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La seconda guerra mondiale

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La seconda guerra mondiale

Seconda guerra mondiale Guerra iniziata nel 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta all'aggressione Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra ai tedeschi e il conflitto si estese presto fino a interessare molti paesi e aree geografiche del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili. La sua conclusione nel 1945 segnò l'avvento di un nuovo ordine mondiale incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti d'America (USA) e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).

Origini della seconda guerra mondiale

L'esito della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre grandi potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali e le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles, l'Italia e il Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ottenuto a seguito della vittoria conseguita.

Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti avevano raggiunto i loro principali obiettivi: Washington la riduzione del potere militare della Germania; Parigi e Londra un ordine mondiale funzionale ai loro interessi coloniali. Ma proprio il mantenimento del nuovo quadro risultò subito problematico, dopo che gli Stati Uniti, per volere del presidente Wilson, avevano rifiutato di entrare nella Società delle Nazioni per ritirarsi in un nuovo isolazionismo.

Nel corso degli anni Venti si fecero alcuni tentativi per giungere a una pace stabile: nella conferenza di Washington (1921-22) le principali potenze navali concordarono di porre dei limiti ai potenziali delle rispettive marine militari; gli accordi di Locarno (1925) stabilirono una serie di impegni a garanzia della frontiera franco-tedesca; infine, sottoscrivendo a Parigi nel 1928 il patto Briand-Kellogg, 63 nazioni (con l'eccezione, tra le grandi potenze, dell'Unione Sovietica) rinunciarono alla guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali.

Tuttavia, se uno degli scopi dichiarati dai vincitori era stato di 'assicurare al mondo la democrazia', l'inadeguatezza dei risultati ottenuti emerse chiaramente dal fatto che negli anni Venti si assistette all'avvento e al progressivo affermarsi di forme di totalitarismo nazionalista-militaristico, giudicate più efficaci della democrazia nell'operare il contenimento del comunismo, da più parti visto come l'obiettivo politico prioritario.

Quanto al Giappone, pur non esistendovi formalmente un regime fascista, il ruolo svolto dalle forze armate nel governo civile del paese era preponderante e si ispirava alla volontà di rimettere in discussione gli equilibri internazionali sin lì definiti.

Nel marzo del 1936, dopo aver annunciato il riarmo nazionale in violazione del trattato di pace di Versailles, Hitler occupò militarmente la Renania (il cui status di zona smilitarizzata era stato definito sia a Versailles sia dagli accordi di Locarno), ricevendone solo una flebile protesta da parte di Londra e Parigi. Seguì un altro passaggio preparatorio all'applicazione del programma espansionistico, segnato dall'intervento nella guerra civile snola (1936-l939) al fianco dei ribelli franchisti e in collaborazione col futuro alleato Mussolini, fondatore in quegli anni dell'impero coloniale italiano in Etiopia (vedi guerra d'Etiopia). Tra il 1936 e il 1937, una serie di accordi tra Germania, Italia e Giappone formalizzò lo stabilirsi di un Asse Roma-Berlino-Tokyo che univa in alleanza i tre regimi 'forti' della scena internazionale (vedi Potenze dell'Asse).

L'espansionismo nazista in Europa

L'annessione dell'Austria nella primavera del 1938 (vedi Anschluss) fu il primo passo verso la realizzazione del progetto hitleriano di ricostituzione della Grande Germania. Mussolini appoggiò l'alleato, mentre britannici e francesi ancora una volta mancarono di intervenire con decisione, liquidando la vicenda come una questione interna tedesca.

Nel settembre successivo fu la volta delle rivendicazioni naziste sulla regione dei Sudeti, al confine occidentale della Cecoslovacchia, abitata da una popolazione a maggioranza tedesca. Il primo ministro inglese Neville Chamberlain, sostenuto anche dal governo francese, nel corso della conferenza di Monaco convinse le autorità ceche a cedere, in cambio dell'impegno da parte di Hitler a non avanzare ulteriori rivendicazioni territoriali (politica di appeasement). In realtà nel marzo 1939 Hitler occupò tutta la Cecoslovacchia, spingendo Londra a siglare un accordo di garanzia con la Polonia, successivo obiettivo dichiarato dell'espansionismo nazista.

Uno sviluppo inatteso si ebbe il 23 agosto 1939 con la firma a Mosca di un trattato di non aggressione tra Germania e URSS (accordo Molotov-Ribbentrop), che peraltro in un protocollo segreto concordavano di spartirsi l'Europa centrorientale, attribuendo all'Unione Sovietica Finlandia, Estonia, Lettonia, Polonia orientale e Romania.

Il 1° settembre 1939 i tedeschi invasero la Polonia. Due giorni dopo Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania; trincerati dietro la linea Maginot, i francesi non erano in realtà nella condizione di attaccare l'opposta linea Sigfrido tedesca, che pure non era coperta a sufficienza dalle truppe, impegnate sul fronte polacco. Il primo regime fascista fu creato da Benito Mussolini in Italia, già nel 1922. Adolf Hitler, Führer (capo) del Partito nazionalsocialista tedesco, dieci anni dopo fondò il suo progetto di Grande Reich oltre che sul richiamo a teorie basate sull'antisemitismo e sul razzismo, esaltatrici della presunta superiorità della razza ariana, sulla prospettiva politica di abolire l''ordine di Versailles' e assicurare lo spazio vitale al regime totalitario che avrebbe dovuto raccogliere tutti i tedeschi. La Grande Depressione, inoltre, affliggeva in maniera particolarmente grave la Germania, quando Hitler, dopo aver vinto le elezioni ed essere stato nominato Cancelliere, in breve assunse pieni poteri.

Adolf Hitler e Benito Mussolini




Hitler, Adolf (Braunau am Inn, Austria 1889 - Berlino 1945)

Uomo politico e capo di governo tedesco; uno fra i più potenti dittatori del XX secolo, militarizzò completamente la Germania e scatenò la seconda guerra mondiale. Dopo aver fatto dell'antisemitismo l'elemento centrale della sua proanda politica, trasformò il Partito nazista (vedi Nazionalsocialismo) in un movimento di massa. Ordinò l'eccidio di milioni di ebrei e di altre popolazioni che considerava inferiori.

lio di un doganiere austriaco, lavorò come decoratore fino allo scoppio della prima guerra mondiale (1914), quando si arruolò come volontario nell'esercito bavarese. Dopo la sconfitta della Germania, si iscrisse al Partito tedesco dei lavoratori, per partecipare alla ricostruzione del paese. Nell'aprile 1920 cominciò a lavorare a tempo pieno per il partito, ribattezzato Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, e l'anno successivo ne divenne il capo (Führer) indiscusso. Nel novembre 1923, in un momento di confusione e debolezza del governo del paese, Hitler guidò un tentativo di colpo di stato in Baviera, il putsch di Monaco. L'esercito però non fu compatto ne l sostenere l'operazione e il putsch fallì.

Riconosciuto responsabile del complotto, Hitler  venne condannato a cinque anni di reclusione, ridotti a otto mesi per un'amnistia generale. Durante la detenzione, dettò la sua autobiografia, Mein Kampf, nella quale espose i principi dell'ideologia nazista e della superiorità della razza ariana. Tornato in libertà, ricostruì il partito senza interferenze da parte del governo che pure aveva cercato di rovesciare.

Quando ebbe inizio la Grande Depressione, nel 1929, molti tedeschi furono d'accordo con lui nell'attribuirne la responsabilità a un complotto ebreo-comunista. Con la promessa di creare una Germania forte, ricca e potente, Hitler attirò milioni di elettori. La sua capacità oratoria infiammava le masse: nelle elezioni del 1930 i seggi dei nazisti al Reichstag (parlamento) passarono dai dodici del 1928 a centosette.

Durante i due anni seguenti il partito continuò a rafforzarsi, traendo vantaggio dalla crescente disoccupazione, dalla paura del comunismo, dalla risolutezza di Hitler e dalla debolezza dei suoi rivali politici. Ciononostante, quando Hitler fu nominato cancelliere (gennaio 1933), lo si riteneva ancora facilmente manovrabile.

La dittatura

Hitler a Norimberga

Giunto al potere, Hitler si trasformò rapidamente in un dittatore. Un parlamento sottomesso gli concesse pieni poteri ed egli fu in grado di asservire la burocrazia statale e il potere giudiziario alle esigenze del partito. I sindacati furono eliminati, migliaia di oppositori rinchiusi nei campi di concentramento e ogni minimo dissenso represso; l'organizzazione della polizia venne affidata a Himmler, il capo delle SS. Il 30 giugno 1934, nella 'notte dei lunghi coltelli', Hitler si liberò in modo violento degli elementi più radicali anche all'interno del suo stesso partito. In breve tempo, l'economia, i mezzi di comunicazione e tutte le attività culturali vennero poste sotto l'autorità nazista attraverso il controllo della lealtà politica di ogni cittadino, esercitato dalla Gestapo, la famigerata polizia segreta.

