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La seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale
Seconda guerra mondiale Guerra iniziata nel 1939 con
l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta
all'aggressione Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra ai tedeschi e il
conflitto si estese presto fino a interessare molti paesi e aree geografiche
del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il
coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico
interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili.
La sua conclusione nel 1945 segnò l'avvento di un nuovo ordine mondiale
incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti d'America (USA) e
l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
Origini della
seconda guerra mondiale
L'esito
della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre grandi
potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali
e le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles, l'Italia e il
Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ottenuto a seguito della vittoria
conseguita.
Francia,
Gran Bretagna e Stati Uniti avevano raggiunto i loro principali obiettivi:
Washington la riduzione del potere militare della Germania; Parigi e Londra un
ordine mondiale funzionale ai loro interessi coloniali. Ma proprio il
mantenimento del nuovo quadro risultò subito problematico, dopo che gli
Stati Uniti, per volere del presidente Wilson, avevano rifiutato di entrare
nella Società delle Nazioni per ritirarsi in un nuovo isolazionismo.
Nel corso degli
anni Venti si fecero alcuni tentativi per giungere a una pace stabile: nella
conferenza di Washington (1921-22) le principali potenze navali concordarono di
porre dei limiti ai potenziali delle rispettive marine militari; gli accordi di
Locarno (1925) stabilirono una serie di impegni a garanzia della frontiera
franco-tedesca; infine, sottoscrivendo a Parigi nel 1928 il patto
Briand-Kellogg, 63 nazioni (con l'eccezione, tra le grandi potenze, dell'Unione
Sovietica) rinunciarono alla guerra come strumento di soluzione delle
controversie internazionali.
Tuttavia,
se uno degli scopi dichiarati dai vincitori era stato di 'assicurare al
mondo la democrazia', l'inadeguatezza dei risultati ottenuti emerse
chiaramente dal fatto che negli anni Venti si assistette all'avvento e al
progressivo affermarsi di forme di totalitarismo nazionalista-militaristico,
giudicate più efficaci della democrazia nell'operare il contenimento del
comunismo, da più parti visto come l'obiettivo politico prioritario.
Quanto al
Giappone, pur non esistendovi formalmente un regime fascista, il ruolo svolto
dalle forze armate nel governo civile del paese era preponderante e si ispirava
alla volontà di rimettere in discussione gli equilibri internazionali
sin lì definiti.
Nel marzo del 1936, dopo aver annunciato il riarmo nazionale in
violazione del trattato di pace di Versailles, Hitler occupò
militarmente la Renania (il cui status di zona smilitarizzata era stato
definito sia a Versailles sia dagli accordi di Locarno), ricevendone solo una
flebile protesta da parte di Londra e Parigi. Seguì un altro passaggio
preparatorio all'applicazione del programma espansionistico, segnato
dall'intervento nella guerra civile snola (1936-l939) al fianco dei ribelli
franchisti e in collaborazione col futuro alleato Mussolini, fondatore in
quegli anni dell'impero coloniale italiano in Etiopia (vedi guerra d'Etiopia).
Tra il 1936 e il 1937, una serie di accordi tra Germania, Italia e Giappone
formalizzò lo stabilirsi di un Asse Roma-Berlino-Tokyo che univa in
alleanza i tre regimi 'forti' della scena internazionale (vedi
Potenze dell'Asse).
L'espansionismo nazista in Europa
L'annessione dell'Austria nella primavera del 1938 (vedi Anschluss) fu il
primo passo verso la realizzazione del progetto hitleriano di ricostituzione
della Grande Germania. Mussolini appoggiò l'alleato, mentre britannici e
francesi ancora una volta mancarono di intervenire con decisione, liquidando la
vicenda come una questione interna tedesca.
Nel settembre successivo fu la volta delle rivendicazioni naziste sulla
regione dei Sudeti, al confine occidentale della Cecoslovacchia, abitata da una
popolazione a maggioranza tedesca. Il primo ministro inglese Neville
Chamberlain, sostenuto anche dal governo francese, nel corso della conferenza
di Monaco convinse le autorità ceche a cedere, in cambio dell'impegno da
parte di Hitler a non avanzare ulteriori rivendicazioni territoriali (politica
di appeasement). In realtà nel marzo 1939 Hitler occupò tutta la
Cecoslovacchia, spingendo Londra a siglare un accordo di garanzia con la
Polonia, successivo obiettivo dichiarato dell'espansionismo nazista.
Uno sviluppo inatteso si ebbe il 23 agosto 1939 con la firma a Mosca di
un trattato di non aggressione tra Germania e URSS (accordo Molotov-Ribbentrop),
che peraltro in un protocollo segreto concordavano di spartirsi l'Europa
centrorientale, attribuendo all'Unione Sovietica Finlandia, Estonia, Lettonia,
Polonia orientale e Romania.
Il 1° settembre 1939 i tedeschi invasero la Polonia. Due giorni dopo Francia
e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania; trincerati dietro la linea
Maginot, i francesi non erano in realtà nella condizione di attaccare
l'opposta linea Sigfrido tedesca, che pure non era coperta a sufficienza dalle
truppe, impegnate sul fronte polacco. Il primo regime fascista fu creato da
Benito Mussolini in Italia, già nel 1922. Adolf Hitler, Führer (capo)
del Partito nazionalsocialista tedesco, dieci anni dopo fondò il suo
progetto di Grande Reich oltre che sul richiamo a teorie basate sull'antisemitismo
e sul razzismo, esaltatrici della presunta superiorità della razza
ariana, sulla prospettiva politica di abolire l''ordine di
Versailles' e assicurare lo spazio vitale al regime totalitario che
avrebbe dovuto raccogliere tutti i tedeschi. La Grande Depressione, inoltre,
affliggeva in maniera particolarmente grave la Germania, quando Hitler, dopo
aver vinto le elezioni ed essere stato nominato Cancelliere, in breve assunse
pieni poteri.
Adolf Hitler
e Benito Mussolini
Hitler, Adolf (Braunau am Inn, Austria 1889 - Berlino
1945)
Uomo politico e capo di governo tedesco; uno fra i più potenti
dittatori del XX secolo, militarizzò completamente la Germania e
scatenò la seconda guerra mondiale. Dopo aver fatto dell'antisemitismo
l'elemento centrale della sua proanda politica, trasformò il Partito
nazista (vedi Nazionalsocialismo) in un movimento di massa. Ordinò
l'eccidio di milioni di ebrei e di altre popolazioni che considerava inferiori.
lio di un doganiere austriaco, lavorò come decoratore fino allo
scoppio della prima guerra mondiale (1914), quando si arruolò come
volontario nell'esercito bavarese. Dopo la sconfitta della Germania, si
iscrisse al Partito tedesco dei lavoratori, per partecipare alla ricostruzione
del paese. Nell'aprile 1920 cominciò a lavorare a tempo pieno per il
partito, ribattezzato Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, e
l'anno successivo ne divenne il capo (Führer) indiscusso. Nel novembre 1923, in
un momento di confusione e debolezza del governo del paese, Hitler guidò
un tentativo di colpo di stato in Baviera, il putsch di Monaco. L'esercito
però non fu compatto ne
l sostenere l'operazione e il putsch
fallì.
Riconosciuto responsabile del complotto, Hitler venne condannato a cinque anni di reclusione,
ridotti a otto mesi per un'amnistia generale. Durante la detenzione,
dettò la sua autobiografia, Mein Kampf, nella quale espose i principi
dell'ideologia nazista e della superiorità della razza ariana. Tornato
in libertà, ricostruì il partito senza interferenze da parte del
governo che pure aveva cercato di rovesciare.
Quando ebbe inizio la Grande Depressione, nel 1929, molti tedeschi furono
d'accordo con lui nell'attribuirne la responsabilità a un complotto
ebreo-comunista. Con la promessa di creare una Germania forte, ricca e potente,
Hitler attirò milioni di elettori. La sua capacità oratoria
infiammava le masse: nelle elezioni del 1930 i seggi dei nazisti al Reichstag
(parlamento) passarono dai dodici del 1928 a centosette.
Durante i due anni seguenti il partito continuò a rafforzarsi,
traendo vantaggio dalla crescente disoccupazione, dalla paura del comunismo,
dalla risolutezza di Hitler e dalla debolezza dei suoi rivali politici.
Ciononostante, quando Hitler fu nominato cancelliere (gennaio 1933), lo si
riteneva ancora facilmente manovrabile.
La dittatura
Hitler a Norimberga
Giunto al potere, Hitler si trasformò rapidamente in un dittatore.
Un parlamento sottomesso gli concesse pieni poteri ed egli fu in grado di
asservire la burocrazia statale e il potere giudiziario alle esigenze del
partito. I sindacati furono eliminati, migliaia di oppositori rinchiusi nei
campi di concentramento e ogni minimo dissenso represso; l'organizzazione della
polizia venne affidata a Himmler, il capo delle SS. Il 30 giugno 1934, nella
'notte dei lunghi coltelli', Hitler si liberò in modo violento
degli elementi più radicali anche all'interno del suo stesso partito. In
breve tempo, l'economia, i mezzi di comunicazione e tutte le attività
culturali vennero poste sotto l'autorità nazista attraverso il controllo
della lealtà politica di ogni cittadino, esercitato dalla Gestapo, la
famigerata polizia segreta.
