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Negli ultimi anni del 1800 l'Italia fu teatro di una crisi politico-istituzionale causata dall'evoluzione del regime liberale verso forma + democratiche. Lo scontro si concluse con l'affermazione, anche se non completa e definitiva, delle forze progressiste.
Il primo autentico decollo industriale italiano iniziò alla fine del 1800.
Tale sviluppo industriale fu dovuto soprattutto ai progressi avvenuti sul piano delle infrastrutture economiche e delle strutture produttive.
La Destra, costruendo una rete ferroviaria, aveva favorito il commercio
il protezionismo del 1887 aveva permesso la costruzione di una moderna industria siderurgica e favorito il sviluppo di industrie al sud
il riordinamento del sistema bancario attuato dopo la crisi della Banca romana e la costituzione della Banca commerciale e del Credito italiana aveva creato una struttura finanziaria solida ed efficiente. Ciò favorì l'afflusso di risparmio privato verso investimenti industriali
i settori in cui si registrò maggiori progressi furono:
siderurgia (acciaierie di Terni, industrie per la lavorazione del ferro a Napoli e Savona)
industria tessile (Crespi) soprattutto cotonerie. Era favorita da tariffe doganali
industria chimica (Pirelli a Milano)
industria meccanica (Fiat fondata da Giovanni Agnelli in campo automobilistico) giovato dall'accresciuta richiesta di materiale ferroviario, di navi o per le fabbriche.
industria elettrica
Il decollo industriale dell'inizio del 1900 fece sentire i suoi effetti anche sul tenore di vita della popolazione.
il reddito pro-capite aumentò e ciò permise ai cittadini di destinare una quota crescente del proprio reddito non solo alle spese per l'alimentazione, ma anche alla casa, all'istruzione, ai trasporti, alle attività creative e soprattutto all'acquisto di beni durevoli (biciclette, macchine da cucire . ).
aumentarono i servizi pubblici (illuminazione, trasporti, acqua corrente, gas domestici) nelle città che stavano assomigliando sempre di più alle grandi metropoli. La diffusione dell'acqua corrente e il miglioramento delle reti fognarie permisero una forte diminuzione della mortalità infantile
le condizioni abitative dei lavoratori urbani rimanevano, però, ancora precarie e gli appartamenti dotati di servizi igienici rimanevano un'eccezione
Questi progressi, tuttavia, a colmare il divario tra l'Italia e i paesi più ricchi e industrializzati:
il reddito pro-capite era la metà di quello inglese e 2/3 di quello tedesco
l'analfabetismo era ancora molto elevato, mentre stava sendo nell'Europa del nord
la quota della popolazione attiva nelle camne era del 55%
Ciò spinse gli italiani a emigrare verso l'estero:
la popolazione dell'Italia centro-settentrionale emigrava per un periodo spesso temporaneo verso gli altri paesi Europei
la popolazione dell'Italia meridionale emigrava verso il Nord America.
Gli effetti dell'emigrazione:
allentò la pressione demografica creando un rapporto + favorevole fra popolazione e risorse
i risparmi inviati dai lavoratori all'estero alle famiglie in patria (rimesse) alleviarono il disaggio delle zone + depresse giovando l'economia interna italiana
impoverimento in termini di forza-lavoro e di energie intellettuali soprattutto al sud
Gli effetti del progresso economico si fece sentire soprattutto nelle regioni + sviluppate e in particolare nel cosiddetto triangolo industriale che aveva come vertici Milano, Torino e Genova. Il divario tra nord e sud venne perciò accentuato.
Il divario fu:
industriale: le industrie erano concentrate al nord
agricolo: i progressi agricoli vennero realizzati soprattutto al nord. Il progresso al sud fu infatti ostacolato dalle condizioni climatiche e idrologiche, dalla povertà dei terreni di montagna, dalla permanenza dei rapporti sociali e dalla mentalità.
Istruzione: analfabetismo del 60% al sud e 15% al nord
Per molti giovani la conquista di un impiego pubblico costituiva l'unica alternativa alla disoccupazione o all'emigrazione.
Tale questione meridionale ostacolava gravemente il cammino verso forme di + avanzata organizzazione politica e sociale
Fu chiamato al governo nel 1903 dopo le dimissioni di Zanardelli.
Egli cercò di portare avanti l'esperimento liberal-progressista avviato da Zanardelli. A tal fine offrì un posto governativo al socialista Filippo Turati (5anni prima condannato e incarcerato come sovversivo) Turati rifiutò l'offerta in quanto temeva di non essere seguito dal partito.