La corsa al riarmo risolse temporaneamente il problema della disoccupazione e portò alla ricostruzione della potenza tedesca. Il disegno di Hitler mirava a distruggere le clausole del trattato di Versailles e nel 1936 il Führer ritenne che i tempi fossero maturi per dare inizio alla sua politica d'espansione: inviò truppe nella smilitarizzata Renania, annetté l'Austria e una parte di Cecoslovacchia, ponendo le basi di un nuovo conflitto mondiale.

La seconda guerra mondiale scoppiò nel settembre 1939, quando Hitler invase la Polonia, che aveva stretto un'alleanza con l'Inghilterra. Nel 1940 l'esercito tedesco occupò Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Francia, e nel giugno 1941 ebbe inizio l'attacco all'Unione Sovietica. Nel luglio successivo, Hitler incaricò Heydrich di elaborare la 'soluzione finale della questione ebraica': il drammatico genocidio che costò la vita a sei milioni di ebrei (vedi Olocausto; Pogrom).

A dicembre l'andamento della guerra cambiò direzione: la controffensiva russa respinse l'esercito tedesco, infliggendo gravissime perdite; Hitler rifiutò di autorizzare la ritirata. In quegli stessi giorni, gli Stati Uniti entrarono in guerra.   Davanti all'avanzata degli eserciti nemici sia sui fronti europei che su quelli africani, Hitler - sopravvissuto a vari complotti orditi da ufficiali tedeschi che volevano porre fine ai combattimenti e all'annientamento della Germania - si suicidò il 30 aprile 1945. Con lui, nel bunker di Berlino, si tolse la vita Eva Braun, che Hitler aveva sposato il giorno precedente. Goebbels si suicidò il 1° maggio.

Le operazioni militari

Prima fase: predominio delle potenze dell'Asse

La guerra-lampo in Polonia

Il 1° settembre cominciarono i bombardamenti delle reti ferroviarie polacche. Dopo quattro giorni due gruppi armati, uno proveniente dalla Prussia orientale e un altro dalla Slesia, attraversarono le frontiere indirizzandosi verso Varsavia e Brest. La macchina bellica tedesca aveva realizzato la Blitzkrieg (guerra-lampo) impiegando mezzi corazzati, aerei e fanteria autotrasportata. Tra l'8 e il 10 settembre i tedeschi avanzarono verso Varsavia. Il 17 l'Armata Rossa varcò il confine occupando la Polonia orientale. Il 20 settembre la Polonia tutta era nelle mani dei tedeschi e dei sovietici.

La drôle de guerre

Dopo la conquista della Polonia, su entrambi i fronti si sospesero le operazioni, tanto che questa fase venne chiamata la drôle de guerre ('strana guerra'). I francesi rimasero attestati dietro la linea Maginot, mentre nel nord della Francia aveva inizio il trasbordo delle truppe inglesi sul continente.

La guerra finnico-sovietica e il fronte norvegese

Il 30 novembre, l'Unione Sovietica dichiarò guerra alla Finlandia. I finlandesi, guidati dal maresciallo Mannerheim, opposero una strenua resistenza, che durò sino all'anno seguente. L'aggressione alla Finlandia fu condannata dall'opinione pubblica mondiale, ma nello stesso tempo offrì a Francia e Gran Bretagna il pretesto per impossessarsi di una delle principali fonti di rifornimento di metalli ferrosi della Germania occupando il porto norvegese di Narvik. L'ammiraglio tedesco Erich Raeder decise allora di invadere la Norvegia sbarcando simultaneamente in otto città portuali, da Narvik a Oslo. Le truppe avrebbero dovuto essere trasportate con navi da guerra. La Danimarca, che non rappresentava un problema militare, era utile per la vicinanza dei suoi aeroporti alla Norvegia. Temendo l'intervento di altre potenze al fianco della Finlandia, Stalin concluse la pace l'8 marzo, assicurando all'URSS concessioni territoriali; la Finlandia però rimase indipendente. Il 2 aprile Hitler ordinò di attaccare la Norvegia e la Danimarca. La Danimarca si arrese immediatamente.

I norvegesi, aiutati da 12.000 soldati britannici e francesi, resistettero nella zona tra Oslo e Trondheim fino al 3 maggio. A Narvik contrattaccarono, sostenuti dalla flotta britannica. Nella prima settimana di giugno i tedeschi furono obbligati a ritirarsi fino al confine svedese, ma le sconfitte militari in Francia obbligarono francesi e britannici a ritirare da Narvik le loro truppe.

I Paesi Bassi

In primavera, infatti, Hitler aveva impostato una nuova strategia per la camna contro la Francia e i Paesi Bassi: scartato il piano che prevedeva l'invasione attraverso il Belgio, decise, secondo il piano ideato dal generale Erich von Manstein, di sferrare l'attacco nelle Ardenne, cogliendo di sorpresa il comando anglo-francese.

Il 10 maggio forze aeree tedesche atterrarono in Belgio e in Olanda occupando aeroporti e nodi stradali. L'esercito olandese si arrese il 14 maggio, poche ore dopo il bombardamento di Rotterdam. Lo stesso giorno, l'esercito tedesco, comandato dal generale Gerd von Rundsteadt, attraversò le Ardenne cogliendo alle spalle le armate britanniche e francesi.

La sconfitta della Francia

Il 26 maggio, inglesi e francesi (un contingente alleato di 338.226 uomini ) furono respinti a Dunkerque e riuscirono a trovare scampo solo grazie a una gigantesca operazione di evacuazione della regione costiera ripiegarono drammaticamente per scampare alla cattura. Intanto Leopoldo III, re del Belgio, firmava la resa due giorni dopo.

La linea Maginot era intatta, ma la manovra tedesca aveva spiazzato il comandante francese, generale Maxime Weygand, che non riuscì a difendere Parigi. Il 10 giugno il governo abbandonò la capitale; lo stesso giorno anche l'Italia dichiarò guerra alla Francia. Il 17 giugno il maresciallo francese Henri-Philippe Pétain chiese l'armistizio che, firmato il 22 giugno, assicurava ai tedeschi il controllo del nord della Francia e della costa atlantica. Pétain stabilì a Vichy, nel sud, un governo collaborazionista (vedi Governo di Vichy), che rimase fedele all'Asse sino alla fine della guerra.

La battaglia d'Inghilterra

La Gran Bretagna, ora sotto la guida del primo ministro Winston Churchill, succeduto a Chamberlain, era rimasta sola ad affrontare la Germania.

Nell'estate 1940 l'aviazione tedesca (Luftwaffe) avviò l'offensiva aerea nel tentativo di annientare la Royal Air Force (RAF), scatenando la battaglia d'Inghilterra. Nell'agosto 1940 iniziarono i bombardamenti dei porti e degli aeroporti inglesi e, nel mese di settembre, quelli di Londra. L'aviazione e la popolazione civile inglesi non cedettero e Hitler dovette rinunciare all'invasione. Fu la prima sconfitta tedesca.

L'Africa settentrionale e i Balcani

Nel settembre 1940 Mussolini ordinò di attaccare l'Egitto, importante base britannica, ma fu respinto dagli inglesi che occuparono parte della Libia, colonia italiana. Nell'ottobre anche il piano d'invasione della Grecia fallì e i greci, sostenuti dagli inglesi, occuparono Creta. Nel mese di febbraio del 1941 Hitler assegnò al feldmaresciallo Erwin Rommel il comando delle truppe tedesche nell'Africa settentrionale, con lo scopo di aiutare gli alleati italiani. Tra i mesi di marzo e di aprile Rommel riuscì a respingere gli inglesi, varcando il confine egiziano.

Hitler preparò quindi l'attacco alla Grecia: sottoscrisse trattati di alleanza con Romania e Ungheria nel novembre 1940 e con la Bulgaria nel marzo 1941. La Iugoslavia, che non aveva accettato di allearsi con la Germania, fu invasa. Le operazioni ebbero inizio il 6 aprile; Belgrado, pesantemente bombardata, fu occupata il 13 aprile e il giorno dopo l'esercito iugoslavo si arrese. Subito iniziò la resistenza, a opera dei partigiani cetnici con a capo Dra'a Mihajloviç e dei partigiani comunisti guidati da Tito, che continuò per tutta la durata della guerra.