La corsa al riarmo risolse temporaneamente il problema della
disoccupazione e portò alla ricostruzione della potenza tedesca. Il
disegno di Hitler mirava a distruggere le clausole del trattato di Versailles e
nel 1936 il Führer ritenne che i tempi fossero maturi per dare inizio alla sua
politica d'espansione: inviò truppe nella smilitarizzata Renania, annetté
l'Austria e una parte di Cecoslovacchia, ponendo le basi di un nuovo conflitto
mondiale.
La seconda guerra mondiale scoppiò nel settembre 1939, quando
Hitler invase la Polonia, che aveva stretto un'alleanza con l'Inghilterra. Nel
1940 l'esercito tedesco occupò Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e
Francia, e nel giugno 1941 ebbe inizio l'attacco all'Unione Sovietica. Nel
luglio successivo, Hitler incaricò Heydrich di elaborare la
'soluzione finale della questione ebraica': il drammatico genocidio
che costò la vita a sei milioni di ebrei (vedi Olocausto; Pogrom).
A dicembre l'andamento della guerra cambiò direzione: la
controffensiva russa respinse l'esercito tedesco, infliggendo gravissime
perdite; Hitler rifiutò di autorizzare la ritirata. In quegli stessi
giorni, gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Davanti all'avanzata degli eserciti nemici sia sui fronti europei che su
quelli africani, Hitler - sopravvissuto a vari complotti orditi da ufficiali
tedeschi che volevano porre fine ai combattimenti e all'annientamento della
Germania - si suicidò il 30 aprile 1945. Con lui, nel bunker di Berlino,
si tolse la vita Eva Braun, che Hitler aveva sposato il giorno precedente.
Goebbels si suicidò il 1° maggio.
Le operazioni militari
Prima fase: predominio delle potenze dell'Asse
La guerra-lampo in Polonia
Il 1° settembre cominciarono i bombardamenti delle reti ferroviarie
polacche. Dopo quattro giorni due gruppi armati, uno proveniente dalla Prussia
orientale e un altro dalla Slesia, attraversarono le frontiere indirizzandosi
verso Varsavia e Brest. La macchina bellica tedesca aveva realizzato la
Blitzkrieg (guerra-lampo) impiegando mezzi corazzati, aerei e fanteria
autotrasportata. Tra l'8 e il 10 settembre i tedeschi avanzarono verso
Varsavia. Il 17 l'Armata Rossa varcò il confine occupando la Polonia
orientale. Il 20 settembre la Polonia tutta era nelle mani dei tedeschi e dei
sovietici.
La drôle de guerre
Dopo la conquista della Polonia, su entrambi i fronti si sospesero le
operazioni, tanto che questa fase venne chiamata la drôle de guerre
('strana guerra'). I francesi rimasero attestati dietro la linea
Maginot, mentre nel nord della Francia aveva inizio il trasbordo delle truppe
inglesi sul continente.
La guerra finnico-sovietica e il fronte norvegese
Il 30 novembre, l'Unione Sovietica dichiarò guerra alla Finlandia.
I finlandesi, guidati dal maresciallo Mannerheim, opposero una strenua
resistenza, che durò sino all'anno seguente. L'aggressione alla
Finlandia fu condannata dall'opinione pubblica mondiale, ma nello stesso tempo
offrì a Francia e Gran Bretagna il pretesto per impossessarsi di una
delle principali fonti di rifornimento di metalli ferrosi della Germania
occupando il porto norvegese di Narvik. L'ammiraglio tedesco Erich Raeder
decise allora di invadere la Norvegia sbarcando simultaneamente in otto
città portuali, da Narvik a Oslo. Le truppe avrebbero dovuto essere
trasportate con navi da guerra. La Danimarca, che non rappresentava un problema
militare, era utile per la vicinanza dei suoi aeroporti alla Norvegia. Temendo
l'intervento di altre potenze al fianco della Finlandia, Stalin concluse la
pace l'8 marzo, assicurando all'URSS concessioni territoriali; la Finlandia
però rimase indipendente. Il 2 aprile Hitler ordinò di attaccare
la Norvegia e la Danimarca. La Danimarca si arrese immediatamente.
I norvegesi, aiutati da 12.000 soldati britannici e francesi,
resistettero nella zona tra Oslo e Trondheim fino al 3 maggio. A Narvik
contrattaccarono, sostenuti dalla flotta britannica. Nella prima settimana di
giugno i tedeschi furono obbligati a ritirarsi fino al confine svedese, ma le
sconfitte militari in Francia obbligarono francesi e britannici a ritirare da
Narvik le loro truppe.
I Paesi Bassi
In primavera, infatti, Hitler aveva impostato una nuova strategia per la
camna contro la Francia e i Paesi Bassi: scartato il piano che prevedeva
l'invasione attraverso il Belgio, decise, secondo il piano ideato dal generale
Erich von Manstein, di sferrare l'attacco nelle Ardenne, cogliendo di sorpresa
il comando anglo-francese.
Il 10 maggio forze aeree tedesche atterrarono in Belgio e in Olanda
occupando aeroporti e nodi stradali. L'esercito olandese si arrese il 14
maggio, poche ore dopo il bombardamento di Rotterdam. Lo stesso giorno,
l'esercito tedesco, comandato dal generale Gerd von Rundsteadt,
attraversò le Ardenne cogliendo alle spalle le armate britanniche e
francesi.
La sconfitta della Francia
Il 26 maggio, inglesi e francesi (un contingente alleato di 338.226
uomini ) furono respinti a Dunkerque e riuscirono a trovare scampo solo grazie
a una gigantesca operazione di evacuazione della regione costiera ripiegarono
drammaticamente per scampare alla cattura. Intanto Leopoldo III, re del Belgio,
firmava la resa due giorni dopo.
La linea Maginot era intatta, ma la manovra tedesca aveva spiazzato il
comandante francese, generale Maxime Weygand, che non riuscì a difendere
Parigi. Il 10 giugno il governo abbandonò la capitale; lo stesso giorno
anche l'Italia dichiarò guerra alla Francia. Il 17 giugno il maresciallo
francese Henri-Philippe Pétain chiese l'armistizio che, firmato il 22 giugno,
assicurava ai tedeschi il controllo del nord della Francia e della costa
atlantica. Pétain stabilì a Vichy, nel sud, un governo collaborazionista
(vedi Governo di Vichy), che rimase fedele all'Asse sino alla fine della
guerra.
La battaglia d'Inghilterra
La Gran Bretagna, ora sotto la guida del primo ministro Winston Churchill,
succeduto a Chamberlain, era rimasta sola ad affrontare la Germania.
Nell'estate 1940 l'aviazione tedesca (Luftwaffe) avviò l'offensiva
aerea nel tentativo di annientare la Royal Air Force (RAF), scatenando la
battaglia d'Inghilterra. Nell'agosto 1940 iniziarono i bombardamenti dei porti
e degli aeroporti inglesi e, nel mese di settembre, quelli di Londra.
L'aviazione e la popolazione civile inglesi non cedettero e Hitler dovette
rinunciare all'invasione. Fu la prima sconfitta tedesca.
L'Africa settentrionale e i Balcani
Nel settembre 1940 Mussolini ordinò di attaccare l'Egitto,
importante base britannica, ma fu respinto dagli inglesi che occuparono parte
della Libia, colonia italiana. Nell'ottobre anche il piano d'invasione della
Grecia fallì e i greci, sostenuti dagli inglesi, occuparono Creta. Nel
mese di febbraio del 1941 Hitler assegnò al feldmaresciallo Erwin Rommel
il comando delle truppe tedesche nell'Africa settentrionale, con lo scopo di
aiutare gli alleati italiani. Tra i mesi di marzo e di aprile Rommel
riuscì a respingere gli inglesi, varcando il confine egiziano.
Hitler preparò quindi l'attacco alla Grecia: sottoscrisse trattati
di alleanza con Romania e Ungheria nel novembre 1940 e con la Bulgaria nel
marzo 1941. La Iugoslavia, che non aveva accettato di allearsi con la Germania,
fu invasa. Le operazioni ebbero inizio il 6 aprile; Belgrado, pesantemente
bombardata, fu occupata il 13 aprile e il giorno dopo l'esercito iugoslavo si
arrese. Subito iniziò la resistenza, a opera dei partigiani cetnici con
a capo Dra'a Mihajloviç e dei partigiani comunisti guidati da Tito, che
continuò per tutta la durata della guerra.
In Grecia, Salonicco fu costretta alla resa il 9 aprile; anche le
divisioni greche, che avevano occupato quasi un terzo dell'Albania, si arresero
il 22 aprile. Il 27 aprile le truppe tedesche occuparono Atene: il re e il
governo fuggirono a Creta, che tuttavia fu conquistata il mese dopo.