Giolitti formò così un governo nettamente di centro e aperto alla partecipazione di elementi conservatori. Ciò fu un limite per il governo giolittiano in quanto il suo riformismo era spesso condizionato dalle forze moderate e sempre attento alla conservazione degli equilibri parlamentari. Un esempio fu il caso della riforma fiscale che non venne portata vanti in quanto era incompatibile con la maggioranza.
Furono, invece, portate aventi:
leggi speciali per il mezzogiorno, soprattutto per la Basilicata e Napoli, volte a incoraggiare la modernizzazione dell'agricoltura e lo sviluppo industriale mediante agevolazioni fiscali e creditizie. Tali leggi, però, non incidevano sulla struttura sociale e dunque il limite di tali leggi è che non curavano le cause del problema del Mezzogiorno. Il vantaggio era però che tali leggi potevano essere attuate in tempi brevi
statizzazione delle ferrovie ancora affidate alla gestione di privati. Tale progetto, però, riscontrò un forte opposizione sia dalla destra che dalla sinistra. I socialisti infatti erano contrari a tale riforma in quanto vietava lo sciopero dei ferrovieri.
Di fronte a questa difficoltà Giolitti si dimise e lasciò alla guida del governo Alessandro Fortis secondo una tattica che prevedeva di abbandonare il governo nei momenti di difficoltà, per poi risalire in condizioni + favorevoli. Fortis rimase al potere per 1anno, il tempo per portare in porto le leggi sulla statizzazione delle ferrovie.
1906 Giolitti tornò alla guida del Governo e vi restò per 3anni e mezzo.
In questo periodo Giolitti realizzò la conversione della rendita cioè la riduzione del tasso d'interesse versato dallo stato ai possessori di titoli del debito pubblico. Ciò permetteva di ridurre gli oneri gravanti sul bilancio statale.
Nel 1907, però, si manifestarono anche in Italia i sintomi di una crisi internazionale che fu superata in tempi relativamente brevi dall'intervento della Banca d'Italia. Ma gli industriali, che nel 1910 si unirono formando la confindustria, diventarono + diffidenti rispetto alle iniziative sociali statali. Ciò contribuì a frenare l'azione riformatrice del governo.
1909 Giolitti si ritirò nuovamente.
Al governo subentrò in un primo periodo Sonnino e poi Luzzatti il quale attuò una riforma scolastica, ma entrambi i governi ebbero una vita brevissima
1911 Giolitti tornò al governo con un programa decisamente orientato a sinistra:
estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 30anni e a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o avessero prestato servizio militare
monopolio statale delle assicurazioni sulla vita i cui proventi sarebbero serviti a finanziare il fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia per i lavoratori
conquistare la Libia
Giolitti esercitò una dittatura parlamentare molto simile a quella esercitata da Depretis anche se diversa e molto + aperta nei contenuti.
I tratti caratteristici del governo giolittiano furono:
sostegno costante alle forze + moderne della società italiana (borghesia industriale, proletariato)
tentativo di condurre nell'orbita del sistema liberale gruppi e movimenti che fino a poco prima erano considerati nemici delle istituzioni
tendenza ad allargare l'intervento dello stato per correggere gli squilibri sociali
controllo delle Camere. Ciò gli permise di restare in carica a lungo e di abbandona re per poi riprendere la guida al Governo, ma doveva sempre far riferimento ad esse.