In Grecia, Salonicco fu costretta alla resa il 9 aprile; anche le divisioni greche, che avevano occupato quasi un terzo dell'Albania, si arresero il 22 aprile. Il 27 aprile le truppe tedesche occuparono Atene: il re e il governo fuggirono a Creta, che tuttavia fu conquistata il mese dopo.

Seconda fase: estensione della guerra

L'anno dopo la caduta della Francia, il conflitto dilagò, assumendo dimensioni mondiali. Hitler, pur conducendo nuove camne nei Balcani, in Africa settentrionale e nei cieli dell'Inghilterra, schierava adesso il grosso dell'esercito a est, contro l'Unione Sovietica.

L'intervento degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti rinunciarono adesso alla neutralità e si prepararono allo scontro con il Giappone, in Asia e nell'oceano Pacifico: dal gennaio 1941 strinsero con la Gran Bretagna accordi per determinare le strategie da seguire nell'eventualità di una loro entrata in guerra.

Nel marzo 1941 il Congresso americano approvò la legge Affitti e prestiti che riguardava gli armamenti da concedere a qualsiasi paese designato dal presidente. Questa legge consentì di aiutare la Gran Bretagna e, dopo l'invasione tedesca nel giugno del 1941, anche l'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti speravano che l'Asse potesse essere sconfitto senza un loro coinvolgimento diretto. Alla fine dell'estate del 1941 gli Stati Uniti erano in una posizione di guerra non dichiarata con la Germania. In luglio reparti di marines americani furono dislocati in Islanda, occupata dagli inglesi; nel maggio del 1940 la marina militare americana ebbe l'incarico di scortare i convogli nelle acque a ovest dell'Islanda. In settembre il presidente Franklin Delano Roosevelt autorizzò le navi di scorta ai convogli ad attaccare le navi da guerra dell'Asse.

Nel frattempo, le relazioni USA con il Giappone si erano ulteriormente deteriorate. Nel settembre 1940 il Giappone costrinse il governo di Vichy a cedere la zona nord dell'Indocina. Gli Stati Uniti proibirono l'esportazione in Giappone di acciaio, ferro e combustibile per l'aviazione. Nell'aprile 1941 i giapponesi firmarono un accordo di neutralità con l'Unione Sovietica, per limitare i possibili fronti di guerra in vista dello scontro con la Gran Bretagna o con gli Stati Uniti. Quando però la Germania invase l'Unione Sovietica, in giugno, decisero di rompere l'accordo, pensando a un attacco contro l'Unione Sovietica da est; in seguito cambiarono idea, e presero la fatale decisione di portare l'offensiva nel Sud-Est asiatico. Il 23 luglio il Giappone occupò il sud dell'Indocina. Due giorni dopo Stati Uniti e Gran Bretagna risposero con l'embargo commerciale. Il 7 dicembre 1941, un'ora prima della dichiarazione ufficiale di guerra, forze aeree e navali giapponesi distruggevano la flotta americana a Pearl Harbor. Tre giorni dopo le due maggiori unità navali britanniche nel Pacifico venivano affondate. La guerra investiva così anche l'Estremo Oriente.

L'invasione dell'Unione Sovietica

Lo scontro più imponente della guerra iniziò la mattina del 22 giugno 1941, quando più di tre milioni di soldati dell'Asse invasero l'Unione Sovietica. Nonostante l'attacco fosse stato apertamente preparato da mesi, i sovietici furono colti di sorpresa. I capi militari sovietici erano convinti che una guerra-lampo come quella che aveva piegato la Polonia e la Francia non sarebbe stata possibile contro l'Unione Sovietica. L'esercito sovietico era numericamente superiore a quello tedesco, aveva 4,5 milioni di soldati schierati sul confine occidentale, il doppio di carri armati e il triplo di aerei. Molti carri armati e aerei appartenevano a una generazione tecnologica superata, ma alcuni tipi di mezzi blindati, soprattutto i famosi T-34, erano superiori a quelli tedeschi. Il primo giorno molti aerei sovietici furono distrutti; lo schieramento dei carri armati, dispersi tra la fanteria, era perdente nei confronti della concentrazione dei mezzi corazzati tedeschi. Gli ordini dati alla fanteria furono di contrattaccare senza ritirarsi, ma la maggior parte dei soldati sovietici cadde combattendo o furono catturati.

Prime vittorie tedesche

Per l'invasione, l'esercito tedesco era stato organizzato in tre gruppi armati, Nord, Centro e Sud, che puntarono rispettivamente verso Leningrado (attuale San Pietroburgo), Mosca e Kiev. Hitler e i suoi generali concordavano sul fatto che il problema principale era bloccare l'Armata Rossa e scongerla prima che potesse ripiegare verso l'interno del paese. Non erano però d'accordo sulla strategia da seguire. I generali erano convinti che il regime sovietico avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di difendere Mosca, la capitale, nodo centrale delle reti stradali e ferroviarie e principale centro industriale del paese. Per Hitler, invece, l'Ucraina, con le sue risorse naturali, e il Caucaso, con il suo petrolio, rappresentavano gli obiettivi più importanti, insieme alla città di Leningrado. Il compromesso fu trovato nelle tre differenti direttive d'invasione e il grosso dell'esercito si diresse verso Mosca. I tedeschi prevedevano di vincere in dieci settimane: era un punto essenziale, in quanto l'inverno russo avrebbe bloccato le operazioni mentre l'impegno bellico nei Balcani aveva già causato un ritardo di tre settimane.

Churchill offrì ai sovietici un'alleanza e Roosevelt gli aiuti consentiti dalla legge 'Affitti e prestiti', benché i rispettivi consiglieri militari non concedessero più di un mese alle possibilità di resistenza dell'URSS. Alla fine della prima settimana di luglio, il Gruppo Centro aveva fatto prigionieri 290.000 soldati sovietici a Bialystok e a Minsk. Il 5 agosto, attraversato il fiume Dnepr, i tedeschi fecero altri 300.000 prigionieri vicino a Smolensk ed erano ormai prossimi a Mosca.

I russi avevano sacrificato moltissimi soldati e armamenti per difendere Mosca. Hitler, comunque, non era soddisfatto e, nonostante le proteste dei suoi generali, ordinò al Gruppo Centro di spostare il grosso degli armamenti a nord e a sud per aiutare gli altri due gruppi d'invasione, fermando in questo modo l'avanzata verso Mosca. L'8 settembre il Gruppo Nord, insieme a forze finlandesi, diede il via all'assedio di Leningrado. Il 16 settembre il Gruppo Sud accerchiò Kiev da est, facendo 665.000 prigionieri. A questo punto Hitler decise di riprendere l'avanzata verso Mosca e ordinò ai mezzi corazzati di ricongiungersi al Gruppo Centro.

L'avanzata verso Mosca

Il Gruppo Centro riprese le azioni il 2 ottobre, catturando in due settimane 663.000 militari nemici. Le piogge autunnali trasformarono tutto in fango e bloccarono l'avanzata per quasi un mese. A metà novembre arrivò il freddo e il terreno gelò. Hitler e il comandante del Gruppo Centro, feldmaresciallo Fëdor von Bock, decisero, nonostante l'inverno, di concludere la camna del 1941 con la conquista di Mosca.

Verso la seconda metà di novembre Bock mosse verso Mosca, arrivando a 32 km dalla città. La temperatura era bassissima, la neve copriva le strade, macchine e uomini non erano preparati per affrontare un freddo così intenso. Il 5 dicembre i generali tedeschi ammisero il blocco totale dell'avanzata. Carri armati e camion erano congelati, le truppe demoralizzate.

La controffensiva sovietica

Stalin, in accordo con il maresciallo Georgij wukov, aveva trattenuto a Mosca le riserve, tra cui molti giovani, ma anche veterani dalla Siberia, dove l'Armata Rossa, nel 1939, aveva sconfitto i giapponesi sul confine con la Manciuria. Il 6 dicembre i sovietici contrattaccarono e, dopo pochi giorni, le avanguardie corazzate tedesche si ritirarono lasciando sul terreno una quantità di veicoli e armamenti, inutilizzabili per il freddo.

Su ordine di Stalin, il contrattacco di Mosca dette il via a una controffensiva sull'intero fronte. I tedeschi non avevano costruito linee di difesa sulla retroguardia e Hitler ordinò alle truppe di non retrocedere. I russi annientarono molte divisioni, ma i tedeschi resistettero abbastanza per superare l'inverno e mantenere l'assedio di Leningrado, minacciando Mosca e occupando l'Ucraina.

Per la prima volta dal 1939 falliva un piano tedesco di annientamento del nemico. L'obiettivo di assicurarsi grandi quantitativi di viveri e materie prime dalla Russia sconfitta non si realizzò perché le ferrovie erano state distrutte dai sovietici in ritirata, e altrettanto era stato fatto con le colture, il bestiame e ogni altra risorsa. L'aiuto in materie prime concesse dagli americani, trasportate da convogli britannici che subirono perdite pesanti nei porti settentrionali della Russia, assicurò ai sovietici radar, radio e altri equigiamenti sofisticati.

