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L'ITALIA TRA I SECOLI XIV-XVI
La peculiarità del dominio visconteo fu la sua politica espansionistica; in soli dieci anni, infatti, tra il 1339 e il 1349, Luchino Visconti estese notevolmente i confini dello stato milanese, mentre il suo successore, l'arcivescovo Giovanni, arrivava a conquistare Genova. La loro opera sarebbe poi stata continuata da Gian Galeazzo, che indirizzò l'espansionismo visconteo verso il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Dopo un periodo dominato da lotte per la successione, questa aggressiva politica avrebbe trovato il proprio prosecutore in Filippo Maria Visconti. Anche Firenze attorno al 1450 arrivava a controllare tutta la Toscana eccetto Lucca e Siena. Venezia, dopo la minaccia subita della lega tra il Re di Ungheria e il duca d'Austria capì la necessità di creare un dominio sulla terraferma.
Lo Stato della chiesa dal XIII secolo era impegnato nel trasformare i propri domini in un insieme organico. L'instabilità causata dalla residenza del Papa ad Avignone e dallo scontento della popolazione per le lotte tra le fazioni cittadine favorì l'avvento di Cola di Rienzo, un notaio romano che prese il potere nel 1347. Egli voleva unire l'Italia intorno a Roma, ma gli eccessi della sua dittatura provocarono una rivolta ed egli abbandonò quindi la città.
Per quanto riguarda il Regno di Napoli, proprio sotto il Regno di Roberto II il capoluogo campano divenne una piazza commerciale di grande rilevanza, luogo inoltre di incontro di intellettuali del calibro di Petrarca e Boccaccio. Nel 1343, tuttavia, la salita la trono di Giovanna I, nipote di Roberto, provocava una crisi dinastica. Per risolvere questo conflitto, Giovanna II in contrapposizione a Luigi II d'Angiò, inizialmente designava proprio successore Alfonso V d'Aragona. Revocata poi questa decisione a favore dell'altro contendente, il conflitto si protrasse fino a che nel 1442 Alfonso sarebbe riuscito a impossessarsi della stessa Napoli. Sotto il suo dominio l'Italia meridionale e la Sicilia tornavano ad essere unite.
Perciò nella prima metà del XV secolo le vicende italiane sono caratterizzate dal continuo insorgere di conflitti locali tra i diversi stati della penisola nel costante tentativo di dilatare i propri confini. Arbitri della situazione erano però anche i capitani di ventura, capi delle milizie mercenarie che costituivano il nerbo delle forze in campo. Filippo Maria, per esempio, legò a se uno di essi, Francesco Bussone dandogli sposa la propria nipote e concedendogli il feudo di Carmagnola. Nel 1427 però Bussone, alleatosi con i Veneziani sconfisse i Milanesi a Maclodio. Nel 1433 la pace di Ferrara segnava una prima pausa in questo conflitto, ripreso più tardi con l'apparizione di Francesco Sforza al servizio di Filippo Maria. Dopo vari doppi-giochi dello Sforza e dopo la pace di Cremona, Filippo Visconti morì lasciando vacante il ducato di Milano. Si formava così la Repubblica Ambrosiana. I Milanesi, sotto la pressione veneziano, invocarono l'aiuto di Francesco Sforza, il quale difese i territori lombardi vincendo i Veneziani a Caravaggio e proclamandosi Duca di Milano.
Solo nel 1454 venne stipulato un nuovo trattato di pace a Lodi che prevedeva una politica di non belligeranza tra gli Stati italiani.
Nell'Italia del XV secolo, Firenze svolse sicuramente un ruolo di primaria importanza, ben più rilevante rispetto alla sua potenza militare e all'estensione dei suoi domini. Soprattutto con Lorenzo il Magnifico si instaurò una fitta rete di alleanze e si crearono nuovi organi amministrativi posti sotto il suo controllo. Nel 1466, tuttavia, la famiglia dei Pazzi ordiva contro di lui una congiura in trovava la morte il fratello di Lorenzo, Giuliano, ma che falliva nell'intento di allontanare i Medici dal potere. Fautore della politica dell'equilibrio, Lorenzo non fu comunque in grado di impedire che i conflitti mettessero in pericolo i risultati della pace di Lodi. La guerra di Ferrara (1482-84) si scatenò a causa del tentativo di Venezia di espandersi a danno della Signoria estense. Il meccanismo della Lega italica riuscì comunque a scongiurare questa eventualità. Nel 1492, però, moriva Lorenzo e con questo evento si chiudeva l'epoca in cui era stato possibile arginare i conflitti locali.
L'inizio del XVI secolo segna per l'Italia la definitiva crisi della politica dell'equilibrio e la sempre più frequente e decisiva ingerenza delle potenze straniere nelle vicende della Penisola. Inaugura questo nuovo periodo la discesa di Carlo VIII di Francia, deciso di a riaffermare i diritti angioini sulla parte meridionale della Penisola. Nel 1494 egli varcava quindi le Alpi, forte anche del sostegno di Ludovico il Moro, reggente di Milano in nome del giovane nipote Gian Galeazzo II. La spedizione francese era destinata a sovvertire l'equilibrio faticosamente raggiunto dagli Stati italiani, dando inizio a un ventennio di guerre ininterrotte.