Seconda fase: estensione della guerra
L'anno dopo la caduta della Francia, il conflitto dilagò,
assumendo dimensioni mondiali. Hitler, pur conducendo nuove camne nei
Balcani, in Africa settentrionale e nei cieli dell'Inghilterra, schierava
adesso il grosso dell'esercito a est, contro l'Unione Sovietica.
L'intervento degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti rinunciarono adesso alla neutralità e si
prepararono allo scontro con il Giappone, in Asia e nell'oceano Pacifico: dal
gennaio 1941 strinsero con la Gran Bretagna accordi per determinare le
strategie da seguire nell'eventualità di una loro entrata in guerra.
Nel marzo 1941 il Congresso americano approvò la legge Affitti e
prestiti che riguardava gli armamenti da concedere a qualsiasi paese designato
dal presidente. Questa legge consentì di aiutare la Gran Bretagna e,
dopo l'invasione tedesca nel giugno del 1941, anche l'Unione Sovietica. Gli
Stati Uniti speravano che l'Asse potesse essere sconfitto senza un loro
coinvolgimento diretto. Alla fine dell'estate del 1941 gli Stati Uniti erano in
una posizione di guerra non dichiarata con la Germania. In luglio reparti di
marines americani furono dislocati in Islanda, occupata dagli inglesi; nel
maggio del 1940 la marina militare americana ebbe l'incarico di scortare i
convogli nelle acque a ovest dell'Islanda. In settembre il presidente Franklin
Delano Roosevelt autorizzò le navi di scorta ai convogli ad attaccare le
navi da guerra dell'Asse.
Nel frattempo, le relazioni USA con il Giappone si erano ulteriormente
deteriorate. Nel settembre 1940 il Giappone costrinse il governo di Vichy a
cedere la zona nord dell'Indocina. Gli Stati Uniti proibirono l'esportazione in
Giappone di acciaio, ferro e combustibile per l'aviazione. Nell'aprile 1941 i
giapponesi firmarono un accordo di neutralità con l'Unione Sovietica,
per limitare i possibili fronti di guerra in vista dello scontro con la Gran
Bretagna o con gli Stati Uniti. Quando però la Germania invase l'Unione
Sovietica, in giugno, decisero di rompere l'accordo, pensando a un attacco
contro l'Unione Sovietica da est; in seguito cambiarono idea, e presero la fatale
decisione di portare l'offensiva nel Sud-Est asiatico. Il 23 luglio il Giappone
occupò il sud dell'Indocina. Due giorni dopo Stati Uniti e Gran Bretagna
risposero con l'embargo commerciale. Il 7 dicembre 1941, un'ora prima della
dichiarazione ufficiale di guerra, forze aeree e navali giapponesi
distruggevano la flotta americana a Pearl Harbor. Tre giorni dopo le due
maggiori unità navali britanniche nel Pacifico venivano affondate. La
guerra investiva così anche l'Estremo Oriente.
L'invasione dell'Unione Sovietica
Lo scontro più imponente della guerra iniziò la mattina del
22 giugno 1941, quando più di tre milioni di soldati dell'Asse invasero
l'Unione Sovietica. Nonostante l'attacco fosse stato apertamente preparato da
mesi, i sovietici furono colti di sorpresa. I capi militari sovietici erano
convinti che una guerra-lampo come quella che aveva piegato la Polonia e la
Francia non sarebbe stata possibile contro l'Unione Sovietica. L'esercito
sovietico era numericamente superiore a quello tedesco, aveva 4,5 milioni di
soldati schierati sul confine occidentale, il doppio di carri armati e il
triplo di aerei. Molti carri armati e aerei appartenevano a una generazione
tecnologica superata, ma alcuni tipi di mezzi blindati, soprattutto i famosi
T-34, erano superiori a quelli tedeschi. Il primo giorno molti aerei sovietici
furono distrutti; lo schieramento dei carri armati, dispersi tra la fanteria,
era perdente nei confronti della concentrazione dei mezzi corazzati tedeschi.
Gli ordini dati alla fanteria furono di contrattaccare senza ritirarsi, ma la
maggior parte dei soldati sovietici cadde combattendo o furono catturati.
Prime vittorie tedesche
Per l'invasione, l'esercito tedesco era stato organizzato in tre gruppi
armati, Nord, Centro e Sud, che puntarono rispettivamente verso Leningrado
(attuale San Pietroburgo), Mosca e Kiev. Hitler e i suoi generali concordavano
sul fatto che il problema principale era bloccare l'Armata Rossa e scongerla
prima che potesse ripiegare verso l'interno del paese. Non erano però
d'accordo sulla strategia da seguire. I generali erano convinti che il regime
sovietico avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di difendere Mosca, la
capitale, nodo centrale delle reti stradali e ferroviarie e principale centro
industriale del paese. Per Hitler, invece, l'Ucraina, con le sue risorse
naturali, e il Caucaso, con il suo petrolio, rappresentavano gli obiettivi
più importanti, insieme alla città di Leningrado. Il compromesso
fu trovato nelle tre differenti direttive d'invasione e il grosso dell'esercito
si diresse verso Mosca. I tedeschi prevedevano di vincere in dieci settimane:
era un punto essenziale, in quanto l'inverno russo avrebbe bloccato le
operazioni mentre l'impegno bellico nei Balcani aveva già causato un
ritardo di tre settimane.
Churchill offrì ai sovietici un'alleanza e Roosevelt gli aiuti
consentiti dalla legge 'Affitti e prestiti', benché i rispettivi
consiglieri militari non concedessero più di un mese alle
possibilità di resistenza dell'URSS. Alla fine della prima settimana di
luglio, il Gruppo Centro aveva fatto prigionieri 290.000 soldati sovietici a
Bialystok e a Minsk. Il 5 agosto, attraversato il fiume Dnepr, i tedeschi
fecero altri 300.000 prigionieri vicino a Smolensk ed erano ormai prossimi a
Mosca.
I russi avevano sacrificato moltissimi soldati e armamenti per difendere
Mosca. Hitler, comunque, non era soddisfatto e, nonostante le proteste dei suoi
generali, ordinò al Gruppo Centro di spostare il grosso degli armamenti
a nord e a sud per aiutare gli altri due gruppi d'invasione, fermando in questo
modo l'avanzata verso Mosca. L'8 settembre il Gruppo Nord, insieme a forze
finlandesi, diede il via all'assedio di Leningrado. Il 16 settembre il Gruppo
Sud accerchiò Kiev da est, facendo 665.000 prigionieri. A questo punto
Hitler decise di riprendere l'avanzata verso Mosca e ordinò ai mezzi
corazzati di ricongiungersi al Gruppo Centro.
L'avanzata verso Mosca
Il Gruppo Centro riprese le azioni il 2 ottobre, catturando in due
settimane 663.000 militari nemici. Le piogge autunnali trasformarono tutto in
fango e bloccarono l'avanzata per quasi un mese. A metà novembre
arrivò il freddo e il terreno gelò. Hitler e il comandante del
Gruppo Centro, feldmaresciallo Fëdor von Bock, decisero, nonostante l'inverno,
di concludere la camna del 1941 con la conquista di Mosca.
Verso la seconda metà di novembre Bock mosse verso Mosca,
arrivando a 32 km dalla città. La temperatura era bassissima, la neve
copriva le strade, macchine e uomini non erano preparati per affrontare un
freddo così intenso. Il 5 dicembre i generali tedeschi ammisero il
blocco totale dell'avanzata. Carri armati e camion erano congelati, le truppe
demoralizzate.
La controffensiva sovietica
Stalin, in accordo con il maresciallo Georgij wukov, aveva trattenuto a
Mosca le riserve, tra cui molti giovani, ma anche veterani dalla Siberia, dove
l'Armata Rossa, nel 1939, aveva sconfitto i giapponesi sul confine con la
Manciuria. Il 6 dicembre i sovietici contrattaccarono e, dopo pochi giorni, le
avanguardie corazzate tedesche si ritirarono lasciando sul terreno una
quantità di veicoli e armamenti, inutilizzabili per il freddo.
Su ordine di Stalin, il contrattacco di Mosca dette il via a una
controffensiva sull'intero fronte. I tedeschi non avevano costruito linee di
difesa sulla retroguardia e Hitler ordinò alle truppe di non
retrocedere. I russi annientarono molte divisioni, ma i tedeschi resistettero
abbastanza per superare l'inverno e mantenere l'assedio di Leningrado,
minacciando Mosca e occupando l'Ucraina.
Per la prima volta dal 1939 falliva un piano tedesco di annientamento del
nemico. L'obiettivo di assicurarsi grandi quantitativi di viveri e materie
prime dalla Russia sconfitta non si realizzò perché le ferrovie erano
state distrutte dai sovietici in ritirata, e altrettanto era stato fatto con le
colture, il bestiame e ogni altra risorsa. L'aiuto in materie prime concesse
dagli americani, trasportate da convogli britannici che subirono perdite
pesanti nei porti settentrionali della Russia, assicurò ai sovietici
radar, radio e altri equigiamenti sofisticati.