Critiche:
per i socialisti rivoluzionari e i cattolici democratici era colpevole di far opera di corruzione all'interno dei rispettivi movimenti
i liberali-conservatori (Albertini, direttore del Corriere della sera) accusava Giolitti di venire a patti con i nemici delle istituzioni
meridionalisti accusavano Giolitti di favorire l'industria protetta e le oligarchie operaie del Nord ostacolando lo sviluppo delle migliori forze produttive del Mezzogiorno
Nonostante l'ampiezza delle maggioranze parlamentari che continuavano a sostenerlo, Giolitti dovette così fare i conti con una crescente impopolarità stimolata dagli intellettuali. Questo era il sintomo della debolezza di tutto il sistema e di distacco fra classe dirigente e pubblica opinione
Per quanto riguarda la politica estera l'Italia si riavvicina alla Francia, pur restando fedele alla Triplice alleanza
1898 fu firmato con la Francia il trattato di commercio che poneva fine alla guerra doganale durata 10anni
1902 accordo con la Francia per la divisione dell'Africa settentrionale. L'Italia aveva via libera sulla Libia e la Francia sul Marocco
Ciò creava però contrasti tra l'Italia e la Triplice alleanza in quanto:
la Triplice alleanza non era contenta del fatto che l'Italia avesse concesso alla Francia la priorità di conquistare il Marocco
All'Italia non piacque il modo in cui l'Austria-Ungheria, con l'appoggio della Germania, procedette senza effettuare consultazioni all'annessione della Bosnia-Erzegovina nel 1908
Nel frattempo in Italia si andava diffondendo la teoria formulata dallo scrittore Corradini secondo cui il contrasto fondamentale non era più quello fra le diverse classi all'interno di un singolo paese, ma quello fra paesi ricchi e paesi poveri, fra nazioni capitalistiche e nazioni proletarie (nazioni dotate di una popolazione in eccedenza rispetto alle risorse economiche. Tale teoria portava a:
contrapposizione nei confronti delle democrazie occidentali
ripresa dell'iniziativa coloniale
tentativo di contenere i conflitti sociali
In questo clima politico e culturale poté sorgere e affermarsi un movimento nazionalista che alla fine del 1910, con la fondazione dell'Associazione nazionalista italiana, prese una vera e propria struttura organizzativa non limitata ai soli intellettuali. Tale associazione nacque dalla confluenza dei democratici e dei reazionari. Essa era a favore della conquista della Libia.
Anche il Banco di Roma era a favore di tale conquista.
L'Italia, però, iniziò la sua conquista della Libia solo quando la Francia impose il suo protettorato sul Marocco.
La guerra fu + lunga e difficile del previsto in quanto l'Impero Turco era intervenuto a favore della Libia in quanto esercitava su quei territori la sovranità. E si estese anche al Mare Egeo dove l'Italia conquistò l'isola di Rodi e l'arcipelago del Dodecanneso.
Sol l'anno successivo il 1912 i turchi acconsentirono a firmare la pace di Losanna, rinunciando alla propria sovranità politica, ma conservando per il sultano una autorità religiosa sul popolo musulmano.
Dal punto di vista economico tale conquista fu un pessimo affare:
i costi della guerra furono molto pesanti
le ricchezze naturali erano scarse
la colonizzazione della zone costiere non bastò a diminuire la disoccupazione
Gli oppositori di questa guerra furono:
i socialisti che organizzarono manifestazioni
parte dei repubblicani e dei radicali
alcuni intellettuali
Ciò portò a squilibri politici
Nel Psi, la corrente riformista avevano incoraggiato la nuova politica giolittiana. La maggior parte del partito, inoltre, in un primo momento condividevano la tesi di Turati che affermava che l'unica via per il movimento operaio capace di assicurare il consolidamento dei risultati appena conseguiti fosse quella delle riforme e della collaborazione con la borghesia progressista, pur nel rispetto della propria autonomia di classe. Successivamente tale tesi iniziò a incontrare delle opposizioni crescenti man mano venivano delineati i limiti del liberismo giolittiano. Per i socialisti rivoluzionari i conflitti a volte sanguinosi fra lavoratori e forza pubblica verificatesi soprattutto a sud mostrava la vera natura dello stato monarchico e borghese
1904 nel congresso di Bologna le correnti rivoluzionarie coalizzate riuscirono a strappare ai riformisti la guida del partito e pochi mesi dopo si verificò il primo sciopero generale nazionale a causa dell'ennesimo "eccidio proletario" verificatosi in Sardegna nel corso di una manifestazione di minatori. Nonostante la borghesia fece pressioni molto forti sul governo perché intervenisse militarmente, Giolitti non intervenne. Per il movimento operaio questo sciopero oltre ad essere stato una vera e propria prova di forza, rivelò dei limiti:
distribuzione territoriale squilibrata
mancanza di coordinamento fra le organizzazioni locali
assenza di un organo sindacale centrale capace di guidare lo sciopero
1908 fu fondata la confederazione generale del lavoro (Cgl) controllata da riformisti. I rivoluzionari che erano in minoranza nel sindacato, persero posizione anche nel partito e la corrente sindacalista-rivoluzionaria fu progressivamente emarginata.
Nel frattempo il partito riformista si stava dividendo e si stava formando una corrente di revisionisti: ispirati alle teorie di Bernstein e all'esperienza del laburismo inglese. Prospettava la trasformazione del Psi in un partito del lavoro disponibile per una collaborazione di governo con le forze democratico-liberali.