Nel frattempo a Milano, morto il legittimo Duca prendeva il potere Ludovico, suscitando l'opposizione di Alfonso di Napoli, suocero di Gian Galeazzo.
A Firenze invece i medici venivano cacciati e nasceva sotto gli auspici di un frate domenicano, Gerolamo Savonarola, una nuova repubblica di stampo teocratico. Pur scontrandosi con l'apposizione dei sostenitori del governo oligarchico (Arrabbiati), del partito mediceo (Palleschi) e di coloro che erano avversi alla loro azione moralizzatrice (Comnacci) , Savonarola e i suoi sostenitori (Piagnoni) avviarono un'opera di riorganizzazione dello Stato in senso repubblicano e democratico. Vinte anche le resistenze di Papa Alessandro VI Borgia, Carlo VIII si impadroniva senza colpo ferire del regno di Napoli, mentre Alfonso abdicava e il lio Ferrandino fuggiva. Lo scontento però dei baroni angioini, estromessi dai partigiani di Carlo dalle posizioni di comando, e soprattutto l'allarme, suscitato dal successo della spedizione tra le grandi potenze e gli Stati Italiani, segnarono il fallimento finale dell'azione di Carlo VIII. Si era infatti creato contro di lui un fronte formato da Venezia e dal Pontefice che fece ritornare Carlo in Francia. Il suo successore re di Francia Luigi XII era ben deciso a continuare la politica espansionistica in Italia del proprio predecessore, aggiungendo al tradizionale obiettivo del Mezzogiorno anche il ducato di Milano, dato che egli discendeva da Valentina, lia di Gian Galeazzo Visconti. Già sostenuto da Venezia, Luigi riuscì a conquistarsi anche il favore del Pontefice concedendo a suo lio, Cesare Borgia, la mano di una principessa francese e il titolo di duca di Valentinois, da cui poi gli deriverà il soprannome di Valentino. Dopo aver stipulato un'alleanza con i cantoni svizzeri che gli concedevano la strada verso Milano, Luigi sconfisse le forze sforzesche a Novara (1500), confinò Ludovico in Francia e diventò padrone del ducato di Milano.
Con il trattato di Granada, per mezzo del quale Francia e Sna si univano con il proposito di spodestare il ramo cadetto degli aragonesi, che detenevano il potere nell'Italia del sud si arrivò a una situazione che vedeva gli Snoli padroni del Mezzogiorno.
Anche lo Stato Pontificio con il nuovo Papa Giulio II mirava a un'espansione territoriale e, essendosi ritirato il Valentino si scontrò sul terreno romagnolo con i Veneziani. Il Pontefice stipulò la Lega dei Cambrai, contro Venezia, che riuniva Francia, Sna, Impero, Ducato di Savoia Ducato di Ferrara e Marchesato di Mantova. Le forze della Lega si imposero nella battaglia di Agnadello (1509) ma Venezia, grazie a una sapiente azione diplomatica, fu in grado di smembrarne il fronte, concedendo a ciascun suo componente solo limitati benefici territoriali. L'iniziativa del Pontefice doveva essere nuovamente decisiva nella creazione di una seconda alleanza, denominata "Lega Santa", che riunì Sna, Inghilterra e Venezia, con il proposito di estromettere i Francesi dalla Penisola. Pur avendo vinto sul campo di Ravenna (1512), Luigi XII fu costretto ad abbandonare Milano che tornava così nelle mani di Massimiliano Sforza. Cacciati i Francesi, la Sna esercitava sempre un'influenza maggiore sugli Stati italiani.
E' chiaro che l'Italia in quei secoli era divisa in molti Stati e bisognerà aspettare fino alla fine del 1800 per vederla unita, ma a parte i motivi politici sono molto importanti i motivi sociali per mancata unità della Nazione. Tutti i cittadini delle grandi città (urarsi quelli dei paesi) non sentivano l'Italia come una Nazione compatta, ma come una moltitudine di città, non si sentivano cioè tutti fratelli nati dalla stessa madre. C'è da considerare però che alcuni studiosi già nell'antichità avevano una concezione dell'unità geografica dell'Italia e le sue Alpi servivano a isolarla dal resto d'Europa.
Ovviamente se in un territorio non c'è l'unità politica, non c'è neanche quella letteraria; infatti in Italia si parlavano moltissime lingue diverse e anche le scuole letterarie erano differenti l'una dall'altra. Già Dante nel "De vulgari eloquentia" si rende conto della presenza di molti dialetti in Italia e propone il suo volgare come lingua unitaria.
A parte il problema letterario e sociale, quello politico rimane il più importante, infatti le potenza che nell'età Moderna si insediarono in Italia, non lo fecero per unificarla (a parte i magnanimi Savoia), ma per trarre innumerevoli vantaggi sfruttando territorio e popolazione. Per questo motivo tutti i grandi monarchi europei vedevano il suolo italiano come una vittima a volte indifesa e con pochi sforzi potevano trarre innumerevoli vantaggi, ma d'altronde essi appartenevano a Stati già unificati e non era loro interesse sprecare forze per una causa che non era la loro (al contrario si troverà questa virtù in Vittorio Emanuele II).
Per tutte queste cause l'Italia nel corso dei secoli non è mai stata una nazione unita ed è rimasta molto indietro rispetto agli stati come Francia, Sna, Inghilterra che hanno visto l'unità almeno quattro secoli prima.
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