Terza fase: ribaltamento degli equilibri
Alla fine del mese di dicembre, 1941 Roosevelt, Churchill e i rispettivi
consiglieri si riunirono a Washington. Tutti concordarono sulla
necessità di scongere prima la Germania e, siccome l'Inghilterra
aveva i mezzi necessari per combattere in Europa, dovevano essere i britannici
a condurre le operazioni, mentre la guerra col Giappone avrebbe impegnato quasi
esclusivamente gli americani. Inoltre fu creato il Combined Chiefs of Staff
(CCS), del quale fecero parte i più alti gradi militari britannici e
americani, con sede a Washington, con lo scopo di sviluppare una strategia
comune. Il 1° gennaio 1942 Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e altri
23 paesi firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite, impegnandosi a non
perseguire paci separate. Nazioni Unite divenne il nome ufficiale della
coalizione anti-Asse, ma il termine più usato per indicare queste
potenze rimase quello utilizzato già nella prima guerra mondiale:
Alleati.
Sviluppo della strategia alleata
Agli inizi del 1942, gli Stati Uniti non potevano ancora prendere parte a
molte delle azioni che avevano luogo in Europa. Nell'Africa settentrionale, il
10 dicembre 1941 i britannici avevano liberato Tobruk, prendendo Bengasi, in
Libia, due settimane dopo. Rommel contrattaccò alla fine del gennaio
1942, facendo arretrare il nemico di 300 km, fino ad Al-Ghazalah e Bir Hacheim:
a Tobruk e al confine con l'Egitto si creò una situazione di stallo.
Europa
A questo punto il grande interrogativo era se l'Unione Sovietica sarebbe
stata in grado di sopportare una seconda offensiva tedesca; i russi premevano
sugli Stati Uniti e sulla Gran Bretagna affinché si adoperassero per
alleggerire la pressione sul territorio sovietico, aprendo il cosiddetto
'secondo fronte' in Occidente. Il generale George Marshall, capo di
Stato Maggiore dell'esercito americano, era convinto che il modo migliore per
aiutare i russi e finire la guerra sarebbe stato allestire una concentrazione
di forze in Inghilterra, e sferrare l'attacco attraverso la Manica. Le
operazioni avrebbero dovuto iniziare nella primavera del 1943, o prima ancora,
se l'Unione Sovietica fosse stata sull'orlo del collasso. Gli inglesi
però non volevano aprire altri fronti prima di aver vinto in Africa
settentrionale, e non credevano alla possibilità di raccogliere in
Inghilterra un esercito abbastanza forte per attraversare la Manica entro il
1943.
Fu Rommel a risolvere questa controversia. Nel mese di giugno
entrò a Tobruk, sfondò in Egitto e raggiunse El-Alamein. A questo
punto gli americani convennero che era necessario rimandare l'attacco
attraverso la Manica e si prepararono per l'invasione dell'Africa
Settentrionale Francese.
Il Pacifico
Nel frattempo, pur nel quadro della strategia che vedeva la sconfitta
della Germania come primo obiettivo, gli americani si stavano orientando verso
l'azione diretta contro il Giappone. Nel maggio 1942 la battaglia del mar dei
Coralli e la battaglia delle Midway nel giugno 1942 avevano fermato i
giapponesi nel Pacifico centrale, ma l'avanzata nipponica proseguì nel
Pacifico sudoccidentale attraverso le isole Salomone, e via terra verso la
Nuova Guinea. Il 2 luglio 1942 gli americani scatenarono la controffensiva nel
Pacifico sudoccidentale.
L'offensiva anglo-americana in Nord Africa
Tra la primavera e l'estate del 1942 la situazione nell'Africa
settentrionale volgeva a favore dell'Asse. Così, il 31 agosto, Rommel e
l'Afrikakorps sferrarono un attacco lungo il fianco sud del fronte britannico,
presso Alam Halfa, a sud-est di El-Alamein, ma furono respinti il 7 settembre
(vedi Battaglia di El-Alamein). La controffensiva alleata, guidata dal generale
britannico Montgomery, fu lanciata il 23 ottobre; l'8 novembre, dopo durissimi
scontri, Rommel diede l'ordine di ritirata alle truppe. Dopo alcuni mesi di
resistenza, respinte dalle forze inglesi e francesi fino in Tunisia, le
divisioni italo-tedesche si arrendono il 13 maggio.
Il fronte russo: estate 1942
Alle vittorie invernali sovietiche era succeduta una serie di sconfitte
nella primavera del 1942, costate all'URSS più di mezzo milione di
prigionieri. Anche i tedeschi avevano commesso un grande errore, fermando la
produzione della maggior parte degli armamenti e delle munizioni destinati all'esercito
per potenziare la produzione industriale per l'aeronautica e la marina
militare, nello sforzo di scongere finalmente la Gran Bretagna. Hitler aveva
comunque sufficienti truppe ed armamenti per costringere l'Unione Sovietica a
sacrificare il grosso delle sue truppe nel tentativo di difendere i bacini
minerari del Donbass e i giacimenti petroliferi del Caucaso.
La camna tedesca verso il Caucaso
Le offensive cominciarono a est di Kharkiv il 28 giugno e in meno di
quattro settimane i tedeschi furono a est del fiume Don. Le distanze percorse
erano grandissime, ma Stalin e i suoi generali, convinti che i tedeschi
avrebbero puntato per la seconda volta su Mosca, avevano trattenuto le riserve
e ordinato all'esercito del sud di ritirarsi.
Hitler, incoraggiato dalla facilità dell'avanzata, cambiò i
piani. All'inizio si era prefisso di avanzare verso Stalingrado (Volgograd),
fino al fiume Volga per inviare le truppe verso sud, nel Caucaso, solo in un
secondo momento; il 23 luglio ordinò invece a parte dell'armata di
continuare l'avanzata verso Stalingrado, e ad altri effettivi, un terzo
dell'intera forza, di raggiungere il basso Don e prendere i giacimenti
petroliferi di Majkop, Grozny e Baku.
L'assedio di Stalingrado
L'Unione Sovietica toccò il suo momento peggiore alla fine del
luglio 1942. Il 28 luglio Stalin pronunciò il suo famoso 'Neanche
un passo indietro!' e chiese alle truppe di combattere una guerra
'patriottica' per la Russia. wukov, che aveva organizzato la controffensiva
di Mosca nel dicembre 1941, e il capo del comando supremo, Aleksandr
Vasilyevsky, proposero di indebolire il nemico obbligandolo a un sanguinoso
combattimento in città mentre loro raccoglievano le forze per sferrare
il contrattacco. La battaglia di Stalingrado era cominciata.
Il 19 novembre, in una mattina di nebbia e neve, l'avanguardia corazzata
sovietica entrò in contatto con i rumeni a ovest e a sud di Stalingrado.
Hitler ordinò al comandante della VI Armata, generale Friedrich von
Paulus, di resistere, promettendogli imminente aiuto aereo. Il tentativo di
fornire rifornimenti fallì, e la VI Armata, che, condannata alla
distruzione, voleva tentare di rompere l'accerchiamento, ne fu impedita da un
ordine di Hitler. Von Paulus si arrese il 31 gennaio 1943. La battaglia di Stalingrado
costò 200.000 uomini ai tedeschi, costretti a ritirarsi dal Caucaso e a
retrocedere fino quasi al punto da dove era partita l'offensiva dell'estate
1942.
Guadalcanal
Nell'estate del 1942, Stalingrado e il Caucaso erano apparentemente sul
punto di cadere nelle mani di Hitler, e Rommel non era lontano dal canale di
Suez. I giapponesi avevano occupato Guadalcanal, nell'estremo sud delle isole
Salomone, e puntavano su Port Moresby.
Gli americani sbarcarono a Guadalcanal il 7 agosto 1942. La reazione del
Giappone fu pronta e violenta. Le perdite in navi e aerei furono pesanti per
entrambe le parti, ma i giapponesi ne uscirono sconfitti, dopo più di
quattro mesi di scontri.
La conferenza di Casablanca
Dal 14 al 24 gennaio 1943 Roosevelt, Churchill e i loro consiglieri
s'incontrarono a Casablanca per preparare la strategia da adottare dopo la
camna in Nord Africa. Gli americani desideravano procedere con l'attacco ai
tedeschi attraverso la Manica. Gli inglesi sostenevano i vantaggi di
raccogliere, come disse Churchill, i 'grandi premi' che si sarebbero
riscossi nel Mediterraneo, in Italia.
