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La civiltà della Nubia: tra Africa Nera e Mediterraneo
Lungo l'alta valle del Nilo, in un territorio corrispondente al moderno Sudan e alle progini meridionali dell'Egitto, si estendeva un tempo la Nubia, sede di un'antica civiltà che costituì una sorta di anello di congiunzione tra le genti del bacino mediterraneo e quelle dell'Africa Nera. Fin dalla prima metà del secolo scorso questa terra, desertica ma ricchissima di risorse minerarie, ha attratto studiosi e avventurieri di tutto il mondo, che andavano alla ricerca di tesori e preziosi reperti nelle maestose tombe costruite dagli antichi nubiani. Tra i primi 'esploratori' vi fu anche un medico italiano, Giuseppe Ferlini, il quale negli anni Trenta dell'Ottocento, al seguito dell'esercito egiziano, giunse a Meroe, la capitale del regno nubiano sviluppatosi tra il VI secolo a.C. e il IV d.C.: dando credito alle leggende locali che favoleggiavano di enormi tesori ammassati all'interno delle numerose piramidi sparse nel territorio della città (e dette localmente 'Tarabil'), iniziò a demolire sistematicamente questi monumenti funerari. Dopo qualche tempo, la delusione per non aver trovato i tesori sperati e la crescente ostilità da parte della popolazione indigena lo indussero a rinunciare all'impresa e a fare ritorno in Italia.Da allora, per fortuna, lo spirito dell'indagine archeologica è profondamente mutato, ma è rimasto intatto l'interesse degli studiosi del nostro Paese per l'antica civiltà della Nubia: dopo la fine del regime coloniale le ricerche si sono moltiplicate in Sudan e oggi operano nel territorio sudanese diverse missioni italiane. Nella primavera del 1999 Torino ha anche ospitato una grande mostra dedicata proprio alle civiltà nubiane, nella quale sono stati esposti al pubblico i più interessanti reperti rinvenuti in centocinquant'anni di scavi: vasi in ceramica decorata, statuette in terracotta, in bronzo o in pasta vitrea, ma soprattutto gli splendidi gioielli in oro e smalti provenienti dalle sepolture regali.Inoltre, i drammatici mutamenti geografici determinati dalla costruzione della grande diga di Assuan, inaugurata nel 1971, hanno favorito la riscoperta della Nubia come area di notevole interesse storico-archeologico da parte di studiosi e appassionati di tutto il mondo. Infatti la cosiddetta Bassa Nubia, compresa nel territorio meridionale del moderno Stato egiziano, è stata completamente 'inghiottita' dalle acque del lago Nasser, il bacino artificiale creatosi in seguito alla realizzazione della diga. Grazie ai contributi finanziari offerti dai governi di vari Paesi, i principali complessi architettonici sono stati messi in salvo attraverso una delicata opera di smontaggio e ricostruzione che ha consentito di spostare i monumenti in luoghi al sicuro dalle inondazioni. Il più celebre di questi interventi è senz'altro quello che ha permesso il salvataggio dei due templi di Abu Simbel, costruiti nel XIII secolo a.C. in onore del faraone Ramesse II e della sua sposa Nefertari.Oggi le ricerche archeologiche nel territorio dell'intera Nubia continuano a fornire risultati di estremo interesse poiché, oltre ad arricchire il patrimonio di reperti, contribuiscono a chiarire sempre di più il ruolo della civiltà nubiana nel panorama dell'antico continente africano e i suoi rapporti con le culture contemporanee. Due sono le novità principali messe in luce dalle scoperte più recenti: da un lato la constatazione di una notevole vicinanza culturale tra le popolazioni del Centro Africa e quelle del Mediterraneo dominato dall'impero romano, dall'altro la definitiva conferma dell'impossibilità di attribuire alla Nubia semplicemente il ruolo di periferia dell'Egitto faraonico, secondo un'interpretazione diffusa fino a qualche tempo fa e favorita, ovviamente, dalla lettura delle antiche fonti egiziane.D'altra parte anche le più recenti scoperte confermano che i rapporti tra la Nubia e il regno dei faraoni furono sempre piuttosto intensi, oltre che spesso caratterizzati da scontri e conflitti militari. Nel territorio dell'attuale Sudan i sovrani egiziani trovavano l'oro, i minerali preziosi e i legni pregiati per abbellire i templi e le dimore, nonché grandi quantità di schiavi e di soldati mercenari: la regione fu quindi oggetto di uno sfruttamento indiscriminato fin dai tempi più antichi. Dopo vari secoli di razzie e scontri per affermare il loro dominio sul territorio, a partire dal XV secolo a.C. gli egizi riuscirono a occupare stabilmente la parte settentrionale della regione (ossia la Bassa Nubia), avviando anche un vasto programma edilizio nella città principale, Napata. Ma nell'VIII secolo a.C. i ruoli si invertirono e i nubiani riuscirono addirittura a conquistare l'Egitto, insediando sul trono un loro sovrano: è l'epoca della XXV dinastia, quella dei cosiddetti 'faraoni neri'. Tale dominio fu piuttosto breve e cessò nel VI secolo in seguito a uno sfortunato scontro con gli Assiri, ma il regno nubiano continuò a vivere e a prosperare per diversi secoli intorno alla nuova capitale, Meroe. Situata più a sud rispetto a Napata, questa città fu il centro di una fiorente civiltà che ebbe importanti contatti con i regni ellenistici e con l'impero romano e che vide il suo declino soltanto nel IV secolo d.C., quando dovette soccombere al regno etiopico di Axum.Appartengono proprio al periodo del regno di Meroe i sontuosi monumenti funerari che nel secolo scorso sollecitarono la fantasia dei viaggiatori europei: grandi piramidi in blocchi di pietra che fungevano da sovrastrutture per le tombe vere e proprie, costituite da ambienti ipogei. Ma l'antico splendore della civiltà meroitica è testimoniato anche dai resti di altri edifici, di carattere sia pubblico sia privato, molti dei quali sono emersi durante gli scavi degli ultimi anni: palazzi e residenze regali, templi e santuari, nonché, addirittura, un centro di raccolta e di addestramento per gli elefanti, caratterizzato dalla presenza di enormi cisterne per l'acqua. Tutte testimonianze per le quali ora si pongono soprattutto problemi di conservazione, giacché si tratta di monumenti estremamente fragili (realizzati in gran parte in arenaria) e quindi particolarmente soggetti al degrado provocato da agenti esterni. Riaffermata quindi l'importanza dei siti, si tratta ora di non perdere ciò che anni di scavo hanno riportato alla luce.
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