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L'ITALIA DI FINE '800 - La crisi della destra, SINISTRA AL POTERE, Il trasformismo, LE RIFORME SOCIALI, LA TRIPLICE ALLEANZA, FRANCESCO CRISPI: DA DEM

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La crisi della destra

Con la conquista di Roma e il pareggio del bilancio dello Stato gli uomini della Destra, i diretti successori di Cavour, avevano terminato il loro compito.

L'unità del territorio italiano era quasi completata, ormai solo Trento e Trieste rimanevano all' Austria. Il nuovo Stato aveva una propria organizzazione, le sue finanze erano state risanate. Certamente, le inefficienze e gli errori non erano mancati, e nessuna sensibilità i governi avevano dimostrato verso le condizioni di vita dei ceti più poveri. In conclusione, comunque, la Destra aveva governato con molti limiti ma anche con onestà e disinteresse.

Ormai, però si rendevano indispensabili riforme politiche e sociali che non era in grado di realizzare, in quanto, probabilmente, non ne comprendeva neppure la necessità. Quando si rese impopolare imponendo nuove, forti tasse perse la maggioranza (elezioni del 1876).



SINISTRA AL POTERE

Durante la camna elettorale, 1876, il più autorevole esponente della Sinistra moderata, Agostino Depretis aveva avanzato alcune proposte di riforma:Una delle battaglie sociali più IMPORTANTI FU LA LOTTA CONTRO L'ANALFABETISMO. Urgenti apparivano anche le lotte contro la fame e le malattie, riforme sociali in favore dei più poveri.

Il nuovo governo fu affidato proprio a Depretis e il suo programma venne in gran parte realizzato: nel 1880 fu abolita l'odiata imposta sul macinato, che aveva fatto aumentare il prezzo del pane; nel 1882 il diritto di voto fu esteso a oltre 2 milioni di italiani.

Il governo di Depretis segnò una profonda svolta nell'Italia del tempo, proprio mentre si stava chiudendo un' epoca; in quegli stessi anni svero infatti gli ultimi grandi protagonisti del Risorgimento (Giuseppe Mazzini era morto nel 1872; nel 1878 morì Vittorio Emanuele II; nel 1882 morì a Caprera Giuseppe Garibaldi).

Il trasformismo

Molti uomini del nuovo parlamento non avevano però la stessa integrità morale dei loro predecessori. Le maggioranze parlamentari che appoggiarono Depretis erano formate da politici di professione, molto attenti agli interessi dei loro elettori, preoccupati di assicurarsene il favore e il voto, poco sensibili alle grandi battaglie ideali.

Depretis riuscì a governare costituendo di volta in volta maggioranze parlamentari diverse, alle quali aderivano con grande disinvoltura uomini della Sinistra, del Centro o della Destra. Questa pratica parlamentare fu anche chiamata trasformismo, in quanto molti deputati cambiavano la loro posizione politica, passando dall' opposizione all' appoggio al governo, a seconda dei loro interessi o dei favori che potevano procurare ai loro elettori.

Con il trasformismo si verificarono anche i primi casi di autentica corruzione: alcuni deputati accettarono denaro o altri benefici in cambio dei vantaggi che essi stessi procuravano a industriali e finanzieri.


LE RIFORME SOCIALI

I primi governi della Sinistra ebbero tuttavia molti meriti.

Il miglior risultato lo ottennero nella lotta contro le malattie più diffuse fra le popolazioni povere: i casi di pellagra scesero da 100.000 nel 1881 a 2.000 nel 1910;  con la distribuzione gratuita del chinino (un farmaco assai efficace), la diffusione della malaria calò fin quasi a sire.

Furono creati gli asili d'infanzia, riorganizzate le scuole elementari, aperte ben 3.450 scuole serali e festive per ridurre l'analfabetismo degli adulti, istituite le prime scuole speciali per vari tipi di handicap.

Tra il 1874 e il 1918 l'altezza media degli Italiani che prestavano servizio militare di leva aumentò di oltre 2 centimetri, segno indiscutibile di migliori condizioni di vita. Erano infatti migliorate notevolmente l'alimentazione, l'igiene personale e quella del lavoro, mentre erano aumentati i salari nell'industria e nell'agricoltura.