Offensive aeree in Germania
Come preludio del rinviato attacco attraverso la Manica, gli
anglo-americani decisero di scatenare un'offensiva aerea contro la Germania. I
britannici lanciarono quattro bombardamenti incendiari su Amburgo, alla fine
del luglio 1943. Nell'ottobre 1943, gli americani attaccarono gli stabilimenti
di cuscinetti a sfere di Schweinfurt, perdendo però il 25% degli aerei;
i bombardamenti diurni furono sospesi, in attesa che fossero disponibili i
cacciabombardieri a lungo raggio.
La battaglia di Kursk
Hitler, pur sapendo di non essere in grado di affrontare un'altra
offensiva, il 5 luglio dette il via alla battaglia di Kursk, attaccando dal nord
e dal sud il fronte, in prossimità di Kursk. Nel più grande
scontro tra forze corazzate della guerra, i sovietici seppero resistere. Hitler
sospese le operazioni, perché gli anglo-americani erano appena sbarcati in
Sicilia. Dopo Kursk, l'iniziativa strategica nell'Europa orientale passò
definitivamente all'armata sovietica.
La camna d'Italia
Il 10 luglio 1943, tre divisioni americane, una canadese e tre inglesi
sbarcarono in Sicilia battendo quattro divisioni italiane e due tedesche e
superando, il 17 agosto, l'ultima resistenza dell'Asse. Mussolini era stato
rovesciato il 25 luglio, il nuovo governo italiano, presieduto da Badoglio,
aveva avviato i negoziati firmando il 3 settembre un armistizio segreto, reso
pubblico l'8 settembre. I tedeschi occuparono militarmente l'Italia
centrosettentrionale, mentre il governo italiano fuggiva nel Meridione,
riparando presso gli Alleati e abbandonando a se stesso l'esercito, privo di
ordini chiari. Mussolini fu liberato dai tedeschi e trasferito al nord, dove nacque
la Repubblica di Salò.
Il 3 settembre, truppe dell'VIII Armata guidate da Montgomery
attraversavano lo stretto di Messina. Il 9 settembre la V Armata americana, al
comando del generale Clark, sbarcava nei pressi di Salerno; il 12 ottobre gli
anglo-americani avevano già stabilito una solida linea attraverso la
penisola dal fiume Volturno, a nord di Napoli, fino a Termoli, sulla costa
adriatica. Per la fine dell'anno la resistenza tedesca aveva fermato gli
Alleati a circa 100 km a sud di Roma. Lo sbarco ad Anzio, il 22 gennaio del
1944, non riuscì a fare progredire l'esercito alleato perché i tedeschi
si erano attestati lungo il fiume Liri e a Cassino.
Strategia alleata contro il Giappone e progressi nel Pacifico
La strategia della guerra contro il Giappone fu sviluppata per stadi nel
corso del 1943. All'inizio, l'obiettivo era di stabilire basi sulla costa
cinese (da dove il Giappone avrebbe potuto essere bombardato e successivamente
invaso), con azioni inglesi e cinesi dalla Birmania e dalla Cina orientale, e
incursioni americane sulle isole del Pacifico centrale e sudoccidentale, fino a
Formosa (oggi Taiwan) e alla Cina. A metà anno fu chiaro che né gli
obiettivi britannici né quelli cinesi sarebbero stati raggiunti, e quindi ci si
concentrò sugli obiettivi americani.
Le principali operazioni ebbero come teatro il Pacifico sudoccidentale,
dove le truppe americane e quelle dell'Anzac, al comando dell'ammiraglio
William Halsey, avanzarono lungo le isole Salomone. Gli australiani e gli
americani, al comando di MacArthur, costrinsero i giapponesi a ritirarsi lungo
la costa orientale della Nuova Guinea. L'obiettivo di MacArthur e Halsey,
fissato nel 1942, era la conquista di Rabaul. Gli sbarchi al Capo Gloucester e
in Nuova Britannia a dicembre 1943, nelle isole dell'Ammiragliato a febbraio
del 1944, e nell'isola Emira a marzo dello stesso anno chiusero in una morsa
Rabaul. La guarnigione giapponese di 100.000 uomini non poteva più
essere evacuata.
Il primo sbarco nel Pacifico centrale avvenne nelle isole Gilbert, a
Makin e Tarawa, nel novembre 1943.
Quarta
fase: la vittoria alleata
Nella prima settimana dell'agosto 1943, le linee tedesche a nord e a
ovest di Kharkiv furono investite dalla controffensiva sovietica. Il 15
settembre Hitler permise al Gruppo Sud di ritirarsi verso il Dnepr per evitare
la sconfitta. Le armate sovietiche, al comando di wukov e Vasilyevsky,
allargarono le teste di ponte, isolando l'armata tedesca in Crimea nel mese di
ottobre, conquistando Kiev il 6 novembre e rimanendo all'offensiva per tutto
l'inverno.
La
conferenza di Teheran
Alla fine di novembre si incontrarono per la prima volta Roosevelt,
Churchill e Stalin. Il presidente americano e il primo ministro inglese avevano
già approvato il piano d'attacco attraverso la Manica, chiamato in
codice Overlord, e Roosevelt era del parere che si dovesse partire col piano
appena le condizioni meteorologiche fossero state favorevoli, nel 1944. Nella
conferenza di Teheran, al contrario, Churchill si disse favorevole a dare la
precedenza allo sviluppo delle offensive in Italia, nei Balcani e nel sud della
Francia. Stalin si dichiarò d'accordo con Roosevelt e quindi Overlord fu
programmato per il maggio 1944. Dopo l'incontro, Eisenhower fu richiamato dal
Mediterraneo ed ebbe il comando supremo delle forze alleate, con il compito di
organizzare e guidare Overlord.
La conferenza di Teheran segnò il punto culminante dell'alleanza
interalleata. Contemporaneamente, però, si sviluppavano tensioni nella
comine alleata, via via che le armate sovietiche cominciavano ad avvicinarsi
ai confini dei piccoli stati dell'Europa orientale. Stalin aveva troncato ogni
relazione col governo polacco in esilio a Londra, e a Teheran sostenne
fermamente che la frontiera sovietico-polacca del dopoguerra doveva essere quella
stabilita dopo la sconfitta polacca del 1939. Inoltre reagì con
malcelata ostilità alla proposta di Churchill di un attacco
anglo-americano nei Balcani.
I
preparativi tedeschi per Overlord e lo sbarco in Normandia
Hitler aspettava l'invasione dell'Europa nordoccidentale per la primavera
del 1944 ed era convinto che se fosse riuscito a respingere americani e
britannici, avrebbe avuto in pugno le sorti della guerra. Successivamente
avrebbe inviato tutte le sue truppe a combattere i sovietici. Pertanto
destinò rinforzi al solo fronte occidentale.
Nel gennaio 1944, un'offensiva sovietica tolse l'assedio a Leningrado e
fece retrocedere il Gruppo Nord fino alla linea tra il fiume Narva e il lago
Peipus. Nuove offensive del marzo e dell'aprile ricacciarono i tedeschi
nell'ampia distesa tra le paludi del Pripjat e il mar Nero, cioè fuori
dal territorio sovietico.
Il 6 giugno 1944, D-Day, giorno dell'invasione secondo il piano Overlord,
la prima armata statunitense al comando del generale Omar Bradley e la seconda
armata britannica al comando del generale Miles Dempsey riuscirono a stabilire
teste di ponte in Normandia. Cominciò così lo sbarco in
Normandia.
La
riconquista sovietica della Bielorussia
Sul fronte orientale tedesco non vi furono operazioni durante le prime
tre settimane del giugno 1944; Hitler si aspettava un'offensiva sul lato
meridionale del fronte, dove i sovietici, dopo la battaglia di Stalingrado,
avevano concentrato le forze. La Bielorussia era controllata dal Gruppo Centro,
che non si aspettava certo un attacco da quel lato. Tuttavia, il 22 e il 23
giugno 1944 quattro contingenti sovietici (due guidati da wukov e due da
Vasiljevskij) sferrarono l'attacco al Gruppo Centro, scongendolo. Minsk, la
capitale della Bielorussia, fu presa dai sovietici il 3 luglio; l'8 luglio, la
IV Armata tedesca dovette abbandonare i combattimenti, consentendo all'Armata
Rossa di dirigersi verso la Prussia orientale e la Polonia.
Il
complotto contro Hitler
Nel mese di luglio un gruppo di ufficiali organizzò un attentato
per uccidere Hitler (complotto di luglio): il 20 luglio, l'esplosione di una
bomba piazzata nel quartier generale di Rastenburg, nella Prussia orientale,
uccise alcuni ufficiali ma Hitler ne uscì indenne. Gli ufficiali
sospettati di aver preso parte al complotto furono brutalmente soppressi.
La
liberazione della Francia
Intanto, le truppe corazzate sbarcate in Normandia, guidate dal generale
Patton, avevano occupato la Bretagna e si erano spinte all'interno della
Francia, conquistando Le Mans, Chartres e Orléans. Il 25 agosto le forze
americane, insieme alle forze della Resistenza francese, guidate dal generale
Charles de Gaulle, liberarono Parigi. Entro settembre quasi tutto il territorio
francese era stato liberato.