1912 congresso di Reggio Emilia i revisionisti furono espulsi e diedero vita al Partito socialista riformista italiano. I riformisti rimasti nel Psi furono ridotti in minoranza e la guida del partito tornò nelle mani dei revisionisti dove uno dei maggiori leader fu Mussolini che divenne direttore del quotidiano del partito, l'Avanti. Egli portò nella proanda socialista uno stile nuovo basato sull'appello diretto delle masse e sul ricorso di formule agitatorie tipiche del sindacalismo rivoluzionario.
In età giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento democratico-cristiano. Il leader del movimento fu un giovane sacerdote marchigiano Romolo Murri il quale
era contro il capitalismo
era contro lo Stato borghese
voleva il suffragio universale
voleva il decentramento amministrativo
voleva la legislazione sociale
Nei primi anni del '900 i democratici cristiani:
fondarono riviste
fondarono circoli politici
diedero vita alle prime riunioni sindacali cattoliche di classe basate sull'adesione dei soli lavoratori
Il papa Leone XIII incoraggiò tale movimento, mentre il nuovo papa Pio X fu contrario e la sciolse creando al suo posto tre organizzazioni distinte tutte strettamente dipendenti alla gerarchia ecclesiastica: l'unione popolare, l'unione economico-sociale e l'unione elettorale. Solo successivamente si riuniranno da un organo detto Direzione generale dell'Azione cattolica. Murri, che aveva rifiutato di sottostare alle direttive pontificie, fu sconfessato e sospeso dal sacerdozio.
Nonostante ciò il movimento sindacale cattolico continuò a svilupparsi e nel 1909 nacque il primo sindacato nazionale cattolico di categoria.
Il papa e i vescovi favorirono le tendenze clerico-moderate che si andavano manifestando nel movimento cattolico e, alleati con i partiti d'ordine, miravano a bloccare l'avanzata delle sinistre. Tale alleanze furono autorizzate dalle autorità ecclesiastiche e incoraggiate da Giolitti perché, nonostante il rapporto tra stato e chiesa fosse laico, vide la possibilità di allargare il suo potere utilizzando nuove forze a sostegno delle sue maggioranze. Successivamente fu autorizzata la presentazione di candidature cattoliche anche se solo a titolo personale (cattolici deputati sì, deputati cattolici no).
Durante le elezioni del novembre del 1913, le prime a suffragio universale maschile, il conte Gentiloni, presidente dell'Unione elettorale cattolica, invitò gli elettori ad appoggiare i candidati liberali in quanto loro avevano stipulato un patto segreto con Gentiloni il quale prevedeva:
la tutela dell'insegnamento cattolico
l'opposizione al divorzio
riconoscimento delle organizzazioni sindacali cattoliche.
I liberali avevano accettato tale patto per assicurarsi i suffragi di un elettorato di massa.
Tale patto fu duramente criticato dai democratici cristiani.
Con queste elezioni i cattolici acquisirono una capacità sorprendente dio pressione sulla classe dirigente e ciò incrinava la fisionomia laica del Parlamento italiano
Nonostante le elezioni di novembre i liberali conservarono un'ampia maggioranza anche se tale partito era diviso ed eterogeneo il che rendeva la mediazione giolittiana sempre + problematica.
Dunque gli elementi che contribuirono alla crisi del sistema giolittiano furono:
sviluppo del nazionalismo
accresciuto peso dei cattolici
prevalenza rivoluzionari nel Psi
1914 Giolitti si dimesse e gli succedette Antonio Salandra, giurista, agrario pugliese e uomo di punta della destra liberale.
Un sintomo evidente della crisi giolittiana fu la settimana rossa del 1914: la morte di tre dimostranti in uno scontro con la forza pubblica durante una manifestazione antimilitarista ad Ancona provocò un'ondata di scioperi e di agitazioni in tutta Italia.
Nelle marche e in Romagna la protesta fu guidata da Mussolini ed ebbe carattere insurrezionale: assalti a edifici pubblici, atti di sabotaggio contro le linee telefoniche e ferroviarie, furono catturati alcuni ufficiali dell'esercito . Tale manifestazione non fu appoggiata dalla Cgl e fu fronteggiata dal governo, ma rafforzò le tendenze conservatrici. Tale manifestazione durò solo pochi giorni.
In questa situazione, si aggiunse la I guerra mondiale la quale portò fine al governo giolittiano
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