Terza fase: ribaltamento degli equilibri

Alla fine del mese di dicembre, 1941 Roosevelt, Churchill e i rispettivi consiglieri si riunirono a Washington. Tutti concordarono sulla necessità di scongere prima la Germania e, siccome l'Inghilterra aveva i mezzi necessari per combattere in Europa, dovevano essere i britannici a condurre le operazioni, mentre la guerra col Giappone avrebbe impegnato quasi esclusivamente gli americani. Inoltre fu creato il Combined Chiefs of Staff (CCS), del quale fecero parte i più alti gradi militari britannici e americani, con sede a Washington, con lo scopo di sviluppare una strategia comune. Il 1° gennaio 1942 Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e altri 23 paesi firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite, impegnandosi a non perseguire paci separate. Nazioni Unite divenne il nome ufficiale della coalizione anti-Asse, ma il termine più usato per indicare queste potenze rimase quello utilizzato già nella prima guerra mondiale: Alleati.

Sviluppo della strategia alleata

Agli inizi del 1942, gli Stati Uniti non potevano ancora prendere parte a molte delle azioni che avevano luogo in Europa. Nell'Africa settentrionale, il 10 dicembre 1941 i britannici avevano liberato Tobruk, prendendo Bengasi, in Libia, due settimane dopo. Rommel contrattaccò alla fine del gennaio 1942, facendo arretrare il nemico di 300 km, fino ad Al-Ghazalah e Bir Hacheim: a Tobruk e al confine con l'Egitto si creò una situazione di stallo.

Europa

A questo punto il grande interrogativo era se l'Unione Sovietica sarebbe stata in grado di sopportare una seconda offensiva tedesca; i russi premevano sugli Stati Uniti e sulla Gran Bretagna affinché si adoperassero per alleggerire la pressione sul territorio sovietico, aprendo il cosiddetto 'secondo fronte' in Occidente. Il generale George Marshall, capo di Stato Maggiore dell'esercito americano, era convinto che il modo migliore per aiutare i russi e finire la guerra sarebbe stato allestire una concentrazione di forze in Inghilterra, e sferrare l'attacco attraverso la Manica. Le operazioni avrebbero dovuto iniziare nella primavera del 1943, o prima ancora, se l'Unione Sovietica fosse stata sull'orlo del collasso. Gli inglesi però non volevano aprire altri fronti prima di aver vinto in Africa settentrionale, e non credevano alla possibilità di raccogliere in Inghilterra un esercito abbastanza forte per attraversare la Manica entro il 1943.

Fu Rommel a risolvere questa controversia. Nel mese di giugno entrò a Tobruk, sfondò in Egitto e raggiunse El-Alamein. A questo punto gli americani convennero che era necessario rimandare l'attacco attraverso la Manica e si prepararono per l'invasione dell'Africa Settentrionale Francese.

Il Pacifico

Nel frattempo, pur nel quadro della strategia che vedeva la sconfitta della Germania come primo obiettivo, gli americani si stavano orientando verso l'azione diretta contro il Giappone. Nel maggio 1942 la battaglia del mar dei Coralli e la battaglia delle Midway nel giugno 1942 avevano fermato i giapponesi nel Pacifico centrale, ma l'avanzata nipponica proseguì nel Pacifico sudoccidentale attraverso le isole Salomone, e via terra verso la Nuova Guinea. Il 2 luglio 1942 gli americani scatenarono la controffensiva nel Pacifico sudoccidentale.

L'offensiva anglo-americana in Nord Africa

Tra la primavera e l'estate del 1942 la situazione nell'Africa settentrionale volgeva a favore dell'Asse. Così, il 31 agosto, Rommel e l'Afrikakorps sferrarono un attacco lungo il fianco sud del fronte britannico, presso Alam Halfa, a sud-est di El-Alamein, ma furono respinti il 7 settembre (vedi Battaglia di El-Alamein). La controffensiva alleata, guidata dal generale britannico Montgomery, fu lanciata il 23 ottobre; l'8 novembre, dopo durissimi scontri, Rommel diede l'ordine di ritirata alle truppe. Dopo alcuni mesi di resistenza, respinte dalle forze inglesi e francesi fino in Tunisia, le divisioni italo-tedesche si arrendono il 13 maggio.

Il fronte russo: estate 1942

Alle vittorie invernali sovietiche era succeduta una serie di sconfitte nella primavera del 1942, costate all'URSS più di mezzo milione di prigionieri. Anche i tedeschi avevano commesso un grande errore, fermando la produzione della maggior parte degli armamenti e delle munizioni destinati all'esercito per potenziare la produzione industriale per l'aeronautica e la marina militare, nello sforzo di scongere finalmente la Gran Bretagna. Hitler aveva comunque sufficienti truppe ed armamenti per costringere l'Unione Sovietica a sacrificare il grosso delle sue truppe nel tentativo di difendere i bacini minerari del Donbass e i giacimenti petroliferi del Caucaso.

La camna tedesca verso il Caucaso

Le offensive cominciarono a est di Kharkiv il 28 giugno e in meno di quattro settimane i tedeschi furono a est del fiume Don. Le distanze percorse erano grandissime, ma Stalin e i suoi generali, convinti che i tedeschi avrebbero puntato per la seconda volta su Mosca, avevano trattenuto le riserve e ordinato all'esercito del sud di ritirarsi.

Hitler, incoraggiato dalla facilità dell'avanzata, cambiò i piani. All'inizio si era prefisso di avanzare verso Stalingrado (Volgograd), fino al fiume Volga per inviare le truppe verso sud, nel Caucaso, solo in un secondo momento; il 23 luglio ordinò invece a parte dell'armata di continuare l'avanzata verso Stalingrado, e ad altri effettivi, un terzo dell'intera forza, di raggiungere il basso Don e prendere i giacimenti petroliferi di Majkop, Grozny e Baku.

L'assedio di Stalingrado

L'Unione Sovietica toccò il suo momento peggiore alla fine del luglio 1942. Il 28 luglio Stalin pronunciò il suo famoso 'Neanche un passo indietro!' e chiese alle truppe di combattere una guerra 'patriottica' per la Russia. wukov, che aveva organizzato la controffensiva di Mosca nel dicembre 1941, e il capo del comando supremo, Aleksandr Vasilyevsky, proposero di indebolire il nemico obbligandolo a un sanguinoso combattimento in città mentre loro raccoglievano le forze per sferrare il contrattacco. La battaglia di Stalingrado era cominciata.

Il 19 novembre, in una mattina di nebbia e neve, l'avanguardia corazzata sovietica entrò in contatto con i rumeni a ovest e a sud di Stalingrado. Hitler ordinò al comandante della VI Armata, generale Friedrich von Paulus, di resistere, promettendogli imminente aiuto aereo. Il tentativo di fornire rifornimenti fallì, e la VI Armata, che, condannata alla distruzione, voleva tentare di rompere l'accerchiamento, ne fu impedita da un ordine di Hitler. Von Paulus si arrese il 31 gennaio 1943. La battaglia di Stalingrado costò 200.000 uomini ai tedeschi, costretti a ritirarsi dal Caucaso e a retrocedere fino quasi al punto da dove era partita l'offensiva dell'estate 1942.

Guadalcanal

Nell'estate del 1942, Stalingrado e il Caucaso erano apparentemente sul punto di cadere nelle mani di Hitler, e Rommel non era lontano dal canale di Suez. I giapponesi avevano occupato Guadalcanal, nell'estremo sud delle isole Salomone, e puntavano su Port Moresby.

Gli americani sbarcarono a Guadalcanal il 7 agosto 1942. La reazione del Giappone fu pronta e violenta. Le perdite in navi e aerei furono pesanti per entrambe le parti, ma i giapponesi ne uscirono sconfitti, dopo più di quattro mesi di scontri.

La conferenza di Casablanca

Dal 14 al 24 gennaio 1943 Roosevelt, Churchill e i loro consiglieri s'incontrarono a Casablanca per preparare la strategia da adottare dopo la camna in Nord Africa. Gli americani desideravano procedere con l'attacco ai tedeschi attraverso la Manica. Gli inglesi sostenevano i vantaggi di raccogliere, come disse Churchill, i 'grandi premi' che si sarebbero riscossi nel Mediterraneo, in Italia.