Pausa
nell'offensiva occidentale
Sul fronte occidentale, Bradley e Montgomery guidarono l'offensiva che, a
nord della Senna, si dirigeva verso il Belgio, mentre gli americani avanzarono
in direzione del confine franco-tedesco. Le truppe di Montgomery conquistarono
Anversa il 3 settembre 1944 e l'11 settembre le prime guarnigioni americane
varcarono il confine tedesco. L'offensiva subì a questo punto una fase
d'arresto: Montgomery aveva raggiunto le barriere fluviali della Mosa e del
Basso Reno mentre gli americani erano bloccati sulla linea Maginot. Il
tentativo di sfondamento operato da Montgomery nella battaglia di Arnhem fu un
completo fallimento.
L'insurrezione
di Varsavia
Il 20 luglio avanguardie sovietiche raggiunsero le coste del Baltico, nei
pressi di Riga, tagliando le vie di comunicazione terrestri del Gruppo Centro
con il fronte tedesco. Il 31 luglio, il comandante dell'armata partigiana
polacca, generale Tadeusz Komorowski, detto 'generale Bor',
organizzò l'insurrezione di Varsavia. Gli insorti, fedeli al governo
anticomunista in esilio a Londra, crearono per diversi giorni gravi disagi ai
tedeschi.
La
sconfitta delle potenze dell'Asse
Un'offensiva sovietica effettuata tra i Carpazi e il mar Nero a fine
agosto ebbe come risultato l'armistizio chiesto tre giorni dopo dalla Romania.
La Bulgaria, che non aveva mai dichiarato guerra all'Unione Sovietica, si
arrese il 9 settembre. Il 19 e il 20 ottobre le truppe sovietiche presero
Belgrado e vi insediarono un governo comunista sotto la guida di Tito. In
Ungheria i sovietici arrivarono alle porte di Budapest alla fine di novembre.
L'avanzata
degli Alleati in Italia
In Italia, tra la primavera e l'estate del 1944, le armate di Clark, che
comprendevano truppe americane, britanniche, francesi e polacche, presero
Cassino il 18 maggio. Cinque giorni dopo, la rottura dell'accerchiamento della
testa di sbarco ad Anzio costrinse i tedeschi ad abbandonare la linea Gustav;
gli Alleati entrarono a Roma, dichiarata città aperta dal 4 giugno.
L'avanzata continuò verso nord senza problemi, ma rischiò di
perdere impeto perché le divisioni americane e francesi si sarebbero presto
dovute dedicare all'invasione della Francia meridionale. Dopo aver conquistato
Ancona e Firenze, la seconda settimana di agosto, gli Alleati si arrestarono sulla
linea Gotica, che bloccò sino a tutto l'inverno l'accesso alla valle del
Po, mentre nel nord del paese, occupato dai nazisti, si sviluppava la
Resistenza partigiana.
La
battaglia del mar delle Filippine
Le operazioni contro il Giappone, nel Pacifico, nel 1944 subirono
un'accelerazione: in primavera gli Alleati avevano pianificato un'avanzata al
comando del generale MacArthur attraverso la Nuova Guinea, sino alle Filippine.
Una seconda operazione sarebbe stata guidata dall'ammiraglio Nimitz attraverso
il Pacifico centrale, fino alle isole Marianne e Caroline.
Il 19 e il 20 giugno la prima flotta mobile dell'ammiraglio Ozawa
Jisaburo incrociò l'Unità operativa statunitense 58 comandata
dall'ammiraglio Mitscher. Nella battaglia, che passò alla storia come
'battaglia del mar delle Filippine', i caccia americani abbatterono
gran parte degli aerei giapponesi mentre i sottomarini americani affondarono
tre portaerei. Ozawa virò verso Okinawa con 35 aerei rimasti su 326.
Mitscher perse soltanto ventisei apparecchi e tre navi riportarono danni non
gravi.
Nuova
strategia nel Pacifico
Il 15 giugno le forze americane sbarcarono a Saipan; il 10 agosto avevano
conquistato Guam, obiettivo chiave della strategia ideata per porre fine al
conflitto. L'isola poteva ospitare le basi per i nuovi bombardieri americani a
lungo raggio, i B-29 Superfortress, in grado di raggiungere Tokyo e le
città giapponesi. La superiorità navale americana nel Pacifico
consentiva di pensare all'invasione del Giappone: i bombardamenti cominciarono
nel novembre 1944, mentre proseguivano le operazioni nelle Caroline e nelle
Filippine.
La
battaglia aerea in Europa e l'offensiva delle Ardenne
La più importante azione aerea contro la Germania ebbe luogo
nell'autunno 1944: i bombardamenti inglesi e americani colpirono sia obiettivi
militari sia le città tedesche. Hitler reagì lanciando contro
Londra i missili V1 e V2. Ma, nel mese di ottobre, le migliori basi di lancio,
situate nel nord-ovest della Francia e in Belgio, furono conquistate dagli
Alleati.
L'accorciamento dei fronti a est e a ovest e la pausa dei combattimenti
di terra avevano dato a Hitler la possibilità di creare una riserva di
circa venticinque divisioni che decise di utilizzare contro gli
anglo-americani, dalle Ardenne, attraverso il Belgio fino ad Anversa.
Il 16 dicembre aveva inizio la battaglia delle Ardenne. Gli Alleati,
colti di sorpresa, riuscirono tuttavia a mantenere centri strategici come
Saint-Vith e Bastogne fino all'intervento dell'aviazione. L'ultimo tentativo
tedesco di riconquistare Anversa venne respinto solo alla fine di gennaio. Alla
fine di febbraio l'avanzata alleata verso la Germania riprendeva.
La
conferenza di Jalta
Dal 4 all'11 febbraio 1945 ebbe luogo la conferenza di Jalta, in Crimea,
tra i capi di stato di Stati Uniti (Roosevelt), Gran Bretagna (Churchill) e
Unione Sovietica (Stalin). In questa occasione Stalin si impegnò a
entrare in guerra contro il Giappone entro tre mesi dalla modulazione
tedesca, in cambio di concessioni territoriali nell'Estremo Oriente.
Nel corso della conferenza si stabilì inoltre la strategia da
seguire contro la Germania e l'organizzazione del paese alla fine del
conflitto.
L'avanzata
sul Reno
All'inizio di marzo le armate alleate raggiunsero il Reno e occuparono
teste di ponte tra Bonn e Coblenza e a sud di Magonza: alla fine di marzo
l'intero schieramento tedesco sul fiume crollò; Einsenhower
ordinò alle truppe di proseguire verso est.
Il 1° aprile gli americani accerchiarono il bacino della Ruhr, facendo
prigionieri 325.000 soldati tedeschi. Il 5 aprile gli inglesi varcarono il
Weser, puntando verso l'Elba. L'11 aprile gli alleati raggiunsero l'Elba vicino
a Magdeburgo, e il giorno dopo si formò una testa di ponte sulla riva
orientale, a 120 km da Berlino.
Mentre gli inglesi (soprattutto Churchill e Montgomery) e alcuni
americani consideravano Berlino l'obiettivo più importante, per
Eisenhower era essenziale che le truppe anglo-americane potessero congiungersi
con quelle russe più a sud, tra Lipsia e Dresda. L'Armata Rossa, che si
era attestata ai primi di febbraio sull'Oder, all'inizio di aprile
cominciò a concentrarsi su Berlino, che divenne quindi l'obiettivo
prioritario.
Le ultime
battaglie in Europa e la resa della Germania
In Italia, il 14 e il 16 aprile 1945 la V Armata americana e l'VIII
Armata britannica lanciarono l'offensiva verso la pianura padana: le truppe
tedesche si arresero il 2 maggio. Il 16 aprile cominciò l'avanzata
sovietica verso Berlino. Il 20 aprile la VII Armata americana conquistò
Norimberga. Quattro giorni dopo le armate sovietiche circondarono la
città. Il 25 aprile la V Armata sovietica e la I Armata americana
s'incontrarono a Torgau, sull'Elba, a nord-est di Lipsia. L'ultima settimana di
aprile la resistenza contro gli anglo-americani cessò, ma sul fronte orientale
le truppe tedesche continuarono a battersi disperatamente contro i sovietici.
Hitler decise di restare a Berlino, mentre la maggior parte dei suoi
collaboratori politici e militari fuggirono. Il 30 aprile, chiuso nel suo
bunker, Hitler si suicidò insieme con Eva Braun e, come ultimo atto
ufficiale, nominò suo successore l'ammiraglio Karl Dönitz, che chiese la
resa. Il suo rappresentante, generale Alfred Jodl, firmò la
modulazione delle forze armate tedesche nel quartier generale di Eisenhower
il 7 maggio a Reims; un secondo documento fu firmato a Berlino, nel quartier
generale sovietico, il giorno seguente.
La
sconfitta del Giappone
All'inizio del 1945, nel Pacifico, la fine della guerra non sembrava
vicina: la marina nipponica non era in grado di sferrare attacchi massicci ma i
kamikaze effettuarono azioni suicide durante i combattimenti di Luzon, nelle
Filippine, distruggendo 17 navi statunitensi e danneggiandone 50.
