionale
Nell'Italia meridionale i Normanni costruirono una comine monarchica.
Alla ricerca di signori che apprezzassero e ricompensassero le loro capacità militari, gruppi di guerrieri normanni erano giunti nel Sud d'Italia, dove trovarono impiego al servizio di signori locali; uno di questi, Rainulfo Drengot, nel 1027 ottenne dal duca di Napoli la contea d'Aversa e Guglielmo d'Altavilla divenne, nel 1043, conte di Melfi.
I pontefici avevano cercato di opporsi al dinamismo militare normanno, che minacciava territori considerati dalla Chiesa di proprio appannaggio: l'esercito pontificio fu sconfitto a Civitate sul Fortore nel 1053 e papa Leone IX fu fatto prigioniero.
I pontefici si resero conto dell'utilità di un'alleanza con i Normanni contro l'Impero tedesco, per riacquistare la libertas Ecclesiae e per dimostrare la supremazia del potere papale.
Niccolò II stipulò, nel 1059, l'accordo di Melfi con Riccardo d'Aversa e Roberto il Guiscardo, cui concesse un'investitura ducale sulla regione tra la Puglia e la Calabria e sulla Sicilia, espellendo i Bizantini e avviando un processo d'integrazione territoriale e politica della regione peninsulare.
Nel 1060 i Normanni avevano dato inizio alla conquista della Sicilia araba con Ruggero I, che fu portata a termine nel 1091; le vittorie normanne segnarono il passaggio all'offensiva dell'Europa romano - germanica. L'incoronazione di Ruggero II, nel 1130, suggellò la conquista e l'unificazione di tutta l'Italia meridionale; sotto i regni di Guglielmo I e Guglielmo II proseguirono i tentativi d'espansione oltremare.
La rivolta dei baroni, scoppiata in Sicilia nel 1160, si saldò con il malcontento delle classi popolari, provocato dall'inasprimento del carico fiscale.
Nel 1189, Guglielmo II morì senza eredi: i suoi domini passarono a Costanza, lia di Ruggero II, che aveva sposato, nel 1186, Enrico VI di Hohenstaufen, che riunì le corone dell'Impero e di Sicilia.
Nella stretta tra l'affermazione di un potere statale centralizzato e la sopravvivenza di un ceto di signori feudali, rimasero intrappolate le città meridionali; nell'Italia normanna non si ebbe lo sviluppo dei Comuni.
La posizione di crocevia fra le civiltà bizantina, araba e latino - germanica favorì nell'Italia meridionale la fioritura d'esperienze culturali e artistiche; la Sicilia e Palermo furono i principali centri di traduzione in latino dei testi greci e arabi.
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