Nel 1888 il governo creò a favore degli operai la Cassa nazionale per gli infortuni sul lavoro e la Cassa nazionale per la vecchiaia e invalidità. Seguì la legislazione a tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi nelle fabbriche e poi la Cassa nazionale per la maternità delle donne lavoratrici. Furono tutte conquiste raggiunte con fatica, grazie soprattutto alla pressione dei primi movimenti socialisti e delle organizzazioni operaie.


LA TRIPLICE ALLEANZA

Deluso dalla Francia che aveva occupato la Tunisia, su cui anche l'Italia aveva delle mire, il governo italiano decise di appoggiarsi alla potente Germania.

In seguito a questa scelta, nel 1882 l'Italia aderì alla Triplice Alleanza, un trattato a tre (stipulato con la Germania e l'Austria) che restò in vigore fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Fu una decisione assai impopolare: l'opinione pubblica italiana, infatti, continuava a nutrire sentimenti di ostilità verso l'Austria, che ancora occupava Trento e Trieste.

Grazie ai rapporti di alleanza fra Italia e Germania affluirono in Italia ingenti capitali tedeschi: nacquero così la Banca Commerciale e il Credito Italiano; vennero finanziate moltissime imprese e industrie italiane; furono concessi all'Italia migliaia di brevetti tedeschi per lo sviluppo dell'industria elettrica, elettrotecnica, ottica, meccanica, settori nei quali la Germania vantava già un altissimo grado di sviluppo.

FRANCESCO CRISPI: DA DEMOCRATICO A CONSERVATORE

Dopo Depretis, nel 1887 divenne presidente del Consiglio Francesco Crispi, che era stato democratico e garibaldino. Fu un politico abile, ma anche molto spregiudicato: durante il suo governo i casi di corruzione si fecero più frequenti. Realizzò alcune importanti riforme dell' amministrazione pubblica, ma finì per attuare una politica autoritaria.

Ebbe tuttavia il grande merito, nel 1889, di far approvare il nuovo Codice penale, proposto dal ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli.

Tale codice sanciva la libertà per i lavoratori di scioperare e l'abolizione della pena di morte. Mentre la norma sullo sciopero non faceva che riprodurre quella che i paesi industriali più avanzati avevano stabilito da vari decenni, l'abolizione della pena di morte fu un'innovazione di portata davvero storica: l'Italia fu il primo paese del mondo civile a realizzarla.

Crispi fu deciso sostenitore di uno Stato forte, uno Stato che egli voleva autoritario all'interno, temuto e rispettato all' estero, uno Stato capace di agire con determinazione per realizzare lo sviluppo della propria industria.

Crispi impiegò l'esercito per reprimere con durezza alcuni moti popolari, come quelli verificatisi in Sicilia e in Lunigiana, che avevano come prima causa la miseria.

In economia adottò una politica di protezionismo facendo are forti dazi alle merci estere per difendere i prodotti industriali italiani dalla concorrenza straniera. Il protezionismo favorì la nascente industria nazionale ma ostacolò l'esportazione dei prodotti agricoli: ne soffrì specialmente la produzione agricola del Mezzogiorno, le cui esportazioni furono colpite dai dazi dei paesi stranieri. Infine, nella visione di Crispi, l'Italia avrebbe dovuto svolgere una politica estera di prestigio, di potenza, di espansione coloniale.

'L'AFRICA VI SFUGGE!'


La conquista coloniale appariva per l'Italia, come per le altre nazioni industriali, una questione importante perché Io sviluppo economico imponeva di trovare materie prime a basso costo e mercati in cui vendere la produzione eccedente. Questo affermava Francesco Crispi.

Taluni hanno creduto che le colonie fossero un lusso: non hanno capito che sono una necessità per la madrepatria, la quale se ne vale per il consumo dei suoi prodotti, Quando i mari ci saranno chiusi ed avremo bisogno dei mercati stranieri, dovremo ricorrere alle armi per poterceli aprire, La prudenza dell'uomo di stato è di guardare a codesto avvenire: e i nostri ministri, non provvedendo in tempo, lasciano ai nostri li una sanguinosa eredità di guerre.