Iwo Jima e Okinawa
Il 19 febbraio si scatenò la battaglia di Iwo Jima che si
protrasse sino al 16 marzo: i due aeroporti dell'isola fornirono le basi di
lancio per i B-29 e permisero ai caccia di appoggiare i bombardieri durante le
offensive effettuate sulle città giapponesi. Il 1° aprile la X Armata
americana sbarcò a Okinawa, a 500 km da Kyushu, l'isola più
meridionale del Giappone.
Hiroshima e
Nagasaki
Kyushu costituiva l'obiettivo principale; l'attacco fu fissato per il
novembre 1945, anche se una facile vittoria sembrava improbabile. Lo sbarco a
Kyushu non avvenne mai; il governo americano adottò una nuova strategia
che si basava sull'uso delle armi nucleari. La prima esplosione atomica, per
così dire 'di prova', ebbe luogo ad Alamogordo, nel New
Mexico, il 16 luglio 1945.
Altre due bombe erano state costruite e si decise di usarle per
costringere il Giappone alla resa. Il presidente americano Truman, succeduto a
Roosevelt, ordinò i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki,
effettuati il 6 e il 9 agosto. Intanto, l'8 agosto, l'Unione Sovietica aveva
dichiarato guerra al Giappone; il giorno dopo invase la Manciuria.
La resa del
Giappone
Il 14 agosto l'imperatore Hirohito fece trasmettere via radio un
comunicato che annunciava la resa incondizionata del Giappone. Il 2 settembre,
a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokyo, i rappresentanti del
governo nipponico firmarono davanti al generale MacArthur il documento di
modulazione.
Effetti
della guerra
Secondo le statistiche, la seconda guerra mondiale fu la guerra
più devastante in quanto a perdite umane e distruzione materiale. Il
conflitto, che coinvolse 61 nazioni, provocò la morte di circa 55
milioni di persone, tra militari e civili: l'Unione Sovietica ebbe circa 20
milioni di morti; la Cina 13,5 milioni; la Germania 7,3 milioni; la Polonia 5,5
milioni; il Giappone 2 milioni; la Iugolsavia 1,6 milioni; la Romania 665.000;
la Francia 610.000; l'impero britannico 510.000; l'Italia 410.000; l'Ungheria
400.000; la Cecoslovacchia 340.000; gli Stati Uniti 300.000. Gli sviluppi
tecnologici e scientifici fecero della guerra un conflitto di una ferocia senza
paragoni; la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti e
nelle rappresaglie e fu colpita soprattutto a causa dei bombardamenti aerei.
L'evento più grave fu tuttavia la deportazione e lo sterminio di oltre
cinque milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, la cosiddetta
'soluzione finale' del 'problema' ebraico (vedi Olocausto).
Alla fine della guerra, la situazione mondiale era mutata radicalmente:
l'Europa usciva dal conflitto in posizione di dipendenza rispetto alle due
potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, attorno alle quali nacque
un nuovo equilibrio politico mondiale. L'alleanza tra USA e URSS si
trasformò nei decenni seguenti in rivalità tra le due potenze,
rivalità che si manifestò nella cosiddetta Guerra Fredda.
L'immigrazione come
causa del razzismo
Il razzismo può essere anche conseguenza di fenomeni migratori.
Dovuti in genere a ragioni economiche e in particolare alla mancanza di
opportunità di lavoro nelle regioni di provenienza, i fenomeni migratori
quando avvengono verso zone caratterizzate da situazioni di scarsità di
risorse e di insicurezza economica sono spesso percepiti come una minaccia al
benessere delle popolazioni locali che fa sorgere un sentimento di generale
intolleranza e diffidenza nei confronti dei nuovi arrivati: il termine usato
per descrivere questo atteggiamento è xenofobia (dal greco "paura dello
straniero"). Anche se possono condividere alcune caratteristiche, xenofobia e
razzismo sono tuttavia fenomeni diversi: mentre la prima consiste in un
atteggiamento ostile nei confronti dello straniero percepito come una minaccia,
il razzismo concepisce l'immigrato come appartenente a una razza inferiore.
L'esperienza italiana
La storia dell'esteso fenomeno migratorio che ha interessato l'Italia fra
la fine del XIX e l'inizio del XX secolo ne è una testimonianza. Ai
numerosi italiani che nei primi del Novecento andarono a lavorare negli Stati
Uniti d'America e nell'America latina toccò infatti una forma di
discriminazione su base razziale che sfiorò il razzismo; analoga
situazione si verificò nel dopoguerra, quando gli italiani emigrarono in
nazioni europee come Svizzera, Francia, Belgio e Germania. A cavallo fra
xenofobia e razzismo è invece stato l'atteggiamento manifestato nei
confronti dell'imponente immigrazione interna che fra gli anni Cinquanta e
Sessanta ha interessato l'Italia (il flusso si svolse dal Meridione d'Italia
verso il Nord Italia). A sfondo razzista sono infine le manifestazioni di
intolleranza nei confronti del fenomeno migratorio che in tempi più
recenti, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, ha portato in Italia molti
stranieri appartenenti a gruppi etnici dell'Africa settentrionale e centrale,
dell'America latina, delle Filippine e anche dei paesi dell'Est europeo.
Gli immigrati
La battaglia contro
il razzismo
Nella battaglia contro il razzismo un ruolo fondamentale è stato
attribuito all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), fondata a San
Francisco nel 1945 proprio per "salvaguardare le generazioni future dalla
sciagura della guerra e dal razzismo".
Nel 1959 ebbe quindi inizio in tutto il mondo un ampio processo di
decolonizzazione che portò alla progressiva conquista dell'indipendenza
da parte dei paesi asiatici e africani un tempo possedimenti coloniali: il
numero degli stati africani indipendenti, ad esempio, passò da sei nel
1959 a 32 nel decennio successivo (vedi Colonialismo). Fra le iniziative
intraprese dai nuovi stati vi furono misure apertamente contrarie a ogni
sistema di discriminazione razziale e misure invece di inasprimento di forme
discriminatorie già presenti come l'apartheid: ciò avvenne ad
esempio in Sudafrica, dove la vittoria del partito nazionalista rese a partire
dal 1948 il regime ancora più rigido. Nel 1965 l'Assemblea generale
delle Nazioni Unite votò allora una Convenzione internazionale che
definì discriminazione razziale "ogni differenza, esclusione e
restrizione basata sulla razza, il colore della pelle, la discendenza e le
origini nazionali o etniche che avesse lo scopo o l'effetto di annullare o
rendere impari il riconoscimento, il godimento o l'esercizio su uno stesso
piano dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella sfera politica,
economica, sociale, culturale o in ogni altra sfera della vita pubblica" e che
ne bandì ogni sua forma. A oggi tale convenzione è stata
ratificata da oltre il 75% degli stati del mondo.
Il razzismo negli
anni Sessanta
Alla fine degli anni Sessanta il termine "razzismo" acquisì un
nuovo significato: usato in precedenza per indicare una particolare dottrina,
dopo l'approvazione della Convenzione internazionale del 1965 il razzismo venne
infatti definito come un crimine. Coloro che negli Stati Uniti presero parte al
movimento per i diritti civili diedero un significato ancor più esteso
alla parola "razzismo", affermando che esso era connaturato alla società
dei bianchi e che costituiva una vera e propria malattia sociale; da quel
momento definire razzista un individuo o un comportamento implicò una
forte condanna morale. Il dibattito sul razzismo sorto in quegli anni negli
Stati Uniti permise inoltre di svelare e denunciare le ingiustizie che i neri
americani avevano a lungo sofferto a causa dei bianchi.
King, Martin Luther (Atlanta, Georgia 1929 -
Memphis, Tennessee 1968)
Ecclesiastico battista e uomo politico statunitense, uno dei più
importanti leader del movimento americano per i diritti civili e principale
sostenitore della resistenza non violenta alla segregazione razziale. Ordinato
pastore nel 1947, durante gli studi si imbattè nelle opere di Gandhi, le
cui idee divennero il nucleo della sua filosofia di protesta non violenta. Nel
1954 accettò la nomina di pastore di una chiesa battista a Montgomery
(Alabama). In quello stesso anno, la Corte suprema degli Stati Uniti
decretò illegittima la segregazione razziale nelle scuole statali e, in
attesa di quella decisione, la segregazione venne sfidata in tutti i luoghi
pubblici degli stati del Sud.
Nel 1955 King fu a capo del boicottaggio dei mezzi pubblici di
Montgomery: lo scopo era quello di protestare per l'arresto di Rosa Parks, una
donna di colore che si era rifiutata di cedere il proprio posto a un passeggero
bianco. Nel corso della protesta, durata 381 giorni, King fu arrestato e
imprigionato, e fu minacciato di morte più volte. Il boicottaggio
terminò nel 1956 con la sentenza della Corte suprema che dichiarava
illegale la segregazione razziale sui trasporti pubblici della città. Il
boicottaggio di Montgomery rappresentò la vittoria del movimento di
protesta non violenta e il prestigio di Luther King aumentò
notevolmente.