Offensive aeree in Germania

Come preludio del rinviato attacco attraverso la Manica, gli anglo-americani decisero di scatenare un'offensiva aerea contro la Germania. I britannici lanciarono quattro bombardamenti incendiari su Amburgo, alla fine del luglio 1943. Nell'ottobre 1943, gli americani attaccarono gli stabilimenti di cuscinetti a sfere di Schweinfurt, perdendo però il 25% degli aerei; i bombardamenti diurni furono sospesi, in attesa che fossero disponibili i cacciabombardieri a lungo raggio.

La battaglia di Kursk

Hitler, pur sapendo di non essere in grado di affrontare un'altra offensiva, il 5 luglio dette il via alla battaglia di Kursk, attaccando dal nord e dal sud il fronte, in prossimità di Kursk. Nel più grande scontro tra forze corazzate della guerra, i sovietici seppero resistere. Hitler sospese le operazioni, perché gli anglo-americani erano appena sbarcati in Sicilia. Dopo Kursk, l'iniziativa strategica nell'Europa orientale passò definitivamente all'armata sovietica.

La camna d'Italia

Il 10 luglio 1943, tre divisioni americane, una canadese e tre inglesi sbarcarono in Sicilia battendo quattro divisioni italiane e due tedesche e superando, il 17 agosto, l'ultima resistenza dell'Asse. Mussolini era stato rovesciato il 25 luglio, il nuovo governo italiano, presieduto da Badoglio, aveva avviato i negoziati firmando il 3 settembre un armistizio segreto, reso pubblico l'8 settembre. I tedeschi occuparono militarmente l'Italia centrosettentrionale, mentre il governo italiano fuggiva nel Meridione, riparando presso gli Alleati e abbandonando a se stesso l'esercito, privo di ordini chiari. Mussolini fu liberato dai tedeschi e trasferito al nord, dove nacque la Repubblica di Salò.

Il 3 settembre, truppe dell'VIII Armata guidate da Montgomery attraversavano lo stretto di Messina. Il 9 settembre la V Armata americana, al comando del generale Clark, sbarcava nei pressi di Salerno; il 12 ottobre gli anglo-americani avevano già stabilito una solida linea attraverso la penisola dal fiume Volturno, a nord di Napoli, fino a Termoli, sulla costa adriatica. Per la fine dell'anno la resistenza tedesca aveva fermato gli Alleati a circa 100 km a sud di Roma. Lo sbarco ad Anzio, il 22 gennaio del 1944, non riuscì a fare progredire l'esercito alleato perché i tedeschi si erano attestati lungo il fiume Liri e a Cassino.

Strategia alleata contro il Giappone e progressi nel Pacifico

La strategia della guerra contro il Giappone fu sviluppata per stadi nel corso del 1943. All'inizio, l'obiettivo era di stabilire basi sulla costa cinese (da dove il Giappone avrebbe potuto essere bombardato e successivamente invaso), con azioni inglesi e cinesi dalla Birmania e dalla Cina orientale, e incursioni americane sulle isole del Pacifico centrale e sudoccidentale, fino a Formosa (oggi Taiwan) e alla Cina. A metà anno fu chiaro che né gli obiettivi britannici né quelli cinesi sarebbero stati raggiunti, e quindi ci si concentrò sugli obiettivi americani.

Le principali operazioni ebbero come teatro il Pacifico sudoccidentale, dove le truppe americane e quelle dell'Anzac, al comando dell'ammiraglio William Halsey, avanzarono lungo le isole Salomone. Gli australiani e gli americani, al comando di MacArthur, costrinsero i giapponesi a ritirarsi lungo la costa orientale della Nuova Guinea. L'obiettivo di MacArthur e Halsey, fissato nel 1942, era la conquista di Rabaul. Gli sbarchi al Capo Gloucester e in Nuova Britannia a dicembre 1943, nelle isole dell'Ammiragliato a febbraio del 1944, e nell'isola Emira a marzo dello stesso anno chiusero in una morsa Rabaul. La guarnigione giapponese di 100.000 uomini non poteva più essere evacuata.

Il primo sbarco nel Pacifico centrale avvenne nelle isole Gilbert, a Makin e Tarawa, nel novembre 1943.

Quarta fase: la vittoria alleata

Nella prima settimana dell'agosto 1943, le linee tedesche a nord e a ovest di Kharkiv furono investite dalla controffensiva sovietica. Il 15 settembre Hitler permise al Gruppo Sud di ritirarsi verso il Dnepr per evitare la sconfitta. Le armate sovietiche, al comando di wukov e Vasilyevsky, allargarono le teste di ponte, isolando l'armata tedesca in Crimea nel mese di ottobre, conquistando Kiev il 6 novembre e rimanendo all'offensiva per tutto l'inverno.

La conferenza di Teheran

Alla fine di novembre si incontrarono per la prima volta Roosevelt, Churchill e Stalin. Il presidente americano e il primo ministro inglese avevano già approvato il piano d'attacco attraverso la Manica, chiamato in codice Overlord, e Roosevelt era del parere che si dovesse partire col piano appena le condizioni meteorologiche fossero state favorevoli, nel 1944. Nella conferenza di Teheran, al contrario, Churchill si disse favorevole a dare la precedenza allo sviluppo delle offensive in Italia, nei Balcani e nel sud della Francia. Stalin si dichiarò d'accordo con Roosevelt e quindi Overlord fu programmato per il maggio 1944. Dopo l'incontro, Eisenhower fu richiamato dal Mediterraneo ed ebbe il comando supremo delle forze alleate, con il compito di organizzare e guidare Overlord.

La conferenza di Teheran segnò il punto culminante dell'alleanza interalleata. Contemporaneamente, però, si sviluppavano tensioni nella comine alleata, via via che le armate sovietiche cominciavano ad avvicinarsi ai confini dei piccoli stati dell'Europa orientale. Stalin aveva troncato ogni relazione col governo polacco in esilio a Londra, e a Teheran sostenne fermamente che la frontiera sovietico-polacca del dopoguerra doveva essere quella stabilita dopo la sconfitta polacca del 1939. Inoltre reagì con malcelata ostilità alla proposta di Churchill di un attacco anglo-americano nei Balcani.

I preparativi tedeschi per Overlord e lo sbarco in Normandia

Hitler aspettava l'invasione dell'Europa nordoccidentale per la primavera del 1944 ed era convinto che se fosse riuscito a respingere americani e britannici, avrebbe avuto in pugno le sorti della guerra. Successivamente avrebbe inviato tutte le sue truppe a combattere i sovietici. Pertanto destinò rinforzi al solo fronte occidentale.

Nel gennaio 1944, un'offensiva sovietica tolse l'assedio a Leningrado e fece retrocedere il Gruppo Nord fino alla linea tra il fiume Narva e il lago Peipus. Nuove offensive del marzo e dell'aprile ricacciarono i tedeschi nell'ampia distesa tra le paludi del Pripjat e il mar Nero, cioè fuori dal territorio sovietico.

Il 6 giugno 1944, D-Day, giorno dell'invasione secondo il piano Overlord, la prima armata statunitense al comando del generale Omar Bradley e la seconda armata britannica al comando del generale Miles Dempsey riuscirono a stabilire teste di ponte in Normandia. Cominciò così lo sbarco in Normandia.

La riconquista sovietica della Bielorussia

Sul fronte orientale tedesco non vi furono operazioni durante le prime tre settimane del giugno 1944; Hitler si aspettava un'offensiva sul lato meridionale del fronte, dove i sovietici, dopo la battaglia di Stalingrado, avevano concentrato le forze. La Bielorussia era controllata dal Gruppo Centro, che non si aspettava certo un attacco da quel lato. Tuttavia, il 22 e il 23 giugno 1944 quattro contingenti sovietici (due guidati da wukov e due da Vasiljevskij) sferrarono l'attacco al Gruppo Centro, scongendolo. Minsk, la capitale della Bielorussia, fu presa dai sovietici il 3 luglio; l'8 luglio, la IV Armata tedesca dovette abbandonare i combattimenti, consentendo all'Armata Rossa di dirigersi verso la Prussia orientale e la Polonia.

Il complotto contro Hitler

Nel mese di luglio un gruppo di ufficiali organizzò un attentato per uccidere Hitler (complotto di luglio): il 20 luglio, l'esplosione di una bomba piazzata nel quartier generale di Rastenburg, nella Prussia orientale, uccise alcuni ufficiali ma Hitler ne uscì indenne. Gli ufficiali sospettati di aver preso parte al complotto furono brutalmente soppressi.

La liberazione della Francia

Intanto, le truppe corazzate sbarcate in Normandia, guidate dal generale Patton, avevano occupato la Bretagna e si erano spinte all'interno della Francia, conquistando Le Mans, Chartres e Orléans. Il 25 agosto le forze americane, insieme alle forze della Resistenza francese, guidate dal generale Charles de Gaulle, liberarono Parigi. Entro settembre quasi tutto il territorio francese era stato liberato.