Fallimento della politica coloniale

La politica coloniale di Crispi fu tuttavia un completo fallimento. L'Italia aveva già in precedenza costituito due piccole colonie in Eritrea e in Somalia, regioni poverissime e del tutto prive di materie prime.

Crispi, sostenuto da alcuni ambienti militari e da alcuni gruppi industriali (in particolare quelli che producevano armamenti e forniture per l'esercito), decise di partire alla conquista di uno degli ultimi paesi rimasti indipendenti nel continente africano: il regno di Abissinia (l'attuale Etiopia). All'opinione pubblica la spedizione coloniale venne presentata come una giusta rivendicazione dell'Italia, che con la conquista si sarebbe adeguata al rango delle altre grandi potenze europee.

L'Abissinia era uno dei paesi più poveri del mondo, ma l'Italia si illuse che fosse un territorio ricchissimo e il governo non si preoccupò di approfondirne la conoscenza. In modo ugualmente confuso e approssimativo fu organizzata la spedizione militare.

Il 10 marzo 1896, 15.000 soldati italiani si scontrarono presso Adua con oltre 100.000 abissini: vi furono oltre 6.000 tra morti e feriti e le truppe italiane dovettero ritirarsi.

Pochi giorni dopo, travolto dalle proteste del Parlamento e dell' opinione pubblica, Francesco Crispi si dimise e si ritirò a vita privata.

Attentati anarchici

Nella seconda metà dell'Ottocento in Europa e negli Stati Uniti si era diffusa una nuova idea rivoluzionaria: l'anarchia. Essa sosteneva come unico valore filosofico e politico la libertà assoluta dell'individuo. Di conseguenza proponeva l'abolizione di ogni autorità e combatteva radicalmente qualsiasi forma di società organizzata, in particolare lo Stato.

Alcuni anarchici diffusero le loro idee in modo non violento; altri invece scelsero la strada della violenza, praticata attraverso l'assassinio politico degli uomini di governo e dei sovrani.

Nel 1881 e nel 1901 morirono uccisi dagli attentati anarchici i presidenti degli Stati Uniti Stephen Cleveland e William McKinley; nel 1894 il presidente francese Carnot fu ucciso dall'italiano Sante Caserio; il presidente snolo Canovas del Castillo venne ucciso dall'italiano Angiolillo (1897); e nel 1898 l'italo-francese Luccheni pugnalò a Ginevra l'imperatrice Elisabetta, moglie dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe.

Dimostrazioni popolari e repressioni

In Italia, il timore della borghesia per la diffusione delle idee socialiste e anarchiche e le sollevazioni popolari contro la povertà spinsero i governi di fine secolo a prendere provvedimenti autoritari.

Alcune rivolte divamparono in Puglia e in Romagna, a causa dei prezzi elevati del grano e della farina. Un'altra, più grave, scoppiò a Milano nel 1898. I popolani milanesi innalzarono barricate e il comandante militare, generale Bava-Beccaris, un ufficiale di vecchio stampo tanto autoritario quanto incapace di comprendere la realtà che aveva di fronte, li affrontò nel timore di una vera e propria rivoluzione anarchica o socialista. Si trattava, invece, soltanto di una sollevazione contro il carovita.

Contro i dimostranti Bava-Beccaris fece intervenire l'esercito: la cavalleria caricò nelle piazze, mentre i cannoni facevano fuoco contro le barricate. La repressione costò quasi cento morti; e molti oppositori, compresi alcuni deputati socialisti, furono i arrestati. Il governo e il re approvarono l'inutile crudeltà di Bava-Beccaris, al quale fu concessa un' onorificenza.

La tensione politica crebbe. Per vendicare i morti di Milano, il 29 luglio 1900, a Monza, l'anarchico Gaetano Bresci uccise il re Umberto I. Ma il giovane successore, Vittorio Emanuele III, seppe mantenere la calma: proclamato re d'Italia, chiamò al governo il tollerante ed equilibrato Giuseppe Zanardelli, che aveva curato il nuovo Codice penale. Un relativo ordine si ristabilì nel paese.

Negli anni successivi, i più forti contrasti politici si sarebbero risolti o attenuati grazie all' azione di un uomo politico di grandi capacità: Giovanni Giolitti.





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