Recatosi in India nel 1959, egli comprese più chiaramente la satyagraha, il principio della persuasione non violenta sostenuto
da Gandhi, che King era deciso a utilizzare quale principale strumento di
protesta sociale. L'anno seguente rinunciò al suo incarico a Montgomery
per diventare pastore della chiesa battista di Ebenezer, ad Atlanta, mossa che
gli permise di dedicarsi più attivamente alla direzione del nascente
movimento per i diritti civili. In quello stesso periodo la leadership nera,
che in precedenza si era limitata a promuovere cause e a proporre la
riconciliazione, stava subendo una profonda trasformazione e chiedeva il
cambiamento 'con ogni mezzo possibile'. Emersero nuovi leader e
gruppi più radicali, come i Black Muslims di Malcolm X e il Black Power
(Vedi Black Panthers), portatori di differenti ideologie e
metodi di lotta contro il razzismo. Tuttavia il prestigio di King garantiva che
la non violenza, per quanto non universalmente accettata, restasse il metodo
ufficiale di resistenza.
Nel 1963 Luther King condusse un'intensa camna per i diritti civili a
Birmingham, in Alabama, e altre in tutto il Sud per chiedere l'iscrizione dei
neri nelle liste elettorali, l'abolizione della segregazione razziale, il
miglioramento della qualità dell'istruzione e degli alloggi. Durante
queste camne non violente, il leader fu arrestato più volte. Il 28
agosto 1963 guidò la storica marcia su Washington e pronunciò il
famoso discorso 'I have a dream' (Ho un
sogno). Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la pace. Il 4 aprile del
1968 venne assassinato a Memphis, nel Tennessee.[1]
Il quoziente di
intelligenza come causa di razzismo
Negli anni Sessanta la diffusione della pratica dei test d'intelligenza
riaccese nel mondo scientifico la controversia circa l'ereditarietà
dell'intelligenza (o meglio di quel particolare concetto di intelligenza
rilevato dai test del quoziente di intelligenza, QI), dando nuovo impulso a
forme di razzismo basate sulla presunta inferiorità di alcuni gruppi
etnici. Provare scientificamente quanto un comportamento o una caratteristica
siano un prodotto dell'ereditarietà oppure una conseguenza della
socializzazione è tuttavia estrememente difficile: coloro che sostengono
la prima ipotesi sono stati quindi accusati di incentivare un nuovo razzismo
scientifico. Il linguista William Labov ha infatti documentato, grazie a
numerose ricerche, come i test costruiscano l'intelligenza più che
misurarla. In un suo articolo, Black Intelligence and Academic Ignorance
(Intelligenza nera e ignoranza accademica), ha sostenuto che i test di
intelligenza sono etnocentrici perché basati su un concetto ristretto di
intelligenza, quello relativo alle operazioni logiche, tipico della cultura
occidentale e in cui è ovvio che i bianchi siano mediamente più
abili, almeno nel breve periodo; i risultati del test non avrebbero quindi
niente a che fare con le differenze genetiche ma rispecchierebbero
esclusivamente il modo etnocentrico in cui il test è formulato.
I conflitti nel
mondo contemporaneo
A partire dagli anni Settanta l'impegno contro il razzismo è
andato ricollocandosi e ridefinendosi all'interno della più ampia
battaglia per i diritti umani, assumendo nella maggior parte dei paesi
sviluppati una caratterizzazione generale e ideale; in altri paesi, dove in
questi ultimi anni sono scoppiati nuovi conflitti, la caratterizzazione
è invece stata concreta e immediata.
L'esempio più significativo di battaglia a livello generale
è dato dagli Stati Uniti dove alla fine degli anni Sessanta per
combattere la discriminazione che deriva dal razzismo furono attuate politiche
sociali definite di "discriminazione positiva", che implicano cioè
un'azione a vantaggio delle minoranze. È ormai evidente che tali
politiche hanno incentivato la crescita di una classe media afro-americana e
hanno favorito l'accesso a posizioni di prestigio anche a persone che
altrimenti difficilmente avrebbero potuto accedervi, ma che hanno contribuito
solo in parte a smorzare le forti tensioni razziali presenti in tutto il paese
(ora anche nei rapporti con le minoranze ispano-americane).
L'esempio più significativo di un rinnovato e concreto razzismo
è invece offerto dal panorama internazionale a partire dal 1988.
Infatti, chiusasi la Guerra Fredda, durante la quale le due superpotenze (Stati
Uniti d'America e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) avevano esercitato
uno stretto controllo su molti paesi appartenenti alle rispettive aree di
influenza, in molte regioni sono scoppiati violentissimi conflitti di tipo
etnico o nazionale (come nel Caucaso e in Iugoslavia, dove la comine
nazionale si è dissolta). In alcuni di questi paesi i leader politici
hanno organizzato camne per la cosiddetta "purificazione etnica" che hanno
avuto come diretta conseguenza l'espulsione, il massacro e lo stupro degli
appartenenti ad altri gruppi etnici. Popolazioni che per decenni avevano
convissuto pacificamente divennero d'un tratto nemiche.
Allo stesso tempo, in altri stati estesi movimenti politici e sociali
contro il razzismo e la discriminazione hanno invece permesso l'affermazione di
nuovi governi più democratici. Ad esempio nell'Africa sudorientale dove
il regime illegale dei coloni bianchi della Rhodesia è cessato nel 1980
con la creazione, dopo un suffragio universale, di un nuovo stato: lo Zimbabwe.
Un altro esempio è dato dalla Repubblica Sudafricana, dove una parte
della minoranza bianca al governo aveva iniziato già negli anni
Settanta, pur fra contraddizioni e irrigidimenti, a considerare meno
favorevolmente la politica dell'apartheid. È stato tuttavia con la
scarcerazione nel 1990 del leader nero Nelson Mandela che ha potuto avviarsi un
processo che ha portato quattro anni dopo i neri (che costituiscono la
maggioranza dei cittadini sudafricani) per la prima volta a votare ed eleggere
propri rappresentanti al parlamento, dando mandato a Mandela stesso di formare
un governo che includesse rappresentanti di altri gruppi etnici minoritari. La
scelta sudafricana di includere nel proprio governo anche rappresentanze
etniche diverse costituisce la chiave per la stabilità interna e un
modello cui si stanno inspirando molti nuovi stati africani, intenzionati a
mantenere relazioni positive con tutti i diversi gruppi etnici e a escludere
dai propri affari interni l'ingerenza dei paesi produttori di armi.
Conflitti analoghi a quelli scoppiati in Africa erano esplosi diversi
anni prima anche in Asia e in Oceania. La questione tibetana, al centro
dell'attenzione internazionale da alcuni decenni, è l'esempio più
eclatante: agli inizi degli anni Cinquanta il governo cinese invase e
occupò il Tibet, attuando una politica tanto repressiva nei confronti
della religione buddhista e della civiltà tibetana che, dopo una fallita
rivolta anticinese nel 1959, il Dalai Lama (guida spirituale del Tibet)
è da allora costretto a vivere in esilio in India e i tibetani a
sottostare all'autorità di Pechino.
In Oceania, invece, sono recentemente sorti alcuni movimenti contro le
persecuzioni nei confronti degli indigeni, che in quanto abitanti originari si
rifiutano di sottostare alle leggi promulgate dai discendenti dei
colonizzatori. Il riconoscimento dei diritti degli indigeni è un
processo tuttora lento e a volte anche cruento: gli aborigeni che vivono nel
continente australiano hanno ricevuto la piena cittadinanza e il diritto di
voto soltanto nel 1968 mentre in Nuova Zelanda il tribunale Waitangi ha stabilito
solo recentemente la restituzione ai maori delle terre impropriamente divise
fra coloni.
In molti paesi i diritti delle popolazioni indigene sono stati
riconosciuti almeno in parte. In Canada si è attribuito alle popolazioni
indigene lo status di "Prime Nazioni", che ha conferito a queste che oggi sono
minoranze una posizione costituzionale paritaria rispetto ai gruppi di lingua
francese e inglese; negli stati dell'America latina sono state estese agli
indigeni le protezioni legislative contro le discriminazioni razziali. In
Messico invece, in particolare nella regione del Chiapas, le discriminazioni da
parte delle popolazioni di origine snola sono ancora molto forti nei
confronti degli indios. Anche nella foresta dell'Amazzonia la vita degli indios
è seriamente compromessa, non tanto da un esplicito razzismo quanto
dall'attività delle società multinazionali che proseguono la loro
opera di deforestazione, cioè di distruzione sistematica della foresta,
sottraendo agli indios l'habitat naturale; la resistenza di queste popolazioni
è stata, inoltre, ripetutamente piegata con forme di violenta
repressione esercitate dai governi locali.
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