Pausa nell'offensiva occidentale

Sul fronte occidentale, Bradley e Montgomery guidarono l'offensiva che, a nord della Senna, si dirigeva verso il Belgio, mentre gli americani avanzarono in direzione del confine franco-tedesco. Le truppe di Montgomery conquistarono Anversa il 3 settembre 1944 e l'11 settembre le prime guarnigioni americane varcarono il confine tedesco. L'offensiva subì a questo punto una fase d'arresto: Montgomery aveva raggiunto le barriere fluviali della Mosa e del Basso Reno mentre gli americani erano bloccati sulla linea Maginot. Il tentativo di sfondamento operato da Montgomery nella battaglia di Arnhem fu un completo fallimento.

L'insurrezione di Varsavia

Il 20 luglio avanguardie sovietiche raggiunsero le coste del Baltico, nei pressi di Riga, tagliando le vie di comunicazione terrestri del Gruppo Centro con il fronte tedesco. Il 31 luglio, il comandante dell'armata partigiana polacca, generale Tadeusz Komorowski, detto 'generale Bor', organizzò l'insurrezione di Varsavia. Gli insorti, fedeli al governo anticomunista in esilio a Londra, crearono per diversi giorni gravi disagi ai tedeschi.

La sconfitta delle potenze dell'Asse

Un'offensiva sovietica effettuata tra i Carpazi e il mar Nero a fine agosto ebbe come risultato l'armistizio chiesto tre giorni dopo dalla Romania. La Bulgaria, che non aveva mai dichiarato guerra all'Unione Sovietica, si arrese il 9 settembre. Il 19 e il 20 ottobre le truppe sovietiche presero Belgrado e vi insediarono un governo comunista sotto la guida di Tito. In Ungheria i sovietici arrivarono alle porte di Budapest alla fine di novembre.

L'avanzata degli Alleati in Italia

In Italia, tra la primavera e l'estate del 1944, le armate di Clark, che comprendevano truppe americane, britanniche, francesi e polacche, presero Cassino il 18 maggio. Cinque giorni dopo, la rottura dell'accerchiamento della testa di sbarco ad Anzio costrinse i tedeschi ad abbandonare la linea Gustav; gli Alleati entrarono a Roma, dichiarata città aperta dal 4 giugno. L'avanzata continuò verso nord senza problemi, ma rischiò di perdere impeto perché le divisioni americane e francesi si sarebbero presto dovute dedicare all'invasione della Francia meridionale. Dopo aver conquistato Ancona e Firenze, la seconda settimana di agosto, gli Alleati si arrestarono sulla linea Gotica, che bloccò sino a tutto l'inverno l'accesso alla valle del Po, mentre nel nord del paese, occupato dai nazisti, si sviluppava la Resistenza partigiana.

La battaglia del mar delle Filippine

Le operazioni contro il Giappone, nel Pacifico, nel 1944 subirono un'accelerazione: in primavera gli Alleati avevano pianificato un'avanzata al comando del generale MacArthur attraverso la Nuova Guinea, sino alle Filippine. Una seconda operazione sarebbe stata guidata dall'ammiraglio Nimitz attraverso il Pacifico centrale, fino alle isole Marianne e Caroline.

Il 19 e il 20 giugno la prima flotta mobile dell'ammiraglio Ozawa Jisaburo incrociò l'Unità operativa statunitense 58 comandata dall'ammiraglio Mitscher. Nella battaglia, che passò alla storia come 'battaglia del mar delle Filippine', i caccia americani abbatterono gran parte degli aerei giapponesi mentre i sottomarini americani affondarono tre portaerei. Ozawa virò verso Okinawa con 35 aerei rimasti su 326. Mitscher perse soltanto ventisei apparecchi e tre navi riportarono danni non gravi.

Nuova strategia nel Pacifico

Il 15 giugno le forze americane sbarcarono a Saipan; il 10 agosto avevano conquistato Guam, obiettivo chiave della strategia ideata per porre fine al conflitto. L'isola poteva ospitare le basi per i nuovi bombardieri americani a lungo raggio, i B-29 Superfortress, in grado di raggiungere Tokyo e le città giapponesi. La superiorità navale americana nel Pacifico consentiva di pensare all'invasione del Giappone: i bombardamenti cominciarono nel novembre 1944, mentre proseguivano le operazioni nelle Caroline e nelle Filippine.

La battaglia aerea in Europa e l'offensiva delle Ardenne

La più importante azione aerea contro la Germania ebbe luogo nell'autunno 1944: i bombardamenti inglesi e americani colpirono sia obiettivi militari sia le città tedesche. Hitler reagì lanciando contro Londra i missili V1 e V2. Ma, nel mese di ottobre, le migliori basi di lancio, situate nel nord-ovest della Francia e in Belgio, furono conquistate dagli Alleati.

L'accorciamento dei fronti a est e a ovest e la pausa dei combattimenti di terra avevano dato a Hitler la possibilità di creare una riserva di circa venticinque divisioni che decise di utilizzare contro gli anglo-americani, dalle Ardenne, attraverso il Belgio fino ad Anversa.

Il 16 dicembre aveva inizio la battaglia delle Ardenne. Gli Alleati, colti di sorpresa, riuscirono tuttavia a mantenere centri strategici come Saint-Vith e Bastogne fino all'intervento dell'aviazione. L'ultimo tentativo tedesco di riconquistare Anversa venne respinto solo alla fine di gennaio. Alla fine di febbraio l'avanzata alleata verso la Germania riprendeva.

La conferenza di Jalta

Dal 4 all'11 febbraio 1945 ebbe luogo la conferenza di Jalta, in Crimea, tra i capi di stato di Stati Uniti (Roosevelt), Gran Bretagna (Churchill) e Unione Sovietica (Stalin). In questa occasione Stalin si impegnò a entrare in guerra contro il Giappone entro tre mesi dalla modulazione tedesca, in cambio di concessioni territoriali nell'Estremo Oriente.

Nel corso della conferenza si stabilì inoltre la strategia da seguire contro la Germania e l'organizzazione del paese alla fine del conflitto.

L'avanzata sul Reno

All'inizio di marzo le armate alleate raggiunsero il Reno e occuparono teste di ponte tra Bonn e Coblenza e a sud di Magonza: alla fine di marzo l'intero schieramento tedesco sul fiume crollò; Einsenhower ordinò alle truppe di proseguire verso est.

Il 1° aprile gli americani accerchiarono il bacino della Ruhr, facendo prigionieri 325.000 soldati tedeschi. Il 5 aprile gli inglesi varcarono il Weser, puntando verso l'Elba. L'11 aprile gli alleati raggiunsero l'Elba vicino a Magdeburgo, e il giorno dopo si formò una testa di ponte sulla riva orientale, a 120 km da Berlino.

Mentre gli inglesi (soprattutto Churchill e Montgomery) e alcuni americani consideravano Berlino l'obiettivo più importante, per Eisenhower era essenziale che le truppe anglo-americane potessero congiungersi con quelle russe più a sud, tra Lipsia e Dresda. L'Armata Rossa, che si era attestata ai primi di febbraio sull'Oder, all'inizio di aprile cominciò a concentrarsi su Berlino, che divenne quindi l'obiettivo prioritario.

Le ultime battaglie in Europa e la resa della Germania

In Italia, il 14 e il 16 aprile 1945 la V Armata americana e l'VIII Armata britannica lanciarono l'offensiva verso la pianura padana: le truppe tedesche si arresero il 2 maggio. Il 16 aprile cominciò l'avanzata sovietica verso Berlino. Il 20 aprile la VII Armata americana conquistò Norimberga. Quattro giorni dopo le armate sovietiche circondarono la città. Il 25 aprile la V Armata sovietica e la I Armata americana s'incontrarono a Torgau, sull'Elba, a nord-est di Lipsia. L'ultima settimana di aprile la resistenza contro gli anglo-americani cessò, ma sul fronte orientale le truppe tedesche continuarono a battersi disperatamente contro i sovietici.

Hitler decise di restare a Berlino, mentre la maggior parte dei suoi collaboratori politici e militari fuggirono. Il 30 aprile, chiuso nel suo bunker, Hitler si suicidò insieme con Eva Braun e, come ultimo atto ufficiale, nominò suo successore l'ammiraglio Karl Dönitz, che chiese la resa. Il suo rappresentante, generale Alfred Jodl, firmò la modulazione delle forze armate tedesche nel quartier generale di Eisenhower il 7 maggio a Reims; un secondo documento fu firmato a Berlino, nel quartier generale sovietico, il giorno seguente.

La sconfitta del Giappone

All'inizio del 1945, nel Pacifico, la fine della guerra non sembrava vicina: la marina nipponica non era in grado di sferrare attacchi massicci ma i kamikaze effettuarono azioni suicide durante i combattimenti di Luzon, nelle Filippine, distruggendo 17 navi statunitensi e danneggiandone 50.

Iwo Jima e Okinawa

Il 19 febbraio si scatenò la battaglia di Iwo Jima che si protrasse sino al 16 marzo: i due aeroporti dell'isola fornirono le basi di lancio per i B-29 e permisero ai caccia di appoggiare i bombardieri durante le offensive effettuate sulle città giapponesi. Il 1° aprile la X Armata americana sbarcò a Okinawa, a 500 km da Kyushu, l'isola più meridionale del Giappone.

Hiroshima e Nagasaki

Kyushu costituiva l'obiettivo principale; l'attacco fu fissato per il novembre 1945, anche se una facile vittoria sembrava improbabile. Lo sbarco a Kyushu non avvenne mai; il governo americano adottò una nuova strategia che si basava sull'uso delle armi nucleari. La prima esplosione atomica, per così dire 'di prova', ebbe luogo ad Alamogordo, nel New Mexico, il 16 luglio 1945.

Altre due bombe erano state costruite e si decise di usarle per costringere il Giappone alla resa. Il presidente americano Truman, succeduto a Roosevelt, ordinò i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, effettuati il 6 e il 9 agosto. Intanto, l'8 agosto, l'Unione Sovietica aveva dichiarato guerra al Giappone; il giorno dopo invase la Manciuria.

La resa del Giappone

Il 14 agosto l'imperatore Hirohito fece trasmettere via radio un comunicato che annunciava la resa incondizionata del Giappone. Il 2 settembre, a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokyo, i rappresentanti del governo nipponico firmarono davanti al generale MacArthur il documento di modulazione.

Effetti della guerra

Secondo le statistiche, la seconda guerra mondiale fu la guerra più devastante in quanto a perdite umane e distruzione materiale. Il conflitto, che coinvolse 61 nazioni, provocò la morte di circa 55 milioni di persone, tra militari e civili: l'Unione Sovietica ebbe circa 20 milioni di morti; la Cina 13,5 milioni; la Germania 7,3 milioni; la Polonia 5,5 milioni; il Giappone 2 milioni; la Iugolsavia 1,6 milioni; la Romania 665.000; la Francia 610.000; l'impero britannico 510.000; l'Italia 410.000; l'Ungheria 400.000; la Cecoslovacchia 340.000; gli Stati Uniti 300.000. Gli sviluppi tecnologici e scientifici fecero della guerra un conflitto di una ferocia senza paragoni; la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti e nelle rappresaglie e fu colpita soprattutto a causa dei bombardamenti aerei. L'evento più grave fu tuttavia la deportazione e lo sterminio di oltre cinque milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, la cosiddetta 'soluzione finale' del 'problema' ebraico (vedi Olocausto).

Alla fine della guerra, la situazione mondiale era mutata radicalmente: l'Europa usciva dal conflitto in posizione di dipendenza rispetto alle due potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, attorno alle quali nacque un nuovo equilibrio politico mondiale. L'alleanza tra USA e URSS si trasformò nei decenni seguenti in rivalità tra le due potenze, rivalità che si manifestò nella cosiddetta Guerra Fredda.

L'immigrazione come causa del razzismo

Il razzismo può essere anche conseguenza di fenomeni migratori. Dovuti in genere a ragioni economiche e in particolare alla mancanza di opportunità di lavoro nelle regioni di provenienza, i fenomeni migratori quando avvengono verso zone caratterizzate da situazioni di scarsità di risorse e di insicurezza economica sono spesso percepiti come una minaccia al benessere delle popolazioni locali che fa sorgere un sentimento di generale intolleranza e diffidenza nei confronti dei nuovi arrivati: il termine usato per descrivere questo atteggiamento è xenofobia (dal greco "paura dello straniero"). Anche se possono condividere alcune caratteristiche, xenofobia e razzismo sono tuttavia fenomeni diversi: mentre la prima consiste in un atteggiamento ostile nei confronti dello straniero percepito come una minaccia, il razzismo concepisce l'immigrato come appartenente a una razza inferiore.

L'esperienza italiana

La storia dell'esteso fenomeno migratorio che ha interessato l'Italia fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo ne è una testimonianza. Ai numerosi italiani che nei primi del Novecento andarono a lavorare negli Stati Uniti d'America e nell'America latina toccò infatti una forma di discriminazione su base razziale che sfiorò il razzismo; analoga situazione si verificò nel dopoguerra, quando gli italiani emigrarono in nazioni europee come Svizzera, Francia, Belgio e Germania. A cavallo fra xenofobia e razzismo è invece stato l'atteggiamento manifestato nei confronti dell'imponente immigrazione interna che fra gli anni Cinquanta e Sessanta ha interessato l'Italia (il flusso si svolse dal Meridione d'Italia verso il Nord Italia). A sfondo razzista sono infine le manifestazioni di intolleranza nei confronti del fenomeno migratorio che in tempi più recenti, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, ha portato in Italia molti stranieri appartenenti a gruppi etnici dell'Africa settentrionale e centrale, dell'America latina, delle Filippine e anche dei paesi dell'Est europeo.

Gli immigrati

La battaglia contro il razzismo

Nella battaglia contro il razzismo un ruolo fondamentale è stato attribuito all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), fondata a San Francisco nel 1945 proprio per "salvaguardare le generazioni future dalla sciagura della guerra e dal razzismo".

Nel 1959 ebbe quindi inizio in tutto il mondo un ampio processo di decolonizzazione che portò alla progressiva conquista dell'indipendenza da parte dei paesi asiatici e africani un tempo possedimenti coloniali: il numero degli stati africani indipendenti, ad esempio, passò da sei nel 1959 a 32 nel decennio successivo (vedi Colonialismo). Fra le iniziative intraprese dai nuovi stati vi furono misure apertamente contrarie a ogni sistema di discriminazione razziale e misure invece di inasprimento di forme discriminatorie già presenti come l'apartheid: ciò avvenne ad esempio in Sudafrica, dove la vittoria del partito nazionalista rese a partire dal 1948 il regime ancora più rigido. Nel 1965 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite votò allora una Convenzione internazionale che definì discriminazione razziale "ogni differenza, esclusione e restrizione basata sulla razza, il colore della pelle, la discendenza e le origini nazionali o etniche che avesse lo scopo o l'effetto di annullare o rendere impari il riconoscimento, il godimento o l'esercizio su uno stesso piano dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella sfera politica, economica, sociale, culturale o in ogni altra sfera della vita pubblica" e che ne bandì ogni sua forma. A oggi tale convenzione è stata ratificata da oltre il 75% degli stati del mondo.

Il razzismo negli anni Sessanta

Alla fine degli anni Sessanta il termine "razzismo" acquisì un nuovo significato: usato in precedenza per indicare una particolare dottrina, dopo l'approvazione della Convenzione internazionale del 1965 il razzismo venne infatti definito come un crimine. Coloro che negli Stati Uniti presero parte al movimento per i diritti civili diedero un significato ancor più esteso alla parola "razzismo", affermando che esso era connaturato alla società dei bianchi e che costituiva una vera e propria malattia sociale; da quel momento definire razzista un individuo o un comportamento implicò una forte condanna morale. Il dibattito sul razzismo sorto in quegli anni negli Stati Uniti permise inoltre di svelare e denunciare le ingiustizie che i neri americani avevano a lungo sofferto a causa dei bianchi.

King, Martin Luther (Atlanta, Georgia 1929 - Memphis, Tennessee 1968)

Ecclesiastico battista e uomo politico statunitense, uno dei più importanti leader del movimento americano per i diritti civili e principale sostenitore della resistenza non violenta alla segregazione razziale. Ordinato pastore nel 1947, durante gli studi si imbattè nelle opere di Gandhi, le cui idee divennero il nucleo della sua filosofia di protesta non violenta. Nel 1954 accettò la nomina di pastore di una chiesa battista a Montgomery (Alabama). In quello stesso anno, la Corte suprema degli Stati Uniti decretò illegittima la segregazione razziale nelle scuole statali e, in attesa di quella decisione, la segregazione venne sfidata in tutti i luoghi pubblici degli stati del Sud.

Nel 1955 King fu a capo del boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery: lo scopo era quello di protestare per l'arresto di Rosa Parks, una donna di colore che si era rifiutata di cedere il proprio posto a un passeggero bianco. Nel corso della protesta, durata 381 giorni, King fu arrestato e imprigionato, e fu minacciato di morte più volte. Il boicottaggio terminò nel 1956 con la sentenza della Corte suprema che dichiarava illegale la segregazione razziale sui trasporti pubblici della città. Il boicottaggio di Montgomery rappresentò la vittoria del movimento di protesta non violenta e il prestigio di Luther King aumentò notevolmente.

Recatosi in India nel 1959, egli comprese più chiaramente la satyagraha, il principio della persuasione non violenta sostenuto da Gandhi, che King era deciso a utilizzare quale principale strumento di protesta sociale. L'anno seguente rinunciò al suo incarico a Montgomery per diventare pastore della chiesa battista di Ebenezer, ad Atlanta, mossa che gli permise di dedicarsi più attivamente alla direzione del nascente movimento per i diritti civili. In quello stesso periodo la leadership nera, che in precedenza si era limitata a promuovere cause e a proporre la riconciliazione, stava subendo una profonda trasformazione e chiedeva il cambiamento 'con ogni mezzo possibile'. Emersero nuovi leader e gruppi più radicali, come i Black Muslims di Malcolm X e il Black Power (Vedi Black Panthers), portatori di differenti ideologie e metodi di lotta contro il razzismo. Tuttavia il prestigio di King garantiva che la non violenza, per quanto non universalmente accettata, restasse il metodo ufficiale di resistenza.

Nel 1963 Luther King condusse un'intensa camna per i diritti civili a Birmingham, in Alabama, e altre in tutto il Sud per chiedere l'iscrizione dei neri nelle liste elettorali, l'abolizione della segregazione razziale, il miglioramento della qualità dell'istruzione e degli alloggi. Durante queste camne non violente, il leader fu arrestato più volte. Il 28 agosto 1963 guidò la storica marcia su Washington e pronunciò il famoso discorso 'I have a dream' (Ho un sogno). Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la pace. Il 4 aprile del 1968 venne assassinato a Memphis, nel Tennessee.[1]

Il quoziente di intelligenza come causa di razzismo

Negli anni Sessanta la diffusione della pratica dei test d'intelligenza riaccese nel mondo scientifico la controversia circa l'ereditarietà dell'intelligenza (o meglio di quel particolare concetto di intelligenza rilevato dai test del quoziente di intelligenza, QI), dando nuovo impulso a forme di razzismo basate sulla presunta inferiorità di alcuni gruppi etnici. Provare scientificamente quanto un comportamento o una caratteristica siano un prodotto dell'ereditarietà oppure una conseguenza della socializzazione è tuttavia estrememente difficile: coloro che sostengono la prima ipotesi sono stati quindi accusati di incentivare un nuovo razzismo scientifico. Il linguista William Labov ha infatti documentato, grazie a numerose ricerche, come i test costruiscano l'intelligenza più che misurarla. In un suo articolo, Black Intelligence and Academic Ignorance (Intelligenza nera e ignoranza accademica), ha sostenuto che i test di intelligenza sono etnocentrici perché basati su un concetto ristretto di intelligenza, quello relativo alle operazioni logiche, tipico della cultura occidentale e in cui è ovvio che i bianchi siano mediamente più abili, almeno nel breve periodo; i risultati del test non avrebbero quindi niente a che fare con le differenze genetiche ma rispecchierebbero esclusivamente il modo etnocentrico in cui il test è formulato.

I conflitti nel mondo contemporaneo

A partire dagli anni Settanta l'impegno contro il razzismo è andato ricollocandosi e ridefinendosi all'interno della più ampia battaglia per i diritti umani, assumendo nella maggior parte dei paesi sviluppati una caratterizzazione generale e ideale; in altri paesi, dove in questi ultimi anni sono scoppiati nuovi conflitti, la caratterizzazione è invece stata concreta e immediata.

L'esempio più significativo di battaglia a livello generale è dato dagli Stati Uniti dove alla fine degli anni Sessanta per combattere la discriminazione che deriva dal razzismo furono attuate politiche sociali definite di "discriminazione positiva", che implicano cioè un'azione a vantaggio delle minoranze. È ormai evidente che tali politiche hanno incentivato la crescita di una classe media afro-americana e hanno favorito l'accesso a posizioni di prestigio anche a persone che altrimenti difficilmente avrebbero potuto accedervi, ma che hanno contribuito solo in parte a smorzare le forti tensioni razziali presenti in tutto il paese (ora anche nei rapporti con le minoranze ispano-americane).

L'esempio più significativo di un rinnovato e concreto razzismo è invece offerto dal panorama internazionale a partire dal 1988. Infatti, chiusasi la Guerra Fredda, durante la quale le due superpotenze (Stati Uniti d'America e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) avevano esercitato uno stretto controllo su molti paesi appartenenti alle rispettive aree di influenza, in molte regioni sono scoppiati violentissimi conflitti di tipo etnico o nazionale (come nel Caucaso e in Iugoslavia, dove la comine nazionale si è dissolta). In alcuni di questi paesi i leader politici hanno organizzato camne per la cosiddetta "purificazione etnica" che hanno avuto come diretta conseguenza l'espulsione, il massacro e lo stupro degli appartenenti ad altri gruppi etnici. Popolazioni che per decenni avevano convissuto pacificamente divennero d'un tratto nemiche.

Allo stesso tempo, in altri stati estesi movimenti politici e sociali contro il razzismo e la discriminazione hanno invece permesso l'affermazione di nuovi governi più democratici. Ad esempio nell'Africa sudorientale dove il regime illegale dei coloni bianchi della Rhodesia è cessato nel 1980 con la creazione, dopo un suffragio universale, di un nuovo stato: lo Zimbabwe. Un altro esempio è dato dalla Repubblica Sudafricana, dove una parte della minoranza bianca al governo aveva iniziato già negli anni Settanta, pur fra contraddizioni e irrigidimenti, a considerare meno favorevolmente la politica dell'apartheid. È stato tuttavia con la scarcerazione nel 1990 del leader nero Nelson Mandela che ha potuto avviarsi un processo che ha portato quattro anni dopo i neri (che costituiscono la maggioranza dei cittadini sudafricani) per la prima volta a votare ed eleggere propri rappresentanti al parlamento, dando mandato a Mandela stesso di formare un governo che includesse rappresentanti di altri gruppi etnici minoritari. La scelta sudafricana di includere nel proprio governo anche rappresentanze etniche diverse costituisce la chiave per la stabilità interna e un modello cui si stanno inspirando molti nuovi stati africani, intenzionati a mantenere relazioni positive con tutti i diversi gruppi etnici e a escludere dai propri affari interni l'ingerenza dei paesi produttori di armi.

Conflitti analoghi a quelli scoppiati in Africa erano esplosi diversi anni prima anche in Asia e in Oceania. La questione tibetana, al centro dell'attenzione internazionale da alcuni decenni, è l'esempio più eclatante: agli inizi degli anni Cinquanta il governo cinese invase e occupò il Tibet, attuando una politica tanto repressiva nei confronti della religione buddhista e della civiltà tibetana che, dopo una fallita rivolta anticinese nel 1959, il Dalai Lama (guida spirituale del Tibet) è da allora costretto a vivere in esilio in India e i tibetani a sottostare all'autorità di Pechino.

In Oceania, invece, sono recentemente sorti alcuni movimenti contro le persecuzioni nei confronti degli indigeni, che in quanto abitanti originari si rifiutano di sottostare alle leggi promulgate dai discendenti dei colonizzatori. Il riconoscimento dei diritti degli indigeni è un processo tuttora lento e a volte anche cruento: gli aborigeni che vivono nel continente australiano hanno ricevuto la piena cittadinanza e il diritto di voto soltanto nel 1968 mentre in Nuova Zelanda il tribunale Waitangi ha stabilito solo recentemente la restituzione ai maori delle terre impropriamente divise fra coloni.

In molti paesi i diritti delle popolazioni indigene sono stati riconosciuti almeno in parte. In Canada si è attribuito alle popolazioni indigene lo status di "Prime Nazioni", che ha conferito a queste che oggi sono minoranze una posizione costituzionale paritaria rispetto ai gruppi di lingua francese e inglese; negli stati dell'America latina sono state estese agli indigeni le protezioni legislative contro le discriminazioni razziali. In Messico invece, in particolare nella regione del Chiapas, le discriminazioni da parte delle popolazioni di origine snola sono ancora molto forti nei confronti degli indios. Anche nella foresta dell'Amazzonia la vita degli indios è seriamente compromessa, non tanto da un esplicito razzismo quanto dall'attività delle società multinazionali che proseguono la loro opera di deforestazione, cioè di distruzione sistematica della foresta, sottraendo agli indios l'habitat naturale; la resistenza di queste popolazioni è stata, inoltre, ripetutamente piegata con forme di violenta repressione esercitate dai governi locali.






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